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Articolo 24 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Multa

Dispositivo dell'art. 24 Codice Penale

La pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro cinquanta, né superiore a euro cinquantamila.

Per i delitti determinati da motivi di lucro(1), se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da euro cinquanta a euro venticinquemila(2)(3).

Note

(1) L'espressione "delitto determinato da motivi di lucro" rimanda a tutti quei casi in cui i il fine opera come elemento materiale del reato oppure come motivo unico della fattispecie criminosa (dolo specifico). Si prendono poi in considerazione anche i casi in cui il motivo di lucro non è unico, ma comunque determinante, seppure non preso in considerazione in modo specifico dalla norma. Un esempio di delitto determinato da motivi di lucro è ravvisabile nel caso in cui un soggetto abbia commesso eutanasia (si ricordi che tale fattispecie integra nel nostro ordinamento il reato di omicidio del consenziente (v. 579) per motivi non soltanto umanitari ma anche di lucro. La conseguenza sarà che il giudice potrà aggiungere alla pena detentiva anche la multa.
(2) I limiti edittali della multa hanno assunto una diversa configurazione per opera dell'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689. In precedenza erano fissati in misura non inferiore a lire duemila nel minimo e non superiore a lire due milioni nel massimo. I limiti attualmente previsti per la sanzione della multa sono stati però modificati dall'articolo 3, comma 60 della legge 15 luglio 2009, n. 94.
(3) La formulazione originaria del codice presentava un comma ulteriore, il quale prevedeva che «quando, per le condizioni economiche del reo, la multa stabilita dalla legge può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice, ha facoltà di aumentarla fino al triplo». Tale disposizione è stata abrogata attraverso l'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689. La norma ha quindi introdotto nel codice penale l'articolo 133bis, comma 2, cui si rimanda per quanto attiene alla facoltà del giudice di aumentare l'ammontare della pena pecuniaria.

Ratio Legis

L'irrogazione di una pena pecuniaria come la multa risponde all'esigenza di aumentare la carica afflittiva della reclusione, comminandola quando espressamente prevista dalle singole norme di parte speciale, oppure attribuendo al Giudice la facoltà di aggiungerla alla reclusione quando trattasi di reati commessi a scopo di lucro.

Spiegazione dell'art. 24 Codice Penale

La multa è una sanzione pecuniaria ed è prevista solo per chi abbia subito una condanna per delitto (art. 17), e si contrappone dunque all'ammenda, prevista esclusivamente per le contravvenzioni.

Rispetto a quest'ultima, inoltre, è previsto che per i delitti commessi a scopo di lucro per i quali non è prevista la pena della multa (ad es. art 640 bis), il Giudice possa nondimeno aggiungerla alla pena della reclusione, per un importo che varia da € 50 sino ad € 25.000.

Quest'ultima disposizione presenta il chiaro intento di colmare eventuali lacune in ordine alle pene previste, soprattutto in riferimento a figure di reati contro il patrimonio recentemente inserite nel codice. In questi reati infatti, oltre alla confisca tradizionale di ciò che ha costituito il prodotto del reato, si tende a punire ulteriormente il colpevole, dato che non sempre è agevole quantificare esattamente la somma illecitamente conseguita.

Massime relative all'art. 24 Codice Penale

Cass. pen. n. 15511/2019

In tema di trattamento sanzionatorio, il limite della pena della multa dettato dall'art. 24 cod. pen. non si applica alle pene pecuniarie proporzionali. (Fattispecie di condanna alla pena della multa di euro 7.500.000 per i reati di cui agli artt. 291 bis, 293 e 295 d.P.R. n. 43 del 1973 e 67 e 70 d.P.R. n. 633 del 1972, quale entità superiore al limite massimo previsto dall'art. 24 cod. pen.).(Conf. n. 923/1967, Rv.106075). (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO GENOVA, 17/05/2018).

Cass. pen. n. 6025/2016

Non viola il divieto di "reformatio in peius" l'applicazione da parte del giudice d'appello di una pena pecuniaria di specie diversa e meno grave, pur se quantificata in misura superiore rispetto alla pena originaria, in quanto il divieto di "reformatio in peius" concerne l'irrogazione di una "pena più grave per specie o quantità", laddove l'uso della congiunzione avversativa "o" implica che l'indice di gravità della "quantità" vada riferito alle pene della stessa specie e non alle categorie disomogenee di pene di specie diversa. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che, in un'ipotesi di continuazione, per effetto dell'assoluzione dell'imputato dal reato base più grave, punito con la multa, aveva rideterminato la pena per la residua imputazione, costituita da fattispecie contravvenzionali, applicando l'arresto e l'ammenda, quest'ultima quantificata in misura notevolmente superiore rispetto all'entità della multa originaria). (Dichiara inammissibile, App. Catania, 19/04/2016).

Cass. pen. n. 7453/2013

Il limite minimo di Euro 50,00, stabilito per la multa dall'art. 24 cod. pen. come modificato dall'art. 3, comma sessantesimo, l. 15 luglio 2009, n. 94, è inderogabile anche quando il giudice applica le riduzioni di pena per le attenuanti e per il rito speciale. (Annulla senza rinvio, Trib. Udine, 26/01/2013).

Cass. pen. n. 25588/2013

Il limite minimo di Euro 50,00, stabilito per la multa dall'art. 24 cod. pen. come modificato dall'art. 3, comma sessantesimo, L.15 luglio 2009, n. 94, è inderogabile anche quando il giudice applichi le riduzioni di pena per le attenuanti e per il rito speciale. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio una sentenza di applicazione di pena su richiesta che, per il reato di cui all'art. 388, terzo e quarto comma, cod. pen., aveva irrogato una multa di importo inferiore). (Annulla senza rinvio, Trib. Cosenza, 28/03/2012).

Cass. pen. n. 47449/2004

Ai fini del ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, previsto dall'art. 135 c.p., il computo avviene convertendo 38 euro, o frazione di 38 euro, per ogni giorno di pena detentiva eliminando, sin dall'inizio, i decimali. (Fattispecie in cui le sezioni unite della Corte hanno ritenuto corretta l'applicazione di pena patteggiata, con sostituzione di quella pecuniaria a quella detentiva, attraverso l'eliminazione dei decimali all'inizio dell'operazione di conversione da lire in euro, e non alla fine del calcolo, prendendo a base della conversione stessa la somma di euro 38 per ogni giorno di pena detentiva e non quella di euro 38,73, equivalenti a lire 75.000).

Cass. pen. n. 4718/1999

Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, espressa in lire si intende espressa anche in euro, secondo il tasso di conversione fissato dal Trattato, ma solo a decorrere dall'1 gennaio 2002 ogni sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta in euro, secondo la previsione di cui all'art. 51, comma 2, del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne consegue che attualmente non è possibile fissare la sanzione pecuniaria solo in euro. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha rettificato la sentenza impugnata, rideterminando in lire la pena della multa che era stata espressa in euro).

Cass. pen. n. 2678/1999

Non è legale la sanzione pecuniaria espressa in euro, sia perché le pene pecuniarie, ai sensi degli artt. 24 e 26 c.p., sono sempre indicate in lire, sia in quanto, allo stato, l'euro esiste solamente come valuta di conto, ma non anche come moneta fisica. (Nella fattispecie, la Corte, ai sensi dell'art. 619 comma 2 c.p.p., ha rettificato, convertendo in lire la pena pecuniaria, la sentenza del pretore, che aveva condannato l'imputato ad una multa in euro).

Cass. pen. n. 7505/1994

Il principio di legalità della pena è vincolante non solo quando venga applicata una pena non prevista o diversa da quella contemplata dalla legge, ma anche quando venga applicata una pena che esula dalle singole fattispecie legali penali perché pena legale è anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, tra le quali rientrano le norme sulle circostanze aggravanti. (Affermando tale principio la Cassazione ha eliminato la pena della multa inflitta per il reato di corruzione ai sensi dell'art. 24, comma 2, c.p. che consente l'aggiunta della pena della multa per i delitti determinati da motivi di lucro puniti con la sola reclusione: all'uopo ha considerato che il reato ascritto all'epoca dei fatti era punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e che pertanto, per il principio di legalità della pena, esso rimaneva fuori della previsione aggravatoria di cui al suddetto articolo).

L'art. 24, comma 2, c.p. nel prevedere l'aggiunta della pena della multa nei delitti determinati da motivi di lucro è applicabile non solo nei casi in cui il fine di lucro operi come uno dei motivi più o meno remoti del reato, ma altresì quando detto fine operi come motivo unico ed integrativo della fattispecie criminosa (dolo specifico) ovvero come elemento materiale del reato stesso; la contraria soluzione sarebbe in contrasto con la lettera e lo spirito della norma suddetta la quale non distingue tra tali estremi, dovendosi d'altro canto convenire che, a maggior ragione, l'aggiunta della multa trovi giustificazione quando il fine in questione sia elemento connaturato della fattispecie criminosa. (Fattispecie in tema di corruzione).

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