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Articolo 66 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Verifica dell'identità personale dell'imputato

Dispositivo dell'art. 66 Codice di procedura penale

1. Nel primo atto cui è presente l'imputato [60-61 c.p.p.], l'autorità giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant'altro può valere a identificarlo, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false.

2. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona. In ogni caso, quando si procede nei confronti di un apolide, di una persona della quale è ignota la cittadinanza, di un cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all'Unione europea, nei provvedimenti destinati a essere iscritti nel casellario giudiziale è riportato il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti il provvedimento è emesso(1).

3. Le erronee generalità attribuite all'imputato sono rettificate nelle forme previste dall'articolo 130 [668 c.p.p.](2).

Note

(1) Tale comma è stato modificato dall'art. 2, comma 7, della L. 27 settembre 2021, n. 134.
(2) Si veda l'art. 21 delle disp. att.

Ratio Legis

Le indagini vengono svolte anche allo scopo di individuare fisicamente l'autore del reato e la sua identità (si veda l'art. 55 c.p.p.); pertanto, anche se il soggetto non è individuato fisicamente, le indagini preliminari proseguono. Se la sua identità però non viene individuata, il pubblico ministero non potrà esercitare l'azione penale.

Spiegazione dell'art. 66 Codice di procedura penale

La norma in esame concerne la verifica dell'identità personale dell'imputato, atto preliminare, sia in senso logico che giuridico, al corretto incedere del procedimento penale a suo carico. Sebbene il codice sancisca la facoltà di tacere e persino di mentire, ciò non vale il relazione alla propria identità, per il quale il codice penale prevede i reati di cui agli articoli 495 e 651 c.p..

Se è possibile l'iscrizione della notizia di reato nel registro degli ignoti poichè l'autore del reato non è stato ancora individuato compiutamente, non è tuttavia ammesso l'esercizio dell'azione penale e, dunque, la formulazione dell'imputazione a carico di un soggetto che non sia ancora stato identificato: la qualità di imputato può essere assunta solo da un soggetto compiutamente identificato. Si intende individuato quando è identificata l'identità fisica del soggetto e non quella anagrafica relativa alle generalità: quest'ultimo dato, anche se impreciso, non inficia il proseguio del processo poichè possono essere modificate nel corso di quest'ultimo ricorrendo al meccanismo per la correzione degli errori materiali (art. 130 c.p.p.). Al contrario, qualora l'identificazione fisica del soggetto sia errata, il giudice provvede, in ogni stato e grado del processo, a norma dell'art. 129 c.p.p. ( si veda l'art. 68).

L'autorità giudiziaria invita dunque l'imputato a dichiarare le proprie generalità e quant'altro serva ad identificarlo, ammonendolo in merito alle conseguenze penali che possono derivare dal mendacio o dalla reticenza.

L'importanza preliminare di tale verifica fa sì che il procedimento segua comunque il suo corso, quando l'identità è comunque certa e risulti impossibile attribuire all'imputato le sue esatte generalità. Ad ogni modo, l'errore di identificazione rappresenta un'ipotesi di mero errore materiale, suscettibile di semplice rettificazione in camera di consiglio, nelle forme di cui all'articolo 130, anche nella fase delle indagini preliminari.

Massime relative all'art. 66 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 11082/2017

L'identificazione dell'indagato ad opera della polizia giudiziaria è validamente operata sulla base delle dichiarazioni dallo stesso fornite, perché il ricorso ai rilievi dattiloscopici, fotografici o antropometrici, o ad altri accertamenti, si giustifica soltanto in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle indicate dichiarazioni.

Cass. pen. n. 45513/2014

L'incertezza circa le generalità dell'imputato, della cui identità fisica si abbia però certezza, non legittima né la pronuncia di assoluzione "per non aver commesso il fatto", né la dichiarazione di non doversi procedere "per essere rimasti ignoti gli autori del reato", trattandosi di formule che presuppongono un'assoluta incertezza sulla identità fisica dell'imputato e non una semplice incertezza circa le sue generalità.

Cass. pen. n. 32082/2014

Qualora sia stata processata una persona che ha fornito false generalità, e non sia possibile ricorrere all'istituto della correzione di errore materiale (non disponendosi delle reali generalità dell'autore del fatto), la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica competente, affinché proceda ritualmente nei confronti dell'imputato esattamente identificato. (Fattispecie relativa a sentenza di patteggiamento emessa nei confronti di persona che, arrestata in flagranza, aveva declinato false generalità, corrispondenti a quelle riportate in un tesserino sanitario esibito agli operanti ma relativo ad altro soggetto, che ne aveva denunciato lo smarrimento).

Cass. pen. n. 12425/2011

L'impossibilità di stabilire oggettivamente e con certezza l'identità dell'imputato, che pure abbia fornito le proprie generalità, non può costituire causa ostativa alla concessione al medesimo della sospensione condizionale della pena.

Cass. pen. n. 3949/2008

L'incertezza nell'individuazione anagrafica dell'imputato, derivante dall'avere egli fornito generalità diverse in distinte occasioni, è suscettibile di rettificazione mediante procedura di correzione dell'errore materiale, quando non vi sia dubbio sulla sua identificazione (nella specie, risultante dai rilievi dattiloscopici che non lasciavano dubbi sulla sua identità personale).

Cass. pen. n. 37103/2003

L'identificazione dell'imputato avvenuta sulla base delle dichiarazioni da lui fornite alla polizia giudiziaria, consente di affermare in capo a lui la responsabilità in quanto l'ordinamento non impone l'espletamento delle procedure previste dall'art. 349 c.p.p. se non in presenza di elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle suddette dichiarazioni.

Cass. pen. n. 2700/1999

L'incertezza o l'erronea identificazione della persona autrice del reato non vanno confuse con l'incertezza o la falsità delle generalità che la contraddistinguono. Ne consegue che, nella prima ipotesi, in cui la persona chiamata a rispondere penalmente non corrisponda, certamente e probabilmente, alla persona dell'autore del reato, quali che siano le generalità con cui essa è indicata agli atti del processo, va adottata la formula assolutoria «per non aver commesso il fatto», mentre nella seconda ipotesi, in cui la persona fisica chiamata a rispondere del fatto sia stata identificata con certezza, pur rimanendone incerte le generalità, deve adottarsi la formula di improcedibilità per essere ignoto l'autore del reato, che non pregiudica ulteriori indagini del pubblico ministero e l'eventuale inizio dell'azione penale contro l'autore del fatto, una volta compiutamente generalizzato.

Cass. pen. n. 7854/1998

L'identificazione dell'imputato da parte della polizia giudiziaria, avvenuta sulla base delle dichiarazioni dello stesso e non confortate da alcun elemento di riscontro consente di pervenire alla affermazione di responsabilità dell'imputato, non potendosi ritenere che lo stesso abbia fornito false generalità. In caso di errore e/o di accertata falsità delle generalità dichiarate soccorrono specifici rimedi, con particolare riferimento alla fase esecutiva.

Cass. pen. n. 1338/1998

Una volta che l'azione penale sia stata esercitata con l'emissione del decreto di citazione a giudizio da parte del P.M. presso la pretura, non è ammissibile, per il principio di irretrattabilità dell'azione penale, una successiva richiesta di archiviazione dello stesso P.M., ed è illegittima la pronuncia di sentenza di non doversi procedere da parte del Gip, essendo stato investito della decisione il pretore. (Nella specie, si trattava, peraltro, di richiesta ritenuta dalla S.C. erronea nel merito, essendo stato ritenuto ignoto l'autore del reato per la semplice mancata identificazione dello stesso, a causa dell'inesattezza delle indicazioni anagrafiche).

Cass. pen. n. 11584/1997

L'incertezza sull'individuazione anagrafica dell'imputato è irrilevante ai fini della prosecuzione del processo penale, allorché sia certa l'identità fisica della persona nei cui confronti sia stata iniziata l'azione penale, potendosi pur sempre provvedere alla rettifica delle generalità erroneamente attribuite nelle forme previste dall'art. 130 c.p.p. Ne consegue che, qualora sia certa l'identità fisica della persona nei confronti della quale si procede, ma sorgano dubbi sulle sue esatte generalità, non può essere pronunciata nei suoi confronti sentenza di improcedibilità dell'azione penale per essere ignoto l'autore del fatto, ma è necessario procedere nei suoi confronti previo svolgimento degli opportuni accertamenti sulle sue esatte generalità.

Cass. pen. n. 10177/1997

L'incertezza sull'individuazione anagrafica, quando sia certa l'identità fisica dell'imputato, non pregiudica il compimento di atti di indagine e la celebrazione del giudizio, competendo rispettivamente prima al pubblico ministero e poi al giudice, di disporre tutte le verifiche necessarie per accertare l'identità anagrafica del soggetto. Quando tuttavia tali verifiche non siano più possibili, per l'allontanamento fisico dell'imputato, il giudice deve adottare la formula di proscioglimento “per essere ignoti gli autori del reato” e non quella “per non aver commesso il fatto”.

Cass. pen. n. 10004/1997

Poiché con il ricorso per saltum non può essere denunciato il vizio della motivazione di cui all'art. 606, lett. e), c.p.p., deve essere convertita in appello, ai sensi dell'art. 569, terzo comma, c.p.p., l'impugnazione del pubblico ministero proposta direttamente in sede di legittimità avverso la sentenza di primo grado che ha assolto l'imputato con la formula «per non aver commesso il fatto», sul presupposto del mancato accertamento della sua reale identità; e ciò in quanto la violazione delle norme del codice di rito sulla identificazione dell'imputato o dell'indagato (artt. 66 e 349) non comporta nessuna delle sanzioni processuali (nullità, inutilizzabilità, inammissibilità e decadenza) che devono caratterizzare, ai sensi dell'art. 606, lett. c), c.p.p., le disposizioni la cui violazione consente la denuncia degli errores in procedendo, ma si risolve bensì in un vizio di logicità della motivazione il quale non può essere dedotto davanti alla Corte di cassazione se non vi sia stato, per le sentenze appellabili, anche il secondo giudizio di merito. (Nella specie il ricorrente, dedotta la violazione degli artt. 66 e 349 c.p.p., aveva altresì testualmente affermato che «l'illogica presunzione ventilata dal pretore stravolge i normali criteri di giudizio»).

Cass. pen. n. 9936/1997

In forza dell'art. 66 del vigente codice di procedura penale deve escludersi che l'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità possa pregiudicare il compimento di alcun atto dell'autorità procedente allorquando sia certa l'identità fisica della persona; ai fini di tale accertamento l'art. 349 c.p.p. prevede la possibilità di rilievi dattiloscopici, fotografici, antropometrici o di altro genere: peraltro il mancato ricorso a tali modalità non comporta che sia da ritenersi non identificato uno straniero che abbia dato complete generalità, pur risultando poi irreperibile. (Nella fattispecie il pretore aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato — che, fermato dalla polizia giudiziaria, aveva fornito agli agenti le sue generalità con l'indicazione del domicilio in Italia dove però non era stato poi rintracciato — con la formula «per essere ignoto l'autore del fatto», sostenendo che l'imputato stesso non era mai stato identificato con certezza non solo anagraficamente, ma neppure fisicamente con rilievi fotografici o dattiloscopici. La Suprema Corte, a seguito di ricorso del P.M., ha annullato con rinvio tale sentenza, enunciando il principio di diritto di cui in massima).

Cass. pen. n. 5945/1996

Allorquando sia certa l'identità fisica dell'autore del reato, nei confronti dello stesso — identificabile con qualsiasi mezzo idoneo a fornire una dimostrazione scientifica dell'identità — deve essere esercitata l'azione penale.

Cass. pen. n. 6873/1995

L'incertezza sulla individuazione anagrafica dell'imputato è irrilevante ai fini della prosecuzione del processo penale, quando sia certa l'identità fisica della persona, nei cui confronti è stata iniziata l'azione, potendosi, pur sempre, provvedere alla rettifica delle generalità erroneamente attribuite, nelle forme prescritte dall'art. 130 c.p.p. Da tanto consegue che — in assenza di una specifica regolamentazione codicistica dell'ipotesi in cui sorge l'incertezza in merito all'identità fisica dell'imputato — ove il dubbio sulla corrispondenza delle generalità alla persona fisica dell'imputato si presenti in fase di indagini preliminari, spetterà al P.M. provvedere, nell'ambito dei suoi poteri funzionali, agli accertamenti necessari, all'esito dei quali saranno formulate le conseguenti ed opportune richieste al giudice; ove, invece, il medesimo dubbio dovesse insorgere dopo che sia stata posta fine alle indagini preliminari, dovranno essere i giudici a disporre i relativi accertamenti. (Nella fattispecie, il Gip presso la pretura — richiesto dal P.M. di emettere decreto penale di condanna — aveva pronunciato sentenza dichiarando non doversi procedere per essere ignorato l'autore del fatto, sul rilievo che dalla lettura del fascicolo sorgevano dubbi che le generalità risultanti dalla richiesta del P.M. corrispondessero a quelle dell'effettivo autore del fatto. La Suprema Corte — in accoglimento del ricorso proposto dal procuratore generale presso la corte d'appello territorialmente competente — ha annullato l'impugnata sentenza enunciando il principio di cui in massima).

Cass. pen. n. 5472/1995

La formula di proscioglimento «per essere rimasti ignoti gli autori del reato» presuppone l'assoluta impossibilità di identificare fisicamente l'imputato e non la difficoltà o l'incertezza di pervenire alla esatta acquisizione delle generalità, perciò non potrà essere adottata dal Gip quando questi ritenga che non vi sia corrispondenza tra le generalità dichiarate e l'identità fisica dell'imputato, dovendosi in questo caso fare applicazione dei principi fissati dall'art. 66 commi primo e secondo c.p.p., secondo i quali l'impossibilità di attribuire le esatte generalità all'imputato non pregiudica il compimento di alcun atto e l'eventuale erronea attribuzione delle stesse deve essere rettificata con la procedura di correzione degli errori materiali.

Cass. pen. n. 217/1995

Al termine «identità fisica» della persona, di cui all'art. 66, comma 2, c.p.p., si deve attribuire il significato che l'espressione assumeva nell'art. 81 dell'abrogato codice di procedura, e cioè quello di identità tra la persona nei cui confronti è stato instaurato il processo e quella che si giudica. È questa la nozione di «vero imputato», mentre il mero errore di generalità, da qualsivoglia causa cagionato, viene considerato come un errore materiale, soggetto alla procedura di rettifica di cui all'art. 130 c.p.p. Ne consegue che l'incertezza sull'individuazione anagrafica dell'imputato è irrilevante ai fini della prosecuzione del processo penale, allorquando sia certa l'identità fisica della persona nei cui confronti sia stata iniziata l'azione penale, detta situazione non pregiudicando il compimento di atti da parte dell'autorità giudiziaria procedente, né essendo idonea a ritardare o sospendere il processo, in quanto è pur sempre possibile provvedere alla rettifica delle generalità, erroneamente attribuite, nelle forme di cui al citato art. 130.

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