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Articolo 210 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Esame di persona imputata in un procedimento connesso

Dispositivo dell'art. 210 Codice di procedura penale

1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone [18], sono esaminate a richiesta di parte [190 1], ovvero, nel caso indicato nell'articolo 195, anche di ufficio [190 2](1).

2. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice, il quale, ove occorra, ne ordina l'accompagnamento coattivo [132]. Si osservano le norme sulla citazione dei testimoni.

3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all'esame. In mancanza di un difensore di fiducia [96] è designato un difensore di ufficio [97].

4. Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto dall'articolo 66 comma 1, esse hanno facoltà di non rispondere [653].

5. All'esame si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 195, 498, 499 e 500.

6. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato. Tuttavia a tali persone è dato l'avvertimento previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone. Al loro esame si applicano, in tal caso, oltre alle disposizioni richiamate dal comma 5, anche quelle previste dagli articoli 197 bis e 497(2).

Note

(1) Il primo comma è stato così modificato dall’art. 8, comma 1, lett. a) della l. 1 marzo 2001, n. 63.
(2) L'ultimo comma è stato sostituito dall’art. 8, comma 1, lett. c) della L. 1 marzo 2001, n. 63.

Ratio Legis

Il legislatore ha qui previsto un regime intermedio tra quello del testimone e quello dell'imputato giustificato dalla particolare tipologia di soggetti coinvolti nell'esame dibattimentale.

Spiegazione dell'art. 210 Codice di procedura penale

La norma in commento prevede un’apposita regolamentazione per quanto riguarda l’esame dibattimentale delle persone imputate in un procedimento connesso nei confronti dei quali si proceda (o si sia già proceduto) separatamente, che comunque non possono ricoprire l’ufficio di testimone.

Dunque, nei dibattimenti relativi a procedimenti diversi da quelli in cui ricoprono ufficialmente la qualità di imputati, tali soggetti vengono esaminati su richiesta di parte o anche d’ufficio, allorché nei loro confronti sia stato fatto riferimento nell’ambito di una testimonianza o di un esame, in entrambi i casi di natura indiretta. In tale sede, diversamente da quanto accada per l’imputato, si applicano sempre le disposizioni di cui all’art. 195 per la testimonianza de relato.

Per quanto riguarda invece le modalità di svolgimento dell’esame, il comma 5, facendo esplicito riferimento agli articoli 498, 499 e 500, utilizza come modello l’esame dei testimoni, anche se con talune peculiarità.

La disciplina dell’esame delle persone imputate in un procedimento connesso è strutturata sulla base di un assetto intermedio tra quello del testimone e quello dell’imputato. Difatti, per quanto concerne il primo profilo, il legislatore richiama le norme sulla citazione, sull’obbligo di presentazione e sull’eventuale accompagnamento coattivo dei testimoni.

Così come per il testimone, anche in tale sede trovano infatti applicazione l'obbligo di presentazione e il potere del giudice di ottenerne, con l'assistenza della forza pubblica, la presenza in dibattimento, mentre non si applica all'imputato di reato connesso o collegato l'obbligo di rispondere secondo verità, che quindi non è tenuto a prestare il relativo impegno. Tuttavia gli è garantita la facoltà di non rispondere e nel caso se ne avvalga, ma abbia già reso delle dichiarazioni, nel corso della fase delle indagini preliminari trova applicazione la disciplina dell'art. 513.

Sotto altro profilo, invece, si estende a tale istituto la disciplina della necessaria assistenza difensiva, nonché quella relativa al diritto al silenzio, d’altronde coessenziale alla loro qualità di imputati in un procedimento connesso, al fine di tutelarsi contro dichiarazioni autoincriminanti.

Dunque, ad oggi, l’istituto in parola risulta innanzitutto riservato alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 lett. a) che non possono assumere l’ufficio di testimone.

Per quanto riguarda, invece, le persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 lett. c) o di un reato collegato ex art. 371 co. 2 lett. b), occorre operare una distinzione sulla base della loro precedente condotta processuale. Orbene, il comma 6 stabilisce che la disciplina dell’intero articolo si estenda anche a tali soggetti, ma solamente quando essi non abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato, sia nelle ipotesi non siano mai state sentite dall’autorità, sia quando, pur interrogate, non abbiano reso alcuna dichiarazione eteroaccusatoria. Inoltre, come implicitamente previsto, la medesima regola vale per i soggetti non avvertiti ai sensi dell’art. 64 co. 3 lett. c).

Massime relative all'art. 210 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 19730/2018

Le dichiarazioni della persona informata sui fatti ( ivi comprese quelle della persona offesa) in ordine alle caratteristiche somatiche del soggetto riconosciuto, successive alla positiva individuazione fotografica, devono essere valutate alla luce della peculiare natura della dichiarazione ed impediscono, se i contenuti non si pongono in linea con gli esiti della precedente individuazione fotografica, automatici effetti caducatori di quest'ultima.

Cass. pen. n. 13844/2017

In tema di valutazione di attendibilità, l'obbligo di dire la verità gravante sul teste assistito, accrescendo il grado di affidabilità della fonte, può essere valorizzato dal giudice nella valutazione dei riscontri esterni, consentendo di ritenere sufficienti riscontri di peso comparativamente minore rispetto a quelli richiesti nel caso di valutazione delle dichiarazioni rese dall'imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 210 cod.proc.pen. (C.Cost. n.265 del 2004).

Cass. pen. n. 20804/2013

L'imputato che, nel corso del suo esame, riferisca circostanze di fatto confidategli da terzi relativi a profili di altrui responsabilità va equiparato - in virtù di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 209 cod. proc. pen. - all'imputato di procedimento connesso, di cui all'art. 210 cod. proc. pen., con conseguente applicazione delle regole di cui all'art. 195 cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 43187/2012

L'inosservanza delle disposizioni di cui all'art. 210 c.p.p. nell'esame di persona indagata o imputata in un procedimento connesso non determina la inutilizzabilità della deposizione testimoniale, bensì la nullità della medesima ex art. 178 lett. c), c.p.p., atteso che la legge non vieta l'esame dell'imputato in processo connesso o collegato, ma semplicemente prescrive che esso sia assunto secondo determinate formalità.

Cass. pen. n. 14991/2012

Le disposizioni che impediscono di utilizzare le dichiarazioni rese dal soggetto che si sia avvalso poi della facoltà di non rispondere sono poste a presidio dei diritti di difesa dell'imputato nel senso che non possono essere utilizzate per giustificare un giudizio di colpevolezza, ma di esse si può tener conto sempre a favore dell'imputato.

Cass. pen. n. 11805/2004

In applicazione del principio tempus regit actum deve escludersi l'inutilizzabilità dell'esame dibattimentale di imputato di reato connesso, effettuato ai sensi dell'art. 210 c.p.p., senza l'avvertimento previsto dall'art. 64, comma terzo, lett. c), c.p.p., quando trattisi di atto compiuto prima dell'entrata in vigore della legge 1 marzo 2001 n. 63, che ha introdotto l'obbligo di detto avvertimento; nè potendosi in contrario invocare il disposto di cui all'art. 26, comma secondo, della citata legge n. 63/2001, giacchè l'obbligo ivi previsto di rinnovazione degli atti nelle forme prescritte dalle nuove disposizioni vale soltanto se il procedimento si trova ancora nella fase delle indagini preliminari.

Cass. pen. n. 34076/2003

In tema di valutazione delle dichiarazioni rese ex art. 210 c.p.p., il giudizio di credibilità del dichiarante e di attendibilità delle dichiarazioni deve essere l'esito di una motivata valutazione autonoma del giudicante e non può essere soddisfatto dal mero rinvio a quanto avvenuto in separati procedimenti che si risolva in un acritico recepimento di valutazioni operate da altri giudicanti (in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza nella quale il giudice del merito, in addebito di cessione di sostanze stupefacenti, aveva utilizzato, come riscontro individualizzante delle dichiarazioni di accusa, una sentenza irrevocabile di condanna «perché documenta che l'imputato disponeva di eroina e non a scopo personale»).

Cass. pen. n. 12277/2002

In tema di «giusto processo», la possibilità prevista dalla disciplina intertemporale di cui all'art. 26, comma 4, della legge 1 marzo 2001 n. 63, di utilizzazione delle dichiarazioni extradibattimentali già acquisite al fascicolo del dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio 2000, trova applicazione ove si tratti di dichiarazioni provenienti da chi, per libera scelta, si è sempre sottratto all'esame dibattimentale. Ne consegue che, al fine di accertare la persistenza della volontà del dichiarante di sottrarsi all'esame, deve esserne disposta la citazione.

Cass. pen. n. 7765/2002

L'ordinanza con cui il giudice di primo grado disponga l'accompagnamento coattivo dell'imputato ai fini dell'esame e l'assunzione di esso senza il preventivo avvertimento della facoltà di non rispondere (in violazione degli artt. 490 e 210 c.p.p.) è illegittima e comporta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato ex art. 526 c.p.p., ma non anche la nullità e l'inutilizzabilità di tutte le altre prove, legittimamente acquisite nel dibattimento in modo autonomo e nelle forme consentite, non sussistendo tra queste ultime e l'atto nullo un rapporto di dipendenza effettiva ovvero un nesso per cui l'atto dichiarato nullo costituisca la ineliminabile premessa logica e giuridica di quello successivo.

Cass. pen. n. 8131/2000

In tema di esame testimoniale, quando in capo al soggetto le cui dichiarazioni devono essere assunte nel giudizio la condizione di imputato dello stesso reato o di reato connesso o collegato concorre con quella di persona offesa dal reato, quest'ultima, per la sua maggiore pregnanza, è destinata a prevalere, cosicché il soggetto sarà esaminato nella veste di testimone, con l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.

Cass. pen. n. 13648/1999

In tema di esame di persona imputata in procedimento connesso, mentre il divieto di cui all'art. 63 c.p.p. (che comporta la inutilizzabilità delle dichiarazioni di chi, sin dall'inizio, avrebbe dovuto essere ascoltato quale indagato) inerisce alle sole dichiarazioni autoindizianti, il riferimento che l'art. 210 c.p.p. fa all'art. 12 stesso codice deve ritenersi limitato alla ipotesi della sola connessione soggettiva (lettera a del predetto articolo 12), la quale si realizza nel concorso o nella cooperazione di persone nel reato, ovvero nella causazione dell'evento da parte di più persone, con condotte indipendenti. Restano dunque escluse dalla previsione sia la così detta connessione teleologica, sia quella occasionale, di cui all'art. 12 lettera c) c.p.p. (Nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato, chiamato a rispondere di lesioni personali, che aveva dedotto la inutilizzabilità delle dichiarazioni di un teste, diverso dalla vittima del reato, il quale, in altro procedimento, era imputato di ingiurie in suo danno).

Cass. pen. n. 1491/1999

L'esame dibattimentale di soggetti già iscritti nel registro degli indagati per fatti connessi o collegati a quelli per i quali si procede - pur se ascoltati dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari senza l'assistenza del difensore - deve avvenire nelle forme previste dall'art. 210 c.p.p. e non in quelle previste per l'escussione testimoniale; e ciò anche per quanto riguarda le dichiarazioni che i predetti soggetti abbiano reso nei confronti di terze persone. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che la valutazione ai sensi del terzo comma dell'art. 192 c.p.p. delle dichiarazioni rese dalle persone sopra indicate costituisca un mero espediente, inidoneo, per altro, a sanare la sanzione di inutilizzabilità di cui al secondo comma dell'art. 63 c.p.p.).

Cass. pen. n. 9531/1999

In tema di valutazione delle dichiarazioni rese ex art. 210 c.p.p., il riscontro richiesto dalla legge non deve necessariamente consistere in una prova distinta della colpevolezza dell'incolpato, che renderebbe superflua la verifica delle dichiarazioni accusatorie, ben potendo essere ravvisato in elementi fattuali o logici che ne dimostrino per taluni effetti la veridicità e, integrandosi con esse, ne garantiscano l'attendibilità anche ab extrinseco. Ed invero tali dichiarazioni se risultano già riscontrate con riguardo al fatto nella sua obiettività, rafforzano l'attendibilità intrinseca del dichiarante e si proiettano sull'ulteriore controllo da effettuarsi in ordine al contenuto individualizzante delle dichiarazioni, per il quale i riscontri, pur sempre necessari, non richiedono una forza dimostrativa particolarmente accentuata. Ne consegue che le dichiarazioni accusatorie rese ex art. 210 c.p.p. richiedono riscontri di qualsiasi natura, ma comunque attinenti alla individuale posizione dell'incolpato, la cui idoneità a confermare l'attendibilità del dichiarante va valutata con minor rigore quando la vicenda da questi narrata sia già nei suoi aspetti obiettivi riscontrata.

Cass. pen. n. 1226/1999

In tema di lettura, nel dibattimento, delle dichiarazioni dei soggetti indicati nell'art. 210 c.p.p., la normativa transitoria di cui alla legge 7 agosto 1997 n. 267 subordina l'applicabilità delle nuove regole, nei giudizi di merito in corso, al duplice presupposto che vi sia la richiesta della parte interessata e che non sussistano preclusioni derivanti dal giudicato o dai limiti di devoluzione dell'impugnazione; ne deriva che solo la richiesta della parte e la successiva rinnovazione dell'esame rende applicabili nel procedimento le nuove regole sulla prova e che, in mancanza, le dichiarazioni acquisite mediante lettura sono pienamente utilizzabili, in conformità a quanto disponeva il previgente testo dell'art. 513 c.p.p.

Cass. pen. n. 8796/1998

Le dichiarazioni rese dal coimputato che nel rispetto delle condizioni stabilite dall'art. 210 c.p.p., sia stato invitato a rispondere secondo verità, in virtù dell'art. 198 c.p.p., sono utilizzabili. Ciò in quanto l'esortazione a dire il vero, pur se non prevista con riferimento alla qualità del soggetto, non è vietata da alcuna statuizione processuale.

Cass. pen. n. 2383/1998

Non dà luogo a inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da imputati o persone sottoposte a indagini per reati connessi o interprobatoriamente collegati, cui si riferiscono gli artt. 210 e 363 c.p.p., il fatto che costoro siano stati previamente invitati a dire la verità, qualora non avessero inteso avvalersi della facoltà di non rispondere, costituendo un tale invito una semplice irregolarità, priva di sanzione processuale.

Cass. pen. n. 3686/1998

Il regime di valutabilità delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni è diverso per il testimone e per l'imputato in procedimento connesso, solo le prime potendo valere, in presenza degli opportuni riscontri, come prova dei fatti in esse affermati ai sensi dell'art. 500, comma 4, ed essendo invece limitate le seconde, secondo il disposto dell'art. 500, comma 3, espressamente richiamato dall'art. 503 comma 4, a stabilire la credibilità della persona esaminata; ciò si evince dal fatto che l'art. 210, comma 5, c.p.p. rinvia soltanto agli artt. 194, 195, 499 e 503 ma non all'art. 500 comma 3, e trova giustificazione nella circostanza che la persona imputata in un procedimento connesso può rendere dichiarazioni ispirate al solo intento di difesa che non possono essere equiparate a quelle del teste tenuto invece a rispondere secondo verità.

Cass. pen. n. 8007/1996

Perché possa trovare applicazione la particolare disciplina prevista dall'art. 210 c.p.p. per l'esame delle persone imputate in procedimento connesso, occorre la pendenza a carico delle stesse di un procedimento penale connesso ai sensi dell'art. 12 c.p.p. con quello per cui si procede. Tale connessione deve essere concreta ed attuale, e non già meramente astratta e potenziale.

Cass. pen. n. 855/1996

Il divieto di assumere come testimoni le persone menzionate nell'art. 210, comma 1, c.p.p. permane anche dopo che sia intervenuta nei loro confronti sentenza irrevocabile di condanna. (A sostegno del principio di cui in massima, la S.C. ha rammentato l'espressione «si è proceduto separatamente» — che figura nello stesso comma 1 dell'art. 210 — e la formulazione dell'art. 197, lett. a) c.p.p., secondo cui il divieto di assumere come testimoni le dette persone viene meno con l'irrevocabilità della sola sentenza di proscioglimento, ma non anche di quella di condanna).

Cass. pen. n. 9122/1995

Le disposizioni di cui all'art. 210 c.p.p. nell'esame di persone imputate in un procedimento connesso o imputate di un reato collegato si applicano anche quando la persona da esaminare è sottoposta ad indagini e non è ancora imputata. L'art. 61 c.p.p. infatti estende a tale persona i diritti e garanzie dell'imputato; d'altro canto non v'è dubbio che le norme di cui sopra sono dettate in vista di una tutela rispetto alla possibilità di autoincriminazione che per l'indagato vale non meno che per l'imputato.

Cass. pen. n. 119/1995

La possibilità di esaminare persone imputate in procedimento connesso (art. 210 c.p.p.) comprende anche coloro nei confronti delle quali, inizialmente imputate nello stesso procedimento, sia poi intervenuta separazione del giudizio (nella specie, per intervenuto patteggiamento all'udienza preliminare). Ne consegue, in caso di esercizio della facoltà di non rispondere, l'applicazione dell'art. 513 comma 2 c.p.p., quale risulta a seguito della sentenza n. 254/92 della Corte costituzionale, sì che, dopo tale pronuncia, si deve ritenere privilegiata l'esigenza di un processo giusto alla rigidità della formale assunzione del mezzo di prova.

Cass. pen. n. 4081/1994

Le dichiarazioni di persona imputata in reato connesso, rese alla polizia giudiziaria, senza l'assistenza del difensore, a norma dell'art. 350, comma 7, c.p.p., non possono essere utilizzate nel dibattimento, ma possono essere prese in conto nel giudizio abbreviato, essendo quest'ultimo regolato da norme attinenti alla fase delle indagini preliminari.

Cass. pen. n. 3252/1994

La disciplina prevista dall'art. 468 c.p.p. (deposito, a pena di inammissibilità, della lista dei testimoni, periti e consulenti tecnici, con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame) non può estendersi alle persone imputate in procedimento connesso, sia per l'inequivoco tenore letterale della norma, sia perché l'esame di queste ultime è dal codice collocato non già nella parte relativa alla testimonianza (artt. 194 ss.), ma in quella relativa all'esame delle parti (artt. 208 ss.), avendo il legislatore preferito omologare tale fonte processuale alle parti private, cui è naturalmente assimilabile per la posizione di soggetto portatore di un concreto interesse processuale, piuttosto che al testimone, per definizione neutrale e disinteressato. La tassatività della previsione dell'art. 468 e la sua inestensibilità per analogia derivano, inoltre, ex art. 14 delle cosiddette preleggi, dalla sua natura di norma eccezionale in quanto costituente rilevante ostacolo all'esercizio del diritto alla prova, riconosciuto in via di principio generale dall'art. 190 c.p.p. e, ancor prima, dalla direttiva n. 69 delle legge delega per l'emanazione del nuovo c.p.p.

Cass. pen. n. 1048/1992

L'art. 192, comma 3 e 4, c.p.p. non ha svalutato sul piano probatorio le dichiarazioni rese dal coimputato di un medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso ex art. 12 c.p.p. o di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p. perché ha riconosciuto a tali dichiarazioni valore di prova e non di mero indizio e ha stabilito che esse debbano trovare riscontro in altri elementi o dati probatori che possono essere di qualsiasi tipo o natura.

Le dichiarazioni rese da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'art. 371, comma 2 lett. b) c.p.p., da valutare unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, ai sensi dell'art. 192, comma 4, c.p.p., sono quelle rese da imputato di un reato che sia collegato a quello per cui si procede con un vero e proprio rapporto di connessione probatoria, ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in rapporto ad una molteplicità di illeciti penali, tutti contemporaneamente da esso dipendenti per quanto attiene alla prova della loro esistenza ed a quella della relativa responsabilità, o quando gli elementi probatori rilevanti per l'accertamento di un reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un procedimento, spieghino una qualsiasi influenza sull'accertamento di un altro reato, o di una circostanza di esso, oggetto di un diverso procedimento.

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