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Articolo 136 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Conversione delle pene pecuniarie non eseguite

Dispositivo dell'art. 136 Codice Penale

Le pene principali della multa e dell'ammenda, non eseguite entro il termine di cui all'art. 660 del c.p.p. indicato nell'ordine di esecuzione, si convertono a norma degli articoli 102 e 103 della legge 24 novembre 1981, n. 689. La pena pecuniaria sostitutiva della reclusione o dell'arresto, non eseguita entro lo stesso termine, si converte a norma dell'articolo 71 della legge 24 novembre 1981, n. 689(1).

Note

(1) Disposizione modificata dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. "Riforma Cartabia").

Ratio Legis

Ovviamente la norma si spiega attraverso il principio di effettività della pena, per cui se il reo è insolvente, e quindi non adempie a quanto commisurato come pena pecuniaria, la pena non verrà dunque meno, ma sarà convertita.

Spiegazione dell'art. 136 Codice Penale

Oltre agli esempi in cui rileva il criterio di conversione di cui all'articolo precedente già riportati (art. 136), qui viene disciplinato il caso in cui il condannato sia insolvente e dunque non possa adempiere al pagamento della mula o dell'ammenda.

Prima della dichiarazione di incostituzionalità ad opera della sentenza n. 131/1979, la norma in esame prevedeva l'automatica conversione in pena detentiva, disposizione risultata in aperto contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, determinando una disparità di trattamento tra abbienti e meno abbienti.

Ora le varie disposizioni normative prevedono solo, in caso di insolvibilità del condannato, il lavoro sostitutivo e la libertà controllata.

Relazione al D.Lgs. 150/2022

(Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: "Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari")

1 
L’intervento sull’art. 136 c.p. si rende necessario per esigenze di coordinamento con la nuova disciplina della conversione della pena pecuniaria non eseguita, prevista dalle riformate disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Viene meno, anzitutto, il riferimento alla sola conversione per insolvibilità, ciò in quanto il nuovo sistema di conversione riguarda anche la condizione di insolvenza.


Si provvede poi a una maggiore precisione del rinvio normativo alle disposizioni di legge che regolano la materia, in modo da realizzare un opportuno coordinamento tra il codice penale e la l. n. 689/1981. Vengono richiamati gli artt. 102 e 103 di detta legge, per la conversione della pena principale della multa e dell’ammenda non eseguita, rispettivamente, per insolvenza e per insolvibilità; l’art. 71, invece, viene richiamato per l’ipotesi della conversione della pena pecuniaria sostitutiva della pena detentiva breve (art. 56 quater l. cit.), inflitta entro il limite di un anno.


Il riferimento al termine stabilito per il pagamento della pena pecuniaria richiama l’art. 660 c.p.p., che prevede un termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di esecuzione con ingiunzione di pagamento (30 per il pagamento della prima rata, in caso di ammissione al pagamento rateale).

Massime relative all'art. 136 Codice Penale

Cass. pen. n. 12153/2011

Ai fini dell'accertamento dell'insolvibilità del condannato - che costituisce il presupposto della conversione della pena pecuniaria, nella specie, in quella di libertà controllata - il pignoramento negativo pur potendo costituire prova sufficiente della predetta insolvibilità non riveste, tuttavia, carattere di prova necessaria ed esclusiva, non sussistendo in "subiecta" materia alcuna gerarchia delle fonti di prova.

Cass. pen. n. 26358/2005

Il condannato al pagamento della pena pecuniaria è tenuto al pagamento della pena anche nel caso in cui sia stata pronunciata nei suoi confronti dichiarazione di fallimento. Ne consegue che il giudice di sorveglianza può stabilire la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata, ritenendo accertato lo stato di effettiva insolvibilità del condannato sulla base dell'infruttuoso esperimento del pignoramento dei beni.

Presupposto della conversione delle pene pecuniarie è la verifica dell'effettiva insolvibilità del condannato, da intendersi come permanente impossibilità di adempiere, ed è distinta dalla situazione di insolvenza, che rappresenta invece uno stato transitorio, che consente il differimento o la rateizzazione della pena pecuniaria.

Cass. pen. n. 46129/2003

È legittimo il diniego del nulla-osta al rilascio del passaporto, a norma dell'art. 3, lett. d), della L. 21 novembre 1967 n. 1185, in relazione all'esecuzione di pena pecuniaria convertibile in libertà controllata per una durata superiore a due mesi, in quanto l'eventuale conversione comporta comunque una restrizione della libertà personale e, in caso di violazione delle prescrizioni inerenti alla predetta sanzione sostitutiva, quest'ultima si tramuta nella pena della reclusione o dell'arresto, secondo la specie di pena pecuniaria originariamente inflitta. (Fattispecie relativa all'esecuzione della pena di lire 24.000.000 di multa).

Cass. pen. n. 15021/2001

La durata della libertà controllata da applicarsi in conversione di pene pecuniarie inflitte con diverse pronunce di condanna va determinata non sulla base del cumulo di dette pene, ma facendo invece riferimento a ciascuna di esse, separatamente, nell'osservanza delle regole dettate dall'art. 102 della legge 24 novembre 1981 n. 689, fermo restando che la somma dei vari periodi di libertà controllata così determinati non può superare i limiti massimi stabiliti dal successivo art. 103 della stessa legge. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha censurato, la decisione del magistrato di sorveglianza il quale, prendendo a base il cumulo delle pene inflitte, aveva determinato la durata della libertà controllata in misura coincidente con il limite massimo di un anno e sei mesi stabilito, trattandosi di multe, dall'art. 103 della legge n. 689/1981; limite che risultava superiore alla somma aritmetica dei periodi in libertà controllata determinabili, con riguardo a ciascuna delle pene da convertire, secondo il criterio stabilito dall'art. 102 e, quindi, con l'operatività del limite ivi previsto di un anno per ciascuna pena).

Cass. pen. n. 6654/1996

Presupposto della conversione di pene pecuniarie, di cui agli artt. 136 c.p., 660 comma 2 c.p.p., e 102 L. 24 novembre 1981 n. 689 è l'effettiva insolvibilità del condannato, intesa come situazione oggettiva e permanente di impossibilità di adempienza. (Nella specie la Corte ha rigettato il ricorso affermando che il ricorrente è percettore di redditi da lavoro dipendente aggredibili nei limiti consentiti dalla legge, con conseguente non configurabilità di una situazione di «effettiva insolvenza»).

Cass. pen. n. 1233/1995

Il provvedimento con il quale il magistrato di sorveglianza, a fronte della richiesta, da parte del pubblico ministero, di conversione di pena pecuniaria per insolvibilità di condannato irreperibile, declini la competenza propria e di qualsiasi altro magistrato di sorveglianza, restituendo gli atti allo stesso pubblico ministero, non è qualificabile - indipendentemente dalla sua fondatezza o meno - come abnorme, ma è assimilabile, per il suo contenuto sostanziale, ad una declaratoria di inammissibilità della richiesta, pronunciata ai sensi dell'art. 666, comma secondo, c.p.p. Avverso detto provvedimento, quindi, in base a quanto previsto dall'ultima parte della disposizione normativa ora richiamata, è esperibile ricorso per cassazione.

Cass. pen. n. 5892/1995

Ai fini della individuazione del magistrato di sorveglianza territorialmente competente a provvedere sulla richiesta di conversione della pena pecuniaria per insolvibilità del condannato, deve in ogni caso farsi riferimento al luogo di residenza di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 107 della L. 24 novembre 1981 n. 689, atteso il carattere di specialità di tale norma rispetto alla disciplina generale dettata, in materia di competenza per territorio della magistratura di sorveglianza, dall'art. 677 c.p.p. Ne consegue che, ai fini anzidetti, non può, quindi, aversi riguardo al luogo in cui il condannato sia detenuto o internato, specie quando la privazione della libertà sia di non lunga durata e tale, quindi, da non comportare uno stabile radicamento in quel medesimo luogo degli usuali interessi del soggetto; e ciò anche alla luce della considerazione pratica secondo cui il magistrato di sorveglianza del luogo in cui il condannato ha, da libero, la sua abituale residenza è meglio in grado di determinare le modalità di esecuzione della pena conseguente alla conversione, di controllarne l'effettiva osservanza e di adottare, in caso di inadempienza, gli opportuni rimedi.

Cass. pen. n. 5741/1995

È possibile procedere alla conversione della pena pecuniaria nella sanzione sostitutiva della libertà controllata solo dopo il rintraccio del debitore, in quanto è necessario preventivamente accertare il suo stato di insolvibilità. Ne consegue che, poiché l'accertamento di tale condizione non può prescindere dal materiale reperimento del condannato, spetta al P.M., organo preposto all'esecuzione ex art. 665, comma 1, c.p.p., provvedere al rintraccio del condannato, che costituisce il presupposto indispensabile per lo svolgimento dell'intera esecuzione.

Cass. pen. n. 5740/1995

Nei confronti di condannato a pena pecuniaria che risulti irreperibile non può ritenersi accertata, ai sensi dell'art. 660, comma 2, c.p.p. la «effettiva insolvibilità» e non può, conseguentemente, darsi luogo a provvedimento di conversione della pena anzidetta, presupponendo, fra l'altro, un tale provvedimento, ai sensi dell'art. 107, comma 2, della L. 24 novembre 1981, n. 689, anche la previa audizione del condannato stesso.

Cass. pen. n. 4800/1995

La capacità del condannato di essere assoggettato a pena pecuniaria rimane integra anche dopo la sua dichiarazione di fallimento; in tale ipotesi si realizza una situazione di insolvenza — che rappresenta uno stato transitorio — e non di insolvibilità per cui il magistrato di sorveglianza non deve procedere alla conversione della pena pecuniaria, ma può procedere al differimento o alla rateizzazione della medesima, escluso ogni obbligo di insinuazione del credito nel passivo fallimentare.

Cass. pen. n. 3801/1994

La conversione della pena pecuniaria può aver luogo, una volta accertata l'insolvenza del condannato, solo dopo il materiale reperimento di costui: evento, questo, cui è subordinata l'intera esecuzione.

Cass. pen. n. 3565/1994

Alla stregua dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 30 giugno 1971, n. 149 (richiamata dalla più recente sentenza della stessa corte in data 7 aprile 1987, n. 108), con la quale veniva dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 136 c.p. limitatamente alla possibilità di conversione della pena pecuniaria in pena detentiva (secondo la disciplina allora vigente), prima della chiusura della procedura fallimentare, quando si trattasse di condanna inflitta al fallito per reati commessi in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, deve ritenersi che, anche nella vigente disciplina (artt. 660 c.p.p. e 102 della L. 24 novembre 1981, n. 689), permanendo la validità dei detti principi, la conversione delle pene pecuniarie nei confronti del fallito sia subordinata alle medesime condizioni a suo tempo indicate dal giudice delle leggi.

Cass. pen. n. 1260/1994

Presupposto per la conversione delle pene pecuniarie è l'insolvenza del condannato, il cui accertamento, ad opera del pubblico ministero quale organo preposto all'esecuzione delle sentenze, non può che aver luogo dopo il materiale reperimento del condannato stesso, anche perché quest'ultimo, originariamente insolvibile, può aver mutato la propria condizione. Ne consegue che, nell'ipotesi di irreperibilità del condannato, l'intera esecuzione (e non la sola conversione della pena pecuniaria) resta subordinata all'effettivo rintraccio della persona che vi deve essere sottoposta.

Cass. pen. n. 1346/1994

La competenza a provvedere in ordine alla conversione di pene pecuniarie è attribuita dal secondo comma dell'art. 660 c.p.p. al magistrato di sorveglianza, la cui competenza territoriale va individuata, quando il procedimento non riguardi reclusi o internati, sulla scorta del criterio di collegamento della residenza del condannato, dettato dall'art. 107 L. 24 novembre 1981 n. 689, secondo il disposto dell'art. 677 c.p.p. che nel dettare i criteri di determinazione della competenza territoriale fa espressa salvezza, per le ipotesi che l'interessato non sia detenuto o internato, di diversi criteri indicati dalla legge.

Cass. pen. n. 1180/1994

In tema di conversione di pene pecuniarie, il titolo che dispone la misura in cui la pena è convertita e le modalità concrete di esecuzione della stessa sono concettualmente diversi, sicché il collegamento solo «funzionale» operato tra le relative statuizioni dal quarto comma dell'art. 660 c.p.p. non è di ostacolo ad una separata decisione, quando, sorto l'obbligo di convertire la pena pecuniaria, non sia ancora possibile determinare le modalità di esecuzione della misura applicata, come avviene nel caso di condannato irreperibile. (Fattispecie in cui il magistrato di sorveglianza aveva dichiarato la propria incompetenza a disporre la conversione della pena pecuniaria nei confronti di un condannato irreperibile, assumendo che fino a quando costui non fosse stato reperito non poteva essere operata la conversione in quanto non risultava possibile determinare nel contempo le modalità di esecuzione della misura sostitutiva; la Cassazione ha ritenuto infondato tale assunto ed ha enunciato il principio di cui in massima, osservando altresì che anche il disposto dell'art. 102 L. 24 novembre 1981, n. 689, che consente di far cessare in ogni momento la pena sostitutiva a mezzo del pagamento della pena pecuniaria dovuta, rende opportuno che anche nel caso di irreperibilità si proceda comunque alla formazione del titolo relativo alla conversione, onde porre l'onere al condannato di attivarsi al pagamento per evitare la pena sostitutiva).

In tema di esecuzione di pene pecuniarie, con l'espressione «impossibilità di esazione», contenuta nell'art. 660 c.p.p., non viene indicato un termine tecnico assimilabile all'insolvenza, ma si intende solo significare una obiettiva situazione, attribuibile a qualsiasi ragione, transitoria o definitiva, che costituisce impedimento al regolare recupero della pena pecuniaria.

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