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Articolo 329 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Acquiescenza totale o parziale

Dispositivo dell'art. 329 Codice di procedura civile

Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395, l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge (1) ne esclude la proponibilità.

L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate (2) (3).

Note

(1) L'acquiescenza che impedisce l'impugnazione può essere:
- espressa, quando la parte (personalmente o a mezzo di procuratore speciale) esplicitamente dichiara di accettare la pronuncia o di non voler impugnare la sentenza;
- tacita, nel caso in cui l'interessato abbia tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di impugnare. Si esclude che possa desumersi l'accettazione della sentenza dalla spontanea esecuzione di un provvedimento ex lege esecutivo o dal pagamento delle spese processuali liquidate con sentenza.
(2) La situazione presa in considerazione dal secondo comma è quella di una sentenza che presenta più capi autonomi e indipendenti (art. 331 del c.p.c.) e che venga impugnata solo parzialmente. In questo caso, si parla di acquiescenza impropria, che si determina in relazione ai capi o alle parti sostanziali della decisione che non sono stati impugnati.
(3) L'acquiescenza potrà essere totale, se concerne l'intera sentenza, o parziale, se riguarda solo alcuni capi di essa. In ordine alla sua rilevabilità, la giurisprudenza ritiene che l'acquiescenza totale sia rilevabile solo dalla parte interessata, mentre quella parziale, sarebbe rilevabile anche ex officio, dal momento che il giudice deve stabilire i limiti di ammissibilità dell'impugnazione.

Ratio Legis

L'acquiescenza è una causa di decadenza dall'impugnazione che vale solamente nei confronti del soggetto che ha rinunciato a far valere il suo diritto ad impugnare. Invece, il successore a titolo particolare nel diritto controverso che non sia intervenuto nel giudizio di primo grado, potrà far valere il suo diritto ad impugnare, anche se il dante causa risulti aver prestato acquiscenza alla sentenza.

Brocardi

Qui non appellat, approbare videtur sententiam

Spiegazione dell'art. 329 Codice di procedura civile

L'acquiescenza non è altro che un fenomeno di accettazione della sentenza, il quale si realizza prima della scadenza dei termini per impugnare e che determina l'estinzione, in capo al soggetto soccombente, del potere di proporre l'impugnazione in via principale.

Essa si configura come un negozio giuridico processuale, deve essere successiva alla pubblicazione della sentenza, ma anteriore alla proposizione dell'impugnazione.

Non può avere effetto in relazione alla revocazione straordinaria, in quanto non è possibile prestare acquiescenza in relazione ad una impugnazione futura; inoltre, l’acquiescenza non impedisce la proposizione dell'impugnazione incidentale, a meno che non venga prestata dopo la proposizione dell'impugnazione principale della controparte.

La norma in esame prende in considerazione tre possibili ipotesi di acquiescenza, e precisamente: l'acquiescenza esplicita, l'acquiescenza implicita e l'acquiescenza impropria.

  1. Acquiescenza esplicita o espressa: può essere totale o parziale e consiste in una dichiarazione, resa dalla parte o da un suo procuratore munito di mandato speciale, di accettare espressamente una sentenza a mezzo di un atto unilaterale non recettizio.
Accettare la sentenza significa dichiarare di non voler proporre l'impugnazione, mentre se l'impugnazione è stata già proposta occorrerà un atto di rinuncia.
Per la validità dell’acquiescenza espressa il difensore della parte deve essere munito di procura speciale, che comprenda anche il potere di disporre del diritto dedotto in giudizio.

  1. Acquiescenza implicita: si configura nel caso in cui risulti da comportamenti univoci ed incompatibili con la volontà di avvalersi dei mezzi di impugnazione. Considerato che non si tratta di un negozio giuridico processuale, ma di un semplice atto, non occorre che la parte sia consapevole del significato del suo comportamento.
Non configurano atti di acquiescenza tacita, tra gli altri, i seguenti:
a) la notifica alla controparte di una sentenza che sancisce una reciproca soccombenza;
c) il dare esecuzione spontanea ad una sentenza di primo grado, anche prima dell'intimazione di precetto;
e) la richiesta di correzione di un errore materiale;
f) l'instaurazione di trattative per la definizione transattiva della controversia;
g) la notificazione della sentenza ad opera della parte totalmente soccombente.

  1. Acquiescenza impropria (o acquiescenza tacita qualificata): si definisce tale quella prevista dal secondo comma della norma, il quale dispone che l'impugnazione parziale comporta acquiescenza alle parti di sentenza non impugnate, purché autonome e non dipendenti da quella che è oggetto dell'impugnazione. Proprio per il fatto che il soccombente ha impugnato solo alcune parti della sentenza, si presume che abbia voluto prestare acquiescenza e, dunque, rinunciato all'impugnazione rispetto alle altre.
Il problema che è stato sollevato in ordine a tale forma di acquiescenza è quello relativo alla individuazione della nozione di parte o capo di sentenza.
In dottrina si sono delineati due diversi orientamenti:
  1. secondo un primo orientamento, per parte o capo di sentenza occorre fare riferimento soltanto alle decisioni su una domanda proposta dalle parti.
  2. altro orientamento ritiene che per parte o capo di sentenza si debba intendere anche la decisione su una singola questione, sia essa preliminare di merito o pregiudiziale di rito.

La giurisprudenza ha precisato che, perché si verifichi il fenomeno processuale dell’acquiescenza impropria, le "parti" di sentenza devono essere parti autonome da quella o quelle impugnate, come per esempio accade in relazione al capo sulle spese di lite.
Pertanto il passaggio in giudicato immediato non si verifica per i capi di sentenza dipendenti da quelli oggetto di impugnazione.
Anche in dottrina è pacifico che l'acquiescenza è impedita per quei capi di sentenza che siano dipendenti dal capo o dai capi impugnati.

L'effetto dell'acquiescenza è esclusivamente processuale, in quanto comporta la decadenza dal potere di impugnazione, con la conseguenza che l'impugnazione deve essere dichiarata inammissibile, anche se proposta nei termini.
In caso di acquiescenza impropria, sui capi di sentenza non impugnati si forma il giudicato formale, con conseguente impossibilità per il giudice dell'impugnazione di procedere ad un controllo della decisione sugli stessi (si possono così verificare i fenomeni del c.d. giudicato parziale e del c.d. giudicato interno).
E’ chiaro che la preclusione dell'impugnazione si produce nei confronti della sola parte che ha prestato acquiescenza alla sentenza.

Per quanto riguarda il rilievo dell'intervenuta acquiescenza, sia la dottrina che la giurisprudenza distinguono tra acquiescenza totale, che può essere eccepita solo dalla parte interessata, ed acquiescenza parziale, che può essere rilevata anche d'ufficio.

Massime relative all'art. 329 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 21514/2019

In tema di litisconsorzio facoltativo, quale quello che si determina nel giudizio promosso nei confronti di più coobbligati solidali (nella specie, più committenti convenuti per il pagamento del corrispettivo relativo ai lavori appaltati), verificatasi una causa di interruzione nei confronti di uno di essi e riassunto tempestivamente il giudizio, interrotto nei confronti di tutti, il vizio della notificazione dell'atto di riassunzione nei confronti di uno o alcuni tra i litisconsorti facoltativi ed il mancato rispetto del termine per la rinnovazione della notificazione non impediscono l'ulteriore prosecuzione del processo nei confronti dei restanti litisconsorti ritualmente citati, non potendosi estendere a costoro l'eventuale estinzione del processo ex art. 307 c.p.c. relativa ad uno dei convenuti originari.

Cass. civ. n. 13780/2017

Nel caso di sentenza di condanna al pagamento di un debito pecuniario, oltre interessi e rivalutazione, qualora l'appello del soccombente, pur investendo la pronuncia nella sua interezza, contenga specifici motivi solo sulla sussistenza del debito e nessuno, neppure subordinato, sulle dette statuizioni accessorie, al giudice del gravame è inibito il riesame di queste ultime, rispetto alle quali, per effetto dell'indicata delimitazione delle ragioni della impugnazione, deve ritenersi vi sia stata acquiescenza dell'appellante.

Cass. civ. n. 12615/2017

L'acquiescenza espressa costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, sicché la relativa manifestazione di volontà deve essere inequivoca e provenire dal soggetto che di quel diritto possa disporre, con la conseguenza che la stessa deve essere ricostruita in applicazione delle regole ermeneutiche sugli atti negoziali unilaterali, proprio per la sua sostanziale valenza abdicativa del diritto di proporre impugnazione, risultando, pertanto, la sua declaratoria censurabile in sede di legittimità ai sensi degli artt. 1362 e ss. c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che – in relazione ad un giudizio conclusosi, in primo grado, con la condanna di un comune al rilascio di immobile urbano dato allo stesso in comodato precario – potesse assumere univoco significato di atto di acquiescenza la nota intercorsa tra due uffici dell’amministrazione municipale, con la quale il primo segnalava, al secondo, di non ritenere sussistenti motivi per proporre appello e/o opposizione al rilascio, sul presupposto della mancata disponibilità di documentazione in ordine all’immobile e, quindi, della necessità di limitare l’onere a carico dell’amministrazione, rappresentando che, diversamente, ogni onere finanziario per la formalizzazione dell’uso sarebbe stato a carico dell’ufficio destinatario della nota, al quale si rimetteva, pertanto, ogni ulteriore e diversa determinazione).

Cass. civ. n. 4908/2017

La parte rimasta, in tutto o in parte, soccombente, ove non proponga impugnazione della sentenza che la pregiudica (nella specie, la pronuncia con la quale la corte d’appello ha deciso nel merito il gravame incidentale, senza affrontare la questione della sua ammissibilità), assume un comportamento incompatibile con la volontà di far valere, nel giudizio di impugnazione, la relativa questione - anche se a carattere pregiudiziale (che dà luogo ad un capo autonomo della sentenza e non costituisce un mero passaggio interno della decisione di merito, come si desume dall'art. 279, comma 2, nn. 2 e 4, c.p.c.) - in tal modo prestandovi acquiescenza, con le conseguenti preclusioni sancite dagli artt. 324 e 329, comma 2, c.p.c. (In applicazione del principio esposto, la S.C. ha dichiarato inammissibile l’eccezione, proposta solo in controricorso, di inammissibilità dell’appello incidentale, ritenendo la questione coperta dal giudicato implicito).

Cass. civ. n. 18713/2016

La formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perché fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicché l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongano in nesso conseguenziale con altra e trovino in essa il suo presupposto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia della corte d'appello che aveva escluso l'acquiescenza della parte che aveva contestato la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della liquidazione equitativa, in relazione all'inesattezza dell'inadempimento nonché al parametro adottato per la liquidazione).

Cass. civ. n. 3934/2016

L'acquiescenza tacita alla sentenza ex art. 329 c.p.c. può sussistere soltanto qualora l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, trattandosi di atti assolutamente incompatibili con la volontà di impugnare. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la parte avesse prestato acquiescenza ad una sentenza di divisione, alla quale, sebbene priva di efficacia immediatamente esecutiva, aveva dato spontanea attuazione, ricevendo le somme dovute a titolo di conguaglio e provvedendo alla riconsegna dell'immobile all'altro condividente).

Cass. civ. n. 25959/2015

La proposizione di un nuovo giudizio, identico ad altro già pendente tra le stesse parti, non costituisce manifestazione inequivoca della volontà di accettare la sentenza emessa in quest'ultimo, né, tantomeno, un comportamento incompatibile con la volontà di impugnarla, non potendosi negare l'interesse del soccombente al proseguimento del primo giudizio, onde ottenere, in via principale, la tutela della propria posizione giuridica ovvero un favorevole regolamento delle spese processuali.

Cass. civ. n. 6027/2015

In tema di impugnazioni, ove nel grado precedente un unico difensore abbia difeso più parti, la proposizione dell'impugnazione da parte del medesimo difensore solo per conto di alcune di esse non implica acquiescenza rispetto alle altre, giacché il diritto di impugnare può essere esercitato anche con diverso difensore.

Cass. civ. n. 21491/2014

Gli atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni previste dalla legge, e che, perciò, implicano una tacita acquiescenza alla sentenza ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ., sono esclusivamente quelli che possono essere spiegati solo supponendo il proposito della parte di non contrastare gli effetti giuridici della decisione, così rivelando, oggettivamente, in modo inequivoco, una corrispondente volontà della parte che li ha posti in essere. Ne consegue che la richiesta di pagamento e l'effettiva riscossione, ad opera della parte vittoriosa nel giudizio, di quanto alla stessa ivi riconosciuto, non comportano acquiescenza in quanto condotte suscettibili di essere ricondotte alla volontà di conseguire quanto già riconosciuto nella sentenza, che, di per sé, non è incompatibile con l'intento di impugnarla per ottenere quanto negato o, comunque, dovuto.

Cass. civ. n. 14368/2014

Il pagamento, anche senza riserve, delle spese processuali liquidate nella sentenza d'appello, o comunque esecutiva, non comporta acquiescenza alla stessa, neppure quando sia antecedente alla minaccia di esecuzione o all'intimazione del precetto.

Cass. civ. n. 13293/2014

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ. (configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, potendo, in quest'ultimo caso, ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia. Ne consegue che la spontanea esecuzione della decisione di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A. non comporta acquiescenza alla sentenza, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.

Cass. civ. n. 9075/2014

L'acquiescenza, ai sensi dell'art. 329 cod. proc. civ., come non può essere ravvisata nel fatto che il soccombente abbia pagato il debito di cui alla sentenza esecutiva, ancorché senza espressa riserva d'impugnazione, a maggior ragione, non può evincersi dal fatto che egli ne abbia chiesto la rateazione.

Cass. civ. n. 1553/2014

L'acquiescenza preclusiva dell'impugnazione ex art. 329 cod. proc. civ., è - anche nel processo tributario - soltanto quella successiva alla sentenza, sicché non è configurabile nell'ipotesi in cui la parte abbia dichiarato di "rimettersi al giudizio della commissione" circa un'avversa domanda, che, trattandosi di questione di puro diritto (per essere incontrastati i riferimenti in fatto della controversia), presuppone che la parte si attende dal giudice una pronuncia secondo giustizia, senza alcuna preventiva accettazione, né impedimento all'impugnazione. (Così statuendo, la S.C., nel confermare la legittimità di un avviso di liquidazione avente base in una precedente sentenza passata in giudicato, ha ritenuto non ravvisabile, nell'ammessa esistenza in fatto, in primo grado, da parte dell'amministrazione finanziaria - sul punto rimessasi alla decisione del giudice - della conciliazione intervenuta nel giudizio a monte, un'acquiescenza giuridicamente rilevante, riconoscendole, pertanto, l'interesse ad appellare la relativa statuizione ad essa sfavorevole).

Cass. civ. n. 3664/2013

Il principio della rilevabilità solo su eccezione di parte della acquiescenza alla sentenza si riferisce esclusivamente all'acquiescenza totale (per accettazione espressa o per atti incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione), ma non anche a quella conseguente all'impugnazione di alcuni capi soltanto della sentenza (acquiescenza parziale), atteso che il giudice deve accertare anche d'ufficio quali siano i limiti oggettivi dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 10785/2012

Siccome l'acquiescenza alla sentenza costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, la relativa manifestazione di volontà, oltre ad essere inequivoca, deve necessariamente provenire dal soggetto che di quel diritto possa disporre o dal procuratore munito di mandato speciale e, nel caso in cui sia contestata l'esistenza dei poteri rappresentativi in capo a quest'ultimo, incombe su chi intende avvalersi di tale dichiarazione l'onere di dimostrare che l'atto di acquiescenza provenga da soggetto legittimato a compierlo. (In applicazione di questo principio, la S.C. ha escluso di poter attribuire valore d'acquiescenza alla dichiarazione in tal senso sottoscritta, successivamente al deposito della sentenza di appello, dal procuratore incaricato della difesa esclusivamente in tale grado di giudizio).

Cass. civ. n. 1963/2012

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo la rinunzia espressa all'impugnazione, da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della p.a., anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 c.p.c. e 49 d.l.vo 31 dicembre 1992, n. 546, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.

Cass. civ. n. 19747/2011

Il comportamento della parte soccombente che, all'atto della notifica della sentenza di primo grado dichiarata provvisoriamente esecutiva e del pedissequo precetto intimato per il pagamento delle somme dovute a termini della sentenza medesima, abbia invitato la controparte ad operare la compensazione del credito fatto valere mediante il citato atto di precetto con la maggiore somma della quale essa sia creditrice ed a restituire la differenza, non può assumere l'univoco significato di una libera, totale e incondizionata accettazione del "decisum" e quindi di una acquiescenza preclusiva, ex art. 329 c.p.c., del diritto di impugnazione, trattandosi di comportamento ispirato alla finalità di evitare l'esecuzione intimata con l'atto di precetto.

Cass. civ. n. 33/2008

Nel caso di impugnazione parziale, l'acquiescenza ai sensi dell'art. 329, secondo comma, c.p.c., alle parti della sentenza non impugnate, si verifica quando si desuma dall'atto in modo inequivoco la volontà dell'appellante di sottoporre solo in parte la decisione all'appello (elemento soggettivo) e le diverse parti siano del tutto autonome l'una dall'altra (elemento oggettivo) e non anche quando la parte impugnata sia sviluppo logico della parte non impugnata, per cui in realtà l'impugnazione della argomentazione, pur distinta, della prima si ponga in nesso conseguenziale con l'altra. (Nella specie, accolta dal giudice di merito una domanda ex art. 2932 c.c. previa reiezione dell'eccezione di improponibilità della stessa e impugnata la statuizione relativa alla proponibilità, la S.C. ha escluso il giudicato sul capo di accoglimento data l'interdipendenza tra le due affermazioni).

Cass. civ. n. 4794/2006

L'acquiescenza tacita prevista dall'art. 329 c.p.c. è configurabile quando l'interessato abbia compiuto atti certamente dimostrativi della volontà di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia e dai quali, perciò, si possa desumere, in modo preciso ed univoco, l'intento di non avvalersi dell'impugnazione. Pertanto, non può essere considerata acquiescenza tacita – rispetto alla sentenza di appello che dichiari la nullità della notificazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado e rimetta le parti al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c. – la riassunzione della causa davanti al giudice di primo grado quando siano ancora aperti i termini per l'impugnazione di detta statuizione, trattandosi di iniziativa riconducibile ad esigenze cautelative e, comunque, non incompatibile con la volontà di avvalersi di tale mezzo di impugnazione, che, se proposto, non può essere conseguentemente dichiarato inammissibile. Peraltro, la prevista interruzione del termine di riassunzione, disposta dall'art. 353, terzo comma, c.p.c. quando la sentenza di appello che abbia ordinato la rimessione della causa al primo giudice sia stata oggetto di ricorso per cassazione, non rendendo irrituale la riassunzione che sia avvenuta prima della proposizione del ricorso per cassazione, comporta soltanto che il giudizio riassunto debba intanto essere sospeso, in applicazione dell'art. 48 c.p.c., che, nell'ambito del sistema e con efficacia di principio generale, regola il coordinamento tra il giudizio riassunto dinanzi al diverso giudice e il giudizio di impugnazione della sentenza, che abbia disposto la relativa translatio iudicii.

Cass. civ. n. 8137/2005

L'acquiescenza prevista dall'art. 329 c.p.c. è fondata sul rapporto di incompatibilità (quale reciproca esclusione) fra la volontà che è alla base di un atto – che può essere anche anteriore alla stessa sentenza – e la volontà che è alla base dell'impugnazione; conseguentemente, la predisposizione di un conteggio nel corso del giudizio di primo grado, per l'eventuale affermazione giudiziale del diritto controverso del quale si contesta la sussistenza, integrando solo un condizionato riconoscimento del quantum, non è incompatibile con l'impugnazione dell'an, nè con l'impugnazione del riconoscimento delle spettanze fondato sulla negazione del diritto. Essendo l'accertamento della compatibilità giudizio di fatto, la valutazione di tali atti da parte del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità se assistita da congrua motivazione.

Cass. civ. n. 17842/2004

La pronuncia emessa a conclusione di un giudizio relativo a diverse annualità dello stesso tributo produce effetti circoscritti alle singole annualità, ancorché essa abbia ad oggetto analoghe questioni, ed anche se unica è stata la domanda (nella specie, di rimborso di tassa di concessione governativa) e unica la condanna, riguardante tutte le annualità. Una siffatta pronuncia, infatti, consta sostanzialmente di più capi completamente autonomi, ciascuno riguardante un singolo periodo d'imposta e suscettibile di conservare efficacia precettiva anche sugli altri vengono meno, di tal che è configurabile l'acquiescenza, ai sensi dell'art. 329, secondo comma, c.p.c., in ordine ai capi non impugnati, i quali non possono pertanto formare oggetto di nuovo esame da parte del giudice del gravame.

Cass. civ. n. 16460/2004

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi, siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 c.p.c. e 49 D.L.vo n. 546 del 1992, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.

Cass. civ. n. 11729/2004

L'obbligo della restituzione delle somme pagate in esecuzione di una decisione successivamente cassata, ovvero di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge per il solo fatto della cassazione o della riforma della sentenza, ancorché questa non contenga la condanna alle restituzioni. Ne consegue che, a seguito della riforma della sentenza, la spontanea esecuzione di tale obbligo da parte del soccombente non configura acquiescenza, non dimostrando una volontà di accettare la sentenza, incompatibile con la volontà di valersi delle impugnazioni.

Cass. civ. n. 10963/2004

L'acquiescenza del soccombente, che costituisce ostacolo alla proposizione dell'impugnazione ex art. 329 c.p.c., ove non risulti da un'accettazione espressa della pronuncia giudiziale o da una formale rinuncia a sottoporla a gravame, può desumersi soltanto da atti o fatti univoci, del tutto incompatibili con la volontà di avvalersi del mezzo di impugnazione nell'ipotesi prevista. Ne consegue che non dà luogo ad acquiescenza l'adempimento spontaneo da parte del soccombente della prestazione dovuta in base a sentenza esecutiva, non essendo tale comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi del mezzo di impugnazione esperibile e risultando esso volto ad evitare l'esecuzione forzata del provvedimento giurisdizionale.

Cass. civ. n. 1266/2004

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (cui rinvia l'art. 49 del D.L.vo 31 dicembre 1992, n. 546), è configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame (giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), e consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita. In quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioé quando gli stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione.

Cass. civ. n. 15838/2002

Qualora la sentenza di primo grado abbia solo parzialmente riconosciuto il diritto di credito fatto valere in giudizio, l'accettazione del pagamento eseguito dal debitore, per la parte per la quale è stata pronunziata condanna, non costituisce per il creditore un comportamento univocamente, incompatibile con la volontà di impugnare la sentenza per ottenere l'integrale riconoscimento del suo diritto e, quindi, non comporta l'inammissibilità per acquiescenza dell'impugnazione da lui proposta.

Cass. civ. n. 11488/2002

L'acquiescenza ad una sentenza, con conseguenti effetti preclusivi della sua impugnazione ai sensi dell'art. 329, primo comma, c.p.c., presuppone che il comportamento posto in essere dall'interessato – dal quale sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non voler contrastare gli effetti giuridici della pronuncia – si riferisca allo specifico rapporto oggetto dell'intervenuta sentenza. Ne consegue, pertanto, che l'acquiescenza tacita non è ravvisabile allorché il comportamento tenuto dall'interessato concerna pretese creditorie diverse, ossia rapporti autonomi con altri soggetti o con lo stesso soggetto ma per periodi diversi.

Cass. civ. n. 15279/2001

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la stessa presuppone l'iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, ha una causa petendi (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un petitum (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita al diritto al mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art. 329, secondo comma, c.p.c., l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l'azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione.

Cass. civ. n. 2062/2001

Nel caso di impugnazione parziale, l'acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate si verifica solo quando le diverse parti siano del tutto autonome l'una dall'altra e non anche quando la parte non impugnata si ponga in nesso consequenziale con l'altra e trovi in essa il suo presupposto. (Nella specie, la S.C. ha annullato la decisione del tribunale, che aveva confermato la sentenza pretorile di riconoscimento di dipendenza da causa di servizio della malattia contratta da un conduttore della FFSS Spa anche con riferimento alla categoria della infermità, nonostante il consulente tecnico, in appello, avesse ravvisato una infermità meno grave di quella riscontrata in primo grado, avendo ritenuto estranea al thema decidendum, per difetto di specifica impugnazione, la valutazione della gravità della malattia, senza considerare che la Spa FF.SS aveva negato in radice la causa di servizio, e che in tale negazione era compreso anche il grado di incidenza della infermità).

Cass. civ. n. 1061/2001

La circostanza che la parte parzialmente vittoriosa abbia notificato alla parte soccombente la sentenza in forma esecutiva non costituisce acquiescenza alla decisione.

Cass. civ. n. 9867/2000

Qualora il giudice di appello non siasi ancora pronunciato sulla richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, l'adeguamento della parte alle statuizioni della decisione, integra un atto dovuto insuscettibile, come tale, di comportare acquiescenza alla sentenza.

Cass. civ. n. 8223/2000

L'adeguamento alle statuizioni di una sentenza esecutiva non costituisce acquiescenza alla stessa e pertanto non si configura come comportamento idoneo ad escludere l'ammissibilità dell'impugnazione; ne consegue che deve ritenersi ammissibile l'impugnazione proposta da un comune avverso una sentenza esecutiva che lo condanni al pagamento di una somma di danaro, anche quando il suddetto comune abbia, con propria delibera, riconosciuto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 37 D.L.vo n. 77 del 1995, la legittimità del debito fuori bilancio accertato in sentenza, atteso che, così agendo, il comune si è meramente adeguato alle statuizioni della sentenza esecutiva, nella valutazione dell'interesse pubblico di non gravare il debito dei maturandi accessori, e che il riconoscimento della legittimità del debito risulta un necessario incombente, essendo imposto dalla norma citata per l'adempimento dei debiti fuori bilancio.

Cass. civ. n. 1610/2000

Siccome l'acquiescenza costituisce atto dispositivo del diritto di impugnazione e, quindi, indirettamente, del diritto fatto valere in giudizio, la relativa manifestazione di volontà oltre ad essere inequivoca deve necessariamente provenire dal soggetto che di detto diritto possa disporre o dal procuratore munito di mandato speciale. (La S.C. ha così cassato la sentenza che aveva ritenuto di poter attribuire valore d'acquiescenza non alle dichiarazioni direttamente espresse dal rappresentante di una società, bensì alle affermazioni del difensore di questa, contenute in una lettera inviata al difensore di controparte).

Cass. civ. n. 1422/2000

Qualora i diversi capi della sentenza, lungi dal risultare autonomi per modo che l'uno possa conservare efficacia precettiva indipendentemente dall'altro, siano collegati fra loro in un intimo ed inscindibile nesso causale (quale esattamente tra principale ed accessorio) sì che l'uno costituisca esclusivamente una conseguenza del precedente e trovi in questo il suo antecedente logico-giuridico o ne rappresenti il corrispondente sviluppo, gli effetti dell'acquiescenza prestata alle parti della sentenza non impugnate, ovvero rispetto ai capi accettati, si estendono di necessità anche ai capi che ne siano dipendenti, nel senso esattamente che, se il capo non accettato (e che si vorrebbe impugnare) dipende dal capo accettato, la possibilità di impugnazione è preclusa restando il capo dipendente immodificabile nonostante il gravame. (Fattispecie in tema di inammissibilità dell'impugnazione relativa al capo della sentenza attinente al rapporto accessorio di fideiussione, in ragione dell'acquiescenza prestata al capo della medesima pronuncia, concernente la declaratoria d'improcedibilità della domanda relativa all'obbligazione principale).

Cass. civ. n. 14038/1999

Il pagamento di un debito (nella specie, delle spese processuali) determinato da una sentenza, o da qualsiasi altro provvedimento dotato di efficacia esecutiva, si configura normalmente come atto di dovuta esecuzione. Ne consegue che esso, anche se eseguito senza riserve e prima della notificazione del provvedimento che lo impone, non può essere inteso come condotta assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi dei mezzi di gravame nei confronti dello stesso provvedimento, quindi come acquiescenza preclusiva della proponibilità di essi.

Cass. civ. n. 4913/1999

A differenza dell'acquiescenza parziale, che può essere rilevata d'ufficio, in quanto rientra tra i poteri del giudice individuare i limiti dell'impugnazione, l'acquiescenza totale deve essere eccepita dalla parte interessata e non può essere rilevata d'ufficio.

Cass. civ. n. 11975/1998

L'acquiescenza ad un pronuncia, preclusiva delle proponibilità dell'impugnazione contro la stessa, qualora non risulti da accettazione espressa o da formale rinunzia ad impugnarla, richiede un atteggiamento univocamente incompatibile con la volontà di avvalersi dell'impugnazione, che non può ravvisarsi nel comportamento della parte parzialmente vittoriosa la quale si limiti a pretendere, sia pure intimando il precetto, la porzione del vantato credito riconosciutale dalla sentenza, non essendovi alcuna incompatibilità logica e giuridica tra la volontà del soggetto di eseguire la decisione nella parte a lui favorevole ed il suo proposito di impugnarla nella parte sfavorevole.

Cass. civ. n. 11773/1998

In presenza di una sentenza di condanna notificata in forma esecutiva, va escluso che la sua esecuzione sia univocamente dimostrativa della volontà del soccombente di non contrastare gli effetti della pronuncia, essendo l'atto altrimenti spiegabile con ragioni cautelari ed essendo privo di quel contenuto di spontaneità che è indispensabile per qualificare l'esecuzione come atto antagonista rispetto all'impugnazione, a maggior ragione quando l'atto non sia di esecuzione, ma consista nella mera promessa di un'eventuale futura esecuzione della sentenza, successivamente impugnata.

Cass. civ. n. 8453/1998

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi, siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. (Nella specie la S.C. ha escluso che sia circostanza indicativa, in forma, univoca della volontà di non impugnare una sentenza di tribunale amministrativo regionale declinatoria della giurisdizione la proposizione della domanda davanti al giudice ordinario, in quanto questo comportamento rileva più semplicemente il proposito delle parti interessate di percorrere anche la via della giurisdizione ordinaria).

Cass. civ. n. 11149/1997

L'acquiescenza tacita, ai sensi dell'art. 329 c.p.c. è configurabile quando l'interessato abbia compiuto atti certamente dimostrativi della volontà di non contrastare gli effetti della pronuncia e dai quali si possa desumere, in modo preciso ed univoco, l'intento di non avvalersi dell'impugnazione. Pertanto, la riassunzione della causa davanti al giudice indicato come fornito di giurisdizione, quando siano ancora aperti i termini per l'impugnazione di detta statuizione, non può essere considerata acquiescenza tacita (rispetto alla decisione affermativa della giurisdizione), senza che rilevi il fatto che la parte, nell'effettuare la riassunzione, non abbia formulato riserva di ricorso per cassazione, trattandosi di riserva non prevista da alcuna disposizione. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha escluso che potesse concretare un'ipotesi di tacita acquiescenza il fatto che la parte, nel termine previsto dall'art. 353 c.p.c., avesse riassunto il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo innanzi al tribunale, che la corte d'appello aveva dichiarato fornito della giurisdizione a decidere nel merito).

Cass. civ. n. 11258/1996

Gli atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni previste dalla legge, e che, perciò, implicano tacita acquiescenza alla sentenza, ai sensi dell'art. 329 c.p.c., sono esclusivamente quelli che possono essere spiegati solo supponendo il proposito della parte di non contrastare gli effetti giuridici della sentenza e che per ciò stesso rivelano, oggettivamente, in modo inequivoco, una volontà in tal senso della parte che li ha posti in essere; conseguentemente, non implicano acquiescenza né l'iniziativa della parte totalmente o parzialmente soccombente che abbia fatto notificare alla controparte la sentenza in forma esecutiva né la richiesta di pagamento, e l'effettiva riscossione, ad opera della parte vittoriosa nel giudizio di appello di quanto alla stessa ivi riconosciuto dato che, per il primo degli atti considerati, la notificazione della sentenza, alla quale entrambi le parti sono legittimate, è solo atto diretto a far decorrere il termine breve di impugnazione e, per il secondo dei predetti atti, la richiesta di pagamento e l'effettiva riscossione possono essere ricondotte alla volontà di conseguire quanto già riconosciuto nella sentenza, di per sé non incompatibile con la volontà di impugnazione della medesima sentenza per il di più negato.

Cass. civ. n. 8079/1995

L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c., configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge, consiste nell'accettazione della sentenza ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma tacita che espressa, configurandosi in tal caso come atto unilaterale non recettizio, non richiedente accettazione della controparte e produttivo di effetti appena la relativa dichiarazione sia esteriorizzata, con la conseguenza che essa, una volta emessa, è irretrattabile e preclude l'eventuale successiva proposizione del gravame.

Cass. civ. n. 7672/1994

Posto che l'art. 285 c.p.c. legittima entrambe le parti del processo (e non solo quella vittoriosa) a notificare la sentenza ai fini della decorrenza del termine breve d'impugnazione, nessun significato di acquiescenza alla decisione può essere conferito al fatto che la sua notifica sia stata effettuata dalla parte soccombente, e tanto meno dalla parte parzialmente vittoriosa, atteso che essa non dimostra in modo univoco la rinunzia a conseguire il pieno accoglimento delle sue domande ed eccezioni, ma rivela solo l'intento di far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti dell'altra parte in relazione ai capi per cui la stessa è soccombente.

Cass. civ. n. 10112/1993

L'acquiescenza prevista dall'art. 329, primo comma, c.p.c., quale comportamento idoneo ad escludere la proponibilità della impugnazione, configura un negozio giuridico processuale — che presuppone una univoca volontà abdicativa della parte, non ravvisabile nel solo adeguamento alle statuizioni di una sentenza esecutiva — in relazione al quale l'operato del giudice del merito è sindacabile in sede di legittimità sia sotto il profilo della violazione dei criteri legali di ermeneutica negoziale, ex art. 360, n. 3, c.p.c., sia con riguardo alla congruità della motivazione ex art. 360, n. 5, stesso codice, con possibilità, pertanto, anche di un autonomo, diretto riesame degli atti di causa, che si impone anche ai fini del controllo della proseguibilità del processo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 382, terzo comma, seconda ipotesi, c.p.c.

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