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Articolo 113 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Cooperazione nel delitto colposo

Dispositivo dell'art. 113 Codice Penale

Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso(1).

La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell'articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell'articolo 112.

Note

(1) Le norme relative al concorso si riferiscono solo all'ipotesi di delitti dolosi, e non a quelli colposi, difettando in questi il requisito del previo accordo, incompatibile con il carattere di involontarietà proprio della colpa. Di conseguenza la cooperazione nel delitto colposo poggia su requisiti diversi da quelli previsti per il concorso: la mancanza della volontà di concorrere con la propria condotta alla realizzazione di un fatto criminoso e la consapevolezza, da parte di ciascun partecipe, dell'esistenza dell'azione altrui in concomitanza con l'azione propria. Si ricordi poi che non è pacifica l'ammissibilità di un concorso colposo nel delitto doloso (un esempio è il caso di chi partecipa ad un gioco estremamente pericoloso, organizzato da altro soggetto che intende provocare la morte di altro partecipe) e del concorso doloso nel fatto colposo (come nell'ipotesi di chi istiga chi versa in errore inescusabile sulla natura tecnica di una sostanza ad immetterla in sostanze alimentari). Mentre la dottrina minoritaria accetta che sia possibile, dal momento che per integrare il concorso è sufficiente che consapevolezza di affiancare la propria condotta a quella altrui ricorra in uno solo dei concorrenti, quella prevalente si schiera dal lato opposto, escludendo che sia possibile l'ammissibilità di diversi titoli di imputazione (dolo e colpa) rispetto ad uno stesso reato compiuto da più soggetti.

Ratio Legis

La norma è stata inserita nel codice penale allo scopo di porre fine all'interrogativo relativo all'ammissibilità del concorso di persone nel delitto colposo, rimane tuttavia controversa la sua funzione. Secondo alcuni autori, assoggettandosi ad un particolare trattamento penale i fatti che risultano già reprimibili in base alla fattispecie monosoggettiva di parte speciale, risponderebbe ad un fine meramente normativo-disciplinatorio. Altri, invece, ritengono che si soddisfi questa funzione solo in relazione alle fattispecie criminose causalmente orientate (v. Libro I, Titolo III). Infatti, per quanto riguarda i reati a forma vincolata (v. Libro I, Titolo III) ovvero caratterizzati dal fatto che il legislatore reprime solo l'offesa prodotta con determinate modalità, tale norma svolgerebbe una funzione incriminatrice.

Spiegazione dell'art. 113 Codice Penale

La norma in esame fa chiarezza in merito al fatto che, nel nostro sistema penale, viene punita anche la cooperazione colposa.

Per aversi cooperazione colposa è innanzitutto necessaria la coscienza e volontà di concorrere con altri alla condotta violatrice delle regole cautelari (v. art. 43), mentre ovviamente non deve sussistere la volontà di concorrere al reato vero e proprio, ricadendosi altrimenti nella classica ipotesi di cui all'art. 110.

In secondo luogo, vi deve essere la previsione, o quantomeno la prevedibilità dell'evento, in ossequio al tradizionale canone di imputazione dei delitti colposi.

Va comunque evidenziato che, nonostante la norma parli di “delitti”, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti sostengono con fermezza che la cooperazione colposa possa riguardare anche i meri illeciti contravvenzionali, dato che l'art. 42 comma 2 impone una espressa previsione normativa solamente per i delitti colposi, ma non anche per le contravvenzioni.

Venendo alle ipotesi più interessanti, è stata dichiarata ammissibile la configurabilità di una partecipazione nel reato da parte di persone aventi differenti atteggiamenti psicologici.

Per quanto riguarda il concorso doloso in delitto colposo, si fa il classico esempio di chi consegni un veleno ad un'altra persona affinché commetta un omicidio e questa, conoscendo la natura della sostanza, la dimentichi in un luogo facilmente accessibile a tutti di modo che possa essere ingerita dalla vittima.

Più facile sembra essere la configurabilità di un concorso colposo in delitto doloso, nel caso in cui la regola cautelare violata fosse posta proprio allo scopo di impedire il fatto doloso del terzo, come nel caso del medico psichiatra che sospenda in maniera imprudente il trattamento farmacologico di un paziente psicotico e quest'ultimo uccida poi qualcuno.

/// SPIEGAZIONE ESTESA

L’articolo in esame si contrappone, da un certo punto di vista, alla figura del concorso nel reato, disciplinata dall’art. 110 del c.p.. Infatti, nella disposizione de quo, si fa riferimento solo ed esclusivamente ad una condotta di “cooperazione”, che è cosa ben diversa rispetto al concorso, sia con riguardo alla connotazione concreta della condotta dell’agente, sia dal punto di vista dell’elemento psicologico.
Queste differenze hanno anche condotto ad un acceso dibattito in merito alla ammissibilità di un concorso di persone che rispondano sulla base di titoli soggettivi diversi, in particolare per quanto attiene all’ipotesi del cosiddetto “concorso colposo nel delitto doloso”.
Si afferma in dottrina che le condotte che rilevano ai fini della norma in commento sono quelle che, ai sensi dell'art. 40 del c.p., costituiscono condicio sine qua non per la realizzazione del fatto di reato.
È molto importante distinguere, non solo a fini teorici ma anche pratici, l’ipotesi della cooperazione colposa da quella del concorso di più cause indipendenti tra loro, disciplinata dall'art. 41 del c.p..
Ciò che distingue nettamente le due ipotesi è il diverso elemento soggettivo rinvenibile in capo all’autore della condotta.
Solo nel caso di cooperazione, infatti, egli è consapevole della convergenza delle condotte dei vari agenti verso un risultato unitario.
Nel concorso di cause tra loro indipendenti, viceversa, le varie condotte convergono e contribuiscono tutte alla realizzazione del fatto di reato, senza tuttavia che i vari agenti siano consapevoli che la loro condotta andrà ad incrociarsi con quella degli altri, contribuendo alla realizzazione del reato.
Dal punto di vista della disciplina, tale differenza è fondamentale. Basti pensare all’art. 114 del c.p., il quale permette al giudice di operare una diminuzione di pena per il “contributo di minima importanza” solo con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 113 c.p., e non certo nel caso di concorso di cause tra loro indipendenti.
Tale coscienza e consapevolezza di collaborare con altri alla realizzazione di un evento, senza tuttavia volerlo direttamente (concretandosi altrimenti un’ipotesi di delitto doloso) caratterizza la cooperazione colposa ex art. 113 c.p.
In particolare, la giurisprudenza si divide in merito alla necessità che la condotta del cooperante integri, o meno, la violazione di una regola cautelare di condotta.
Ebbene, una certa parte degli interpreti ritiene che sia necessario, per integrare la figura della cooperazione colposa, che ci sia, da parte dell’autore, la violazione di una regola cautelare di condotta, unita alla prevedibilità, e quindi alla evitabilità, dell’evento. Altra parte della giurisprudenza, viceversa, ritiene che sia sufficiente che la condotta del cooperante assuma dei tratti giuridicamente apprezzabili, anche senza integrare una vera e propria violazione di regole cautelari, limitandosi ad accentuare o aggravare il rischio della realizzabilità dell’evento.
Il nodo problematico più complicato riguarda senza dubbio la funzione rivestita dalla norma di cui all’art. 113 c.p.
Innanzitutto, è opportuno distinguere tra ruolo ricoperto dalla norma de quo nell'ambito dei reati a forma libera e in quello dei reati vincolati.
Nel primo caso, infatti, la tesi tradizionale sostiene che l’art. 113 svolga una “funzione di disciplina”, estendendo le norme sul concorso a fattispecie già tipiche. Tuttavia, così ragionando, si opererebbe in definitiva una interpretatio abrogans del disposto di cui all’art. 113 c.p., il quale non rivestirebbe alcuna utilità concreta.
Per questo motivo, altra parte della dottrina sostiene che la norma in commento sia finalizzata a dare rilevanza penale alla combinazione delle condotte colpose, accedendo al concetto della cosiddetta “colpa di cooperazione”. Secondo tale tesi, la norma di cui all’art. 113 integrerebbe una sorta di deroga al principio dell’affidamento, sulla base del quale ognuno deve ritenersi, salvo eccezioni, esclusivamente responsabile della propria condotta, potendo confidare sul fatto che gli altri facciano altrettanto.
Nel caso della cooperazione colposa, invece, si viene a creare un coordinamento di ruoli in virtù del quale ognuno deve comportarsi tenendo conto di quello che farà l’altro, dovendosi altrimenti ritenere responsabile, in quanto cooperante, ai sensi dell’art. 113 c.p.
Diverso è il discorso allorquando ci si trovi al cospetto di reati a forma vincolata. In tal caso, infatti, la norma di cui all’art. 113 c.p. riveste pacificamente un ruolo di incriminazione. Le condotte collaterali che non rientrano nella forma “vincolata” contemplata dal legislatore, invero, rischierebbero di restare impunite, nonostante la loro accertata efficacia causale in riferimento alla realizzazione del fatto di reato.
Discorso analogo vale per i reati omissivi, propri e impropri, nel momento in cui la condotta dell’agente si riveli eziologicamente rilevante ai fini della consumazione del reato pur non avendo l’autore, nel primo caso, l’obbligo di attivarsi e, nel secondo, una posizione di garanzia (necessaria per configurare il reato omissivo improprio, ai sensi del secondo comma dell’art. 40 c.p.).
Infine, come accennato, grande rilevanza teorica e pratica riveste la questione dell’ammissibilità di un concorso tra condotte di soggetti che versino in situazioni soggettive eterogenee.
Tale problema risulta strettamente collegato con l’istituto della cooperazione colposa, soprattutto per quanto riguarda l’ammissibilità del concorso colposo nel delitto doloso.
Tale figura è tradizionalmente osteggiata in dottrina, proprio sulla base di un’analisi letterale e sistematica della disposizione di cui all’art. 113 c.p. la quale, nel riferirsi esclusivamente alla condotta di “cooperazione”, sembra escludere, in linea di principio, la possibilità di un concorso colposo.
Tuttavia, di diverso avviso è la giurisprudenza più recente, la quale tende ad ammettere la configurabilità di tale istituto, sulla base della considerazione per cui tale figura potrebbe assumere rilevanza in quei casi in cui la regola cautelare violata dall’agente sia volta a reprimere, e ad evitare, la condotta dolosa di un terzo.
La vicenda che meglio esprime tale problematica è quella affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22042 del 26 maggio 2015, relativa al caso di un medico psichiatra il quale, interrompendo il trattamento farmacologico a cui era sottoposto il paziente, ha permesso allo stesso di adottare condotte pericolose, sfociate infine nell’omicidio di un operatore sanitario.
In casi del genere, si afferma, la condotta del medico psichiatra rischierebbe di rimanere impunita, in quanto lo stesso ha violato una regola cautelare che non ha provocato direttamente l’evento lesivo, ma ha in qualche modo permesso l'esecuzione della condotta dolosa del terzo.
È in casi come questi che assume rilevanza la funzione incriminatrice del concorso colposo nel delitto doloso, in assenza della quale rischierebbero di crearsi degli ingiustificati vuoti di tutela.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 113 Codice Penale

Cass. pen. n. 46408/2021

È responsabile ai sensi dell'art. 113 cod. pen. di cooperazione nel delitto colposo l'agente che, trovandosi a operare in una situazione di rischio da lui immediatamente percepibile, sebbene non rivesta alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all'aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui era stata confermata la responsabilità, ex art. 113 e 589, comma secondo, cod. pen., di un dipendente che, postosi alla guida di un autocompattatore senza un'adeguata formazione e privo di patente di idoneità, aveva cagionato, con manovra in retromarcia, la morte di un soggetto posizionatosi a tergo del mezzo, in tal modo concretizzando il rischio introdotto dai responsabili dell'azienda che, senza effettuarne la valutazione e separare, pertanto, la circolazione di personale e mezzi, avevano reso disponibile un autocompattatore avente criticità e difetti di funzionamento, in specie nell'esecuzione delle manovre di retromarcia).

Cass. pen. n. 25846/2019

Per aversi cooperazione nel delitto colposo, non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell'altrui condotta, essendo sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza, da parte dell'agente, del fatto che altri soggetti sono investiti di una determinata attività, con una conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella degli altri soggetti coinvolti. (Fattispecie relativa a lesioni gravissime riportate da un neonato per il ritardo nell'esecuzione di un parto cesareo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dei due medici di guardia che, in quanto impegnati anche in altri incombenti chirurgici e ambulatoriali, avevano omesso di coordinarsi adeguatamente tra loro, così determinando una interruzione nel monitoraggio e nella assistenza della partoriente, risultata causalmente efficiente ai fini della verificazione del danno).

Cass. pen. n. 22214/2019

Sussiste la cooperazione nel delitto colposo quando il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli.

Cass. pen. n. 7032/2019

Non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso in assenza di una espressa previsione normativa, non ravvisabile nell'art. 113 cod. pen. che contempla esclusivamente la cooperazione colposa nel delitto colposo. (Fattispecie relativa alla uccisione con arma da fuoco di due persone da parte di un soggetto cui era stato rilasciato il porto d'armi anche in virtù di un certificato medico attestante erroneamente l'assenza di disturbi mentali dell'istante, in cui la Corte ha ritenuto sussistente a carico del medico che aveva emesso il certificato una responsabilità a titolo autonomo ex artt. 41 e 589 cod. pen., escludendo la configurabilità del concorso colposo nei reati di omicidio volontario commessi dal paziente).

Cass. pen. n. 14053/2015

La cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all'incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli. (Fattispecie in cui è stato ritenuto responsabile di omicidio colposo a titolo di cooperazione il proprietario dell'autovettura, il quale viaggiava quale passeggero a bordo della sua auto guidata da un terzo, che, in dichiarata crisi di astinenza dall'assunzione di sostanze stupefacenti e violando plurime disposizioni del codice della strada, aveva investito e causato la morte di un pedone, ferendone gravemente altri due, nel mentre si recava, in accordo con il coimputato, ad un incontro con uno spacciatore per l'acquisto di eroina).

Cass. pen. n. 43988/2013

In tema di colpa professionale, per l'affermazione della responsabilità penale del singolo sanitario operante in equipe chirurgica, è necessario non solo accertare la valenza con-causale del suo concreto comportamento attivo o omissivo al verificarsi dell'evento ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva affermato la responsabilità di un medico specialista che si era occupato della fase preparatoria di un intervento chirurgico e del post operatorio per le lesioni occorse alla persona offesa, non avendo il giudice di merito accertato se egli avesse avuto la concreta possibilità di conoscere e valutare l'attività svolta da altro collega, di controllarne la correttezza e di agire ponendo rimedio agli errori emendabili da lui commessi).

Cass. pen. n. 43083/2013

È responsabile ai sensi dell'art. 113 cod. pen. di cooperazione nel delitto colposo l'agente il quale, trovandosi a operare in una situazione di rischio da lui immediatamente percepibile, pur non rivestendo alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all'aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento, ancorché la condotta del cooperante in sé considerata, appaia tale da non violare alcuna regola cautelare, essendo sufficiente l'adesione intenzionale dell'agente all'altrui azione negligente, imprudente o inesperta, assumendo così sulla sua azione il medesimo disvalore che, in origine, è caratteristico solo dell'altrui comportamento. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha confermato la responsabilità, ex art. 113, 589, comma secondo, cod. pen., del socio amministratore di una società subaffittuaria di una stalla unitamente all'amministratore unico di una s.r.l., proprietaria della medesima stalla e committente dei lavori di sostituzione di lastre di fibrocemento nella copertura del tetto della predetta stalla, nel corso dei quali un lavoratore precipitava dal tetto e perdeva la vita).

Cass. pen. n. 26239/2013

La cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all'incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli. (Fattispecie in tema di disastro aviatorio colposo in cui la S.C. ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza di appello, che aveva riconosciuto la responsabilità anche del secondo pilota, unitamente a quella del primo pilota, in relazione al rovinoso ammaraggio di un velivolo per improvviso spegnimento in volo dei motori propulsori, reputando non rilevante che detto co-pilota non rivestisse una posizione apicale nella gerarchia dell'equipaggio di bordo ed affermando che egli dovesse parimenti rispondere di non essersi prudentemente attivato, una volta constatato l'atteggiamento colpevolmente omissivo da parte del superiore gerarchico, nel seguire le fasi del rifornimento di carburante, nell'operare una diminuzione di quota, nel posizionare correttamente le eliche durante l'ammaraggio e nell'avvertire per tempo i passeggeri).

Cass. pen. n. 21220/2013

Il direttore di uno studio medico che non accerti che un soggetto operante nella struttura da lui diretta sia in possesso del titolo abilitante risponde non solo di concorso nel reato previsto dall'art. 348 c.p. con la persona non titolata, ma anche di cooperazione, ex art. 113 c.p., negli eventuali fatti colposi da quest'ultima persona commessi, se derivanti dalla mancanza di professionalità del collaboratore e prevedibili secondo l'"id quod plerumque accidit". (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto il direttore di uno studio medico responsabile dei delitti di cui agli artt. 348 e 590 c.p. per avere un odontotecnico privo di abilitazione effettuato, nella struttura sanitaria da lui diretta, un'applicazione di un impianto endoosseo, da cui erano derivate, per colpa, al paziente lesioni personali).

Cass. pen. n. 16978/2013

La cooperazione nel delitto colposo si verifica quando più persone pongono in essere una autonoma condotta, nella reciproca consapevolezza di contribuire con l'azione od omissione altrui alla produzione dell'evento non voluto. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che sussiste la sinergia psicologica richiesta dall'art. 113 c.p., nell'ipotesi in cui gli imputati, benché avvertiti della pericolosità del loro comportamento e ben rappresentandosi che i pallini da caccia avrebbero potuto attingere le persone presenti nelle vicinanze, avevano continuato ad esplodere insieme alcuni colpi di fucile, così da violare contemporaneamente le norme di prudenza caratterizzanti l'attività venatoria ed avevano attinto la vittima, causandole lesioni).

Cass. pen. n. 48318/2009

Non si ha cooperazione nel delitto colposo qualora più persone, pur avendo contemporaneamente violato la medesima regola cautelare, abbiano posto in essere un'autonoma condotta, in mancanza della reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione altrui, che sfoci nella produzione dell'evento non voluto. (Fattispecie in tema di lesioni colpose causate nell'esercizio dell'attività venatoria).

Cass. pen. n. 15707/2009

Nella cooperazione nel delitto colposo, che si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti di contribuire alla condotta altrui, la condotta di ognuno dei concorrenti, singolarmente considerata, deve parimenti essere qualificabile come colposa. (Fattispecie, in tema di sequestro, di emissione di onde elettromagnetiche ad opera di gestori di più impianti in cui la Corte ha escluso che il superamento complessivo dei limiti fissati dalla legge e dai provvedimenti amministrativi rilevasse ai fini del reato di getto pericoloso di cose, in mancanza della prova che le emissioni dell'impianto dell'indagato, singolarmente considerato, eccedessero i limiti stessi).

Cass. pen. n. 1786/2009

La cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi, che peraltro non richiede la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli. (Fattispecie in tema di omicidio colposo relativo alla causazione da parte di agenti di polizia della morte di un arrestato per l'imprudente gestione delle procedure di immobilizzazione dello stesso. Nell'occasione la Corte ha precisato che la disciplina della cooperazione nel delitto colposo ha funzione estensiva dell'incriminazione, coinvolgendo anche condotte meramente agevolatrici e di modesta significatività, le quali, per assumere rilevanza penale, devono necessariamente coniugarsi con comportamenti in grado di integrare la tipica violazione della regola cautelare interessata).

Cass. pen. n. 10795/2008

Il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell'evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello di vera e propria cooperazione colposa, purché in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano effettivamente presenti tutti gli elementi che caratterizzano la colpa. In particolare è necessario che la regola cautelare violata sia diretta ad evitare anche il rischio dell'atto doloso del terzo, risultando dunque quest'ultimo prevedibile per l'agente. (Fattispecie avente ad oggetto il caso di un medico psichiatra, il quale, sospendendo in maniera imprudente il trattamento farmacologico cui era sottoposto il paziente ricoverato in una comunità, ne aveva determinato lo scompenso psichico, ritenuto la causa della crisi nel corso della quale lo stesso paziente, poi ritenuto non imputabile, aveva aggredito ed ucciso uno degli operatori che lo accudivano).

Cass. pen. n. 5111/2008

La cooperazione nel delitto colposo si caratterizza esclusivamente come reciproca consapevolezza da parte dei concorrenti della convergenza delle rispettive condotte verso un identico scopo, senza che, ai fini della sua configurabilità, rilevi l'eventuale incertezza sull'attribuibilità delle singole condotte ai cooperanti. (In applicazione del menzionato principio la Corte ha riconosciuto la cooperazione nel delitto di lesioni colpose nei confronti di due agenti di polizia che, eccedendo nell'uso legittimo delle armi, avevano esploso entrambi dei colpi d'arma da fuoco all'indirizzo di un'auto in fuga ferendo uno degli occupanti).

Cass. pen. n. 44623/2005

In tema di cooperazione nel delitto colposo, perché la condotta di ciascun concorrente risulti rilevante ai sensi dell'art. 113 c.p. occorre che essa, singolarmente considerata, violi la regola di cautela, e che tra le condotte medesime esista un legame psicologico. (Nella fattispecie, relativa al reato di cui all'art. 449 c.p., gli imputati avevano cooperato il primo invitando pressantemente il secondo a gettare la sigaretta accesa dal finestrino dell'automobile, e il secondo agendo materialmente, e conformemente, alla sollecitazione).

Cass. pen. n. 45069/2004

La cooperazione nel delitto colposo si caratterizza per un legame psicologico tra le condotte dei concorrenti, nel senso che ciascuno dei compartecipi deve essere consapevole della convergenza della propria condotta con quella altrui, senza però che tale consapevolezza investa l'evento richiesto per l'esistenza del reato: ed è questo legame che consente di distinguere la cooperazione dal concorso di cause colpose indipendenti, ipotesi nella quale più soggetti contribuiscono colposamente a cagionare l'evento, senza tuttavia la consapevolezza di contribuire alla condotta altrui.

Cass. pen. n. 40205/2004

La cooperazione nel delitto colposo di cui all'art. 113 c.p. si verifica quando più persone pongono in essere una autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione altrui che sfocia nella produzione dell'evento non voluto. (Affermando il principio la Corte ha precisato, nella fattispecie relativa alla gara di velocità posta in essere tra due automobilisti, che non ha alcun rilievo l'accertamento della circostanza relativa a un eventuale accordo preventivo tra i soggetti impegnati nelle condotte criminose).

Cass. pen. n. 25311/2004

Ai fini della configurabilità della cooperazione nel delitto colposo, prevista dall'art. 113 c.p., è sufficiente la coscienza, da parte del soggetto, dell'altrui partecipazione all'azione, ma non è necessaria la conoscenza delle specifiche condotte e dell'identità dei partecipi: ne consegue che la cooperazione è ipotizzabile anche nelle ipotesi riguardanti le organizzazioni complesse quali la sanità, le imprese e settori della P.A. nei cui atti confluiscono condotte poste in essere, anche in tempi diversi, da soggetti tra i quali non v'è rapporto diretto; in tali ipotesi esiste comunque il legame psicologico previsto per la cooperazione colposa perché ciascuno degli agenti è conscio che altro soggetto (medico, pubblico funzionario, dirigente ecc.) ha partecipato o parteciperà alla trattazione del caso. (Fattispecie in tema di lesioni colpose per incidente stradale: la Corte ha ritenuto sussistere, per la mancanza di segnali su una strada in costruzione, la cooperazione colposa, tra il direttore dei lavori e l'ingegnere capo).

Cass. pen. n. 9542/1996

Il concorso colposo non è configurabile rispetto al delitto doloso, richiedendo l'art. 42, comma secondo, c.p. un'espressa previsione che manca in quanto l'art. 113 c.p., che parla di cooperazione nel delitto colposo e non già di cooperazione colposa nel delitto, contempla il solo concorso colposo nel delitto colposo.

Cass. pen. n. 100/1996

Per la cooperazione colposa non è necessario un preventivo accordo tra i soggetti. (Nella fattispecie, in cui i due imputati avevano gareggiato in velocità, la Suprema Corte ha precisato che la gara poteva essere nata anche estemporaneamente sulla strada).

Cass. pen. n. 7108/1989

In tema di cooperazione in delitti colposi, la definitiva assoluzione di un coimputato minore d'età, giudicato dal suo giudice naturale, non esclude, né limita, il potere-dovere del giudice del gravame, proposto dall'imputato maggiore di età, di riesaminare il comportamento del minore al limitato fine di valutare la fondatezza dei rilievi esposti dal (coimputato) giudicando.

Cass. pen. n. 6300/1989

In materia di reati colposi, qualora l'evento, posto ad oggetto del reato scaturisca dal sinergismo di consapevoli condotte colpose, attribuibili alla vittima e a terzi imputati, va applicata la disposizione di cui all'art. 113 c.p., speciale rispetto a quella di cui all'art. 110 stesso codice, trattandosi di un caso di cooperazione tra condotte colpose. (Fattispecie di socio paritario di società semplice, infortunatosi per carenza di presidi imposti dalla normativa a tutela dei lavoratori, l'evento è stato addebitato agli altri soci, quali imputati, e allo stesso infortunato, vittima, cooperante nella condotta causante l'evento).

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