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Articolo 274 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Esigenze cautelari

Dispositivo dell'art. 274 Codice di procedura penale

1. Le misure cautelari sono disposte (1):

  1. a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova [292, 301], fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio [292]. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti (2);
  2. b) quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione (3). Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede;
  3. c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede (4). Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare [284, 285, 286] sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali é prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (5) ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni. Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell'imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede(6).

Note

(1) Trattasi del c.d. periculum libertatis, presupposto per l'adozione di misure cautelari unitamente al fumus commissi delicti ex art. 273, individuabile in tre esigenze alternativamente concorrenti tra loro.
(2) Vi è qui l'esigenza di fronteggiare il pericolo di inquinamento delle prove che può profilarsi anche in sede dibattimentale. Di conseguenza, si esclude l'impiego di tali misure allo scopo di assicurare il compimento di atti determinati, essendo a tal fine previsto l'istituto dell'accompagnamento coattivo ex artt. 132 e 376.
(3) Il pericolo di fuga comporta una valutazione di elementi di natura oggettiva, nonchè dal complessivo atteggiamento del soggetto (es. propensione all'evasione, pregresso stato di latitanza).
(4) L'esigenza è ravvisata qui nelle tutela della collettività che tiene conto delle specifiche modalità e circostanze del fatto e della personalità del soggetto.
(5) Il riferimento alla custodia cautelare è stato introdotto dall’art. 1, comma 1), del D.L. 1° luglio 2013, n. 78, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 94.
(6) Articolo così modificato dall’art. 1, comma 1, L. 16 aprile 2015, n. 47.

Ratio Legis

Tale formulazione è diretta a salvaguardare il principio della libertà personale di natura costituzionale, di cui si ammettono limitazioni solo al ricorrere di determinati presupposti.

Brocardi

Fumus commissi delicti

Spiegazione dell'art. 274 Codice di procedura penale

Ai fini dell'applicazione di una misura cautelare, oltre alla sussistenza degli elementi di cui ai due articoli precedenti, il giudice deve riscontrare la presenza di una delle tre esigenze cautelari qui elencate.

La norma ha subito negli anni varie modifiche, tese soprattutto ad evitare una applicazione eccessiva delle misure, se non quando strettamente necessarie alle esigenze cautelari, in ossequio a quanto disposto dall'art. 13 Cost..

Esse riguardano:

  • specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini, in rapporto a situazioni in cui è necessario preservare l'acquisizione delle prove o la loro genuinità. In sostanza si vuole impedire che il soggetto indagato possa approfittare della libertà per modificare lo stato dei luoghi in cui è avvenuto il fatto, o soggiogare eventuali testimoni, oppure ancora distruggere elementi probatori ancora da individuare. Fortemente garantista è la parte che impone il divieto di desumere tale esigenza cautelare solamente dalla reticenza dell'indagato o dell'imputato;

  • il pericolo di fuga, anche qui corroborato però da un concreto ed attuale pericolo. Il giudice incontra due limiti, ovvero il divieto assoluto di ritenere sussistente il pericolo di fuga nel caso in cui ritenga di potersi irrogare una pena inferiore ai due anni di reclusione e il divieto di utilizzare come parametro la gravità del titolo di reato per cui si procede (non della gravità del fatto commesso, che può invece utilizzarsi come parametro);

  • il pericolo di reiterazione del reato, in cui riecheggia il principio di tutela della collettività. Tale esigenza cautelare risulta la più difficile da valutare ed è coperta da varie guarantigie tese a non privare l'indagato o l'imputato della libertà personale solo per il “clamore sociale” derivato dalla commissione del reato. Indispensabile è infatti la valutazione delle specifiche modalità e circostanze del reato in correlazione alla personalità del presunto autore, da cui si può desumere il pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza, ovvero diretti contro l'ordine pubblico o della stessa specie per cui si procede. In tale ultimo caso, potendosi trattare di qualunque delitto (anche di delitti molto meno gravi di quelli elencati), la custodia cautelare può essere disposta solo se si tratta di delitti che prevedano la reclusione non inferiore a quattro anni o di cinque anni per la custodia cautelare in carcere. Anche in relazione a questa esigenza cautelare, la situazione di pericolo non può desumersi esclusivamente dalla gravità del titolo di reato.

Massime relative all'art. 274 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 55216/2018

In tema di esigenze cautelari - ove l'indagato sia dedito, per il suo "modus vivendi", a commettere delitti in modo continuativo e seriale - il giudizio sul pericolo di recidiva non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, desunti dall'analisi della personalità dell'indagato, dall'esame delle sue concrete condizioni di vita, da dati ambientali o di contesto, nonché dalle modalità dei fatti per cui si procede. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva ritenuto sussistente il requisito di attualità del pericolo di recidiva in relazione a un soggetto stabilmente dedito ad attività di cd. "guardiania", nel contesto di un'associazione per delinquere finalizzata ad attività estorsive nei confronti dei proprietari terrieri).

Cass. pen. n. 48103/2018

In tema di misure cautelari, il pericolo di fuga di cui all'art. 274, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (nel testo modificato dalla l. 16 aprile 2015, n. 47), oltre che concreto, dev'essere anche attuale, ma tale requisito non comporta necessariamente l'esistenza di condotte materiali che rivelino l'inizio dell'allontanamento o che siano comunque espressione di fatti ad esso prodromici, essendo sufficiente accertare, con giudizio prognostico verificabile, perché ancorato alla concreta situazione di vita del soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali, alle pendenze giudiziarie e, più in generale, a specifici elementi vicini nel tempo, l'esistenza di un effettivo e prevedibilmente prossimo pericolo di allontanamento, che richieda un tempestivo intervento cautelare. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito aveva fondato il pericolo di fuga su dati obiettivi, quali il pregresso trasferimento in Spagna dell'imputato, lo svolgimento in quel paese di attività criminale quale fattore indicativo dell'instaurazione di una rete di collegamenti, il suo passato delinquenziale e l'entità della pena inflittagli).

Cass. pen. n. 34154/2018

In tema di esigenze cautelari, l'art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l'imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale; ne deriva che non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l'imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l'occasione, ma è anche necessario prevedere che all'imputato si presenti effettivamente un'occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie.

Cass. pen. n. 11031/2018

In tema di esigenze cautelari, allorchè si procede per reati consumati all'interno di "relazioni strette" (nella specie, maltrattamenti in famiglia), la funzione preventiva della misura ha una direzione cautelare specifica, funzionale a contenere una pericolosità "mirata", orientata nei confronti di una specifica persona, sicchè la concretezza del pericolo e la sua attualità possono escludersi solo in presenza di elementi che indichino la recisione della relazione nella quale si è manifestata la condotta criminosa.

Cass. pen. n. 9382/2018

In tema di esigenze cautelari, ai fini del giudizio prognostico ex art. 274 cod. proc. pen. non è preclusa la valutazione di una precedente condanna per la quale sia intervenuta la riabilitazione, potendo desumersi dalla stessa la possibilità di commissione di ulteriori reati da parte del riabilitato.

Cass. pen. n. 51030/2017

In tema di esigenze cautelari, l'esistenza di un procedimento pendente a carico dell'indagato per reati ai danni della medesima persona offesa costituisce un elemento rilevante ai fini della valutazione della sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa di cui all'art. 274, lett. c), cod. proc. pen. (Fattispecie nella quale la Corte ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento di diniego di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere - applicata all'indagato per i reati di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona e tentato omicidio commessi ai danni della moglie separata - fondato, nonostante la condizione di formale incensuratezza dell'indagato, sulla circostanza della pendenza di altro procedimento per i delitti di maltrattamenti in famiglia ed atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa).

Cass. pen. n. 49038/2017

Il nuovo testo dell'art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati.

Cass. pen. n. 29477/2017

In tema di misure cautelari personali, il pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, richiesto dall'art. 274 lett. a) cod. proc. pen., per l'applicazione delle stesse, deve essere concreto e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell'"id quod plerumque accidit", che l'indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione delle esigenze cautelari fondata sul persistente inserimento dell'indagato nell'amministrazione comunale nella quale i reati erano stati commessi e dei conseguenti rapporti con altri soggetti presenti nell'organigramma dell'ente, aventi la veste di persone informate sui fatti).

Cass. pen. n. 23346/2017

E legittima l'adozione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con l'obbligo di soggiorno nei confronti di persona già sottoposta al divieto, disposto dal questore, ai sensi dell'art. 6, comma quinto, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, di accedere a manifestazioni sportive, con relativo obbligo di presentazione personale all'autorità di polizia in occasione degli incontri di calcio (DASPO), in quanto si tratta di misure differenti che non si sovrappongono.

Cass. pen. n. 18496/2017

In tema di misure cautelari, il requisito della attualità del pericolo di fuga di cui all'art. 274, comma primo, lettera b), cod. proc. pen. (nel testo modificato dalla legge n. 47 del 2015), richiede la formulazione di un giudizio prognostico in base al quale ritenere, senza il ricorso a formule astratte e non verificabili in concreto, che sia imminente la sottrazione dell'indagato al processo e, in caso di condanna, alla irrogazione della pena. (In applicazione del principio, la S.C.ha censurato l'ordinanza che aveva desunto il pericolo di fuga di una cittadina rumena principalmente dalla sua facilità di spostamento all'estero, laddove dagli atti risultava che la stessa si era limitata ad attivarsi per il trasferimento presso la nazione di provenienza dei profitti illecitamente conseguiti).

Cass. pen. n. 12618/2017

In tema di esigenze cautelari, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto all'art. 274, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone la previsione, in termini di alta probabilità, che all'imputato si presenti effettivamente un'occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie, e la relativa prognosi comporta la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede, mentre, nelle ipotesi in cui tale preliminare valutazione sia preclusa, in ragione delle peculiarità del caso di specie, il giudizio sulla sussistenza dell'esigenza cautelare deve fondarsi su elementi concreti - e non congetturali - rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, e idonei a dar conto della continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, da apprezzarsi sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi dell'effettività di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione.

Cass. pen. n. 11511/2017

In tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art. 274, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure l'impugnata ordinanza del tribunale del riesame, che, nel confermare la misura custodiale disposta dal G.I.P. nei confronti dell'indagato per fatti di furto in abitazione, aveva argomentato l'attualità del pericolo di recidiva - nonostante la confessione resa e l'emergenza di un solo lontano precedente - dalla particolare spregiudicatezza dimostrata dal medesimo, sfuggito alla cattura in occasione della perpetrazione del primo furto e nondimeno pronto, a distanza soltanto di qualche giorno, a commetterne un altro).

Cass. pen. n. 53645/2016

In tema di misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosità personale dell'indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall'analisi soggettiva della sua personalità, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed "esterne" all'accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto - quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele - che possano attivarne la latente pericolosità, favorendo la recidiva. Ne consegue che il pericolo di reiterazione è attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all'epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la valutazione prognostica non può estendersi alla previsione di una "specifica occasione" per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice).

Cass. pen. n. 18745/2016

In tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art. 274, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare. (Nella specie, la S.C. ha reputato immune da censure l'ordinanza cautelare che aveva valorizzato le specifiche modalità di realizzazione delle numerose e reiterate condotte criminose e dei comportamenti successivi ai fatti, oltre al contesto in cui i reati erano maturati e alla personalità spiccatamente delinquenziale del ricorrente, elementi, questi, ritenuti idonei a "neutralizzare" il carattere risalente dei precedenti, rendendo, così, concreto ed attuale il pericolo di recidiva). (Conf. n..18746/16 n.m.).

Cass. pen. n. 8211/2016

In tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art. 274, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 deve fondarsi su dati concreti ed oggettivi, non meramente congetturali, attinenti al caso di specie, che rendano tale esigenza reale ed attuale, cioè effettiva nel momento in cui si procede all'applicazione della misura cautelare.(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata la motivazione dell'ordinanza del riesame in cui il Tribunale, pur confermando la misura custodiale in relazione al reato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, aveva omesso di indicare gli elementi specifici dai quali desumere l'attualità del rischio di reiterazione dei reati nonostante la intervenuta sospensione degli indagati dall'incarico pubblico).

Cass. pen. n. 40994/2015

A seguito di convalida dell'arresto per il delitto di evasione il giudice può disporre, una volta riscontrate le esigenze cautelari, la misura della custodia in carcere anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 274, comma primo lett. c), oltre che a quelli fissati dall'art. 280, cod. proc. pen., in applicazione dell'art. 391, comma quinto, cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 28153/2015

Il principio di necessaria retroattività della disposizione più favorevole, affermato dalla sentenza CEDU del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola contro Italia, non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali, che è regolata dal principio "tempus regit actum". (Fattispecie relativa agli effetti della modifica normativa dell'art. 274 c.p.p. realizzata dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, artt. 1 e 2, considerati dalla S.C. non applicabili per la valutazione della legittimità della misura cautelare impugnata, adottata in epoca antecedente la novella legislativa).

Cass. pen. n. 6510/2015

È illegittimo il provvedimento di revoca della custodia cautelare motivato esclusivamente in riferimento alla sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura in ragione della corrispondenza della durata della stessa ad una percentuale, rigidamente predeterminata ricorrendo ad un criterio aritmetico, della pena irroganda nel giudizio di merito e prescindendo da ogni valutazione della persistenza e della consistenza delle esigenze cautelari che ne avevano originariamente giustificato l'applicazione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure il provvedimento impugnato, nel quale erano espresse - sia pur in forma stringata - valutazioni in ordine alla persistenza e consistenza delle esigenze cautelari, come accertate alla luce del cosiddetto giudicato cautelare).

Cass. pen. n. 20405/2014

È legittima l'applicazione di una misura cautelare coercitiva a persona che ricopre un ufficio elettivo per diretta investitura popolare, nonostante il divieto previsto dall'art. 289, comma terzo, c.p.p., di applicare a tale soggetto la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio; tale disposizione, infatti, non può essere interpretata in termini estensivi, pena la violazione del principio di uguaglianza. (Fattispecie relativa ad ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari nei confronti di un consigliere regionale)

Cass. pen. n. 3661/2014

Ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., il concreto pericolo di reiterazione dell'attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto la stessa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall'attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo. (Fattispecie relativa ad indagato per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, privo di precedenti penali, ma che alla luce delle indagini, era risultato legato con i fornitori dello stupefacente da radicati rapporti).

Cass. pen. n. 3503/2014

La misura coercitiva del divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.) può essere applicata, nelle ipotesi in cui si procede per uno dei delitti previsti dall'art. 280 c.p.p., quando dagli atti emerga un concreto e attuale pericolo che l'imputato si dia alla fuga all'estero, e non per il soddisfacimento delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p..

Cass. pen. n. 2691/2014

Il pubblico ministero che abbia richiesto una misura per plurime esigenze cautelari ha interesse ad impugnare l'ordinanza del G.i.p. che abbia adottato la misura richiesta, ma soltanto per l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma primo, lett. b), cod. proc. pen. e non anche per quelle di cui alle lett. a) e c), potendo l'unica esigenza riconosciuta sussistente dal giudice venire meno in seguito ai successivi sviluppi processuali.

In tema di misure cautelari, sussiste un interesse giuridicamente apprezzabile del pubblico ministero ad impugnare il provvedimento con il quale il giudice, nell'accogliere la richiesta di applicazione della misura, non abbia tuttavia ritenuto sussistenti tutte le esigenze cautelari prospettate dall'accusa (Nella specie, era stata ritenuta sussistente solo quella di cui all'art. 274, lett. b, c.p.p.).

Cass. pen. n. 41606/2013

In tema di esigenze cautelari, il pericolo attuale e concreto per l'acquisizione o la genuinità della prova, richiesto per l'emissione di una misura cautelare personale dall'art. 274, lett. a) cod.proc.pen., è riferibile non solo a condotte proprie dell'indagato, ma anche a quelle di eventuali coindagati volte ad inquinare, nell'interesse comune, il quadro probatorio emergente nella fase delle indagini preliminari.

Cass. pen. n. 26231/2013

In tema di esigenze cautelari, lo stato di detenzione per altra causa, anche per effetto di condanna definitiva, non impedisce la configurabilità né del pericolo di fuga, né del pericolo di reiterazione di condotte criminose, in considerazione dei molteplici benefici che l'ordinamento prevede per l'attenuazione del regime carcerario.

Cass. pen. n. 15667/2013

In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del pericolo che l'imputato commetta ulteriori reati della stessa specie, il requisito della "concretezza", cui si richiama l'art. 274, comma primo, lett. c), c.p.p., non si identifica con quello di "attualità" derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, essere riconosciuto alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che esistano elementi "concreti" (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che l'imputato, verificandosi l'occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello per cui si procede.

Cass. pen. n. 6780/2012

I gravi indizi di colpevolezza, necessari per l'applicazione di una misura cautelare, possono essere desunti anche dal semplice dispositivo di una sentenza di condanna, ancorchè non sia stata ancora depositata la motivazione.

Cass. pen. n. 6566/2012

Ai fini dell'applicazione di misure cautelari personali inerenti a reati contro la P.A., la prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell'indagato non è di per sé impedita dalla circostanza che egli abbia dismesso la carica o esaurito l'ufficio nell'esercizio del quale aveva posto in essere la condotta addebitata, purché sussista il rischio concreto che ulteriori reati dello stesso tipo siano resi probabili da una posizione soggettiva che consenta all'agente di mantenere, pur nell'ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche dotate dello stesso rilievo ed offensive della medesima categoria di beni. (In applicazione di tale principio, è stata ritenuta rilevante la posizione di consulente dell'amministrazione, privo di un preciso mansionario, sul presupposto che la stessa consentirebbe la permanenza di relazioni con amministratori e privati al fine di commettere reati della stessa specie).

Cass. pen. n. 1724/2012

In tema di mandato di arresto europeo, la sussistenza del pericolo di fuga che legittima l'emissione di una misura cautelare ai sensi dell'art. 9, comma quarto, della L. n. 69/2005, ben può desumersi dal richiamo all'entità della pena applicabile per effetto della sentenza di condanna posta alla base della procedura di consegna. (Fattispecie relativa ad un m.a.e. esecutivo emesso dalle autorità rumene).

Cass. pen. n. 1235/2011

La ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato (art. 274, comma primo, lett. c), c.p.p.) esime il giudice dal dovere di motivare sulla prognosi relativa alla concessione della sospensione condizionale della pena.

Cass. pen. n. 4996/2010

In tema di misure cautelari emesse in relazione ad un mandato di arresto europeo, il rinvio contenuto nell'art. 9 L. 22 aprile 2005, n. 69, alle disposizioni dell'art. 274, comma primo, lettera b) c.p.p. comporta l'obbligo per il giudice di motivare congruamente in ordine alla sussistenza di un concreto pericolo di fuga, ma non implica l'ulteriore conseguenza di circoscrivere la possibile applicazione della misura cautelare all'ipotesi in cui "ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione".

Cass. pen. n. 39823/2008

In tema di esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. a ) c.p.p. non concreta un pericolo attuale per la genuinità della prova la predisposizione, da parte dell'indagato, di versioni dei fatti, pur se mendaci, dirette a sminuire la portata o l'attendibilità di quanto riferito dalla parte lesa o da altri testi, rappresentando tali attività esercizio del diritto di difesa dell'imputato. (Nella specie, da intercettazioni telefoniche erano tra l'altro risultate conversazioni tra gli indagati finalizzate a concordare versioni comuni anche attraverso il tentativo di contattare le parti lese ).

Cass. pen. n. 10329/2008

La revoca della misura cautelare, richiesta ai sensi dell'art. 89, comma secondo, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nei confronti del tossicodipendente sottoposto a custodia cautelare in carcere che abbia scelto di sottoporsi ad un programma terapeutico di recupero, è subordinata alla valutazione del giudice che escluda la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Siffatte esigenze non coincidono con una normale situazione di pericolosità, ma si identificano in una esposizione al pericolo dell'interesse di tutela della collettività di tale consistenza da non risultare compensabile rispetto al valore sociale rappresentato dal recupero del soggetto tossicodipendente, valutato anche in termini di probabilità. (Fattispecie in cui sono state ravvisate le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei gravi precedenti penali dell'imputato, nel dato ponderale — kg 30 di hashish — della sostanza stupefacente detenuta ed importata, e nella sua qualità di persona sottoposta a misura di prevenzione).

Cass. pen. n. 6717/2008

In tema di misure coercitive, il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l'attualità e la concretezza delle condizioni di cui all'art. 274 comma primo, lett. c) c.p.p. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto congrua la motivazione della misura custodiale fondata sull'accertamento dell'attuale adesione del ricorrente, inquisito per reati risalenti nel tempo, ad un'associazione criminale per lo spaccio di droga).

Cass. pen. n. 4183/2008

Ai fini della sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari nel caso di soggetto tossicodipendente che intenda sottoporsi ad un programma di recupero, il giudice, qualora il richiedente sia imputato di uno dei delitti previsti dall'art. 4 bis L. n. 354 del 1975 (nella specie: associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga) deve valutare l'esistenza delle esigenze cautelari secondo gli ordinari criteri di cui agli artt. 274 e 275 c.p.p., e non limitarsi a considerare come ostative soltanto le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Cass. pen. n. 40535/2007

In tema di esigenze cautelari, il pericolo attuale e concreto per l'acquisizione o la genuinità della prova, richiesto per l'emissione di una misura cautelare personale dall'art.274, lett. a) c.p.p., è riferibile non solo a condotte proprie dell'indagato ma anche a quelle di eventuali coindagati volte ad inquinare, nell'interesse comune, il quadro probatorio emergente nella fase delle indagini preliminari relative ai fatti per i quali si procede.

Cass. pen. n. 35713/2007

Il protrarsi della custodia cautelare in carcere per un periodo corrispondente in parte rilevante all'entità della pena detentiva inflitta con la sentenza non ancora definitiva, non è motivo sufficiente per ordinare la revoca della misura, dovendo il giudice spiegare le ragioni per cui tale evenienza fa venire meno le esigenze cautelari originariamente ritenute al momento dell'applicazione della stessa, tenuto conto della personalità dell'imputato e delle modalità del fatto per cui è già intervenuta la condanna. (Fattispecie in cui il Tribunale del riesame aveva motivato il provvedimento di revoca della misura cautelare sulla base della mera osservazione che la sua durata superava i due terzi della pena detentiva irrogata con la sentenza di condanna pronunziata in primo grado).

Cass. pen. n. 15865/2007

In tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall'articolo 274, comma 1, lettera c), del c.p.p., la valutazione negativa della personalità dell'indagato può desumersi anche dalla modalità e dalla gravità del fatto e, a tal riguardo, l'attribuzione alle medesime modalità e circostanze del fatto di una duplice valenza sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto sia sotto quello dell'apprezzamento della capacità a delinquere discende dalla considerazione che la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell'agente. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 29405/2006

In tema di misure cautelari, nella verifica sulla sussistenza delle esigenze cautelari legate al pericolo che l'indagato o l'imputato commetta alcuni gravi delitti o comunque delitti della stessa specie di quello per cui si procede, il giudice deve tenere conto anche dei precedenti giudiziari, che, rilevano, oltre che nel giudizio sulla capacità a delinquere, in ogni altro caso in cui occorra procedere ad una valutazione della personalità dell'indagato o dell'imputato.

Cass. pen. n. 775/2006

In tema di esigenze cautelari, il pericolo di fuga, indicato dall'art. 274 lett. b) c.p.p., non può essere individuato nel fatto della mera irreperibilità del soggetto, qualora non vi siano elementi concreti tali da fare ritenere che l'irreperibilità sia significativa della volontà di sottrarsi al processo. (La Corte ha altresì specificato che il pericolo di fuga non può essere automaticamente desunto dal fatto che il soggetto non abbia fissa dimora, situazione questa meritevole di adeguato apprezzamento ai fini del giudizio sulla sussistenza del pericolo, ma che di per sè non esprime la volontà di sottrarsi al processo, almeno le volte in cui nessuna variazione dello stile di vita sia sopravvenuta a seguito dell'inizio delle indagini preliminari).

Cass. pen. n. 45950/2005

Ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma primo, lett. c), c.p.p., il concreto pericolo di reiterazione dell'attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto essa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall'attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo.

Cass. pen. n. 21805/2004

Ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma primo, lett. c), c.p.p., il concreto pericolo di reiterazione dell'attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto essa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall'attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo.

Cass. pen. n. 12150/2004

In tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall'art. 274, lettera c), c.p.p. la pericolosità sociale dell'indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua personalità, ma nulla impedisce di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell'apprezzamento della capacità a delinquere: in vero, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell'indagato, costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell'agente.

Cass. pen. n. 10680/2003

In tema di misure coercitive disposte in via provvisoria nell'ambito di una procedura di estradizione passiva, il pericolo di fuga che giustifica il mantenimento del provvedimento limitativo della libertà personale deve intendersi anche come pericolo di allontanamento dal territorio dello Stato richiesto con conseguente rischio di inosservanza dell'obbligo assunto a livello internazionale di rendere possibile ed effettiva la consegna dell'estradando al Paese richiedente, affinché risponda dei suoi comportamenti aventi rilevanza penale in quello Stato.

Cass. pen. n. 10673/2003

In materia di misure cautelari personali, qualora venga richiesta la custodia in carcere per reati commessi dall'imputato in epoca non recente, il giudice, nell'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la misura richiesta ai sensi dell'art. 292 comma 2 lett. c) c.p.p., deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi concludenti atti a cogliere l'attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere, evidenziando il perdurante collegamento dell'imputato con l'ambiente in cui il delitto è maturato e, quindi, la sua concreta proclività a delinquere.

Cass. pen. n. 11371/2002

In tema di misure coercitive, quando la richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere è motivata sul presupposto della incompatibilità delle condizioni di salute con lo stato di detenzione, l'obbligo per il giudice di disporre accertamenti medici, nominando un perito secondo quanto disposto dall'art. 299, comma 4 ter c.p.p., sussiste anche se l'imputato è detenuto all'estero ed è in corso la procedura di estradizione. (In applicazione di questo principio, la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva confermato il provvedimento cautelare, ritenendo di non poter valutare le istanze difensive relative all'asserita incompatibilità dello stato di salute con il regime detentivo per essere l'imputato detenuto in Svizzera in attesa di essere estradato in Italia).

Cass. pen. n. 11154/2002

Ai fini dell'emissione di misure coercitive nei confronti di persona richiesta in estradizione dall'estero, devono ritenersi applicabili, ai sensi dell'art. 714, secondo comma, c.p.p., e quindi nei limiti della compatibilità, le disposizioni di cui agli artt. 274 e 275 c.p.p., con la conseguenza che il giudice è tenuto a valutare in concreto la sussistenza del pericolo di fuga, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie reale, compresa la personalità dell'estradando, ed a graduare l'afflittività della singola misura alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare, ben potendo la consegna estradizionale essere assicurata anche mediante cautele diverse dalla custodia in carcere.

Cass. pen. n. 45542/2001

In tema di esigenze cautelari, le modalità della condotta ben possono essere prese in considerazione per basare su di esse, oltre al giudizio sulla gravità del fatto, quello sulla pericolosità sociale dell'imputato, costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico significativo per valutare la personalità dell'agente.

Cass. pen. n. 43014/2001

In tema di custodia cautelare in carcere, non può trovare applicazione analogica il dettato dell'art. 146 c.p. che, con riferimento alla donna incinta, dispone il differimento della esecuzione della pena, atteso che sono diversi i presupposti e le finalità della misura cautelare rispetto alla esecuzione della pena e che è diversa la disciplina che, per quanto attiene alla custodia cautelare della donna incinta, è specificamente prevista dal comma 4 dell'art. 275 c.p.p.

Cass. pen. n. 42075/2001

In tema di applicazione di misure coercitive, le esigenze cautelari di particolare gravità devono sussistere anche nel caso in cui il giudice, ai sensi dell'art. 275, comma 4 ter, c.p.p., accertato che l'imputato è affetto da una malattia particolarmente grave da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere, ritenga possibile, senza pregiudizio per la sua salute e per quella degli altri detenuti, disporre la custodia cautelare presso idonee strutture sanitarie penitenziarie.

Cass. pen. n. 36319/2001

In tema di presupposti per l'applicazione di misure coercitive personali, la prognosi negativa derivante dalla pregressa commissione di reati della stessa indole - art. 274, lett. c) del c.p.p. - sussiste anche in presenza di fattispecie criminose che, pur non previste dalla stessa disposizione di legge, presentano «uguaglianza di natura» in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato il provvedimento del tribunale del riesame che aveva escluso sussistere analogia di indole fra i pregressi episodi di rapina impropria e il reato di violenza sessuale per cui era stata emessa la misura coercitiva).

Cass. pen. n. 34537/2001

Ai fini del ripristino, determinato da soppravvenuta condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ritenuta né sulla base della presunzione, ove configurabile, di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall'art. 275, comma 3, c.p.p., né per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, che è soltanto uno degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta), senza che sia necessaria l'attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o a anche solo a un tentativo iniziale di fuga.

Cass. pen. n. 12461/2001

Ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. i «comportamenti o atti concreti» da prendere in esame quali elementi rivelatori della personalità dell'imputato ben possono essere desunti anche dalle sole «specifiche modalità e circostanze del fatto» per cui si procede, dovendosi la norma anzidetta interpretare conformemente alla logica complessiva di un sistema che risulta caratterizzato, fra l'altro, dalla presenza dell'art. 275, comma 2 bis c.p.p., in base al quale la custodia cautelare in carcere non può essere disposta quando il giudice ritiene che possa essere concessa la sospensione condizionale della pena; ipotesi, questa, per escludere la quale — legittimando quindi l'adozione dell'anzidetta misura — è sufficiente un giudizio prognostico negativo basato anche su uno solo degli elementi indicati nell'art. 133 c.p., ivi compreso quello di cui al n. 1 (nel quale, sostanzialmente, si esprime lo stesso concetto espresso nell'art. 274, comma 1, lett. C, c.p.p. con le parole «specifiche modalità e circostanze del fatto»); ragion per cui risulterebbe contraddittorio ammettere la possibilità di applicazione della più grave fra le misure cautelari sulla base del suindicato giudizio prognostico negativo per poi pretendere che a detta applicazione non possa tuttavia addivenirsi perché lo stesso elemento posto a fondamento di quel giudizio sarebbe da considerare insufficiente ai fini di un analogo giudizio prognostico previsto da altra norma con riguardo alla generalità delle misure cautelari personali, e perciò di quelle meno gravi della custodia in carcere.

Cass. pen. n. 2515/2000

In tema di esigenze cautelari, nell'ipotesi di concorso di persone nel reato la condotta dell'indagato o imputato va esaminata, ai fini della configurabilità del pericolo di recidività, con riferimento all'intera vicenda criminosa alla quale egli ha partecipato e non soltanto alla singola azione concretamente realizzata. (In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato manifestamente infondato il ricorso con il quale l'indagato aveva dedotto, per negare la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, di essersi limitato a fornire ai correi un mero supporto materiale).

Cass. pen. n. 1993/2000

In tema di esigenze cautelari, il concetto di «delitti della stessa specie», rilevante ai fini della configurabilità del pericolo di reiterazione dei reati di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p., deve essere inteso - avendo il legislatore valorizzato con tale espressione l'elemento oggettivo - come riferito ai delitti che presentino lo specifico carattere comune costituito dal bene primario posto a fondamento della fattispecie tipica ascritta all'indagato o imputato. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso che possano qualificarsi «delitti della stessa specie» l'estorsione e l'intermediazione illecita nel sequestro di persona a scopo di estorsione, in quanto posti a presidio il primo del patrimonio ed il secondo dell'amministrazione della giustizia).

Cass. pen. n. 6317/2000

In tema di esigenze cautelari, una sentenza di condanna, emessa all'esito del doppio grado di giudizio, ad una grave pena detentiva può essere posta a base di un giudizio di ragionevole probabilità di fuga dell'imputato, ove non ristretto in carcere.

Cass. pen. n. 4016/1999

In tema di valutazione delle esigenze cautelari ai fini dell'emissione della misura cautelare personale, il giudizio di disvalore della personalità del soggetto, qualora si tratti di incensurato, deve essere il risultato di un vaglio fondato non sulla sola gravità del fatto, ma altresì su comportamenti o atti concreti, al di là e al di fuori del fatto stesso, anche se talora con esso collegabili o da esso desumibili, come nel caso in cui la condotta criminosa sia rivelatrice di collegamenti con la criminalità organizzata o comunque con ambienti delinquenziali, o nell'ipotesi di reiterazione criminosa; tali fatti devono essere comunque sintomatici di uno stile di vita che di per sé impone una prognosi infausta concretante le esigenze di prevenzione.

Cass. pen. n. 1677/1999

In tema di esigenze cautelari, il disposto di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p., secondo cui deve tenersi conto, per ipotizzare il pericolo di reiterazione della condotta criminosa, dei parametri congiunti delle modalità del fatto costituente reato e della personalità dell'indagato vagliata alla luce dei precedenti penali o, in mancanza, di atti o comportamenti concreti estranei alla fattispecie criminosa, deve essere interpretata nel senso che, fra questi ultimi, in presenza di una contestazione plurima, si comprendono anche gli stessi fatti criminosi contestati nel provvedimento coercitivo, riguardati e valutati non singolarmente ma nella loro globalità quale espressione di una possibile maggior pericolosità; e ciò anche per evitare ingiustificate disparità di trattamento tra l'indagato che risulti già condannato per altro reato e quello incensurato colpito dalla misura restrittiva per una pluralità di condotte criminose, trattandosi, in entrambi i casi, di personalità caratterizzate da plurimi fatti penalmente rilevanti e parimenti sintomatici di pericolosità.

Cass. pen. n. 17/1999

Alla stregua delle modifiche dell'art. 274 c.p.p. apportate con la L. 8 agosto 1995, n. 332, la pericolosità sociale che giustifica l'adozione di una misura cautelare va desunta sia dalle specifiche modalità e dalle circostanze del fatto sia dalla personalità dell'indagato oggettivamente valutata sulla scorta dei precedenti penali e della condotta rilevata. La duplicità delle fonti indicate dalla legge dimostra che con l'espressione «modalità e circostanze del fatto» il legislatore ha inteso riferirsi al fatto-reato e con l'espressione «comportamenti e atti concreti» a condotta diversa dal fatto-reato, cioè alla condotta anteatta e successiva.

Cass. pen. n. 2719/1999

In tema di misure cautelari personali, nell'accertare la personalità il giudicante è libero di avvalersi di qualsiasi emergenza informativa e processuale e queste, se non possono esser tratte, sic et simpliciter, unicamente dalla gravità del reato inteso come violazione di legge nella sua astrattezza, ben possono anche essere desunte da tale gravità con riferimento alla particolare condotta tenuta nella occasione dall'agente. Se poi anche la condotta successiva al fatto-reato denuncia una freddezza totale, ed anzi segnala una sorta di incapacità di capire la gravità di ciò che si è commesso, è evidente che la personalità del prevenuto così come ricavabile dalle risultanze processuali, ben può assumere, per ciò solo, quei connotati di pericolosità specifica cui fa riferimento l'art. 274, lett. c), c.p.p.

Cass. pen. n. 2416/1999

In tema di esigenze cautelari, il concreto pericolo di recidivanza può esser desunto anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto-reato. Invero la negativa valutazione della personalità dell'indagato ben può fondarsi sugli specifici criteri oggettivi indicati dall'art. 133 c.p. (tra i quali rientrano, appunto, la gravità del reato e le modalità della sua commissione), senza che il giudice sia tenuto a motivare singolarmente sulla ricorrenza di tutti gli elementi valutativi previsti dal predetto articolo. (Fattispecie relativa al prelievo fraudolento da parte dell'indagato di circa 70 milioni con false carte di credito di cui al reato ex art. 12 legge 5 luglio 1991 n. 197. La Cassazione, nell'enunciare il principio sopra esposto, ha rigettato il ricorso dell'indagato osservando che correttamente il giudice di merito aveva motivato in ordine alla pericolosità sociale di quest'ultimo, ponendo in evidenza l'uso, da parte di costui, di sofisticate apparecchiature di rilevante valore economico, il fatto che i prelievi erano stati compiuti in diverse località, il rinvenimento nella disponibilità dell'indagato di numerose tessere bancomat, nonché apprezzando altre circostanze che stavano a provare, tanto la reiterazione del comportamento crimoso, quanto la possibilità che esso potesse essere ripetuto un numero indefinito di volte).

Cass. pen. n. 2402/1999

La c.d. pericolosità sociale, che giustifica l'adozione di una misura cautelare, va desunta sia dalle specifiche modalità e dalle circostanze del fatto sia dalla personalità dell'indagato oggettivamente valutata alla stregua dei precedenti penali e della condotta rilevata. Ed invero, l'espressione utilizzata dal legislatore all'articolo 274 lett. c), c.p.p. «modalità e circostanze del fatto» va riferita al fatto-reato, mentre l'espressione «comportamenti e atti concreti» deve intendersi riferita ad una condotta diversa dal fatto-reato, e quindi alla condotta precedente e a quella successiva. Ne consegue che, l'esigenza cautelare in parola ricorre e deve essere tutelata ogni qualvolta si profili il pericolo, di qualsiasi intensità esso sia purché concreto, di reiterazione della condotta criminosa.

Cass. pen. n. 1990/1999

Il pericolo di fuga di cui all'art. 274, lett. b), c.p.p. non può essere desunto esclusivamente da una mera presunzione, quale è la condizione di straniero dell'indagato, ma deve essere ancorato a concreti elementi dai quali sia logicamente possibile dedurre, attraverso la valutazione di un'attività positiva del soggetto in termini di attualità, la reale ed effettiva preparazione della fuga. Non è sufficiente pertanto ad integrare l'esigenza cautelare suddetta la circostanza che l'indagato straniero, si sia portato, dopo la commissione del fatto addebitatogli, nel suo paese d'origine e di abituale dimora, apparendo tale spostamento, di per sè, fisiologico alla condizione di vita del soggetto piuttosto che indice di una deliberata volontà di sottarsi al concreto esercizio della giurisdizione italiana. (Fattispecie di annullamento dell'ordinanza di custodia in carcere nella parte relativa alla ritenuta esigenza cautelare, ravvisata esclusivamente nella condizione di straniero del prevenuto, ed alla connessa adeguatezza della misura).

Cass. pen. n. 863/1999

In tema di valutazione della sussistenza del concreto pericolo di fuga, il pregresso stato di latitanza dell'indagato assume significativo valore sintomatico in quanto rilevatore di una tendenza ostruzionistica all'esecuzione di provvedimenti restrittivi della libertà e, pertanto, in posizione di patente inosservanza dei dettami della legge. (Fattispecie nella quale, a seguito della latitanza dell'indagato, conseguente alla trasgressione dell'obbligo di restituire il passaporto — obbligo attraverso il quale si rende effettiva la misura cautelare del divieto di espatrio — il Gip aveva emesso ordinanza di custodia cautelare in carcere, anche sul presupposto della disponibilità da parte del soggetto di ingenti somme di denaro all'estero, dove lo stesso risultava inoltre aver preso domicilio).

Cass. pen. n. 2174/1999

In tema di ripristino della custodia cautelare nei confronti dell'imputato, già scarcerato per decorrenza dei termini, in seguito alla pronuncia della sentenza di condanna di primo o secondo grado (art. 307, comma 2, lett. b), c.p.p.), una condanna a dieci anni di reclusione per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso ed altro costituisce, di per sé sola, un elemento oggettivo idoneo a fondare l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. b, c.p.p.; e ciò in quanto in tal caso vengono a concorrere due concreti e pregnanti elementi — la consistente entità della pena e l'essere il condannato inserito in una pericolosa organizzazione criminale (nella specie “cosa nostra”), caratterizzata dallo stato di clandestinità e latitanza degli appartenenti — significativi di una ragionevole ed elevata probabilità che l'imputato, se libero, si dia alla fuga.

Cass. pen. n. 982/1999

In tema di misure cautelari, la determinazione della durata delle stesse è necessaria solo nel caso in cui il provvedimento restrittivo venga emesso unicamente per tutelare la genuinità della prova e non anche quando detta esigenza sia concorrente con quelle delle lettere b) e c) dell'art. 274 c.p.p., dal momento che sarebbe inutile prevedere un termine di scadenza qualora la misura dovesse comunque continuare ad avere applicazione per le ulteriori esigenze.

Cass. pen. n. 599/1999

In tema di misure cautelari personali, le «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza», di cui al quarto comma dell'art. 275 c.p.p., possono riguardare i delitti della stessa specie di quello per cui si procede, purché si tratti di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, non dovendo, la previsione dell'art. 275, quarto comma, c.p.p., necessariamente riguardare delitti di estrema gravità e più precisamente reati di criminalità organizzata. Ed invero, la previsione suddetta si distingue dalle «normali» esigenze cautelari solo per il grado di pericolo che deve oltrepassare l'estremo della semplice concretezza richiesto dall'art. 274 c.p.p. per assumere, in pratica, quello di una sostanziale certezza che l'indagato, se sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continuerà a commettere delitti tra quelli indicati nell'art. 274 lett. c), c.p.p. (Fattispecie relativa a custodia cautelare in carcere per il delitto di furto pluriaggravato, punito con la pena edittale fino a dieci anni di reclusione, commesso da persona ritenuta di assoluta pericolosità sociale che compie sistematicamente delitti contro il patrimonio costituenti per lei statuto di vita e che si sottrae ad una corretta identificazione).

Cass. pen. n. 579/1999

In tema di misure cautelari personali, l'esigenza cautelare di prevenzione del pericolo di fuga non può essere desunta automaticamente dalla particolare gravità della pena inflitta in primo grado, anche se tale elemento è rilevante per la valutazione del possibile concreto realizzarsi di propositi di fuga da parte del condannato.

Cass. pen. n. 5555/1999

Poiché la «capacità a delinquere del colpevole» è concetto che si pone in relazione di continenza con quello più ampio di «personalità» considerato dall'art. 274, lett. c), c.p.p., ne deriva che, ai fini del giudizio prognostico di pericolosità enunciato da tale norma, possono essere valutati tutti gli elementi indicati dall'art. 133, secondo comma, c.p. che siano individuabili, oltre che nei precedenti penali, in «comportamenti o atti concreti», pur collegati ma non coincidenti con i fatti perseguiti. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione di pericolosità che il giudice a quo ha desunto dalla persistenza e durata della attività delittuosa, dai collegamenti con l'ambiente criminale e dalle condizioni di vita familiare).

Cass. pen. n. 2856/1998

Le «specifiche modalità e circostanze del fatto» di cui alla lett. c) dell'art. 274 c.p.p., in base alle quali il giudice, fra gli altri elementi, deve valutare le esigenze cautelari nel singolo caso concreto, ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell'indagato, costituendo la condotta tenuta in occasione della commissione del reato un elemento diretto assai significativo per interpretare la personalità dell'agente. Nulla impedisce, pertanto, di attribuire alle medesime modalità e circostanze una duplice valenza, sul piano, cioè, della gravità del fatto, ma anche su quello dell'apprezzamento della capacità a delinquere. Né, d'altra parte, lo stato di incensuratezza dimostra automaticamente l'assenza di pericolosità, potendo questa essere desunta, come espressamente previsto dall'art. 274, lett. c), c.p.p., dai comportamenti o dagli atti concreti dell'agente, oltre che dai precedenti penali.

Cass. pen. n. 2852/1998

L'apprezzamento della pericolosità del ricorrente sottoposto alla misura coercitiva della custodia cautelare in carcere ai fini della concessione degli arresti domiciliari, è riservato al giudice di merito ed è incensurabile nel giudizio di legittimità se congruamente e logicamente motivato. (Nella specie la Corte Suprema ha ritenuto adeguatamente motivata la decisione del giudice di merito che aveva rigettato l'istanza di concessione degli arresti domiciliari dell'indagato per il reato di detenzione ai fini di illecito commercio di sostanze stupefacenti, giacché il quantitativo di sostanza sequestrato e le modalità del suo occultamento nell'abitazione lasciavano presupporre che l'indagato stesso avrebbe potuto riallacciare i contatti con l'ambiente malavitoso in cui era inserito).

Cass. pen. n. 4344/1998

Lo stato di detenzione per altra causa, ed anche in virtù di condanna definitiva, del destinatario di una misura coercitiva custodiale non è di per sè in contrasto con la configurabilità di esigenze cautelari, ed in particolare di quella rappresentata dal pericolo di reiterazione della condotta criminosa. Ciò in considerazione dei molteplici benefici che l'ordinamento prevede per l'attenuazione del regime carcerario ed il riacquisto anticipato della libertà.

Cass. pen. n. 1904/1998

Al fine di valutare la prognosi di pericolosità sociale, cui è ancorata la possibilità concreta di reiterazione di condotte criminose, stabilita per emettere misure cautelari personali, può farsi riferimento a fatti criminosi non perseguibili per mancanza di querela, in quanto permane la loro illiceità penale, tanto più se riguardano ipotesi delittuose caratterizzate da eventi similari, ripetute nel tempo ed assai ravvicinate. (Nella specie la Corte ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni di minori, i cui genitori non avevano proposto querela per fatti contro la libertà sessuale analoghi a quello per il quale si procedeva).

Cass. pen. n. 2593/1998

Ai fini del giudizio prognostico ai sensi dell'art. 274, lett. c), c.p.p., il concreto pericolo che l'imputato commetta delitti della stessa specie di quelli per cui si procede va desunto dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, nonché dalla personalità dell'imputato. Pertanto, l'affermazione in positivo delle esigenze cautelari connesse alla tutela della collettività deve fondarsi sia sul fatto, le cui modalità e circostanze possono essere ritenute indicative dell'inclinazione del soggetto a commettere reati della stessa specie, sia sulla personalità dell'imputato, da valutare alla stregua dei suoi precedenti penali e giudiziari, a nulla rilevando l'epoca del commesso reato.

Cass. pen. n. 2680/1998

Ai fini dell'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, l'irrogazione di una pena detentiva di notevole entità non è, di per sé sola, sufficiente a integrare il concreto pericolo di fuga della persona che ne è destinataria, dal momento che il legislatore non ha configurato tale situazione come sintomatica di detta esigenza cautelare e che, normalmente, prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ogni imputato rimane in stato di libertà, prevedendo il vigente codice di rito la misura cautelare della custodia in carcere soltanto come l'ultima applicabile tra quelle meno gravose previste in marginali casi di specifica gravità. Ne consegue che l'esistenza di una condanna a pena di una certa rilevanza deve essere accompagnata da concreti elementi di fatto sintomatici dell'esistenza di un pericolo di fuga, non identificabili con circostanze ipotizzate in via meramente eventuale. (Fattispecie nella quale il giudice del merito aveva rigettato l'appello avverso il diniego di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, sul rilievo che l'entità della pena inflitta con la sentenza - 23 anni di reclusione - era idonea a determinare propositi di fuga, facendo così passare in secondo piano il tempo trascorso in stato di detenzione).

Cass. pen. n. 2012/1998

In tema di applicazione di misure cautelari, è obbligo del giudice individuare gli elementi concludenti che confermino attualità e concretezza delle esigenze poste a fondamento del provvedimento coercitivo, anche per il rilievo che l'art. 292, secondo comma, lett. c), c.p.p., come modificato dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, attribuisce al tempo trascorso dalla commissione del reato; tale obbligo può ritenersi soddisfatto, in relazione all'esigenza cautelare del pericolo di fuga, con il riferimento al combinarsi dei due elementi consistenti nella pregressa latitanza dell'indagato e nella pena potenzialmente irroganda; lo stato di latitanza, invero, è sintomatico sia di una condotta ostruzionistica all'esecuzione dei provvedimenti che incidono sullo status libertatis, sia di una capacità organizzativa in grado di assicurare i non facili supporti logistici atti ad eludere l'attività della polizia giudiziaria, e ciò tanto più quando l'interesse all'elusione si ricollega alla gravità del reato ed alla conseguente presumibile gravità della sanzione.

Cass. pen. n. 744/1998

In tema di sostituzione di misure cautelari personali per colui che è già detenuto da tempo la prognosi va posta in relazione ai fatti dei quali è chiamato a rispondere ed agli eventuali precedenti penali. Il tempo trascorso nello stato di custodia in carcere ha certamente una sua incidenza, che si accresce in senso favorevole con il suo trascorrere, allontanandosi lo stimolo alla commissione di altri illeciti, ma da solo non determina l'obbligo della sostituzione della misura cautelare con altra meno afflittiva. Il giudice ha il dovere di prevedere le probabili conseguenze della sostituzione e di spiegare in modo convincente i motivi della scelta operata.

Cass. pen. n. 6480/1998

A seguito delle modifiche introdotte dalla legge 8 agosto 1995 n. 332 in tema di misure coercitive, il giudice, al fine di valutare la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p., deve tenere conto sia delle specifiche modalità e circostanze del fatto sia della personalità dell'indagato, oggettivamente valutata sulla base dei «precedenti penali» o di «comportamenti concreti» sintomatici della pericolosità, onde pervenire, con motivazione congrua ed adeguata, alla formulazione di una prognosi di pericolosità dell'indagato in funzione della salvaguardia della collettività che deve tradursi nella dichiarazione di una concreta possibilità che egli commetta alcuno dei delitti indicati nella disposizione suddetta. Ciò trova la sua spiegazione nell'esigenza, espressamente prevista dalla norma, di una valutazione globale della gravità del reato e della personalità di chi ne è accusato, sicché il giudice deve effettuare una specifica e distinta valutazione di entrambi i criteri direttivi indicati dalla legge, senza potersi limitare all'apprezzamento dell'uno o dell'altro elemento; conseguentemente, non può assolutamente trarsi il giudizio di pericolosità esclusivamente dalle modalità dei fatti criminosi accertati.

In tema di misure cautelari personali, le esigenze connesse alla tutela della collettività devono concretarsi nel pericolo specifico di commissione dei delitti indicati nell'art. 274, lett. c), c.p.p.; trattandosi di valutazione prognostica di carattere presuntivo, il giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati senza potere, nell'ipotesi in cui più siano gli indagati, assumere determinazioni complessive e generali. Ne deriva che la motivazione in ordine alla pericolosità sociale ed alla necessità della misura della custodia cautelare non può accomunare, in una valutazione cumulativa, la posizione di più indagati senza valutare invece separatamente le situazioni individuali.

Cass. pen. n. 1015/1998

Ai sensi dell'art. 274, comma 1, lett. a), c.p.p., può concretare un pericolo attuale per la genuinità della prova la concertazione di linee difensive da parte di più indagati. A tale conclusione non è in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, che nel tutelare l'autodifesa e la difesa tecnica, dà fondamento a una situazione giuridica soggettiva inviolabile ma di carattere individuale e non impedisce quindi al legislatore di porre limiti a iniziative collettive degli indagati che, in quanto tali, sono in grado di proiettare i loro effetti al di là della sfera personale di ciascuno. (Nella specie era stata accertata l'esistenza di ripetuti contatti, anche telefonici, tra gli indagati, finalizzati a precostituire difese e strategie comuni).

Cass. pen. n. 5969/1998

Ai fini dell'emissione di provvedimento di coercizione personale, risponde a corretti criteri logico-giuridici ritenere la sussistenza del concreto pericolo della ripetizione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede da parte di persona che, quando versa in stato di ubriachezza, non esita a porre in essere scherzi altamente pericolosi per la vita e l'incolumità di terzi. (Fattispecie, nella quale l'agente aveva esploso un colpo di pistola in un ambiente piccolo dove si trovavano cinque persone, alle quali si era rivolto ridendo e dicendo che avrebbe sparato a tutti, così uccidendo la figlia).

Cass. pen. n. 4374/1998

Le specificazioni introdotte con la legge n. 332 del 1995 all'art. 292 c.p.p. mirano ad evitare che si applichi la misura custodiale per reati prossimi alla prescrizione, e riguarda un periodo di tempo notevole trascorso dal fatto, tale da costituire di per sé indizio di diminuzione delle esigenze cautelari. Pertanto qualora un indagato venga sottoposto per reati commessi in epoca non recente alla custodia in carcere il giudice deve individuare in modo particolarmente specifico e dettagliato gli elementi concludenti atti a cogliere l'attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile solo con la permanenza in carcere. (Nella specie la Corte ha ritenuto recente un reato commesso due anni e mezzo prima).

Cass. pen. n. 4975/1998

In materia di misure cautelari, quando la valutazione del fatto e della personalità dell'imputato giustificano una valutazione di pericolosità a norma dell'art. 274 c.p.p., lo stato di preesistente detenzione in espiazione di pena dell'imputato può essere considerato idoneo a elidere una tale valutazione solo se sia da escludere anche in astratto la possibilità che vengano applicate misure alternative. In caso contrario si rischia di determinare una reciproca inammissibile interferenza tra le valutazioni del giudice della cognizione e quelle del magistrato di sorveglianza.

Cass. pen. n. 4005/1998

Ai fini dell'applicazione o del mantenimento di misura cautelare personale, il pericolo di inquinamento probatorio va valutato con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, e ciò in considerazione della spiccata valenza endoprocessuale del dato riferito alle indagini preliminari e alla sua ridotta utilizzabilità in dibattimento. Pertanto, al fine di prevenire il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva il fatto che le indagini preliminari siano in stato avanzato, ovvero siano già concluse. (Fattispecie relativa a sfruttamento e induzione alla prostituzione di cittadine straniere, in stato di grave soggezione nei confronti dell'indagato, al quale faceva capo una vasta organizzazione internazionale di avviamento alla prostituzione).

La prognosi di pericolosità sociale di cui all'art. 274, lett. c) c.p.p. va effettuata sulla base delle modalità e delle circostanze dei fatti e della personalità e capacità a delinquere dell'indagato, desunte non solo dagli eventuali precedenti penali dello stesso, ma dalla di lui condotta e da altri dati pure sintomatici, di natura oggettiva, desumibili dall'ambiente in cui i fatti stessi sono maturati.

Cass. pen. n. 5699/1997

Ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p., concernente il pericolo di reiterazione di fatti criminosi, il giudizio negativo sulla personalità dell'imputato o indagato può essere tratto anche dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede.

Cass. pen. n. 3900/1997

In tema di applicazione delle misure cautelari, l'esigenza di salvaguardia da inquinamento l'acquisizione e la genuinità della prova non si esaurisce con la chiusura delle indagini preliminari o con la conclusione del giudizio di primo grado. (Nell'affermare tale principio la Corte ha altresì precisato che nel procedimento penale la prova conosce le fasi della individuazione e dell'acquisizione delle sue fonti, quella della vera e propria formazione, poi dell'avanzamento e infine della conservazione, e che ostacoli al corretto evolversi di questo processo formativo e conservativo possono evidentemente insorgere in ciascuno di questi momenti, sicché il potere coercitivo attribuito al giudice, con la possibilità dell'imposizione delle misure cautelari nella loro funzione di tutela di esigenze di tipo probatorio, si estende lungo tutto l'arco del processo di merito, compreso quello di appello ove la prova può attraversare l'ulteriore fase della rinnovazione).

Cass. pen. n. 3424/1997

In tema di esigenze cautelari, il pericolo di inquinamento probatorio, di cui all'art. 274, comma primo, lett. a), c.p.p., postula soltanto che vi siano specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini. Poiché, peraltro, il requisito della specificità è riferito alle esigenze e non alle indagini, non è indispensabile che il giudice, nel suo provvedimento, indichi con precisione gli atti da compiere. Tale requisito, infatti, non è stabilito sia per evitare che il pubblico ministero debba rivelare alla parte gli accertamenti che si appresti ad espletare sia perché lo stesso giudice non deve necessariamente essere posto a conoscenza delle future investigazioni.

Cass. pen. n. 1957/1997

In tema di esigenze cautelari, la norma di cui all'art. 274 lett. c) c.p.p. si riferisce alla probabile reiterazione di reati «della stessa specie», che offendono cioè lo stesso bene giuridico, non già soltanto alla commissione dello specifico reato per il quale si procede. (Nella specie, relativa a rigetto di motivo di ricorso con il quale l'imputato deduceva che l'intervenuta liquidazione della s.r.l. renderebbe verosimilmente improbabile la possibilità di una ulteriore commissione di illeciti della stessa specie, la S.C. ha osservato che reati della stessa specie di quelli ipotizzati nel presente procedimento — artt. 416 c.p. e 4 lett. d) legge n. 516 del 1982 — possono essere commessi anche senza farsi ricorso ad una struttura societaria, ovvero mediante la revoca dello stato di liquidazione già deliberato, nonché attraverso la costituzione di nuovi organismi societari).

Cass. pen. n. 4620/1997

Ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione dei reati, prevista dall'art. 274, lett. c) c.p.p., gli elementi di cautela tratti dalle «specifiche modalità e circostanze del fatto» non possono ricevere una duplice valutazione, prima sul piano della gravità della fattispecie e, quindi, per delineare la personalità dell'indagato: la predetta disposizione, infatti, prescrive che questa vada desunta da «comportamenti o atti concreti», i quali non possono logicamente identificarsi con quegli stessi elementi che sono già stati oggetto di separata valutazione con riferimento alla gravità del reato. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale del riesame il quale, nel confermare la misura cautelare impugnata, aveva affermato che la disposta custodia doveva essere mantenuta per «la gravità dei fatti e le specifiche modalità degli stessi» e per «la personalità degli indagati desunta proprio della gravità e dalle modalità dei fatti», così attribuendo agli stessi elementi una duplice valenza).

Cass. pen. n. 3712/1996

L'art. 3 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito con modifica in legge 12 luglio 1991, n. 203 («provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata») non pone limiti all'arresto fuori flagranza, che può sempre essere eseguito. È, quindi, irrilevante che esso sia effettuato a distanza di alcuni giorni dalla verifica da parte della polizia giudiziaria dell'allontanamento dagli arresti domiciliari. Esso è stato previsto, proprio perché il comportamento dell'evaso dimostra che sussiste - salvo casi eccezionali - il pericolo concreto di fuga e di reiterazione della condotta, come è dimostrato dalla previsione della possibilità di applicare la misura coercitiva al di fuori dei limiti di pena stabiliti dall'art. 280 c.p.p. e, conseguentemente, di quelli attualmente stabiliti dall'art. 274 c.p.p., che, in subiecta materia, va letto unitariamente al dettato dell'art. 280 stesso. La statuizione di cui al menzionato art. 3 ha, d'altronde, una specifica finalità e, cioè, quella di assicurare che l'evaso sia nuovamente ristretto in carcere, pur se in precedenza agli arresti domiciliari, proprio per l'evidente presenza del suddetto pericolo di fuga. Soltanto nell'ipotesi di arresto in flagranza - che diversamente dal primo (fuori flagranza) consente l'introduzione del rito direttissimo - il soggetto è trattenuto nelle cosiddette camere di sicurezza. Anche in quest'ultimo caso, però, la finalità legislativa è concretamente conseguita per la sostanziale equiparabilità dei due mezzi di detenzione.

Cass. pen. n. 5439/1996

Ai fini della valutazione delle esigenze cautelari previste dalle lettere b) e c) dell'art. 274 c.p.p., il giudice di merito non può prescindere dal verificare se la preesistente condizione detentiva dell'indagato abbia incidenza, o non, sul giudizio prognostico demandatogli, dando conto, con esauriente motivazione, delle specifiche ragioni per le quali lo stato di detenzione derivante da un titolo già in esecuzione non faccia venir meno le esigenze cautelari radicate su un concreto periculum in libertate. Tale valutazione, per la natura e la funzione ad essa coessenziali, deve essere necessariamente compiuta caso per caso, senza aprioristiche generalizzazioni, in riferimento alle peculiari connotazioni di ciascuna fattispecie, tenendo anche presenti sia l'entità della pena detentiva ancora da espiare, sia la possibilità dell'indagato di fruire delle misure alternative e dei benefici dell'ordinamento penitenziario.

Cass. pen. n. 5536/1996

L'esigenza cautelare di prevenzione del pericolo di fuga non può essere desunta sic et simpliciter dalla particolare gravità della pena inflitta con la sentenza di primo grado, in quanto la sua valutazione comporta un giudizio di probabilità che deve essere ricavato da elementi concreti, e non meramente congetturali, e può fondarsi anche sulla natura degli addebiti nonché sulla previsione, in relazione allo sviluppo del processo, di una più o meno prossima esecuzione della pena, ma non può prescindere dall'esame di ogni altro elemento che possa influire sulla psiche del soggetto, in un giudizio complessivo della sua personalità.

Cass. pen. n. 3497/1996

Il pericolo di fuga che, nell'ipotesi di intervenuta condanna, consente, ai sensi dell'art. 307, secondo comma, c.p.p., il ripristino della custodia cautelare estinta per decorrenza dei termini, deve essere connotato, oltre che dalla concretezza, ex art. 274 lett. b) c.p.p., anche dalla attualità, sicché non è possibile, in alcun modo, identificarlo con quello già posto a base dell'originaria misura, e, tantomeno, ritenerlo presunto; e neppure può considerarsi sufficiente, per la sua configurabilità, la mera sopravvenienza della sentenza di condanna, che costituisce solo uno dei presupposti del ripristino della misura e che è idonea, tutt'al più, ad offrire elementi sintomatici del pericolo medesimo.

Cass. pen. n. 5178/1996

L'esigenza cautelare di evitare che l'imputato di gravi delitti possa sottrarsi con la fuga all'esecuzione di un'eventuale condanna è connotata, al pari delle altre finalità cautelari, dal requisito della concretezza degli elementi da cui desumere il pericolo contro cui la cautelare è diretta: elementi per i quali l'obbligo di motivata indicazione nell'ordinanza cautelare è sanzionato da nullità rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 292, comma secondo, lett. c) c.p.p. Ne consegue che il provvedimento coercitivo deve fondarsi non su dati meramente congetturali, bensì su circostanze ed elementi di fatto che, collegati alla gravità del reato per cui si procede e all'entità della presumibile pena da irrogare, diano significativa consistenza al periculum libertatis che, anche se interpretato come giudizio prognostico e non come mera constatazione di un accadimento già in itinere, non occorre sia particolarmente intenso, ma soltanto reale e non immaginario. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che un indice della ragionevole probabilità che l'indagato si dia alla fuga e faccia perdere le sue tracce non può identificarsi esclusivamente nella circostanza che egli sia raggiunto da gravi e concludenti indizi di colpevolezza in ordine a un delitto astrattamente punito con la pena massima dell'ergastolo, circostanza che ben può rappresentare la premessa per l'insorgere nel suo animo di una pressante pulsione nell'accennata direzione, ma che — configurandosi come dato meramente congetturale — non attinge alla soglia della prescritta concretezza).

Cass. pen. n. 1699/1996

Il principio dettato dal legislatore con l'art. 275, comma quarto, c.p.p. di attenuazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di persone le quali si trovino in particolari condizioni soggettive che di per sè sconsiglierebbero la restrizione in carcere può essere derogato solo in presenza di effettive situazioni di assoluta peculiarità per quanto concerne la tutela dei cittadini. Conseguentemente, deve ritenersi che esigenze cautelari di eccezionale rilevanza debbano ravvisarsi nelle stesse finalità di prevenire i pericoli di cui all'art. 274 c.p.p. quando però essi si connotino di un non comune, spiccatissimo ed allarmante rilievo e derivino specificamente dall'eventuale attenuazione di misure custodiali a favore di soggetti imputati di delitti di criminalità organizzata o di altri gravi crimini che più inquietano la collettività, sebbene costoro siano in età avanzata o nelle precarie condizioni fisiche indicate nel citato comma dell'art. 275 c.p.p.

Cass. pen. n. 1913/1996

Anche se la detenzione, a seguito di titolo definitivo, di un soggetto cui è stata applicata la custodia cautelare in carcere rende oggettivamente inattuali le esigenze cautelari previste dall'art. 274, lett. b) e c), c.p.p., tale astratta escludibilità del pericolo di fuga e di quello di reiterazione di crimini della stessa specie non impedisce che il giudice possa e debba accertare caso per caso se tali pericoli possano in concreto essere presenti oppure che il titolo di custodia cautelare, aggiunto ad un preesistente stato di detenzione svolga effetti diversi da quelli che la misura già in corso di esecuzione è capace di produrre. (Nella fattispecie, il tribunale aveva rilevato la persistenza dei motivi cautelari, non essendo sufficiente che l'indagato fosse detenuto in esecuzione di una condanna definitiva in quanto era già nei termini per ottenere benefici penitenziari).

Cass. pen. n. 2631/1996

In tema di esigenze cautelari, l'art. 274 lett. c) c.p.p., come modificato dall'art. 3 legge 8 agosto 1995 n. 332 non impedisce di trarre il pericolo concreto di reiterazione dei reati della stessa specie cioè lesivi dell'interesse protetto e dello stesso valore costituzionale anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività. La valutazione negativa della personalità dell'indagato può desumersi tenendo presenti i criteri, oggettivi e dettagliati stabiliti dall'art. 133 c.p., fra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto-reato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, ma devono valutarsi situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità del soggetto su una motivazione fondata sulla concretezza dei fatti e non su criteri generici e/o automatici.

Cass. pen. n. 1697/1996

Ai fini della valutazione del pericolo di fuga in tema di arresto a fini estradizionali è del tutto irrilevante il fatto che l'estradando sia in stato di carcerazione nel territorio nazionale per espiazione di pena con riferimento ad altro reato. In tale ambito vale infatti non solo il criterio generale secondo il quale lo stato di carcerazione non è ostativo all'emissione di un altro provvedimento cautelare che si fondi su una qualsiasi delle esigenze previste dall'art. 274 c.p.p., ma bisogna anche considerare che non è nella facoltà del giudice che emette la misura di influenzare in alcun modo la cessazione della detenzione ad altro titolo, mentre tale cessazione può essere determinata dalla richiesta dello stesso estradando e nessun valore può essere attribuito a una sua dichiarazione di volontà di non volersi avvalere di tale facoltà. *

Cass. pen. n. 2544/1996

Il diritto di asilo, che si configura come diritto di libertà di espressione politica riconosciuto in conformità all'ideologia liberal-democratica, attiene a un rapporto tra rifugiato e Stato estero di accoglienza, ma non incide sui rapporti pregressi e in atto esistenti tra il medesimo soggetto e la potestà punitiva dello Stato d'origine; sicché non viene meno lo stato di latitanza di chi si sottrae a un provvedimento coercitivo inseguito proprio in ragione della «fuga» all'estero, così superando il semplice «pericolo di fuga», condizione già sufficiente per l'applicazione di un provvedimento restrittivo teso ad evitare che il condannato si sottragga all'esecuzione della pena in caso di condanna definitiva.

Cass. pen. n. 1925/1996

La condanna di primo grado (nella specie, a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso), sopravvenuta alla revoca di precedente ordinanza di custodia cautelare in carcere, non costituisce, di per sè sola, elemento dal quale possa automaticamente desumersi l'esistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. b), c.p.p., pur potendosi astrattamente ritenere che la concretizzazione di un giudizio di condanna costituisca incentivo a velleità o propositi di fuga. (Fattispecie in cui è stata ritenuta immotivata, e quindi annullata, la decisione del giudice di merito che aveva ripristinato la custodia cautelare in carcere dell'imputato, sul solo rilievo della sua intervenuta condanna a pena detentiva).

Cass. pen. n. 3030/1996

In tema di misure cautelari, l'affermazione della sussistenza di un «concreto pericolo» di reiterazione dei delitti, ai sensi dell'art. 274 lett. c) c.p.p., non richiede l'adozione di particolari formule nè comporta l'esplicita utilizzazione dell'espressione letterale in questione («concreto pericolo»), essendo invece idoneo e sufficiente il richiamo alla sussistenza delle esigenze cautelari, specificamente motivate.

Cass. pen. n. 786/1996

In tema di misure cautelari personali, il pericolo di inquinamento probatorio postula, per effetto della riforma introdotta dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, specifiche e inderogabili esigenze attinenti alle indagini, fondate su circostanze di fatto dalle quali deve emergere il concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova. Tale pericolo non sussiste quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dal momento della conoscenza, da parte dell'indagato, dell'esistenza di indagini a suo carico per alcuni reati, senza che sia stata posta in essere alcuna condotta che pregiudichi l'integrità o la genuinità della prova stessa. (Fattispecie relativa alla misura degli arresti domiciliari).

Cass. pen. n. 277/1996

Le esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p. — anche nella formulazione novellata dall'art. 3 legge 8 agosto 1995, n. 332 — possono essere correttamente dedotte dalle modalità del fatto e dalla personalità dell'agente che in esse si manifesta, con particolare riferimento alla proclività all'uso delle armi, specificamente assunta dalla legge come parametro di negativa valutazione. (In applicazione di detto principio la Corte ha ritenuto corretta la motivazione del provvedimento che aveva dedotto la sussistenza del pericolo di reiterazione del delitto dalla sua efferata commissione, valutata come «manifestazione di una natura violenta ed incline all'uso delle armi»).

Cass. pen. n. 6613/1996

Ai fini dell'emissione di una misura cautelare o del ripristino della stessa a seguito di impugnazione del P.M. avverso la revoca, il tribunale deve valutare la rilevanza dell'intervenuto ritiro dalla attività politica dell'indagato quando essa era strettamente connessa con le condotte delittuose contestate, così come deve valutare, al fine di esprimere un giudizio prognostico sulla possibile reiterazione delle condotte criminose, le modificazioni intervenute negli assetti politici e nelle cariche amministrative e la possibilità attuale che l'indagato possa esercitare su di esse la propria influenza. Quando inoltre l'avvenuto abbandono dell'attività politica sia, per la notorietà del personaggio, conosciuta dalla generalità degli appartenenti alla collettività nella quale questi è inserito, non vi è uno specifico onere di prova da parte dell'imputato ed il giudice può valutarlo alla stregua di un fatto notorio.

Cass. pen. n. 4829/1996

In tema di misure cautelari personali, le tre esigenze cautelari relative al pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga e di reiterazione del reato, non devono necessariamente concorrere, bastando anche l'esistenza di una sola di esse per fondare la misura. Ne consegue che, ove sussistessero elementi positivi per escludere la presunzione di esigenza cautelare nell'ipotesi di cui all'art. 275 comma 3 c.p.p. - a seguito della modifica apportata dall'art. 5 L. 8 agosto 1995 n. 332 - relativamente anche a due delle esigenze indicate dall'art. 274 c.p.p., ma non a tutte e tre le esigenze stesse, ugualmente legittima sarebbe l'applicazione o la conservazione della misura cautelare in carcere. Ciò in quanto il principio fissato dall'art. 275 comma 3 c.p.p., attiene all'aspetto probatorio delle esigenze cautelari, ma non ne modifica la caratteristica dell'alternatività delle stesse.

Cass. pen. n. 4875/1996

In tema di misure coercitive il giudice, al fine di valutare la sussitenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p., deve tener conto sia delle caratteristiche oggettive e soggettive del fatto-reato, cioè della condotta criminosa e delle conseguenze che ne sono derivate, sia della personalità dell'agente, quale risulta da elementi, che il nuovo testo della disposizione in esame individua nei precedenti penali o in comportamenti concreti sintomatici della pericolosità, i quali facciano emergere l'attitudine di questi alla commissione in futuro di azioni criminose. Stante l'esigenza normativa di una valutazione globale della gravità del reato e della personalità di chi ne è accusato, il giudice deve pertanto effettuare una specifica e distinta valutazione di entrambi i criteri direttivi indicati dalla legge, senza potersi limitare all'apprezzamento dell'uno o dell'altro elemento e, di conseguenza, senza poter porre a base della valutazione della personalità dell'indagato le stesse modalità e circostanze del fatto dalle quali ha desunto la gravità del reato.

Cass. pen. n. 2538/1996

La legge n. 332/1995 è di immediata applicazione, poiché contiene una normativa di carattere processuale. Si impone pertanto l'annullamento con rinvio per nuovo esame dell'ordinanza di merito allorché la contestata sussistenza delle esigenze cautelari non risulti congruamente motivata alla luce della sopravvenuta novella legislativa.

Cass. pen. n. 3974/1995

La motivazione in ordine alla pericolosità sociale ed alla necessità della misura della custodia cautelare in carcere non può accomunare in una valutazione cumulativa, con riguardo alla gravità della vicenda, la posizione di più indagati per il medesimo reato di associazione per delinquere, senza valutare separatamente le situazioni individuali; valutazione specifica non esclusa dalla natura associativa del contestato delitto in quanto nell'ambito di un unico sodalizio la pericolosità di ciascun associato può assumere una diversa graduazione.

Cass. pen. n. 2475/1995

Non può farsi ricorso alla custodia cautelare (neppure sotto la forma degli arresti domiciliari) per l'acquisizione di una prova documentale ex art. 274, lettera a), c.p.p., quando il documento sia rinvenibile indipendentemente dalla condotta ostruzionistica dell'indagato, poiché in tal caso le esigenze attinenti alle indagini non sono inderogabili, sicché prevale il principio del favor libertatis. (Fattispecie in tema di falso ideologico in atto pubblico e truffa aggravata, riguardante la tabella di adeguamento del costo dei lavori di ricostruzione in un comune danneggiato dal sisma, agevolmente rinvenibile presso il Ministero per i lavori pubblici.

Cass. pen. n. 4495/1995

Qualora sia oggetto del procedimento incidentale di impugnazione un provvedimento sulla libertà personale (nella specie, ordinanza del tribunale del riesame ripristinatoria della custodia in carcere in sostituzione degli arresti domiciliari) emesso prima dell'entrata in vigore della L. 8 agosto 1995, n. 332 e conforme alla normativa al tempo vigente, l'applicazione delle disposizioni sopravvenute può attuarsi in sede di legittimità esclusivamente con la constatazione della «non rispondenza» del provvedimento impugnato ai requisiti normativi attualmente in vigore, che sono di immediata operatività, con la conseguenza che il provvedimento medesimo, originariamente valido e non affetto da nullità, deve essere annullato per «non conformità alla legge» (situazione, in concreto, del tutto assimilabile alla «violazione di legge» intesa in senso ampio), con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame sulla sussistenza delle esigenze cautelari in riferimento alle nuove disposizioni.

Cass. pen. n. 1963/1995

In tema di valutazione del concreto pericolo di fuga, lo stato di latitanza può essere legittimamente assunto come sintomo indubbio di una propensione ostruzionistica dell'imputato a sottrarsi al processo e alla eventuale esecuzione della pena e non è contraddetta da una generica disponibilità a presentarsi per un interrogatorio spontaneo rappresentata all'autorità giudiziaria tramite il difensore, mentre la prognosi della irrogazione di una pena superiore a due anni di reclusione può ritenersi implicitamente formulata quando la pena edittale superi congruamente tale limite e il giudice, nell'emettere o nel confermare la misura, non faccia riferimento alla pena prevedibilmente comminabile. Comunque ogni eccezione relativa alla omissione o al contenuto del giudizio prognostico deve essere sollevata tempestivamente avanti al giudice di merito e non può esserlo per la prima volta avanti al giudice di legittimità.

Cass. pen. n. 3109/1995

In tema di esigenze cautelari ed in particolare di tutela della collettività appare sempre più esplicita, nel testo dell'art. 274 lett. c) quale modificato dalla L. 8 agosto 1995 n. 332, la necessaria valutazione della personalità dell'indagato, riferita ad un parametro ispirato a criteri di concretezza, attualità e specificità a fondamento di una prognosi rigorosa di pericolosità (come sembra rilevare anche l'uso della locuzione «sussiste concreto pericolo» in luogo di quella dotata di minore incisività «vi è il concreto pericolo»).

La nuova disciplina introdotta dalla L. 8 agosto 1995 n. 332 in materia di misure cautelari, per quanto concerne l'esigenza cautelare di tutela della collettività e cioè di prognosi di reiterazione di reati della stessa specie, se non rinuncia ad una parametrazione incentrata nei reati offensivi della stessa categoria di interessi o valori (e non già di delitti che violano la stessa disposizione di legge ovvero che presentano caratteri fondamentali comuni rispetto a quelli commessi in precedenza), limita l'applicabilità della custodia cautelare in carcere alla prognosi di commissione di «delitti per i quali è prevista la pena di reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni». Dal che consegue la necessaria integrazione del giudizio prognostico con l'indicazione nell'ordinanza cautelare del tipo di delitti, sempreché offensivi della stessa categoria di valori, dei quali viene prevista la reiterazione: indicazione che deve trovare la premessa logico-argomentativa negli elementi di fatto posti a fondamento dei motivi che giustificano l'ipotizzabilità delle esigenze stesse di cui all'art. 274 lett. c) c.p.p.

Cass. pen. n. 2923/1995

In tema di applicazione di misure cautelari personali, è carente e manifestamente illogica la motivazione circa la sussistenza delle esigenze di cui all'art. 274 c.p.p. che si limiti a mere formule di stile, senza indicare, con specifico riferimento al fatto contestato ed alla personalità dell'indagato, gli elementi concreti che imponevano l'adozione del provvedimento restrittivo.

Cass. pen. n. 2809/1995

In tema di pericolo di fuga di cui all'art. 274 lett. b) c.p.p. il ricorso alla prova logica diviene decisivo quando ci si trovi in presenza di comportamenti che, sempre comunque richiesti dalla legge, e valutati congiuntamente con l'ausilio di massime di esperienza, facciano, secondo l'id quod plerumque accidit, ragionevolmente ritenere la sussistenza del pericolo che l'indagato sta per far perdere le sue tracce. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che il prelievo e l'occultamento di denaro da parte di un indagato di cui sia certa la condanna, prestandosi ad una serie alternativa di significazioni, non possa costituire presupposto di un giudizio prognostico positivo di fuga del predetto).

Cass. pen. n. 2796/1995

In tema di misure cautelari personali, il giudizio prognostico di compromissione degli interessi della collettività, riferito al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie (art. 274, lett. c, c.p.p.), dev'essere ancorato alla probabilità di commissione di reati lesivi della stessa categoria di interessi e valori, e non già di delitti che violino la stessa disposizione di legge o che presentino connotazioni di similarità assoluta rispetto al reato per cui si procede. (Fattispecie di corruzione propria, nella quale la S.C. ha ritenuto corretto l'argomentare del tribunale, secondo cui la sospensione dal servizio dell'indagato, ufficiale della Guardia di finanza, poteva privarlo della possibilità di commettere reati quale «intraneo», ossia titolare dell'ufficio, ma non valeva a scongiurare il pericolo che egli si aggregasse quale «estraneo» a pratiche corruttive nel settore tributario e che assumesse iniziative illecite in relazione a reati contro il patrimonio).

Cass. pen. n. 3420/1995

Il pericolo di fuga di cui all'art. 274, lett. b), c.p.p. non può essere desunto da mere presunzioni, ma deve essere ancorato a concreti elementi dai quali sia logicamente possibile dedurre la reale ed effettiva preparazione della fuga. Non è sufficiente pertanto ad integrare l'esigenza cautelare suddetta la circostanza che l'indagato, straniero, sia stato colto in possesso di un'auto rubata e di documenti falsi e che risultino i suoi perduranti contatti con l'estero, a meno di non ritenere, erroneamente, che per qualsiasi straniero, in possesso di documenti di identificazione contraffatti, sussista l'esigenza cautelare de qua.

Cass. pen. n. 4310/1995

In tema di misure cautelari il giudice, nel sottoporre ad analisi il complesso degli elementi presenti in atti al fine di formulare la prognosi di pericolosità sociale a tutela dell'esigenza di cui alla lett. c) dell'art. 274 c.p.p. — esigenza, tra quelle previste dal citato articolo, meno allineata ai postulati garantistici fondanti la Costituzione repubblicana —, deve porre particolare attenzione ai dati riguardanti i precedenti penali del soggetto, stante l'alta significanza, a tale fine, della recidiva nel reato, e al tempo trascorso tra l'epoca di commissione del fatto o dei fatti in addebito e il momento di formulazione del giudizio di prognosi, specie quando gli atti non consentano di evidenziare, per tutto l'intervallo, rilievo negativo. Ne segue che, quando siffatto giudizio riguardi persona incensurata che abbia posto in essere la condotta ad essa addebitata, in epoca remota (nel caso di specie otto anni avanti), l'analisi in questione non può limitarsi alla semplice ipotizzazione di ricaduta ma deve fondarsi su elementi concreti che rendano altamente probabile, cioè quasi certa, presentandone l'occasione, la ricaduta nel reato.

Cass. pen. n. 2531/1995

In tema di misure cautelari personali, l'esigenza del «concreto» pericolo di commissione di delitti della stessa specie non può essere intesa nel senso di una realizzazione delittuosa in itinere. Si tratta, infatti, di un giudizio prognostico, nel quale la concretezza va, pur sempre, desunta coerentemente da fatti già accaduti e quindi appartenenti al passato. L'espressione «pericolo» indica poi una proiezione verso il futuro ed implica in modo indispensabile un apprezzamento di merito, che, se congruamente argomentato, è immune da vizi censurabili in sede di legittimità. La valutazione va compiuta tenendo presenti gli elementi di giudizio disponibili per considerare seriamente e realmente attendibile la reiterazione di una condotta criminosa che si intende evitare.

Cass. pen. n. 1453/1995

Il preesistente stato di detenzione cautelare od esecutivo di un soggetto sottoposto ad indagini, non è di per sè impeditivo, sotto il profilo delle esigenze cautelari, dell'emissione di un nuovo titolo cautelare; siffatto stato infatti può avere fine per cause non sottoposte al controllo del giudice investito della richiesta di applicazione della misura.

Cass. pen. n. 1460/1995

In tema di misure cautelari personali, il pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, richiesto dall'art. 274, lettera a), c.p.p., per l'applicazione delle stesse, deve essere concreto e va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell'id quod plerumque accidit, che l'indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. Per evitare che il requisito richiesto del «concreto pericolo» perda il suo significato e si trasformi in semplice clausola di stile, è necessario che il giudice indichi, con riferimento all'indagato, le specifiche circostanze di fatto dalle quali esso è desunto e fornisca sul punto adeguata e logica motivazione.

Cass. pen. n. 2179/1995

In tema di misure cautelari personali, il pericolo di inquinamento delle prove (art. 274, comma 1, lettera a, c.p.p.) va verificato in relazione alle indagini concernenti la posizione dell'indagato mantenuto in stato di coercizione della libertà personale, non già in relazione alla necessità di scoprire eventuali altri reati ed eventuali altri colpevoli, con sacrificio della libertà del concorrente già privato della libertà.

Cass. pen. n. 1619/1995

Ai fini della formulazione della prognosi richiesta dai paragrafi b) o c) dell'art. 274 c.p.p., il giudice di merito ha l'obbligo di indicare le ragioni per le quali ritiene sussistente o persistente la probabilità che la liberazione della persona sottoposta a misura cautelare restrittiva possa mettere a repentaglio gli interessi tutelati dalla norma, senza che, peraltro, sia necessario che egli si indugi nell'analisi di tutte le circostanze del caso concreto, essendo sufficiente che menzioni quelle ragionevolmente ritenute, per la loro rilevanza e pregnanza, di per sè idonee a giustificare un giudizio di pericolosità e, come tali, soverchianti le eventuali altre di segno contrario.

Cass. pen. n. 1634/1995

In tema di esigenze cautelari, necessarie per l'emissione di una misura cautelare personale, ed in particolare per quanto concerne il pericolo di inquinamento delle prove deve ritenersi che le acquisizioni probatorie possono riguardare non soltanto la persona dell'indagato sottoposta alla misura, ma anche altri indagati o addirittura persone non ancora identificate ed in relazione alle quali è concreto il pericolo di cui sopra.

Cass. pen. n. 719/1995

Il preesistente stato di detenzione dell'imputato, a titolo tanto di espiazione quanto di custodia cautelare, non impedisce, sotto il profilo delle esigenze cautelari, l'emissione di un nuovo provvedimento custodiale, atteso che la valutazione delle dette esigenze non può essere legata ad uno stato come quello dianzi ipotizzato, sul quale il giudice procedente non può in alcun modo influire.

Cass. pen. n. 4162/1995

In materia di misure cautelari personali, non può assegnarsi, ai fini dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. a), allo stato di latitanza dell'indagato, valore di motivo di aggravamento della detta esigenza quoad tempus, stravolgendosi, altrimenti, i presupposti dello status captivitatis, con l'attribuire, inoltre, alle finalità cautelari una funzione in conflitto insanabile con quella propria di esse. (Fattispecie in cui la Corte ha respinto il ricorso del P.M. il quale aveva dedotto che lo status di latitanza dell'indagato aveva aggravato le esigenze cautelari, così da non consentire la riduzione della durata della misura disposta).

Cass. pen. n. 426/1995

In materia di misure cautelari personali, ai fini indicati dall'art. 274, lettera b), c.p.p., integra la fuga, il trasferimento, o la permanenza in un paese estero quando tale condotta appaia sicuramente diretta a sottrarsi al concreto esercizio della giurisdizione italiana, se considerata nelle sue concrete modalità. (La Corte, nella specie, ha rimarcato il particolare valore significativo di ripetute manifestazioni di sfiducia da parte dell'indagato nei confronti dell'autorità giudiziaria italiana; il trasferimento in un Paese estero in cui l'Italia non è in grado di far giungere la propria giurisdizione penale; e, infine, il rifiuto di rientrare in patria accampando giustificazioni che il giudice di merito ha insindacabilmente ritenuto pretestuose).

Cass. pen. n. 69/1995

In materia di misure cautelari personali, le esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. hanno alla base una situazione di pericolo che deve essere concreto, cioè caratterizzarsi secondo effettività ed attualità. In altri termini, si deve trattare di prognosi di probabile accadimento della situazione di paventata compromissione di quelle esigenze di giustizia che la misura cautelare è diretta a salvaguardare. In particolare, per quanto riguarda l'ipotesi di cui alla lett. a) dell'art. 274, il «concreto pericolo» di inquinamento delle prove postula la sussistenza di inderogabili esigenze attinenti alle indagini. La predetta pericolosità non può desumersi apoditticamente dal ruolo che l'indagato riveste in un'organizzazione pubblica, o da condotte devianti per le indagini di non identificata provenienza.

Cass. pen. n. 4067/1995

Nei casi in cui, ai sensi dell'art. 275, comma 2 bis, c.p.p., non sia applicabile la custodia cautelare in carcere, non può essere disposta, ex art. 274, lett. b), c.p.p., nessun'altra misura coercitiva. Ed infatti, il divieto di ordinare la custodia in carcere se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, e perciò possa essere irrogata una pena non superiore ai due anni di reclusione, stabilito dall'art. 275, comma 2 bis, c.p.p. va coordinato con l'art. 274, lett. b), c.p.p. che, nell'ipotesi di fuga o di pericolo di fuga, espressamente vieta tutte le misure cautelari, se il giudice reputi che possa essere inflitta una pena non superiore ai due anni di reclusione. Pertanto, nessuna misura coercitiva può essere applicata per le esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. b), c.p.p. se il giudice del riesame, ritenendo il fatto di modesta entità, revochi, ai sensi dell'art. 275, comma 2 bis, c.p.p., la custodia in carcere.

Cass. pen. n. 4177/1995

Poiché va riconosciuto all'indagato il diritto di scegliere liberamente la propria linea difensiva, anche avvalendosi della facoltà di non rispondere e di non «collaborare» con l'autorità giudiziaria, una siffatta condotta può acquistare solo significato sintomatizzante nell'ambito del quadro di preciso riferimento normativo di cui all'art. 274, lett. a), c.p.p. per quanto concernente la sussistenza del pericolo di inquinamento delle prove.

Cass. pen. n. 19/1994

Le esigenze cautelari tutelate dall'art. 274, lett. a) c.p.p. non riguardano soltanto quelle investigative in senso stretto, ma concernono anche l'acquisizione della prova e la conservazione della sua genuinità. Pertanto, ai fini della necessità di prevenire, con la misura della custodia in carcere, il persistente e concreto pericolo di inquinamento probatorio, a nulla rileva la circostanza che le indagini preliminari si siano concluse.

Cass. pen. n. 4349/1994

È legittimo il provvedimento che esclude la sussistenza di esigenze cautelari, revocando di conseguenza il mandato di cattura, sul duplice rilievo dell'impossibilità, per gli imputati di inquinare le prove — già tutte acquisite — e dell'assenza del pericolo di reiterazione criminosa, essendo trascorsi oltre dieci anni dall'ultimo fatto criminoso, senza che gli imputati ne avessero commessi altri. (Fattispecie in tema di associazione per delinquere semplice e di stampo mafioso, in ordine alla quale è stata ritenuta correttamente motivata l'ordinanza con cui si è superata la presunzione di pericolosità prevista dalla legge).

Cass. pen. n. 3683/1994

In tema di esigenze cautelari previste dall'art. 274 lett. c) c.p.p., quando il reato per cui si procede sia stato commesso mediante abuso di cariche o uffici pubblici di cui l'indagato non sia più investito, il giudice, nel valutare la sussistenza o meno di dette esigenze, non può supinamente adagiarsi nella considerazione, disancorata da qualsivoglia dato fattuale, dell'esistenza di un generico pericolo di recidivanza ma, postulandosi, in base alla norma, la necessità di un pericolo «concreto», con esclusione, quindi, della possibilità di ricorrere a presunzioni o congetture, è tenuto a indicare, sia pure sommariamente, le circostanze specifiche che, in quanto eziologicamente collegate con la probabilità di reiterazione di condotte illecite, lo convincono dell'ineluttabilità del ricorso ad una misura compressiva della libertà personale.

Cass. pen. n. 1808/1994

In tema di misure cautelari, il pericolo di inquinamento della prova, che l'indagato sottoposto alla misura può compiere, è rilevante, ai fini dell'art. 274, lett. a) c.p.p., solo se investe l'attività criminosa posta in essere da lui e non se investe quella di eventuali altri concorrenti.

Cass. pen. n. 1154/1994

In materia di misure cautelari personali, l'indagine che il giudice di merito (quello che ha applicato la misura, ed il tribunale del riesame) è tenuto a compiere - che deve necessariamente riflettersi nella motivazione, per formulare il giudizio prognostico in ordine alla pericolosità sociale dell'indagato a norma dell'art. 274 lett. c) c.p.p. - deve tener conto degli elementi enunciati nell'art. 133 c.p. concernenti la gravità del fatto, e la capacità a delinquere. Da tali elementi, a carattere oggettivo, detto giudice deve giungere, con motivazione adeguata e congrua, esente da vizi logici ed errori di diritto, alla formulazione della prognosi di pericolosità sociale dell'indagato o imputato a salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella dichiarazione di una concreta probabilità che egli commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale, ovvero delitti di criminalità organizzata, o della stessa specie di quello per cui si procede, qualora il soggetto sia lasciato o restituito in libertà.

In tema di esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c) c.p.p. - ai fini dell'applicabilità delle misure cautelari personali - per quel che concerne i «gravi delitti», l'aggettivazione «grave» - a riguardo, quanto meno sotto il profilo sintattico, dei delitti con uso di armi o altri mezzi di violenza personale - è da riferire a tutte le categorie di reati enumerate nella disposizione e, quindi, anche a quelli di attentato all'ordine (rectius: ordinamento) costituzionale, di criminalità organizzata e, infine, della stessa specie «di quello per cui si procede». Infatti nella carenza di un parametro legislativo, «gravi delitti» devono ritenersi quelle fattispecie penali in relazione alla commissione delle quali è consentita (a parte la verifica di ogni altro requisito) l'applicazione della massima misura di cautela personale limitativa della libertà ex art. 280 del codice di rito.

Cass. pen. n. 427/1994

Lo stato di detenzione per altra causa del destinatario di una misura coercitiva custodiale non è di per sé in contrasto con la configurabilità di esigenze cautelari, presupposto per l'emissione del provvedimento, e ciò per molteplici benefici che l'ordinamento prevede per l'attenuazione del regime carcerario ed il riacquisto anticipato della libertà personale.

Cass. pen. n. 3415/1994

In tema di misure cautelari personali, la formula di cui all'art. 274 lett. a) c.p.p. (inderogabili esigenze attinenti alle indagini) non deve essere intesa nel senso che, una volta acquisito il riscontro certo di una rilevante prova di accusa, cessa il riferimento ad ogni pericolo per l'acquisizione della genuinità della prova, ma deve essere interpretata come esigenza assoluta di evitare i rischi attinenti alla completa e corretta salvaguardia del potenziale probatorio, che le indagini possono fornire, onde la tutela da parte del legislatore dell'insieme delle potenzialità probatorie contro il rischio di interventi, da parte dell'indagato, soppressivi di fonti probatorie reali già esistenti o impeditivi nei confronti di persone che sono fonti di prove, il tutto con particolare riguardo alle imputazioni dell'indagato medesimo e ai riflessi che su di essa possono proiettare fatti di terzi, dato che la prova è quella riferita a tutta l'imputazione, compresi i fatti relativi alla punibilità e alla determinazione della pena.

Cass. pen. n. 5636/1994

In tema di misure cautelari, ai fini della sussistenza dell'esigenza cautelare di cui alla lettera c) dell'art. 274 c.p.p., i reati della stessa specie, che l'indagato si presume possa commettere con rilevante probabilità una volta che abbia riacquistato lo status libertatis, non si identificano in modo assoluto con quelli per i quali vi è procedimento essendo sufficiente che essi presentino, tra loro, carattere di omogeneità. Ne consegue che, allorché il giudice di merito abbia rilevato che, per le modalità, e le qualità dei fatti, il soggetto abbia mostrato di avere una inclinazione a ricadere nell'illecito penale della stessa specie di quello per cui è indagato, non ha necessità di dimostrare anche che la probabilità di reiterazione nell'illecito riguarda fatti suscettibili di avere la stessa qualificazione giuridica di quelli per cui si conducono le indagini.

Cass. pen. n. 4231/1994

In tema di esigenze cautelari, l'interpretazione dell'espressione «concreto pericolo che ... commetta ... delitti della stessa specie di quello per cui si procede», contenuta nell'art. 274, lettera c) c.p.p., non dev'essere ristretta nell'ambito di un concetto di similarità assoluta, in quanto essa intende esprimere piuttosto l'analogia degli elementi strutturali della fattispecie da considerare di volta in volta. (Fattispecie in tema di bancarotta per dissipazione, nella quale la Suprema Corte ha censurato il giudizio prognostico sfavorevole, formulato dal giudice del riesame, secondo il quale l'indagato denotava attitudine a commettere «violazioni delle norme penali poste a tutela del corretto svolgimento dell'attività finanziaria», sia perché generico, sia perché inappropriato al parametro del reato in questione).

Cass. pen. n. 2667/1993

In materia di misure cautelari personali non vale ad escludere l'esistenza delle esigenze di cui all'art. 274, lettera a), c.p.p. la prospettata utilizzazione dell'incidente probatorio, quale strumento in grado di precludere ogni possibilità di inquinamento delle fonti di prova orale perché, comunque, l'espletamento della procedura di acquisizione anticipata della prova presuppone la presenza delle condizioni indicate nell'art. 392, primo comma, lettera b), c.p.p., che non coincidono certo con le condizioni indicate dall'art. 274, lettera a) dello stesso codice, riguardanti, in via generale, esigenze attinenti alle indagini, in relazione a situazioni di concreto pericolo per l'acquisizione e la genuinità della prova. Una gamma generica di evenienze che non coincide con l'esigenza alla base dell'istituto dell'incidente probatorio.

Cass. pen. n. 3283/1993

In materia di misure cautelari personali, il giudice per le indagini preliminari, purché nella sua valutazione non esorbiti dai fatti che gli sono stati rappresentati dal pubblico ministero, può cogliere in questi esigenze cautelari diverse da quelle per le quali gli è stata richiesta l'adozione della misura e motivare, di conseguenza, il provvedimento cautelare in modo parzialmente difforme dalla richiesta del pubblico ministero. (Nella fattispecie, la corte ha ritenuto legittimo il provvedimento custodiale adottato dal giudice per le indagini preliminari motivato con riferimento al pericolo di reiterazione del reato, laddove la richiesta del pubblico ministero era fondata sul pericolo di inquinamento della prova).

Cass. pen. n. 4153/1993

L'inderogabilità delle esigenze attinenti alle indagini e la concretezza del pericolo per l'acquisizione e la genuinità della prova, richieste ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. a), c.p.p. non possono essere affermate sulla sola base della asserita lunghezza e complessità delle indagini, dovendosi invece spiegare quali elementi specifici, e per quali ragioni, debbano essere necessariamente acquisiti e quali siano, altresì, i pericoli concreti per la loro acquisizione e la loro genuinità, cui la misura cautelare è destinata a far fronte; e ciò tenendo anche presente che la «concretezza» del pericolo postula non soltanto il richiamo ad una situazione effettiva, e non semplicemente astratta, ma anche il riferimento ad una situazione controllabile sulla base degli atti del procedimento.

Cass. pen. n. 2229/1993

In tema di ripristino della custodia cautelare ex art. 307, secondo comma, lett. b) c.p.p., lo stato di detenzione attuale dell'imputato, anche in esecuzione di pena, non può condizionare di per sè la possibilità di riconoscere la sussistenza dell'esigenza cautelare relativa al «concreto pericolo» di fuga prevista dall'art. 274 primo comma lett. b) c.p.p., richiamato dalla suddetta norma. (Fattispecie in cui il ricorrente sosteneva che il suo stato di detenuto in espiazione di pena rendeva inattuale la prospettiva del pericolo di fuga; la Cassazione ha rigettato il ricorso sulla scorta del principio di cui in massima e sul rilievo che l'assunto del ricorrente era comunque smentito dal fatto che egli si era già reso responsabile di una evasione).

Cass. pen. n. 1791/1993

In tema di esigenze cautelari necessarie per la emissione delle misure coercitive della libertà, l'esame della personalità dell'imputato non deve essere riferita soltanto ai precedenti, desumibili dal certificato penale, bensì anche ad altri elementi (nella specie un «carico pendente») atti a determinare un apprezzamento, parimenti utile, al fine di ritenere la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, alla luce di tutte le modalità del fatto concreto.

Cass. pen. n. 2411/1993

In tema di esigenze cautelari, il pericolo di fuga di cui all'art. 274, lettera b) c.p.p. ricorre quando sia ravvisabile la ragionevole probabilità che l'imputato o l'indagato si sottragga agli esiti dell'esercizio della potestà di giustizia. Il concreto pericolo di fuga va, quindi, apprezzato in termini di probabilità ovvero di prevedibilità da desumere, con giudizio logico improntato a ragionevolezza, da elementi certi di carattere oggettivo o soggettivo attinenti alla personalità dell'imputato e non da mere presunzioni. E poiché il giudizio di probabilità consiste in un'operazione logica di natura presuntiva, la prevedibilità non può essere desunta da ulteriori presunzioni, le quali ne infirmerebbero la concretezza. (Nella fattispecie la corte ha annullato il provvedimento del giudice del riesame che aveva desunto il pericolo di fuga da due mere presunzioni concernenti rispettivamente una eventuale condanna del ricorrente a pena «non sospendibile» e la disponibilità di una parte del provento del delitto di tale consistenza da consentire la programmazione della latitanza).

Cass. pen. n. 1486/1993

L'esigenza cautelare di cui all'art. 274, primo comma, lettera c) c.p.p. postula un giudizio prognostico, basato su un criterio di probabilità e di attualità di reiterazione di «gravi» delitti «della stessa specie». La detta norma, invero nel definire una prognosi di pericolosità dell'indagato simmetrica al periculum in mora civilistico, accoglie l'esigenza di prevenzione speciale da riconnettersi al concreto pericolo di reiterazione di gravi delitti con caratteristiche tali di compromissione della difesa sociale da legittimare la restrizione della libertà personale, ed al riguardo il legislatore ha prescelto il riferimento ai delitti in violazione della stessa categoria di interessi tutelati ovvero dei corrispondenti valori aventi rilievo costituzionale rappresentanti il pericolo di un sacrificio incisivo e talvolta irreversibile dell'interesse tutelato. In proposito, per definire la nozione di delitti della stessa specie, si deve avere riguardo alla categoria dei delitti «simili», ossia di quelli che offendono interessi aventi lo stesso rilievo ovvero lo stesso valore costituzionale. Pertanto, è in relazione alla natura dell'interesse offeso dalla condotta criminosa e all'apprezzamento della gravità della fattispecie operata dal legislatore con la previsione della pena edittale che il giudice deve compiere la valutazione di gravità. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto che il delitto di violazione di sigilli commesso dal custode è gravemente offensivo dell'interesse tutelato, costituito dal legale, efficiente ed efficace funzionamento della pubblica amministrazione).

Cass. pen. n. 1474/1993

In tema di esigenze cautelari, la prognosi idonea a fondare il giudizio di probabilità della commissione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede, risulta correttamente formulata dando rilievo alla particolare significazione di dati sintomatici di natura oggettiva desunti dalle modalità e circostanze del fatto, ampiamente condizionate, data la loro sistematicità, dall'ambiente socio-economico che ha agevolato la reiterazione dei contegni addebitati.

Cass. pen. n. 1703/1993

In tema di misure cautelari personali, per accertare la sussistenza delle esigenze di prevenzione, il giudizio prognostico, richiesto dall'art. 274 lett. c) c.p.p., su elementi specifici, dai quali sia logicamente possibile dedurre, secondo la regola dell'id quod plerumque accidit, il concreto pericolo di reiterazione dell'attività criminosa. In particolare il giudice deve avere riguardo sia alle modalità e circostanze del fatto, sia alla personalità dell'indagato, enucleando dalla condotta complessiva di tale soggetto e da tutti gli altri parametri enunciati dall'art. 133 c.p. - che assumano rilevanza nel caso specifico - gli elementi concreti di valutazione da porre a fondamento dell'ordinanza che dispone la misura. Da tali elementi di carattere oggettivo egli deve pervenire - con motivazione congrua ed esente da vizi logici - alla formulazione di una prognosi di pericolosità del soggetto, in funzione della salvaguardia della collettività e che deve tradursi nella dichiarazione di una concreta probabilità che il medesimo commetta uno dei delitti indicati dal ricordato art. 274 lett. c) c.p.p.

Cass. pen. n. 9/1993

La mancata esecuzione del fermo disposto dal pubblico ministero per essersi l'indiziato dato alla fuga comporta la immediata e definitiva caducazione del relativo decreto, essendo venuta a mancare in ordine ad esso la condizione tipica (ossia il pericolo di fuga) richiesta dalla legge per la sua adozione. Ne consegue che il decreto di fermo rimasto ineseguito si sottrae sia alla procedura di convalida che a qualsiasi forma di impugnazione. (La Cassazione ha altresì evidenziato che nell'ipotesi in questione il pubblico ministero potrà sempre richiedere al giudice, a salvaguardia delle più pressanti esigenze del processo, l'adozione di una misura coercitiva ai sensi dell'art. 274 c.p.p., che alla lett. b, del comma primo considera, tra le esigenze cautelari, proprio la circostanza che l'imputato si sia dato alla fuga).

Cass. pen. n. 1034/1993

In tema di misura cautelare personale, la concretezza del pericolo della commissione di gravi delitti o di reati della stessa specie di quello per cui si procede, non può essere valutata con riferimento esclusivo ad un «pericolo» già verificatosi, ma va apprezzata in relazione allo specifico caso in esame, tenendo presente gli elementi di giudizio disponibili per considerare seriamente e realmente attendibile la reiterazione di una condotta criminosa, che si intende evitare.

Cass. pen. n. 1470/1993

In materia di misure cautelari coercitive, il requisito della «concretezza», richiamato dall'art. 274, comma primo lett. b), c.p.p. a proposito del pericolo di fuga, non si identifica nella «attualità» di questo — derivante dall'esistenza di occasioni prossime favorevoli alla fuga — ma in fatti e circostanze non meramente congetturali sulla base dei quali debba ragionevolmente temersi che l'indagato si dia alla fuga. In conseguenza, tale pericolo deve essere considerato sussistente tutte le volte che, sulla scorta di elementi oggettivi, desumibili anche dalla natura ed entità degli addebiti, possa ravvisarsi la ragionevole probabilità — quindi non la mera possibilità, né la incertezza — che l'indagato, lasciato libero, faccia perdere le sue tracce. I requisiti della fondatezza e della concretezza non implicano che esso sia particolarmente intenso e, cioè, che sussista un elevato grado di probabilità di fuga, bensì richiedono che lo stesso non sia immaginario e venga dedotto da circostanze che ragionevolmente lo lascino prevedere. (Nella fattispecie in esame il concreto pericolo di fuga era stato desunto dalla circostanza che il ricorrente era indagato per un reato punibile con la pena dell'ergastolo).

Cass. pen. n. 182/1993

Se le esigenze di cui all'art. 274 c.p.p. identificano i criteri prognostici di pericolosità dell'indagato, tale da consigliare il vincolo de libertate, il pericolo richiesto dalla norma citata, con riguardo a tutte le ipotesi comprese nella norma stessa, deve essere concreto, cioè caratterizzarsi secondo effettività ed attualità. In altri termini, si deve trattare di prognosi di probabile accadimento della situazione di paventata compromissione di quelle esigenze di giustizia che la misura cautelare è diretta a salvaguardare. In particolare, per quanto riguarda l'ipotesi di cui alla lett. a) dell'art. 274, il «concreto pericolo» di inquinamento delle prove postula la sussistenza di inderogabili esigenze attinenti alle indagini. (Nella fattispecie è stato ritenuto che siffatto parametro non era integrato dalla possibilità che l'indagato potesse avere rapporti con quanti avevano fatto dichiarazioni a lui sfavorevoli, o con altre imprecisate persone, trattandosi di eventualità del tutto generica, né era sufficiente invocare in modo parimenti generico la contiguità dell'indagato con imprecisati «ambienti» amministrativi, soprattutto quando il lungo tempo trascorso dal fatto e dall'incarico ricoperto nell'ufficio pubblico, in forza del quale sarebbe stato commesso, attenuava o elideva la eventuale efficacia della pretesa contiguità o influenza).

Cass. pen. n. 201/1993

In materia di esigenze cautelari, mentre appartiene al legittimo esercizio della strategia difensiva la facoltà di negare taluno o tutti gli addebiti che vengono mossi, è corretto e congruo, in tema di giudizio incidentale de libertate, il riferimento da parte del giudice a tale situazione per dare ragione dell'attualità del pericolo di attentato all'acquisizione di fonti di prova.

Cass. pen. n. 1661/1992

Al fine di determinare l'esistenza del concreto pericolo che l'indagato si dia alla fuga, il giudice deve esprimere una valutazione che, coinvolgendo l'intera personalità del prevenuto, consenta di valutare, con giudizio prognostico fondato su concreti elementi riferiti ad ogni aspetto della sua personalità, i possibili pericoli di reiterazione di fatti criminosi o la sottrazione a probabili provvedimenti di cattura. (Nella specie, la Suprema Corte ha annullato il provvedimento del giudice di merito che aveva ritenuto di scindere la personalità dell'imputato a seconda dei reati e dei procedimenti penali cui era stato sottoposto ed ha definito tale conclusione frutto di un'inammissibile concezione della personalità umana che deve essere giudicata e valutata nel suo insieme per le caratteristiche positive e negative che nel complesso essa esprime con la sua condotta).

Cass. pen. n. 3128/1992

In materia di misure cautelari personali, l'art. 274 c.p.p. — nel definire i criteri di una prognosi di pericolosità dell'indagato simmetrica al periculum in mora civilistico — accoglie nella norma della lett. c) l'esigenza di prevenzione speciale da riconnettersi al concreto pericolo della reiterazione di gravi delitti «con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede». Poiché il giudizio prognostico è basato su elementi obiettivi («specifiche modalità e circostanze del fatto») e sulla «personalità dell'imputato» (da valutare nel complesso dei suoi elementi utili per l'analisi prognostica), quanto al pericolo della commissione di reati della stessa specie, mentre il pericolo deve essere concreto cioè realistico ed effettivo, il delitto prospettabile come risultante del giudizio prognostico deve imporsi con caratteristiche tali di compromissione della difesa sociale da legittimare la restrizione della libertà. Dovendosi assumere come delitti della stessa specie fattispecie lesive della stessa categoria di interessi ovvero di valori aventi rilievo costituzionale, e non già come delitti che violino la stessa disposizione di legge, ovvero che presentano caratteri fondamentali comuni rispetto a quello commesso in precedenza (secondo la nozione offerta dall'art. 101 c.p. per definire i reati della stessa indole, che incentrandosi su una valutazione della tendenza a delinquere, esula dalla ratio della norma in esame), il legislatore ha ritenuto che la reiterazione di siffatti crimini rafforzi il rischio di sacrificio incisivo e talvolta irreversibile in termini apprezzabili socialmente dell'interesse tutelato. (Nella specie, con riguardo al delitto elettorale di cui all'art. 97 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, sono stati ritenuti delitti della stessa specie quegli illeciti offensivi del corretto esercizio dei diritti politici e dell'attività pubblica in genere nonché compromissivi del funzionale svolgimento delle istituzioni pubbliche).

Cass. pen. n. 3134/1992

In tema di esigenze cautelari, l'espressione «delitti della stessa specie» (art. 274, lett. c, ultima parte c.p.p.) ha valore giuridico oggettivo e va riferita ai delitti che offendono lo stesso bene giuridico. Ne consegue che, qualora il delitto per cui si procede rientri nella categoria dei reati plurioffensivi, il giudice, nel formulare la valutazione delle esigenze cautelari, dovrà considerare i parametri prescritti (specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità dell'imputato) rispetto a ciascun bene protetto. (Fattispecie di concussione, ritenuto reato plurioffensivo del buon andamento, decoro e imparzialità della pubblica amministrazione nonché della libera determinazione dei singoli anche in relazione alla gestione del proprio patrimonio).

Cass. pen. n. 3091/1992

In materia di misure cautelari personali, la prognosi di pericolosità, di cui all'articolo 274, lett. c), c.p.p., quando è riferita a gravi delitti implicanti l'uso delle armi o di altri mezzi di violenza contro la persona, di attentato all'ordinamento costituzionale, ovvero ricadenti nell'area della criminalità organizzata, è sganciata dalla tipologia del delitto per il quale si procede, ferma restando la verifica degli altri indici previsti dalla disposizione de qua.

In tema di misure cautelari personali, l'aggettivazione «grave», che si legge nella disposizione di cui alla lettera c) dell'art. 274 c.p.p. a qualificazione dei delitti con uso di armi o altri mezzi di violenza personale, va riferita a tutte le categorie di reati nella detta disposizione catalogate e, quindi, anche a quelli di attentato all'ordinamento costituzionale, di criminalità organizzata e, infine, della stessa specie «di quello per cui si procede».

In tema di misure cautelari personali, tutti i parametri legittimanti l'emissione e il mantenimento di un provvedimento cautelare restrittivo della libertà personale, catalogati dall'art. 274, lett. c), c.p.p., hanno come referente la tutela della collettività, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie per la quale si procede attenti, o abbia attentato, anche ad un interesse legittimo di singoli. (Nella specie, relativa ad imputazioni di corruzione, i ricorrenti assumevano che, ai fini dell'adozione della cautela personale con finalità preventive ai sensi dell'art. 274 lett. c), c.p.p., nell'ipotesi in cui venga in rilievo il pericolo di commissione di reati «della stessa specie di quello per cui si procede», sarebbe necessaria la sussistenza della rilevante probabilità di offesa di interessi legittimi del singolo, con la conseguenza che laddove non sussista una posizione soggettiva da tutelare — come avverrebbe appunto nel caso di delitti di corruzione, che toccherebbero il singolo solo uti civis — non vi sarebbe possibilità di applicare la suddetta cautela; la Cassazione ha respinto siffatto assunto, enunziando il principio di cui in massima).

Per «gravi delitti» ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 274, comma primo, lett. c), c.p.p., devono intendersi, nella carenza di un parametro legislativo referente, quelle fattispecie penali in relazione alla commissione delle quali è consentita l'applicazione della massima misura di cautela personale limitativa della libertà, ex art. 280 c.p.p. (delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni).

Cass. pen. n. 3047/1992

Ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c) c.p.p., per delitti della stessa specie di quello per cui si procede devono intendersi quelli che gli sono assimilabili quanto a bene protetto. Ne consegue che in concreto il giudice di merito, verificata l'omogeneità tra il bene giuridico offeso e quello di cui si teme l'aggressione, deve in fatto constatare se gli indizi di criminosità, per le modalità e i tempi di esecuzione, nonché per le spinte della condotta e l'intensità della volizione, siano tali da rivelare l'indiziato come prevedibile autore di temuti analoghi atti.

Cass. pen. n. 2996/1992

In tema di libertà personale, il «concreto» pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, necessario per l'adozione della misura cautelare, deve essere ipotizzabile non in astratto, ma desunto da elementi di fatto esistenti nella cosiddetta realtà effettuale dei quali negli atti processuali devono ricorrere estremi tali da farlo ritenere sussistente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non assolto il dovere della motivazione da un provvedimento che si limita — per concludere che v'è «concreto» pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova — ad affermare che «le indagini sono ancora in corso e vanno allargandosi ad altre persone a dimostrazione della gravità e della pericolosità e delle esigenze connesse all'attività di indagine». E ciò in quanto questa affermazione si risolve in una evidente petizione di principio, poiché, supposto che le indagini si stiano allargando ad altre persone, restano da indicare queli elementi di fatto che, rendendo concreto, e non solo, astratto, il pericolo per la genuinità e l'acquisizione delle prove, giustificano il ricorso alla misura cautelare).

Cass. pen. n. 2922/1992

L'art. 274, lettera a), c.p.p., nel consentire l'applicazione delle misure cautelari per esigenze attinenti alle indagini, «in relazione a situazioni di concreto pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova», collega la «concretezza», non tanto a singoli fatti di significato prognostico, quanto ad una situazione complessiva di pericolo, che deve, appunto, essere «concreta» per far sorgere le predette esigenze di tutela. (Fattispecie in cui è stata ritenuta la correttezza della decisione del giudice del riesame che ha tratto l'esistenza delle esigenze cautelari di cui alla lettera a) dell'art. 274, dalla lettura collegata di tre elementi: la necessità di preservare e completare le acquisizioni probatorie di un'indagine al suo esordio, la posizione di forza dell'indagato in ordine al reato di corruzione rispetto ad altre persone coinvolte nelle indagini, l'interesse dell'indagato stesso ad eliminare o ridurre gli elementi di accusa).

Cass. pen. n. 2921/1992

In materia di misure cautelari, l'ordinamento vieta di trarre dall'esercizio del diritto al silenzio qualsiasi conseguenza negativa per l'imputato, anche nei casi in cui consente altrimenti al giudice di valutare il comportamento processuale dell'imputato stesso. Il silenzio inibisce, da una parte l'accesso ai premi che talora l'ordinamento elargisce agli imputati che collaborano e, dall'altra, può non recare alleggerimento all'onere probatorio gravante sul pubblico ministero e può non contribuire ad eliminare, ove sussista, il pericolo di inquinamento delle prove. Ma di tale pericolo l'imputato non può essere ritenuto autore per il solo fatto di aver esercitato il diritto di tacere. (Fattispecie in cui la Corte ha stigmatizzato il contenuto del provvedimento custodiale motivato dal pericolo di inquinamento della prova desunto dal comportamento processuale tenuto dall'inquisito che si era rifiutato di rispondere agli interrogatori, provvedimento che aveva in tal modo determinato una compressione del diritto di non rispondere sancito dagli artt. 14, par. 2, lettera g) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, e 64 c.p.p.).

Cass. pen. n. 1428/1992

In tema di misure cautelari, il pubblico ministero ha interesse ad impugnare il provvedimento del Gip che ritenga sussistente l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, primo comma, lettera a), c.p.p. ma non anche quella di cui alla lettera c) di tale norma. Infatti sussiste un concreto interesse del P.M. al riconoscimento di esigenze cautelari diverse da quella di cui alla suddetta lettera a), soggetta alla fissazione di un termine, poiché, indipendentemente dalla fissazione di tale termine in misura coincidente con quella massima di fase, le esigenze di cui alle successive lettere b) e c) sono destinate a permanere oltre la fase delle indagini preliminari.

Cass. pen. n. 1643/1992

Una volta venuto meno uno degli indizi posti a fondamento della sottoposizione dell'indiziato a misura cautelare, ne può essere ritenuto legittimo, dal giudice dell'impugnazione, il mantenimento sulla base di altri e diversi elementi indiziari, giacché oggetto del suo esame non è il singolo elemento indiziante, ma l'intero quadro indiziario, il quale ha di per sé una struttura dinamica, in quanto soggetto costantemente ad aggiustamenti e modifiche, a mano a mano che si procede nelle acquisizioni probatorie.

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