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Articolo 279 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Giudice competente

Dispositivo dell'art. 279 Codice di procedura penale

1. Sull'applicazione e sulla revoca delle misure nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive, provvede il giudice che procede. Prima dell'esercizio dell'azione penale [405] provvede il giudice per le indagini preliminari [314 3].

Ratio Legis

Il legislatore ha prescelto di rimettere il potere cautelare alla discrezionalità del giudice, sebbene limitata da precise garanzie di legalità.

Spiegazione dell'art. 279 Codice di procedura penale

L'articolo in esame disciplina la competenza del giudice ai fini dell'applicazione ed alla revoca delle misure cautelari.

A parte l'ipotesi in cui si trovi ancora nella fase delle indagini preliminari, è competente il giudice procedente. Nel corso degli atti preliminari al dibattimento, i provvedimenti concernenti le misure cautelari sono adottati, secondo la rispettiva competenza, dal tribunale in composizione collegiale o monocratica, dalla corte di assise, dalla corte di appello o dalla corte di assise di appello; dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti a norma dell'articolo 590 del codice, provvede il giudice che ha emesso la sentenza; durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ex art. 91 dips. att. del presente codice.

Massime relative all'art. 279 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 28854/2018

In materia di misure cautelari personali, la richiesta di adozione, modifica o revoca di una misura coercitiva formulata nel corso del giudizio deve essere esaminata e decisa dal giudice investito della cognizione del processo, ma non necessariamente nella medesima composizione fisica dei magistrati componenti l'organo giudicante che sta conducendo il dibattimento e ciò in quanto il principio di immutabilità del giudice, di cui all'art. 525 cod. proc. pen., è riferito solo alla deliberazione della sentenza.

Cass. pen. n. 47398/2017

In tema di misure cautelari personali, per "giudice che procede" competente ai sensi dell'art. 279 cod. proc. pen. deve intendersi, qualora la misura cautelare non sia applicata contestualmente alla sentenza di condanna, non la persona fisica ma l'ufficio che ha la materiale disponibilità degli atti, in quanto la regola del'immutabilità del giudice, ex art. 525, comma 2, cod. proc. pen., non riguarda il procedimento cautelare, che ha natura incidentale e carattere autonomo rispetto a quello principale. (Fattispecie in cui la misura cautelare era stata applicata da un giudice per le indagini preliminari diverso dal giudice dell'udienza preliminare che aveva celebrato il rito abbreviato).

Cass. pen. n. 26800/2015

L'art. 279 cod. proc. pen., laddove attribuisce la competenza sulle misure cautelari al "giudice che procede", intende riferirsi, quando detto giudice sia collegiale, non solo allo stesso ufficio giudiziario, ma anche allo stesso organo nella medesima composizione fisica del giudice che procede, al quale deve riconoscersi una vera e propria competenza funzionale in proposito. (In motivazione, la S.C. ha evidenziato la necessità che a decidere la questione "de libertate" sia l'organo nella stessa composizione del giudice procedente, sotto la percezione del quale si svolge il dibattimento, trattandosi dell'unico giudice in grado di ponderare tutti gli elementi favorevoli e sfavorevoli emersi dal procedimento svoltosi al suo cospetto).

Cass. pen. n. 41840/2014

In tema di applicazione di misure cautelari, il giudice competente ex art. 279 cod. proc. pen. può sempre applicare una misura meno afflittiva di quella richiesta dal pubblico ministero, indipendentemente dal contenuto della domanda cautelare. (In motivazione, la S.C. ha precisato che il P.M. è legittimato ad impugnare l'ordinanza che non abbia applicato alcuna misura, al fine di ottenere un provvedimento coercitivo meno afflittivo di quello richiesto, solo se, nella domanda cautelare, aveva anche solo implicitamente prospettato al giudice una simile decisione alternativa).

Cass. pen. n. 2850/2014

La competenza funzionale ad emettere il mandato d'arresto europeo per l'esecuzione di una misura cautelare custodiale, ai sensi dell'art. 28, comma primo lett. a), della legge 22 aprile 2005, n. 69, spetta al giudice che procede. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il principio trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice richieda l'assenso alla consegna suppletiva, ai sensi degli artt. 32 e 26 della legge sopra citata).

Cass. pen. n. 18353/2011

Nel periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e l'inizio della fase di esecuzione della pena, la decisione sulle questioni relative alle misure coercitive non custodiali è di competenza del giudice dell'esecuzione.

Cass. pen. n. 5609/2008

Ai fini dell'individuazione del giudice competente all'adozione dei provvedimenti in tema di misure cautelari, occorre far riferimento al momento in cui la richiesta di applicazione di misura cautelare è avanzata dal P.M. e non al momento della decisione del giudice, sicché, se la richiesta è avanzata al G.i.p. durante le indagini preliminari, tale organo resta competente a decidere anche se nelle more il P.M. ha esercitato l'azione penale e gli atti materialmente si trovino davanti al G.u.p.

II mancato rispetto delle attribuzioni del G.i.p. e del G.u.p. costituisce violazione delle regole in materia di competenza funzionale, sicché una volta presentata dal P.M. la richiesta di rinvio a giudizio, la competenza ad emettere i provvedimenti cautelari appartiene al G.u.p., in quanto giudice che procede ai sensi dell'art. 279 c.p.p., anche se l'udienza preliminare non si sia ancora tenuta. (In motivazione, la S.C., richiamando l'art. 6 D.L.vo 19 febbraio 1998 n. 51 che ha separato le funzioni di G.i.p. e G.u.p., ha osservato che pur essendo unitario l'ufficio del giudice per le indagini preliminari e avendo la distinzione tra G.i.p. e G.u.p. natura tabellare, una volta incardinato il procedimento, i magistrati che sono chiamati a pronunciarsi su quella vicenda processuale, rispettivamente in qualità di G.i.p. o di G.u.p., restano individuati come tali).

Cass. pen. n. 48868/2003

Prima dell'esercizio dell'azione penale al giudice per le indagini preliminari spetta non soltanto la competenza riguardante l'applicazione e la revoca delle misure cautelari, ma anche quella concernente la modificazione delle loro modalità esecutive, tra le quali rientra quella relativa all'esecuzione concreta della detenzione in carcere mediante isolamento continuo. Ne consegue che è abnorme l'ordinanza del Gip di non luogo a provvedere sull'istanza dell'indagato detenuto che versi in tale condizione a seguito di provvedimento disposto dal P.M. a norma dell'art. 33 n. 3 della legge 26 luglio 1975 n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario), dal momento che proprio il Gip è tenuto, per legge, al controllo, nel merito, di qualsivoglia misura restrittiva della libertà personale dell'indagato detenuto.

Cass. pen. n. 43006/2003

Il giudice dell'udienza preliminare, quando ha disposto il rinvio e trasmesso il processo al giudice del dibattimento, non può più decidere sulla custodia cautelare, giacché il giudice che procede è quello che ha la disponibilità degli atti del procedimento.

Cass. pen. n. 26/2000

Il vigente codice di procedura penale, tutte le volte che indica il giudice competente all'esercizio della giurisdizione nei diversi stati e gradi del procedimento, si riferisce a singoli organi giudiziari, senza cenno alcuno alla persona fisica dei magistrati che li compongono. Ne consegue che, nella fase del giudizio, la richiesta di adozione, modifica o revoca di una misura cautelare personale coercitiva deve essere esaminata e decisa dal tribunale in composizione monocratica o collegiale, dalla Corte d'assise, dalla Corte d'appello o dalla Corte d'assise d'appello investiti della cognizione, nel merito, del processo, preferibilmente, ma non necessariamente, nella composizione fisica dei magistrati componenti l'organo giudicante che sta conducendo l'istruttoria dibattimentale o che, pur avendo definito il processo in quel determinato grado, è ancora in possesso dei relativi atti. È invero il principio di immutabilità del giudice, di cui all'art. 525 c.p.p., è riferito e riferibile solo alla deliberazione della sentenza, in quanto destinato a garantire che il giudizio sulla responsabilità dell'imputato sia espresso, nel rispetto dei principi di oralità, immediatezza e contraddittorio cui si ispira il processo penale, dalle stesse persone fisiche che hanno preso parte al dibattimento e presenziato all'assunzione delle prove. Pertanto, l'eventuale diversità di composizione (rispetto a quella dell'organo competente alla trattazione del processo) dell'organo, collegiale o monocratico, designato nei casi, modi e termini previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario, che decide in ordine ad alcuna delle dette richieste in materia cautelare, non incide sulla legittimità dei relativi provvedimenti, stante il principio di tassatività delle nullità e la mancanza di una specifica previsione di tale diversità come causa di nullità o la sua riconducibilità ad alcuna delle ipotesi di nullità di ordine generale previste dall'art. 178, primo comma, lettera a) c.p.p., che sono tutte connesse alla violazione di norme concernenti la capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi secondo le norme di ordinamento giudiziario.

Cass. pen. n. 4710/1998

Per «giudice che procede», competente, come tale, ai sensi dell'art. 279 c.p.p., in materia di misure cautelari, deve intendersi non la persona fisica ma l'ufficio che ha la materiale disponibilità degli atti. Ne consegue che non vi è violazione di detta norma allorché su una richiesta in materia de libertate si pronunci il tribunale in composizione diversa da quella davanti alla quale è in corso il giudizio di merito. Né si configura, in tal caso, inosservanza dell'art. 525, comma 2, c.p.p., atteso che la regola ivi affermata dell'immutabilità del giudice non riguarda gli autonomi procedimenti incidentali, fra i quali rientrano quelli concernenti la materia suddetta.

Cass. pen. n. 2467/1998

Nel caso di dibattimento in corso, il giudice che procede, competente ex art. 279 c.p.p. all'applicazione delle misure cautelari, non è individuato solo in relazione all'organo giudiziario presso il quale è incardinato il processo, ma si identifica necessariamente, in termini di competenza funzionale correlata al principio del giudice naturale di cui all'art. 25 Cost., nel Collegio che, con vincoli perentori di immutabilità, concretamente procede all'istruttoria dibattimentale.

Cass. pen. n. 2469/1998

Il giudice competente all'applicazione delle misure cautelari una volta iniziata la fase dibattimentale deve individuarsi, secondo quanto dispone l'art. 279 c.p.p., nel «giudice che procede», intesa questa espressione non nel senso generico di organo competente alla celebrazione del processo, bensì in quello pregnante di collegio specificamente investito del processo medesimo. (In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato l'incompetenza funzionale a provvedere sulla richiesta cautelare di un collegio costituito ad hoc, e dunque diverso da quello che concretamente procedeva al dibattimento concernente il reato in ordine al quale il pubblico ministero aveva proposto la domanda, specificando tuttavia che dall'accertamento di tale vizio non consegue la perdita di efficacia della misura, dovendo in tale ipotesi la stessa Corte provvedere a trasmettere gli atti al giudice competente).

Cass. pen. n. 4453/1998

Il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare durante il tempo necessario per il deposito della motivazione della sentenza, ai sensi dell'art. 304, comma 1, lett. c) c.p.p. rientra nella competenza del giudice che procede, il quale è l'unico in grado di valutare la complessità della parte argomentativa della decisione, secondo il principio di cui all'art. 279 c.p.p. Pertanto, con riferimento alla sentenza emessa nel giudizio di primo grado — la cui data di pronuncia segna l'inizio della decorrenza del termine della fase successiva di custodia cautelare — è competente tale giudice a emettere il provvedimento in questione il quale è destinato a prolungare i termini della custodia cautelare della fase successiva, e non al giudice di appello con riferimento al periodo impiegato dal giudice di primo grado per depositare la motivazione.

Cass. pen. n. 1/1996

La caducazione automatica della misura cautelare conseguente a declaratoria d'incompetenza si verifica e ha ragion d'essere solo quando, a seguito di tale declaratoria, il giudice che deve emettere il nuovo provvedimento è diverso da quello incompetente. (Fattispecie relativa a misura cautelare della custodia in carcere disposta da giudice per le indagini preliminari presso il tribunale, della quale era stata chiesta la cessazione di efficacia, sul rilievo che la corte d'assise, dinanzi alla quale si celebrava il giudizio, aveva dichiarato la propria incompetenza per materia in favore di quella del tribunale, ordinando la trasmissione degli atti al P.M. presso detto tribunale, ai sensi dell'art. 23, comma 1, c.p.p. - così come modificato dalla sentenza n. 76 del 1993 della Corte costituzionale - e che non era stato emesso nuovo provvedimento coercitivo nel termine di legge. Nell'enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha affermato che nell'ipotesi di declaratoria di incompetenza per materia pronunciata dal giudice dibattimentale, cui consegue la regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari, occorre aver riguardo alla competenza del giudice per le indagini preliminari, che è una derivazione, se non proprio una proiezione, di quella del giudice del giudizio, al quale la legge fa riferimento per determinare i limiti della giurisdizione sotto il profilo territoriale, della materia e della funzione. Conseguentemente stante l'unicità dell'organo giurisdizionale delle fasi delle indagini per i procedimenti di competenza del tribunale e della corte d'assise, la Suprema Corte ha ritenuto che nella specie difettava il presupposto stesso per l'applicazione dell'art. 27 c.p.p., giacché l'organo che aveva disposto la misura - e cioè il Gip presso il tribunale - era proprio quello dichiarato competente).

Cass. pen. n. 1919/1995

La misura cautelare perde immediatamente efficacia nel caso in cui venga emanata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ed una nuova misura coercitiva per gli stessi fatti può essere disposta solo in seguito ad una successiva condanna e con riferimento alle esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma 1, lett. b) e c) c.p.p. (art. 300, commi 1 e 5 c.p.p.). Se, dunque, occorre una «successiva condanna», la competenza ad emettere il provvedimento coercitivo spetta al giudice dell'impugnazione, sicché il pubblico ministero non può, per lo stesso fatto, iniziare un nuovo procedimento ed ottenere dal giudice per le indagini preliminari un'ordinanza di custodia in carcere. Pertanto, rispetto ai fatti per i quali sia stata pronunciata l'assoluzione, il giudice per le indagini preliminari è privo del potere di adottare l'ordinanza custodiale, trovandosi in una situazione di incompetenza funzionale. (Fattispecie relativa al delitto di cui all'art. 416 bis c.p.).

Cass. pen. n. 2029/1995

Ai sensi dell'art. 27 c.p.p., interpretato in conformità con i principi generali in materia di misure cautelari e, segnatamente, con quello di cui all'art. 279 c.p.p. (secondo cui la competenza in detta materia appartiene al giudice che procede), deve ritenersi la necessità della rinnovazione della misura cautelare, a pena di caducazione della stessa, non solo nel caso in cui l'incompetenza venga dichiarata dallo stesso giudice dal quale essa è stata disposta, ma anche in quello in cui siffatta declaratoria venga pronunciata dal giudice di una successiva fase del medesimo procedimento.

Cass. pen. n. 7/1995

Ai sensi degli art. 279 c.p.p. e 91 att. c.p.p., appartiene al giudice dell'udienza preliminare la competenza all'adozione dei provvedimenti relativi alle misure cautelari nel periodo compreso tra la pronuncia del decreto che dispone il giudizio e la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento. (Nell'affermare detto principio la Corte ha osservato che, dopo la presentazione della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero, il giudice dell'udienza preliminare è investito della cognizione dei procedimenti incidentali «de libertate» in quanto «giudice che procede», e che tale competenza permane, oltre la chiusura dell'udienza preliminare, fino a quando non sia venuta meno, da parte sua, la disponibilità giuridica e materiale degli atti a seguito della formazione e spedizione del fascicolo per il dibattimento a norma degli artt. 431 e 432 c.p.p.).

Cass. pen. n. 2749/1993

L'eventuale scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari produce soltanto gli effetti previsti dall'art. 407 c.p.p. ma non preclude al giudice che procede (art. 279 c.p.p.), vale a dire al giudice che al momento della richiesta del P.M. ha la disponibilità degli atti, di provvedere all'applicazione di misure cautelari.

Cass. pen. n. 3099/1992

Nel dichiararsi incompetente il giudice si spoglia del procedimento, sicché non ha competenza ad assumere, anche fuori udienza, determinazioni in tema di misure cautelari, non essendo più «giudice che procede», ai sensi dell'art. 279 c.p.p. e non ricorrendo l'ipotesi di impugnazione sul giudizio di merito di primo o secondo grado, di cui all'art. 91 att. c.p.p. (Nella specie, l'indagato aveva richiesto declaratoria di cessazione di efficacia della misura cautelare al tribunale che, in precedenza, si era dichiarato incompetente per territorio).

Cass. pen. n. 3011/1992

Il vigente codice di procedura penale, in tema di validità di atti posti in essere da giudice incompetente, sancisce, agli artt. 26 e 27, il principio della loro conservazione. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere dell'indagato emessa da giudice che, pur essendo incompetente, non dichiara contestualmente o successivamente la propria incompetenza, è valida ed efficace.

Cass. pen. n. 2949/1992

Poiché, a norma dell'art. 279 c.p.p, giudice competente ad applicare le misure cautelari è il giudice «che procede», nell'ipotesi di presentazione dell'imputato arrestato in flagranza davanti al giudice del dibattimento, per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo, tale giudice è il solo competente ad applicare le misure coercitive.

Cass. pen. n. 1757/1992

Una volta instaurato il giudizio direttissimo sulla base dell'arresto in flagranza convalidato e proseguito, dopo l'annullamento — irrituale perché disposto in assenza di impugnazione — dei provvedimenti di convalida e di misura cautelare, con il consenso delle parti, non è ammessa la sua regressione alla fase delle indagini preliminari, e pertanto appartiene al giudice che procede la competenza ad emettere eventuali provvedimenti sulla libertà. (Nella specie è stata ritenuta legittima l'emissione da parte del tribunale di provvedimento di custodia cautelare in carcere richiesto dal P.M., a norma dell'art. 279 c.p.p., nel corso del giudizio).

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