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Articolo 26 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Ammenda

Dispositivo dell'art. 26 Codice Penale

La pena dell'ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 20 né superiore a euro 10.000(1)(2)(3).

Note

(1) I limiti edittali dell'ammenda hanno assunto una diversa configurazione per opera dell'art. 101 della legge 24 novembre 1981 n. 689. In precedenza erano fissati in misura non inferiore a lire ottocento nel minimo e non superiore a lire quattrocentomila nel massimo.
La configurazione attuale è la risultante dell'intervento legislativo operato con la legge 15 luglio 2009, n. 94 (art. 3, comma 61)
(2) La formulazione originaria del codice presentava un comma ulteriore, il quale prevedeva che «quando, per le condizioni economiche del reo, la multa stabilita dalla legge può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice, ha facoltà di aumentarla fino al triplo». Tale disposizione è stata abrogata attraverso l'art. 101 della l. n. 689/198. La norma ha quindi introdotto nel codice penale l'art. 133bis, comma 2, cui si rimanda per quanto attiene alla facoltà del giudice di aumentare l'ammontare della pena pecuniaria.
(3) Nell'intento di porre in atto un processo di depenalizzazione, il legislatore ha previsto in via generale l'aumento delle pene pecuniarie stabilite per i singoli reati disciplinati dal codice penale e dalle leggi speciali, secondo i criteri sanciti dall'art. 113 della stessa norma.

Ratio Legis

La norma prevede la pena pecuniaria dell'ammenda, prevista per le contravvenzioni. La minor gravità di queste ultime si desume anche dal differente trattamento sanzionatorio rispetto alla multa, prevista per chi commetta un delitto. Il legislatore ha dunque considerata sufficiente, ai fini dell'effetto di deterrenza per la commissione di contravvenzioni minori (in cui appunto non è prevista la pena dell'arresto), l'irrogazione di una mera pena pecuniaria.

Spiegazione dell'art. 26 Codice Penale

L'ammenda è una sanzione pecuniaria prevista per chi venga condannato per una contravvenzione (art. 17) e si contrappone dunque alla multa (art. 24), che consegue solo come condanna per i delitti.

L'ammenda può ovviamente essere cumulata con la pena dell'arresto (art. 25), ove previsto dalle singole disposizioni di parte speciale. Ad ogni modo il limite edittale generale per le ammende va dagli € 20 agli € 10.000, limite cui il Giudice non può sottrarsi.

Inoltre, a differenza di quanto previsto nella multa (art. 24), il Giudice non può aggiungere l'ammenda ove non espressamente disciplinato, nel caso di contravvenzione commessa per motivi di lucro. Anche da ciò si desume la minor gravità delle contravvenzioni rispetto ai delitti.

Tuttavia, come per la multa, il giudice deve tenere conto delle condizioni economiche del reo potendola aumentare o diminuire ex art. 133 bis del c.p., e disporre un pagamento rateizzato ex art. 133 ter del c.p..

Massime relative all'art. 26 Codice Penale

Cass. pen. n. 4718/1999

Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, espressa in lire si intende espressa anche in euro, secondo il tasso di conversione fissato dal Trattato, ma solo a decorrere dall'1 gennaio 2002 ogni sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta in euro, secondo la previsione di cui all'art. 51, comma 2, del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne consegue che attualmente non è possibile fissare la sanzione pecuniaria solo in euro. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha rettificato la sentenza impugnata, rideterminando in lire la pena della multa che era stata espressa in euro).

Cass. pen. n. 7317/1994

Nel caso di oblazione nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la sola ammenda, di cui all'art. 162 c.p., quando la pena edittale è indeterminata nel massimo - come nella specie per la contravvenzione prevista dall'art. 677, primo comma, c.p. - occorre fare riferimento al disposto dell'art. 26 c.p., secondo il quale la pena dell'ammenda pura non può essere superiore a due milioni di lire. Pertanto, in tal caso, la somma da pagare deve essere pari alla terza parte del detto importo di lire due milioni, cioè lire seicentosessantaseimila.

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