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Articolo 546 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Obblighi del terzo

Dispositivo dell'art. 546 Codice di procedura civile

Dal giorno in cui gli è notificato l'atto previsto nell'articolo 543, il terzo è soggetto agli obblighi che la legge impone al custode relativamente alle cose e alle somme da lui dovute, nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato di 1.000,00 euro per i crediti fino a 1.100,00 euro, di 1.600,00 euro per i crediti da 1.100,01 euro fino a 3.200,00 euro e della metà per i crediti superiori a 3.200,00 euro(1)(2)(3). Nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore di somme a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, gli obblighi del terzo pignorato non operano, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell'assegno sociale; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, gli obblighi del terzo pignorato operano nei limiti previsti dall'articolo 545 e dalle speciali disposizioni di legge(4)(6).

Nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell'articolo 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell'esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre venti giorni dall'istanza(5).

Note

(1) Appare opportuno precisare che nei confronti del terzo, gli effetti sostanziali del pignoramento si producono fin dal giorno della notifica, nonostante l'atto de quo si perfezioni non con la notifica bensì con la dichiarazione positiva di cui all'art. 547 o con la sentenza che definisce il giudizio di accertamento di cui all'art. 549. L'opinione dottrinale dominante ritiene che la norma determini una sorta di anticipazione nei riguardi del terzo pignorato degli effetti sostanziali del pignoramento, effetti che, diversamente, nei confronti del creditore procedente e del debitore esecutato, si producono solo in seguito al perfezionarsi della fattispecie.
(2) Dal giorno della notifica dell'atto di pignoramento, il terzo deve astenersi dall'adempiere o dal riconsegnare il bene al proprio creditore diretto (debitore esecutato). L'eventuale adempimento sarà inefficace nei confronti del creditore procedente e di quelli intervenuti, mentre la riconsegna o la sottrazione delle cose detenute farà scattare le sanzioni di cui agli artt. 328 e 334 c.p., salva naturalmente la responsabilità per danni nei confronti degli stessi creditori.
Diversamente, non è previsto per il terzo alcun divieto di usare delle cose pignorate, né l'obbligo di rendiconto di cui all'art. 521.
Infine, dal giorno della notifica il terzo diventa custode nel limite di quanto egli deve per un importo di cui al precetto, aumentato della metà.
(3) Secondo l'opinione dominante in dottrina e in giurisprudenza, qualsiasi fatto sopravvenuto alla notifica dell'atto di pignoramento al terzo debitore, che determini la estinzione totale o parziale del credito pignorato (es.: adempimento, compensazione, transazione) ai sensi dell'art. 2917 c.c., risulta inefficace nei confronti del creditore pignorante e di quelli intervenuti nella procedura esecutiva, ancorché il pignoramento non sia perfetto.
(4) Comma così modificato dall'art. 13 co. 1 lett. m), D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132. Per l'applicazione di tale disposizione vedi l'art. 23 co. 6 del medesimo D.L. 83/2015.
(5) Tale secondo comma è stato inserito dalla legge n.80/2005 per disciplinare il caso del pignoramento eseguito presso più terzi, in cui il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti ai sensi dell'art. 496 del c.p.c. o la dichiarazione di inefficacia di uno di essi. Lo scopo del secondo comma è quello di commisurare gli effetti del pignoramento presso terzi all'entità del credito pignorante, consentendo al debitore per l'appunto di chiedere o una riduzione del pignoramento o una dichiarazione di inefficacia.
(6) Il comma 1 è stato modificato dall'art. 25, comma 1, lettera a) del D.L. 2 marzo 2024, n. 19.

Ratio Legis

Lo scopo della norma è quello di assicurare al creditore procedente e a quelli intervenuti nella procedura espropriativa la fruttuosità della azione esecutiva intrapresa, scongiurando, nel lasso di tempo intercorrente tra la notifica dell'atto di pignoramento e la dichiarazione di cui all'art. 547 (o il passaggio o in giudicato della sentenza di accertamento ex art. 549), il pericolo di sottrazioni, di alienazioni o, più in generale, di atti di disposizione da parte del terzo debitore, relativamente alle cose o somme da lui dovute, in pregiudizio delle aspettative creditorie.

Spiegazione dell'art. 546 Codice di procedura civile

Nei confronti del terzo gli effetti sostanziali del pignoramento si producono fin dal giorno della notifica, nonostante lo stesso pignoramento si perfezioni con la dichiarazione positiva di cui all'art. 547 del c.p.c. o con la sentenza che definisce il giudizio di accertamento di cui all'art. 549 del c.p.c..
Da tale giorno, infatti, il terzo viene ad assumere la posizione di custode relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato della metà.
Proprio per la distinzione tra effetti preliminari ed effetti definitivi del pignoramento di crediti, lo stesso viene qualificato come una fattispecie complessa, destinata a perfezionarsi via via, in diversi momenti successivi.

Pertanto, nel momento in cui il pignoramento giunge a perfezione, diviene operante il precetto generale di cui all'art. 2917 del c.c., con la conseguenza che, in pregiudizio del creditore pignorante e di quelli intervenuti non ha effetto l'estinzione del credito per cause successive alla perfezione del pignoramento stesso; al contrario, finchè il pignoramento non è perfetto, l'inefficacia opera con riferimento ai soli atti di disposizione del debitore esecutato titolare del credito o all'attività posta in essere dal terzo debitore dopo la notifica dell'atto contenente l'intimazione di non disporre.

Da tale momento, infatti, il terzo deve astenersi dall'adempiere o dal riconsegnare il bene al proprio creditore diretto nonché debitore esecutato, mentre in caso di riconsegna o di sottrazione delle cose detenute si applicheranno nei suoi confronti le sanzioni di cui agli artt. 328 e 334 c.p., salva naturalmente la responsabilità per danni nei confronti degli stessi creditori.

Non sussiste, invece, alcun divieto nei confronti del terzo di usare delle cose pignorate, né grava sullo stesso l'obbligo di rendiconto di cui all'art. 521 del c.p.c..

Qualora il pignoramento abbia colpito un conto bancario o postale intestato al debitore ove vengono accreditate somme a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, occorre distinguere a seconda che l’accredito abbia luogo in data anteriore al pignoramento ovvero alla data del pignoramento o successivamente.

Così, si avrà che:
  1. se l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, gli obblighi del terzo pignorato non operano per un importo pari al triplo dell'assegno sociale;
  2. se l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, gli obblighi del terzo pignorato operano nei limiti previsti dall'art. 545 del c.p.c. e dalle speciali disposizioni di legge.

Se il pignoramento viene eseguito contestualmente presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti ex 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi.
A seguito della richiesta del debitore, il giudice dell'esecuzione è tenuto a convocare le parti, e provvede con ordinanza non oltre venti giorni dall'istanza.

Scopo di quest’ultima parte della norma è quello di commisurare gli effetti del pignoramento presso terzi all'entità del credito del creditore pignorante.

E’ stato al riguardo evidenziato che presupposti di tale disposizione sono non soltanto che siano notificati una pluralità di atti di pignoramento presso terzi, ma anche che tutti i pignoramenti si siano perfezionati e che il debitore abbia avanzato apposita e specifica istanza al giudice dell'esecuzione, il quale, dopo aver convocato le parti provvede con ordinanza, e soltanto dalla pronuncia di questo provvedimento si verifica l'effetto della riduzione proporzionale dei pignoramenti o dell'inefficacia di taluno di essi.

Ci si è chiesti, poi, se l'istituto della riduzione possa essere impiegato anche quando via sia un unico pignoramento e non solo qualora ve ne siano vari; a tal proposito è stato osservato che la norma in esame non ha previsto l'ipotesi della riduzione nel caso di una sola procedura esecutiva perché non ve n'era bisogno, essendo sufficiente per tale ipotesi fare ricorso all’art. 496 del c.p.c..

Massime relative all'art. 546 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 30500/2019

In tema di pluralità di pignoramenti sugli stessi beni, la dichiarazione di estinzione della procedura esecutiva originata da un singolo atto di pignoramento non fa venire meno gli effetti di quelli eventualmente successivi ed autonomi; in ogni caso, la violazione in buona fede, da parte del terzo, degli obblighi di custodia di cui all'art. 546 c.p.c. non fa cessare gli effetti conservativi del pignoramento né pregiudica i diritti del creditore procedente, salvo il diritto del medesimo terzo ad ottenere il risarcimento del danno dal responsabile del suo errore.

Cass. civ. n. 15595/2019

Il limite dell'importo del credito precettato aumentato della metà, previsto dall'art. 546, comma 1, c.p.c., individua anche l'oggetto del processo esecutivo, sicché, in difetto di rituale estensione del pignoramento, un intervento successivo, pur se del medesimo procedente, non consente il superamento del detto limite e, quindi, l'assegnazione di crediti in misura maggiore.

Cass. civ. n. 17520/2011

Nell'espropriazione presso terzi di somme di denaro, la norma dell'art. 546, primo comma, c.p.c., come modificata dall'art. 2, comma terzo, lett. e), n. 3, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80 (mediante l'inserimento delle parole "e nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato della metà"), è entrata in vigore il 1° marzo 2006, secondo la disciplina transitoria prevista dall'art. 39-quater del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2006, n. 51, e si applica anche alle procedure esecutive pendenti a tale data. Pertanto la nuova formulazione dell'art. 546, primo comma, c.p.c. non è applicabile ove la procedura esecutiva si sia conclusa con provvedimento di assegnazione anteriore al 1° marzo 2006, essendo, appunto, l'ordinanza di assegnazione l'atto che conclude il procedimento dell'espropriazione presso terzi. Né rileva che tale atto sia stato oggetto di opposizione agli atti esecutivi, poiché il ricorso ex art. 617 c.p.c. introduce un giudizio di cognizione e non ha l'effetto di protrarre la "pendenza" della procedura esecutiva, venuta comunque meno con la pronuncia del provvedimento di assegnazione opposto.

Cass. civ. n. 1688/2009

Nell'espropriazione presso terzi di somme di danaro, l'oggetto del pignoramento è costituito dall'intera somma di cui il terzo è debitore, e non dalla quota del credito per la quale l'esecutante agisce in forza del titolo esecutivo notificato (ai sensi dell'art. 543 cod. proc. civ., nel testo "ratione temporis" vigente), costituendo essa solo il limite della pretesa fatta valere "in executivis"; ne consegue che, in caso di pignoramento di somma depositata su conto corrente bancario, la banca presso cui è avvenuto il pignoramento, in quanto obbligata a vincolare l'intero suo debito nei confronti del debitore, legittimamente può rifiutare di pagare, al medesimo creditore pignorante e finché dura la predetta espropriazione, un assegno nel frattempo emesso dal debitore sul conto corrente a lui intestato.

Cass. civ. n. 10654/2008

Nel pignoramento di crediti del debitore verso terzi, il vincolo di indisponibilità che, ai sensi dell'art. 546 c.p.c., si produce con la notificazione al terzo dell'atto di pignoramento contenente l'ingiunzione prevista dall'art. 492 c.p.c., sussiste anche qualora, dopo la notifica del pignoramento di un credito vantato dal Comune esecutato nei confronti della banca esercente il servizio di tesoreria, il Comune renda la dichiarazione prevista dall'art. 113 del D.L.vo 25 febbraio 1995, n. 77, che le somme di sua pertinenza giacenti presso il tesoriere comunale sono vincolate a fini speciali, non avendo detta dichiarazione effetto retroattivo e, quindi, non essendo opponibile al creditore procedente.

Cass. civ. n. 2129/1995

In tema di espropriazione presso terzi, dalla formulazione dell'art. 543 c.p.c. (il quale prescrive che l'atto notificato personalmente al terzo deve contenere, tra l'altro, l'intimazione al destinatario di non disporre delle cose o delle somme dovute, senza ordine del giudice) e dell'art. 546 stesso codice (il quale prevede, inoltre, che dal giorno della notificazione di detto atto il terzo è soggetto agli obblighi imposti al custode relativamente alle cose ed alle somme a lui dovute) va desunto, pur in assenza di un'espressa disposizione normativa a riguardo, che, nel caso in cui sia respinta la domanda di convalida di un precedente sequestro di mobili o crediti presso terzi, il giudice deve impartire al terzo l'ordine di dissequestro, con la conseguente sopravvenuta disponibilità dei mobili e delle somme vincolate con il precedente provvedimento cautelare.

Cass. civ. n. 5617/1994

Nel procedimento di espropriazione presso terzi, la responsabilità del terzo detentore del bene pignorato, prevista dall'art. 546 c.p.c., presuppone la esistenza giuridica del pignoramento, che è il risultato di una serie procedimentale che si inizia con l'atto descritto dall'art. 543 c.p.c. e si completa con la dichiarazione del terzo di cui all'art. 547 c.p.c. o, in mancanza ed in caso di contestazione, con la sentenza di accertamento dell'obbligo del terzo (art. 549 c.p.c.) e che mantiene, quindi, il suo effetto vincolante per il terzo solo se alla intimazione di cui all'art. 543 c.p.c., sia seguita la citazione dello stesso e l'accertamento del suo obbligo nell'ambito della espropriazione forzata.

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Consulenze legali
relative all'articolo 546 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Emilio M. chiede
venerdì 07/05/2021 - Campania
“Buongiorno, sono amministratore di una SRL che si occupa di servizi. Abbiamo appalti pubblici con i comuni e per i ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni stiamo subendo dei pignoramenti dei crediti presso questi enti. Es. Per un debito di €10.000,00 verso un'azienda questi ci ha pignorato € 15.000,00 presso 13 comuni per un importo di € 195.000,00 bloccati e così via per circa una quindicina di pignoramenti quasi tutti nella stessa forma. Come devo fare a portare avanti l'azienda? È giusta questa procedura?”
Consulenza legale i 21/05/2021
La prassi dei pignoramenti presso terzi cosiddetti “a tappeto” o “a pioggia” è piuttosto frequente nella pratica, soprattutto quando, di fatto, il creditore non conosca con esattezza quali siano i terzi (ad esempio banche, committenti o, in generale, soggetti legati al debitore da un contratto di durata o comunque da un rapporto di collaborazione) tenuti a corrispondere somme di denaro al debitore stesso, oppure quando non si conosca il preciso ammontare dei crediti da pignorare.
Molto spesso, purtroppo, si procede per così dire alla cieca, e il creditore anticipa anche spese che potrebbe non recuperare (può accadere che, nonostante, ad esempio, si tenti il pignoramento di conti correnti presso una pluralità di banche, tutti i tentativi diano esito negativo).
Il rovescio della medaglia è rappresentato, chiaramente, dalla posizione del debitore che, viceversa, potrebbe trovarsi vincolate, fino all’esito del procedimento di espropriazione presso terzi, somme superiori rispetto all’importo del credito vantato dal creditore procedente.
La prassi dei pignoramenti plurimi non è, di per sé, illegittima, né scorretta da un punto di vista deontologico per l’avvocato che la mette in atto (come ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense).
Semmai, l’ordinamento prevede un “correttivo” al secondo comma dell’art. 546 c.p.c., laddove si prevede che, nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti a norma dell'articolo 496 ovvero la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi. A seguito della domanda di riduzione o della richiesta di declaratoria di inefficacia il giudice dell'esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre venti giorni dall'istanza.

L. G. chiede
lunedì 19/10/2020 - Veneto
“Nel Novembre del 2018 ho subito un pignoramento in conto corrente cointestato con mio marito della somma disponibile di € 90,00 a seguito di un decreto ingiuntivo e successivo precetto emesso dal Tribunale di Vicenza in data 17/08/2018 a favore della Banca S. G. rappresentata dall’Avv. C. di Vicenza.
Trascorsi circa 18 mesi in data 18/05/2020 la mia banca I., in relazione ad un bonifico ricevuto di € 800,00 mi accreditava solamente la somma € 400,00 asserendo di aver trattenuto il 50% per effetto del pignoramento presso terzi notificato con decreto ingiuntivo ed atto di precetto del 16/11/2018 lo stesso che aveva dato effetto al pignoramento di € 90,00 in data 16/11/2018.
In data 25/05/2020 formalizzavo regolare reclamo a I. affermando che mancando il rinnovo dell’atto di precetto il titolo a cui si faceva riferimento era inefficace ai sensi dell’art 481 c.p.c..
Di contro in data 17/06/2020 I. riscontrava il reclamo confermando la liceità del loro operato svolto in conformità alle specifiche disposizioni di legge.
Volendo ricorrere nelle sedi competenti avverso la posizione di I. vi scrivo per ricevere vostre indicazioni, a disposizione per eventuali chiarimenti, rimando in attesa di vostro riscontro, distinti saluti.

G. L.”
Consulenza legale i 25/10/2020
Dall’esame del quesito non si evince l’importo del credito per cui è stato ottenuto il decreto ingiuntivo, a cui ha poi fatto seguito il precetto e il successivo pignoramento presso terzi (sul conto corrente della debitrice).

Si presume, tuttavia, che l’importo del credito fosse superiore alla somma di euro 500 euro (90 euro riferito al primo vincolo + 400 riferito al secondo vincolo, entrambi posti dalla banca terza pignorata I.).

Ciò premesso, non si vedono ragioni per cui si possa contestare l’operato della banca terza pignorata I., atteso che, con l’atto di pignoramento presso terzi, ai sensi dell’art. 546 c.p.c., quest’ultima è obbligata ex lege, in qualità di custode, a trattenere le somme che dovessero confluire sul conto corrente nei limiti dell’importo precettato aumentato della metà.

Pertanto, a nulla rileva il riferimento all’art. 481 c.p.c.. Nel caso di specie, il pignoramento ha, infatti, sortito i propri effetti, concludendosi con un’ordinanza di assegnazione delle somme che erano giacenti nel conto corrente alla data in cui è stata rilasciata la dichiarazione da parte del terzo pignorato. Ciò non significa, tuttavia, che eventuali ulteriori somme che dovessero transitare sul conto corrente pignorato successivamente alla definizione del pignoramento non debbano essere vincolate dalla terza pignorata. Anzi, proprio in forza dell’art. 546, la terza pignorata è tenuta sempre a vincolare eventuali somme future che dovessero essere accreditate sul conto corrente fintantoché non viene estinto il debito di cui al precetto, così come è stato correttamente posto in essere dalla banca terza pignorata (limitatamente al 50%, nel caso di specie, in quanto si trattava di conto corrente cointestato).

MAURIZIO S. chiede
venerdì 17/01/2020 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it
Oggetto: Pignoramento conto terzi di denaro e sopravvenuto sequestro preventivo/confisca diretta del denaro pignorato.

Il creditore procedente Ag. E. – R. (Stato) è anche il coincidente soggetto sequestrante quale parte offesa nel processo penale che ha posto le condizioni per il sequestro/confisca diretta del denaro di già pignorato dallo stesso. (Stato).

Il presupposto:
Il bene oggetto di pignoramento e sopravvenuto sequestro preventivo/confisca diretta di denaro, vista la fungibilità dello stesso (proprietà che si trasmette con la consegna e l’utilizzo) si ritiene che debba essere considerato, per quanto stabilito dal codice civilistico, in modo diverso dall’ipotesi di un sopravvenuto sequestro preventivo di un immobile o mobile registrato pignorato, la cui titolarità non si trasmette con la consegna (denaro), ma con atto pubblico notarile.

Il fatto:
- l’A. d. E.per il tramite della sua Agenzia di R. esercita un pignoramento della somma di denaro presente nel conto corrente bancario del contribuente.

- La Banca in qualità di debitor debitoris dell’esecutato, trasmette all’A. d. E. – Riscossione la dichiarazione in quantità positiva.

- Il creditore pignoratizio l’ A. d. E. – Riscossione, a seguito della denuncia penale, ottiene sul denaro pignorato, anche un sequestro preventivo, definito dalla giurisprudenza di legittimità per la fungibilità del bene, confisca diretta di denaro.

- In sede di sequestro/confisca diretta del denaro pignorato, l’ Autorità Giudiziaria nomina un custode penale ovvero un soggetto diverso (dipendente della banca responsabile ufficio legale), dal custode civile pignoratizio (banca).

- Il custode penale viene incaricato dall’A.G. ad assicurarsi che la banca trasferisca la proprietà/titolarità del denaro pignorato con l’atto pubblicistico intrinseco nel bonifico bancario, a favore del Fondo Unico Giustizia FUG per quanto stabilito dal D.L. 127/2009 all’ art n. 1 comma m) "intestazione" ovvero "intestazioni", il mutamento di titolarità in favore di Fondo unico giustizia ovvero l'attribuzione di titolarità a Fondo unico giustizia, effettuati dagli Operatori e dagli Operatori assicurativi, dei rapporti aventi ad oggetto le risorse, nonché le risorse assicurative.
Ed ancora il Decreto legge 16 settembre 2008, n. 143 Art. 2. “Fondo unico giustizia”. Comma 10. Dalla gestione del «Fondo unico giustizia», non devono derivare oneri, né obblighi giuridici a carico della finanza pubblica.

- la Banca custode/terza pignorata, provvede immediatamente a liberare dal vincolo pignoratizio il denaro oggetto del sopravvenuto sequestro/confisca diretta, quale denaro come detto, precedentemente pignorato che viene espropriato a mezzo bonifico bancario in un conto corrente intestato al FUG presso diverso istituto di credito, quindi il denaro precedentemente pignorato viene consegnato con il mutamento della titolarità favore del Fondo Unico Giustizia (FUG), ed utilizzato nei termini stabiliti dalla legge dallo stesso FUG per un fine di pubblico interesse.

IL PARERE:
La banca deve comunicare al creditore procedente (A.E. – Riscossione) la revoca della dichiarazione in quantità positiva in quanto di fatto e di diritto il denaro non è più presente nelle sue casse (non avendo nulla da custodire) e quindi di non essere più debitor debitoris dell’esecutato?

In altri temini la banca terza pignorata, con il sopravvenuto esproprio penale del denaro dal conto corrente dell’esecutato, mantiene ancora lo status di debitor debitoris nei confronti dell’esecutato nonostante il bonifico di valore pubblicistico, a favore del FUG che lo utilizza per un pubblico interesse?

In attesa porgo Cordiali saluti.
Anonimo.”
Consulenza legale i 28/01/2020
In materia di sequestro e confisca penale, come quelli previsti dal Codice Antimafia (d.lgs. 159/2011), nonché negli altri casi di sequestro e confisca penale diversi da quelli disciplinati dal predetto Codice, ma che richiamano comunque la medesima disciplina, con l’emanazione del provvedimento di confisca o sequestro ai sensi dell’art. 55 della menzionata disciplina “non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive…le esecuzioni sono riassunte entro un anno dalla revoca definitiva del sequestro o della confisca…in caso di caso di confisca definitiva, si estinguono”.

Sostanzialmente, la norma sopra citata statuisce che le procedure esecutive non possono essere proseguite in caso di sequestro o confisca.

In tal caso la procedura esecutiva entrerebbe in uno stato simile alla sospensione sino a quando non intervenga o un provvedimento di revoca definitiva del sequestro o della confisca e, in tal caso, detta procedura dovrebbe essere poi riassunta, o un provvedimento di confisca definitiva e, in questo diverso caso, la procedura esecutiva si estinguerebbe.

Nei casi di misure penali preventive diverse da quelle per cui si applica il Codice Antimafia non si verifica, invece, la sospensione della procedura esecutiva pendente.

I due procedimenti seguono il loro corso parallelamente sino a quando non intervenga, ovviamente, l’emanazione di un provvedimento di confisca definitivo o la revoca del sequestro preventivo o di confisca: situazioni in cui o l’esecuzione si estingue (primo caso) ovvero può continuare (secondo caso).

Ciò premesso, e venendo alla risposta al quesito, con il provvedimento di nomina di un custode ad hoc da parte del Tribunale in sede di applicazione della misura penale preventiva, e il successivo adempimento della Banca terza pignorata di trasferire le somme per cui è stata rilasciata la dichiarazione positiva al Fondo Unico Giustizia, vengono meno gli obblighi di custodia di cui all’art. 546 del c.p.c. e, pertanto, la medesima Banca non può più ritenersi assoggettata ai suddetti obblighi, con conseguente venir meno del suo ruolo di terzo pignorato.

Per tali ragioni, non può ritenersi neppure sussistente in capo alla Banca un obbligo di rettifica della dichiarazione rilasciata al creditore procedente.

Paolo D. S. chiede
venerdì 02/11/2018 - Emilia-Romagna
“Sono creditore del Signor X, e procedo a pignoramento presso terzi, quali banche e società presso le quali so che il Signor X svolge attività di consulenza. Mi è chiaro che tutte le somme che i terzi pignorati devono al Signor X devono essere custodite e NON pagate al Signor X. Tuttavia mi chiedo se tale obbligo del terzo valga anche per eventuali obbligazioni che nascono successivamente alla data del pignoramento ed iscrizione a ruolo di questo atto. Quindi concretamente, se la data in cui il pignoramento è notificato al terzo è il 2 Gennaio, e l'atto iscritto a ruolo, il 20 Gennaio e il terzo dichiara che a tale data non deve alcuna cifra al signor X. Se poi nel mese di Marzo, quindi dopo due mesi dal pignoramento il Signor X svolge attività di consulenza presso il terzo pignorato, questo terzo potrà pagare la fattura di competenza di Marzo, o è ancora valido il divieto e pertanto il terzo non potrà pagare la somma dovuta a titolo di consulenza per il mese di marzo?”
Consulenza legale i 27/11/2018
Secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, il momento rilevante al fine di stabilire l’assoggettabilità di somme a pignoramento è quello della dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell’art. 547 del c.p.c.
Infatti, in questa forma di esecuzione forzata, il terzo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale, deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore nei confronti dell’esecutato, o di quali cose o somme dell’esecutato si trova in possesso, e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna. Deve inoltre specificare i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato.
La dichiarazione può essere comunicata a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata.

Ora, secondo Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 21081/2015, nell'espropriazione forzata presso terzi, il credito assoggettato al pignoramento deve essere esistente al momento della dichiarazione positiva resa dal terzo ovvero, per il caso di dichiarazione negativa e di instaurazione del giudizio volto all'accertamento del suo obbligo ex art. 549 del c.p.c., al momento in cui la sentenza pronunciata in tale giudizio ne accerta l'esistenza, restando invece irrilevante che il credito non esista al momento della notificazione del pignoramento e dovendosi escludere che l'inesistenza del credito in quel momento possa determinare una nullità del processo esecutivo (conforme tra le altre Cass. Civ., Sez. III, sentenza n. 15615/2015).
Corollario di questo principio è che, in caso di incremento del credito sopravvenuto al pignoramento (come nell'ipotesi di rimesse effettuate dal correntista, qualora siano pignorate somme depositate in conto corrente), non rileva l'importo del credito esistente alla data della notificazione del pignoramento bensì l'importo del credito esistente alla data della dichiarazione del terzo ovvero l'importo eventualmente incrementatosi fino all'udienza ex art. 543 del c.p.c. Va infatti sottolineato che l'art. 546 del c.p.c., nel testo risultante dalla modifica apportata col Decreto Legge n. 35 del 2005, convertito nella Legge n. 80 del 2005, rende operanti gli obblighi di custodia del terzo pignorato nei limiti dell'importo precettato aumentato della metà.

Nel caso descritto nel quesito, il terzo risulta aver già reso la propria dichiarazione (negativa), per cui il pignoramento non si estende e, correlativamente, nei confronti del terzo non opera il vincolo di indisponibilità, rispetto ai crediti sorti successivamente alla dichiarazione stessa. Alla dichiarazione negativa segue infatti, di regola, l’estinzione della procedura, salvo che il creditore promuova il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo: nel qual caso, come abbiamo visto, l’esistenza del credito del terzo verso il debitore deve essere valutata con riferimento al momento della sentenza di accertamento dell’obbligo medesimo.
Peraltro, nel nostro caso non sono stati forniti i chiarimenti più volte richiesti in merito all'ulteriore corso del procedimento. Ora, se la procedura fosse stata dichiarata estinta il terzo sarebbe da considerare sicuramente liberato; se non si fosse ancora tenuta la prima udienza, vi sarebbe ancora la possibilità di contestare la dichiarazione negativa ed instaurare il giudizio di accertamento, ed in questo caso occorrerebbe tenere conto della situazione esistente al momento della sentenza.
Si tratta, naturalmente, di considerazioni di carattere generale e basate su ipotesi. Per una risposta più dettagliata sarebbero necessarie informazioni più precise sull'andamento della procedura esecutiva.

Antonio Gabriele R. chiede
mercoledì 14/12/2016 - Abruzzo
“All'atto della firma di un contratto di affitto per un locale (solo muri) da adibirsi ad uso somministrazione cibi e bevande (ristorante), sono stato costretto (estorsione?) a firmare un’altra scrittura privata in cui mi impegnavo a versare al proprietario dell'immobile, per lavori eseguiti su mia richiesta durante la manutenzione straordinaria eseguita dal proprietario, altri € 500,00 al mese per 60 mesi (€ 30.000).
Dico che sono stato costretto perché per risparmiar tempo, (stupidamente) ho acquistato e fatto installare nei locali tutte le apparecchiature necessarie alla ristorazione (€ 160.000,00 + iva) senza aver prima sottoscritto il contratto di affitto. Questo perché il contratto non poteva essere sottoscritto prima che, terminati tutti i lavori straordinari, il proprietario avesse dal comune tutti certificati necessari.
Inutile dire che il proprietario aveva fatto solo i lavori di sua competenza (impianti idrico, elettrico, bagni, ecc.) mentre tutti gli altri lavori sono stati eseguiti a mie spese.
Messo alle strette (o firmavo entrambi o non ricevevo il contratto di affitto), dovendo pagare ormai tutte le apparecchiature acquistate, ho ceduto al ricatto ed ho avviato la mia attività.
Forte del fatto che non esisteva nessuna documentazione che comprovasse fossero stati fatti dal proprietario lavori da me richiesti, non ho pagato per tre anni i 500 euro mensili ricevendo solo alcuni richiami da parte dell'avvocato del proprietario.
Per motivi che non sto a spiegare sono stato costretto a vendere la mia attività ed a chiudere la ditta individuale e la partita iva. L’acquirente mi ha dato un minimo anticipo e si è impegnato a versarmi € 1.000 al mese per 6 anni (€ 72.000,00). E’ stato fatto un regolare subentro per quanto riguardava l’affitto dei locali.
Mi sono visto a quel punto arrivare un’ingiunzione di pagamento dal tribunale per i 30.000 euro rivalutati con un pignoramento presso l’acquirente dei 1.000 euro che mensilmente mi doveva.
Ho fatto opposizione ma avendo il mio avvocato depositato il ricorso fuori tempo massimo ho perso sia in I° che in 2° grado con enorme aggravio di costi.
A questo punto viene il bello: la persona che ha acquistato la mia attività ha continuato a pagare regolarmente l’affitto (€ 2.200 al mese) ma non ha versato nulla di quanto pignorato, con il consenso del creditore. Ad oggi avrebbe dovuto pagare circa € 40.000, che era la cifra pignorata.
Domande:
1. posso chiedere all'acquirente che torni a versarmi gli € 1.000 al mese per quanto resta del contrattualmente stabilito? Anche se lui in realtà non ha versato nulla (ma non è colpa mia)
2. Il creditore, che ha pignorato presso terzi e poi non si è fatto pagare, può rivalersi su di me qualora il terzo dovesse dichiarare fallimento e non disponga di beni? (il contratto di vendita ad € 1.000 al mese prevede che io possa risolverlo e tornare proprietario dell'attività qualora per alcune mensilità non mi venga versato nulla)
3. Se il terzo dovesse dichiarare fallimento, il contratto di affitto tornerebbe in capo a me per cui dovrei continuare a pagare l’affitto fino a termine del periodo di disdetta del contratto?
4. Nonostante abbia perso in 1° e 2° grado per l’opposizione depositata in ritardo, posso nuovamente far causa al proprietario dei muri per l’estorsione senza dover necessariamente andar sul penale? (la firma dei due documenti è avvenuta alla presenza dei rispettivi legali, ben poco entusiasti)
Grazie”
Consulenza legale i 20/12/2016
Il primo concetto che viene in evidenza nella trattazione del caso in esame è quello di violenza contrattuale, consistente nella minaccia di un male ingiusto e notevole volta ad ottenere una dichiarazione negoziale del minacciato (cfr. art. 1435 c.c.).
Si tratta di una forma di coazione della volontà, che menoma la libertà di determinazione e che, in quanto tale, è causa di annullabilità del negozio, sia che provenga dall’altra parte del negozio sia che provenga da un terzo (cfr. art. 1434 c.c.).
Si ritiene che il legislatore abbia voluto prevedere quale conseguenza l’annullamento del negozio, anziché la sua nullità, in quanto in realtà il soggetto minacciato vuole la conclusione del negozio, perché tra lo svantaggio che subirebbe dalla attuazione della minaccia e quello della conclusione del negozio, sceglie il male minore, ossia la conclusione del negozio.
Va precisato che non tutti i tipi di violenza sono causa di annullabilità, dovendo essa rivestire determinate caratteristiche, come vuole lo stesso art. 1435 c.c (il male minacciato deve essere ingiusto e notevole).
Nel caso di specie la violenza è consistita nel costringere il conduttore a stipulare una scrittura con cui veniva ad assumersi l’obbligo di rimborsare ratealmente al locatore le spese per lavori straordinari che sarebbero dovuti gravare ex lege sullo stesso locatore.
Circa la liceità o meno di una simile pattuizione, va detto che ex art. 1609 c.c. sono a carico del conduttore soltanto le piccole riparazione, ossia quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall’uso; tale norma a sua volta richiama l’art. 1576 c.c., il quale pone a carico del locatore l’obbligo di eseguire durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate appunto quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore (su tale materia, peraltro, data l’estrema sinteticità della normativa, è stata anche realizzata una tabella di ripartizione fra locatore e conduttore concordata tra Confedilizia e SUNIA -SICET-UNIAT, registrata il 30 aprile 2014 a Roma).
Deve poi osservarsi che pienamente legittima è da considerare la successiva cessione del contratto di locazione, prevista e disciplinata dall’art. 36 Legge 392/1978, il quale consente appunto al conduttore di cedere il contratto di locazione “anche senza il consenso del locatore” allorché venga contestualmente ceduta o locata l’azienda, purché il locatore sia reso edotto di tale cessione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Dalla lettura del testo del quesito si desume chiaramente che, seppure la cessione dell’azienda sia avvenuta con pagamento rateale del corrispettivo pattuito per la cessione, il trasferimento dell’intero compendio aziendale, e con esso dei crediti, debiti e dei contratti in essere (si vedano artt. 2558, 2559 e 2560 c.c.), sia avvenuto contestualmente alla stipula del contratto (si dice infatti che il contratto di cessione prevede che il cedente possa risolverlo e tornare proprietario dell'attività qualora per alcune mensilità non venisse versato nulla, cd. clausola risolutiva espressa).
Nessuna responsabilità a quel punto può imputarsi in capo al cessionario dell’azienda per il versamento dei 500 euro mensili, trattandosi di una prestazione accessoria cui il conduttore originario si era obbligato nei confronti del locatore ed esulando, dunque, dal corrispettivo pattuito per la locazione dell’immobile.
Pertanto, essendosi il conduttore reso inadempiente all’obbligazione assunta con la scrittura privata stipulata contestualmente al contratto di locazione, correttamente veniva emesso decreto ingiuntivo per il pagamento della complessiva somma da corrispondere ratealmente, cui seguiva, a seguito del protrarsi dell’inadempimento, pignoramento della rata mensile che il cessionario d’azienda si era obbligato a versare al cedente.
A questo punto va detto che l’ordinanza di assegnazione pronunciata a seguito di dichiarazione positiva, mancata, o rifiutata di terzo, in assenza di accertamento del suo obbligo, costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo; il creditore procedente potrà comunicare l’ordinanza di assegnazione al terzo, ovvero notificargli il predetto provvedimento in forma esecutiva, a seguito di che, permanendo l’inadempimento, intimare precetto di pagamento ex art. 479 c.p.c.
Qualora invece il creditore presti acquiescenza al mancato pagamento del terzo debitor debitoris, non intimandogli precetto di pagamento, di sicuro rilievo è la disposizione di cui all’art. 546 c.p.c., il quale è esplicito nel sancire il principio secondo cui il terzo, relativamente alle cose e alle somme da lui dovute, è sottoposto agli obblighi che la legge impone al custode sin dal giorno in cui gli è notificato l’atto previsto dall’art.543 c.p.c., con la conseguenza che egli non potrà consegnare le cose o pagare le somme da lui dovute al debitore esecutato senza apposito ordine del giudice e di tali somme dovrà rendere il conto al creditore.
Sempre in virtù della medesima disposizione, che qualifica il terzo quale custode, non sarà consentito che il cessionario/terzo pignorato torni a versare al cedente/debitore originario la somma pattuita quale rata per la cessione d’azienda, trattandosi di somma pignorata.
Dal momento della notificazione dell’atto di pignoramento presso terzi, per giurisprudenza costante, oltre agli obblighi di custodia del terzo (e sempre che la cosa o il credito “genericamente” indicati esistano), il pignoramento acquista efficacia sia perché esonera il terzo dall’adempimento della sua prestazione (altrimenti dovuta nei confronti del debitore esecutato) sia ai sensi e per gli effetti degli artt.2915 e ss. c.c.
La funzione e l’effetto dell’ordinanza di assegnazione sono quelli di trasferire all’assegnatario la titolarità del credito pignorato.
La cessione del credito avviene “pro solvendo” ossia con la garanzia della solvenza del debitore (cfr. art. 1267c.c.), come si evince dallo stesso dettato degli artt.2928 c.c. e 553 c.p.c.( Cass. 14 febbraio 2000 n.1611, in Mass. Giust. Civ., 2000).
Ciò significa che il debito dell’esecutato potrà considerarsi estinto solo con l’effettiva riscossione da parte del creditore e che, in caso di inadempimento del terzo, rivive l’obbligo del debitore esecutato.
In questo caso, così come nel caso in cui per effetto di un accordo tra creditore e terzo quest’ultimo non abbia versato quanto dovuto, si ritiene corretta la tesi secondo cui il creditore potrebbe ricominciare l’esecuzione nei confronti del debitore, ma solo dopo avere inutilmente escusso il terzo pignorato.
Pertanto, alla domanda di cosa succede se il terzo nel frattempo dovesse essere dichiarato fallito, deve rispondersi dicendo che, non potendo il creditore escutere il patrimonio del terzo pignorato in virtù della normativa fallimentare, e precisamente per effetto di quanto disposto dall’art. 51 Legge Fallimentare (che pone il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali dal giorno della dichiarazione di fallimento), il creditore potrà agire esecutivamente per l’intero nei confronti del debitore originario.
Per quanto concerne la sorte del contratto di locazione in caso di fallimento del conduttore, dispone chiaramente l’art. 80 Legge fallimentare che, in caso di fallimento del conduttore (sarà il cessionario del contratto di locazione che riveste tale posizione) è in facoltà del curatore di proseguire il contratto di locazione ovvero di esercitare in qualunque tempo il diritto di recesso; in questo secondo caso sarà tenuto a corrispondere al locatore un equo indennizzo per l’anticipato recesso che, nel dissenso tra le parti, verrà determinato dal Giudice delegato al fallimento, sentiti gli interessati (il credito per l’indennizzo sarà soddisfatto in prededuzione con il privilegio di cui all’art. 2764 c.c.).
Tale norma va poi coordinata con il disposto di cui all’art. 36 Legge 392/1978, nella parte in cui dispone che, in caso di cessione del contratto di locazione, il locatore potrà agire contro il cedente/conduttore originario qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte e se non vi sia stata liberazione espressa del cedente in sede di stipula del contratto di cessione.
Pertanto, in relazione al quesito posto sub n. 3, va detto espressamente che il fallimento del cessionario/conduttore non comporterà automaticamente ed ex lege lo scioglimento del contratto di locazione con il fallito, essendo in facoltà del curatore di scegliere se continuare o meno tale rapporto contrattuale e che, in caso negativo, l’indennizzo graverà sul cessionario ex art. 80 Legge fallimentare e, solo in via sussidiaria e salvo espressa liberazione del cedente, sul conduttore/cedente originario.
Passando adesso all’analisi dell’ultimo quesito, ossia la possibilità di far valere ancora le proprie ragioni in relazione all’obbligazione assunta di rimborsare al locatore le spese sostenute per lavori straordinari, e ciò malgrado il negativo esperimento di due gradi di giudizio a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, va succintamente detto sulla base di quanto osservato nella prima parte di questa risposta che la strada percorribile potrebbe essere far valere con giudizio autonomo l’annullamento della manifestazione di volontà contenuta in tale scrittura per vizio del consenso ex art. 1435 c.c., allorchè si voglia configurare la stessa quale accollo da parte del conduttore (cfr. art. 1273 c.c.).
Si ricordi che l’azione di annullamento si prescrive ex art. 1442 c.c. in cinque anni.

Mauro chiede
venerdì 17/02/2012 - Lombardia

“Sono separato da circa diciotto mesi con una figlia di quattordici anni che vive con le madre. Per diverse circostanze a causa della separazione dovute a forte stress emotivo e alla perdita non solo del lavoro ma anche del domicilio, non ho potuto provvedere al sostentamento di mia figlia.
Sono un artigiano imbianchino e lavoro per terzi con un compenso a economia pari a diciotto euro l'ora. Ho appena trovato lavoro presso una ditta di imbianchini, ma proprio in questi giorni, il giudice tramite una raccomandata, ha pignorato il mio stipendio presso questa ditta. Il titolare si è sentito intimato in quanto è stata fatta pure a lui (art.546 cpc).
Il risultato è che il mio titolare pagherà ma io mi troverò di nuovo senza lavoro. Cosa posso fare?”

Consulenza legale i 17/02/2012

L'assegno periodico per il mantenimento dei figli è la forma di contribuzione che si inserisce nella quasi totalità delle separazioni delle coppie con figli. E' manifestazione del principio generale per il quale i genitori devono educare, crescere e mantenere i figli, finchè questi non siano in grado di provvedere da soli a se stessi.

Il sesto comma dell'art. 156 del c.c. recita testualmente che "in caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte di beni del coniuge obbligato e ordinare a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato, che parte di essa venga versata periodicamente agli aventi diritto". Lo scopo di tale norma è quello di garantire al coniuge avente diritto la tempestiva disponibilità delle somme necessarie al mantenimento proprio e dei figli, evitando così l'onere di dovere promuovere procedure esecutive per tentare di recuperare le inadempiute prestazioni periodiche.

Nella separazione tutte le condanne al pagamento di somme per obblighi di mantenimento, ancorchè in via provvisoria, sono caratterizzate da immediata esecutorietà. A tal proposito è necessario ricordare che il coniuge che intende avanzare opposizione all'atto di precetto notificatogli per il pagamento dei crediti maturati per il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento a favore del figlio, può proporre soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo, non potendo in alcun modo dedurre fatti sopravvenuti, potendo essi essere fatti valere solo con il procedimento di modifica delle condizioni di separazione di cui all'art. 710 del c.p.c.. La ratio di tali norme si basa sul fatto che il mantenimento materiale è presupposto essenziale ed imprescindibile per la crescita e lo sviluppo della personalità del minore.

Inoltre, i provvedimenti del giudice in materia di assistenza familiare sono muniti di particolare forza per garantirne l'esecuzione. La loro violazione può provocare l'applicabilità della sanzione penale: nella duplice figura del reato per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 del c.p.), o di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 del c.p.).

Alla luce di quanto esposto, non ci si potrà sottrarre all'ordine del giudice in ordine al mantenimento della figlia minore. Eventuali fatti sopravvenuti potranno essere fatti valere solo con il procedimento ex art. 710 c.p.c.


Martino C. chiede
domenica 21/11/2010
“Sono rientrato in Italia dal Regno Unito a Maggio 2010. Ho aperto un conto corrente con la mia futura moglie la quale, senza che io lo sapessi aveva una causa in corso. Anche se il conto corrente e' intestato ad ambedue io ne sono il solo utente. Il conto contiene i miei risparmi trasferiti da Londra e riceve mensilmente la mia pensione di stato inglese.Il conto e' stato pignorato e la comunicazione e' stata inviata solo al mio cointestatario mentre io ancora non sono stato informato. L'azione mi ha privato di qualsiasi mezzo di sostentamento. E' legale ciò? La legge mi da una protezione o ricorso o debbo rivolgermi alla legge inglese essendo io pure cittadino britannico?”
Consulenza legale i 23/11/2010

Nell’ipotesi in cui venga colpito da pignoramento l’intero saldo attivo ovvero una quota eccedente quella del debitore di un conto corrente cointestato, le contestazioni di colui che non è debitore vanno sollevate mediante opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 del c.p.c.
Poiché la contestazione del terzo cointestatario riguarda somme di denaro depositate, il rito da seguire sarà quello ordinario.
Il cointestatario non debitore può fornire la prova della esclusiva o prevalente titolarità in capo a sé delle somme o dei titoli depositati su un conto corrente bancario cointestato direttamente, dimostrando la provenienza di quanto depositato, ovvero con l’ausilio di presunzioni.
La Suprema corte ha confermato, ad esempio, la decisione di merito che ha ritenuto provata l'esclusiva appartenenza al marito delle somme depositate su un conto corrente cointestato al medesimo e alla moglie, sulla base dei seguenti fatti secondari: precedente intestazione al marito di un conto con depositi di importo superiore, brevissima durata del matrimonio, impossibilità di risparmi familiari apprezzabili (Cass. civ., sez. I, 1/2/2000, n. 1087).


Lara chiede
mercoledì 10/03/2010

“Si può chiedere di pignorare beni presenti presso il terzo se fallisce la procedura di pignoramento del creditore, perché nessuno si è presentato alle udienze tranne il debitore?”

Consulenza legale i 27/12/2010

Dispone l'art. 548 del c.p.c. che se il terzo non compare all'udienza stabilita, il giudice, su istanza di parte, provvede all'istruzione della causa a norma del libro secondo. L'istanza di parte, quindi, introduce un vero e proprio giudizio di cognizione ordinaria, con la conseguenza che al terzo che non fa la dichiarazione neppure nel corso del giudizio di prim grado, sarà applicabile l'art. 232 del c.p.c. primo comma, in base al quale il giudice potrà ritenere come ammessi i fatti dedotti, sui quali il terzo non ha dato riscontro senza giustificazione.

Ottenuto la sentenza che accerta l'esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, le parti dovranno riassumere entro il termine fissato dal giudice il processo esecutivo, nel corso del quale potranno ottenere il pignoramento dei beni del debitore che si trovano presso il terzo (art. 549 del c.p.c.).


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