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Articolo 397 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Revocazione proponibile dal pubblico ministero

Dispositivo dell'art. 397 Codice di procedura civile

Nelle cause in cui l'intervento del pubblico ministero è obbligatorio a norma dell'articolo 70 primo comma, le sentenze previste nei due articoli precedenti possono essere impugnate per revocazione dal pubblico ministero:

  1. 1) quando la sentenza è stata pronunciata senza che egli sia stato sentito(1);
  2. 2) quando la sentenza è l'effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge(2)(3).

Nei casi di cui all'articolo 391 quater, la revocazione può essere promossa anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione(4).

Note

(1) La mancata partecipazione del Pubblico Ministero, che sia prevista come obbligatoria, implica la nullità della sentenza. Solo il P.M. può far valere tale nullità avvalendosi del rimedio straordinario, ma, qualora i termini per impugnare non siano ancora scaduti anche il P.M. dovrà ricorrere ai mezzi ordinari.
(2) Cfr. art. 77, r.d. 30-1-1941, n. 12 Ordinamento giudiziario.
(3) Ricorre quando le parti convengono di far valere nel processo fatti non veri o prove false per ottenere una sentenza lesiva di interessi indisponibili. In tal modo le parti utilizzano uno strumento lecito per realizzare un fine illecito.
(4) Comma inserito dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, il quale ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Spiegazione dell'art. 397 Codice di procedura civile

La norma in esame consente al pubblico ministero, nelle cause in cui il suo intervento è obbligatorio ai sensi del primo comma dell’art. 70 del c.p.c., di promuovere il giudizio di revocazione delle sentenze di appello o pronunciate in unico grado nonché delle sentenze passate in giudicato.

Questa forma di impugnazione viene generalmente ricondotta nell’ambito della revocazione straordinaria.
In dottrina, tuttavia, vi è chi assimila l’ipotesi prevista al n. 1 di questa norma all’opposizione di terzo e quella di cui al n. 2 ai motivi di revocazione di cui all'art. 395, nn. 1, 2.

I motivi di revocazione devono attenere a:
  1. la mancata partecipazione del pubblico ministero al processo;
  2. l'effetto di collusione posto in essere tra le parti per frodare la legge che abbia dato luogo alla sentenza viziata. Si ritiene che tale motivo ricorra quando le parti, d'accordo tra loro, instaurano un processo, al quale il pubblico ministero aveva effettivamente partecipato, sulla base di affermazioni di fatti non veri e con l'impiego di prove false, al fine di ottenere un provvedimento contrario alla legge.

Occorre evidenziare che, mentre il motivo di cui al n. 1 costituisce un caso di nullità della sentenza, insanabile, rilevabile d'ufficio e che le parti possono far valere nei limiti delle impugnazioni ordinarie, la frode alla legge per dolo bilaterale delle parti non costituisce di per sé un vizio del processo o della sentenza.
Il concetto di frode alla legge è stato esteso fino a ricomprendervi la collusione diretta ad aggirare la norma disciplinatrice della giurisdizione.

Legittimato a proporre la domanda è l'ufficio del pubblico ministero che agisce presso il giudice la cui sentenza viene impugnata.
Il termine per proporre la revocazione è di 30 giorni e decorre dalla data in cui il P.M. ha avuto conoscenza della sentenza o della collusione.
Il P.M. è legittimato ad esperire il rimedio della revocazione indipendentemente da quali siano state le sue conclusioni nel giudizio definito con la sentenza revocanda.

Occorre infine osservare che, poiché legittimato a proporre l'azione è solo il P.M., solo questi può impugnare la sentenza che ha rigettato la domanda di revocazione.

Massime relative all'art. 397 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 6302/2007

I termini di decadenza per l'esercizio dell'azione di disconoscimento di paternità concorrono, unitamente ai casi in cui tale azione è consentita, a definire l'ambito nel quale il disconoscimento di paternità è esperibile e, con esso, a delineare il punto di equilibrio tra verità biologica e certezza dello status come presuntivamente attribuito. E siccome tali termini afferiscono a materia sottratta alla disponibilità delle parti, deve ritenersi frutto di collusione ordita per frodare la legge — con conseguente esperibilità dell'impugnazione per revocazione da parte del P.M. — la sentenza emessa a conclusione di un processo nel quale le parti, d'accordo fra loro, per far apparire tempestiva l'azione di disconoscimento di paternità e per conseguentemente superare la decadenza fissata dall'ordinamento a presidio dell'indisponibilità delle situazioni soggettive coinvolte, abbiano, contrariamente al vero, dedotto che l'acquisizione della conoscenza, da parte del figlio maggiorenne, dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento di paternità è avvenuta nell'anno anteriore alla proposizione dell'azione.

Il P.M. è legittimato ad esperire il rimedio della revocazione di cui all'art. 397, numero 2), c.p.c. indipendentemente da quali siano state le sue conclusioni nel giudizio, nel quale è intervenuto, definito con la sentenza revocanda, e quindi anche quando abbia assunto una posizione processuale favorevole alle conclusioni delle parti, accolte nella medesima sentenza, perché, essendo questa il risultato della sottostante volontà delle parti di realizzare uno scopo non consentito dalla legge attraverso l'artificiosa rappresentazione di una situazione diversa da quella reale, anche il P.M. è da ritenersi vittima della collusione, al pari del giudice contro il quale la frode è in via principale rivolta.

Cass. civ. n. 4780/1991

L'audizione del P.M., richiesta dall'art. 32 della L. 4 maggio 1983, n. 184 per la dichiarazione di efficacia nello Stato, a titolo di affidamento preadottivo, della sentenza di adozione di un minore emessa da un'autorità straniera, è prevista a pena di nullità, il che abilita lo stesso P.M., nell'ipotesi di pronuncia del provvedimento — per il quale è stabilito un procedimento in unico grado — senza che tale audizione sia avvenuta, alla proposizione non del ricorso per cassazione, ma di quello per revocazione ex art. 397 n. 1 c.p.c., a norma dell'ultimo comma dell'art. 72 c.p.c.

Cass. civ. n. 2993/1960

Per la proponibilità della revocazione da parte del pubblico ministero non è necessaria la circostanza di uno dei motivi per i quali la revocazione è consentita alle parti; è necessario e sufficiente, invece, che il pubblico ministero non sia stato sentito nonostante che si versasse in un caso in cui il suo intervento è obbligatorio, ovvero che la sentenza sia l'effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge. Non è indispensabile che il giudice della revocazione, dopo aver conclusa la fase del iudicium rescindens, decida sempre la controversia nel merito, dovendo egli derogare a questa regola quando accerti che tale controversia spetti alla competenza funzionale di altro giudice.

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