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Articolo 107 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Intervento per ordine del giudice

Dispositivo dell'art. 107 Codice di procedura civile

Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune (1), ne ordina l'intervento (2).

Note

(1) Secondo l'opinione prevalente e consolidata della dottrina vi è tendenziale coincidenza fra la norma in esame e l'articolo relativo agli interventi su istanza di parte (art.106). Infatti, in entrambi i casi i terzi sono individuati in funzione della comunanza di causa. Il giudice può ordinare, ad esempio, l'intervento del terzo in ipotesi di contestazione della titolarità attiva o passiva del rapporto per evitare la doppia soccombenza di una delle parti.
Inoltre, quando il terzo può risentire dell'efficacia della sentenza (art.105), il giudice potrebbe ordinarne l'intervento nel caso in cui ritenga che fra le parti originarie vi sia collusione, prevenendo l'emanazione di una sentenza che sarebbe impugnata successivamente mediante opposizione di terzo revocatoria (art.404, II comma c.p.c.).
Nel caso in cui il rapporto di cui il terzo è titolare ed il rapporto dedotto in giudizio esiste un nesso di pregiudizialità (art. 34), l'intervento del terzo può essere strumento per un più corretto accertamento del rapporto pregiudiziale e quindi per una più giusta decisione sulla causa principale (tipico è il caso della chiamata in causa del datore di lavoro in una causa fra lavoratore ed ente previdenziale per l'accertamento dell'esistenza del pregiudiziale rapporto di lavoro).
(2) Il giudice non ordina direttamente l'intervento del terzo, bensì ordina alle parti la chiamata con le modalità di cui all'art.270 alle parti costituite, che hanno così l'onere di rispettare l'ordine del giudice. L'inosservanza di tale ordine non comporta automaticamente la cancellazione della causa dal ruolo, in quanto il giudice può fissare una nuova udienza che consente, se la parte interessata provvede alla relativa citazione, la prosecuzione del giudizio.

Ratio Legis

La norma descrive l'ipotesi in cui la chiamata del terzo avvenga per ordine del giudice, il quale in qualsiasi momento del giudizio di primo grado, sulla base di una valutazione di opportunità processuale che consiste nel garantire l'economia del giudizio stesso e nell'esigenza di evitare conflitti di giudicati, ordina alle parti di chiamare in causa il terzo. Pertanto, è bene indicare cha la ragione giustificatrice di tale chiamata risiede nella comunanza di causa che legittima l'intervento su istanza di parte e, cioè, l'esistenza di una connessione oggettiva tra la posizione del terzo e quella delle originarie parti in causa.
Tuttavia, si potrebbe ritenere che la chiamata per ordine del giudice possa comprimere il principio della domanda. Per questo motivo si ritiene che l'ordine possa essere dato solo quando la parte, che era decaduta dal potere di chiamare in giudizio il terzo [v. 106], per causa a lei non imputabile, ne abbia fatto espressa richiesta.

Brocardi

Iussu iudicis

Spiegazione dell'art. 107 Codice di procedura civile

La norma in esame, come quella che precede, prevede un intervento coatto, che provoca in capo al terzo l'assunzione della qualità di parte; è, comunque, pacifico che il terzo non può mai essere obbligato a partecipare attivamente, potendo anche decidere di rimanere contumace.

Originariamente, e precisamente sotto la vigenza del codice di rito del 1865, l'intervento per ordine del giudice era assimilato ad un mezzo istruttorio.
Altra tesi considerava l'intervento jussu judicis uno strumento per integrare il contraddittorio nelle ipotesi di litisconsorzio necessario.
Altri, ancora, ritenevano che con tale istituto il legislatore avesse voluto tutelare la posizione di quei terzi che, in quanto titolari di un rapporto in posizione di dipendenza e per effetto dell'efficacia riflessa del giudicato, avrebbero potuto subire conseguenze pregiudizievoli a seguito di una decisione ingiusta o fraudolenta,
Da ultimo, infine, è prevalsa la tesi che l'intervento jussu judicis, per la sua impostazione e per la sua struttura, sia da equiparare all'intervento coatto ad istanza di parte e che la sua ratio sia quella di consentire il simultaneus processus sia per ragioni di economia processuale, sia per evitare un possibile contrasto di giudicati.

A prescindere dalle diverse ricostruzioni che sono state prospettate, l'aspetto più critico riguarda la compatibilità di questo istituto con il principio dispositivo e, soprattutto, con il principio della domanda, in quanto di fatto la decisione di chiamare in causa un terzo, per poter estendere pure a lui la domanda e gli effetti del giudicato, è presa dal giudice, anziché dalle parti.
Allo scopo di superare tale problema, si è pensato di configurare l'intervento jussu judicis come una mera litis denuntiatio, con la conseguenza che il terzo assume la qualità di parte solo se, a seguito di tale denuntiatio, decida di intervenire spontaneamente nel processo, oppure se siano le parti originarie a proporre domande contro di lui; qualora, invece, il terzo decidesse di non effettuare l'intervento, rimarrebbe del tutto estraneo al processo e il giudicato non si potrebbe estendere nei suoi confronti.

Per quanto concerne le categorie di terzi che possono essere chiamati in causa jussu judicis, si ritiene che non possano sussistere ostacoli nell'ammettere che possano essere chiamati i terzi titolari di un rapporto in posizione di mera dipendenza rispetto a quello oggetto della causa principale e che ben avrebbero potuto porre in essere un intervento adesivo dipendente.

In ordine, invece, ai poteri che il terzo, una volta chiamato e costituitosi in giudizio, può esercitare, si tende a riconoscergli una posizione paritetica rispetto alle parti originarie, attesa la natura del tutto involontaria del suo intervento e si ritiene anche che il terzo abbia il potere di impugnare autonomamente la sentenza.

La giurisprudenza di legittimità, nel confermare che la chiamata in causa di un terzo jussu judicis viene lasciata alla discrezionalità del giudice di primo grado, ha precisato che una decisione in tal senso determina una situazione di litisconsorzio processuale necessario, insindacabile sia da parte del giudice di appello, che del giudice di legittimità.

Dal punto di vista concreto, alla chiamata del terzo per ordine del giudice provvede una delle parti originarie (normalmente la c.d. parte più diligente, che corrisponde a quella maggiormente interessata all'intervento del terzo).
Se poi nessuna delle parti ottemperi all'ordine del giudice di effettuare la chiamata, notificando al terzo l'apposito atto di citazione ai sensi degli artt. 269 e 270 c.p.c., scatta la sanzione della cancellazione della causa dal ruolo; a seguito di tale cancellazione, se nessuna delle parti originarie provvede alla riassunzione del procedimento, effettuando anche la citazione del terzo, la causa si estingue ex art. 307 del c.p.c..

La fissazione dell'udienza per la chiamata del terzo non comporta la fissazione di alcun termine perentorio, poiché si tratta di un'udienza di comparizione analoga a quella prevista dal n. 7 dell’art. 163 del c.p.c. per l'ordinaria citazione.
Da ciò ne consegue che la mancata osservanza dell'ordine di chiamata del terzo e, correlativamente, la mancata comparizione dello stesso all'udienza fissata, non impediscono al giudice di fissare una nuova udienza di comparizione, nell'esercizio del suo potere discrezionale.

Dal combinato disposto degli artt. 107 e 269 c.p.c. si desume che la chiamata in causa per ordine del giudice può avvenire in ogni momento e che non è soggetta al regime di preclusioni vigenti per l'intervento volontario; essa è comunque subordinata alla previa valutazione, da parte del giudice, in ordine alla sussistenza del requisito della comunanza di causa ed all'opportunità dell'intervento stesso, e contiene sempre l'implicito avvertimento che il giudice non è disposto a decidere sino a che il suo ordine non venga eseguito.

Massime relative all'art. 107 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 4724/2019

La manifestazione, da parte dell'attore, della volontà di estendere la domanda originaria nei confronti del terzo chiamato in causa "iussu iudicis" non è assoggettata ad alcun termine perentorio, potendo essere disposto l'intervento ex art. 107 c.p.c. in ogni momento del processo.

Cass. civ. n. 11250/2014

In caso di morte del chiamato in causa "iussu iudicis" ex art. 107 cod. proc. civ. nel giudizio di primo grado, la relativa legittimazione processuale attiva e passiva si trasmette agli eredi, i quali vengono a trovarsi nella posizione di litisconsorti necessari per ragioni processuali, sicché, in fase di appello, deve essere ordinata d'ufficio l'integrazione del contraddittorio nei confronti di ciascuno di essi, ancorché contumaci in primo grado. Ne consegue che, qualora l'impugnazione sia notificata al chiamato in causa deceduto e non agli eredi, il procedimento di appello e la sentenza che lo definisce sono affetti da nullità assoluta - per violazione dell'art. 331 cod. proc. civ. - rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado e, quindi, anche in sede di legittimità, laddove la non integrità del contraddittorio emerga "ex se" dagli atti, senza necessità di nuovi accertamenti.

Cass. civ. n. 315/2013

Qualora il giudice ordini l'intervento di un terzo a seguito delle difese svolte dal convenuto, il quale, contestando la propria legittimazione passiva, indichi quello come responsabile della pretesa fatta valere in giudizio, ricorre un'ipotesi non di litisconsorzio necessario, ex art. 102 c.p.c., ma di chiamata in causa "iussu iudicis ", ai sensi dell'art. 107 c.p.c., rispondente ad esigenze di economia processuale (comunanza di causa), discrezionalmente valutate sotto il profilo dell'opportunità. Ove, peraltro, la notifica al terzo sia nulla (nella specie, per mancata spedizione, a seguito di notificazione a mezzo del servizio postale, dell'ulteriore avviso per raccomandata imposto da Corte cost. 22 settembre 1998, n. 346), il contraddittorio non può ritenersi validamente instaurato, restando sanata detta nullità soltanto dall'ordine giudiziale di rinnovazione o dalla spontanea reiterazione, ad opera della parte interessata, della notificazione della citazione al terzo, senza che possa, invece, assumere rilievo sanante l'eventuale notifica al terzo stesso di un ricorso per riassunzione conseguente all'interruzione del processo pendente tra le parti originarie, in quanto atto mancante degli elementi essenziali della domanda estesa nei confronti di quello.

Cass. civ. n. 1291/2012

Quando il convenuto contesti di esser titolare dell'obbligazione dedotta in giudizio indicando un terzo quale esclusivo soggetto passivo della pretesa attrice, non v'è necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di quest'ultimo, in quanto, potendo emettersi la pronunzia di accertamento positivo o negativo della sussistenza di quella titolarità con effetti limitati alle parti in causa, non si versa in situazione di impossibilità di adottare una pronunzia idonea a produrre gli effetti giuridici voluti senza la partecipazione al giudizio di determinati soggetti. Ne consegue che nella indicata ipotesi l'intervento del terzo nel giudizio può esser disposto in corso di causa ex art. 107 c.p.c. solo dal giudice di primo grado nell'esercizio di un potere discrezionale ed insindacabile, ma qualora l'ordine predetto sia rimasto inosservato e il giudice non abbia provveduto a cancellare la causa dal ruolo a norma dell'art. 270 c.p.c., deve ritenersi che tale ordine sia stato implicitamente revocato.

Cass. civ. n. 3717/2010

La chiamata del terzo "iussu iudicis" di cui all'art. 107 c.p.c. determina una situazione di litisconsorzio necessario cd. "processuale", non rimuovibile per effetto di un diverso apprezzamento del giudice dell'impugnazione, salva l'estromissione del chiamato con la sentenza di merito, con la conseguenza che quando il terzo, dopo aver partecipato al giudizio di primo grado a seguito di tale chiamata, non abbia partecipato al giudizio di appello, si configura una violazione dell'art. 331 c.p.c., rilevabile d'ufficio nel giudizio di legittimità, nel quale va disposta la cassazione con rinvio per nuovo esame previa integrazione del contraddittorio.

Cass. civ. n. 22419/2008

La chiamata in causa di un terzo ai sensi dell'art. 107 c.p.c. è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice di primo grado, involgendo valutazioni circa l'opportunità di estendere il processo ad altro soggetto, onde l'esercizio del relativo potere, che determina una situazione di litisconsorzio processuale necessario, è insindacabile sia da parte del giudice di appello, che del giudice di legittimità. Ne consegue che il giudice di appello non può far altro che constatare la rituale dichiarazione di intervenuta estinzione del giudizio da parte del giudice di primo grado, ove non si sia provveduto alla riassunzione del processo, con l'integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo, nel termine di un anno dall'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo pronunciata a seguito dell'inottemperanza all'ordine di chiamata in causa.

Cass. civ. n. 4593/2008

Poichè nella particolare disciplina dell'assicurazione obbligatoria di cui alla legge 24 dicembre 1969 n. 990 — ratione temporis applicabile nella specie — la stretta connessione del rapporto risarcitorio e del rapporto assicurativo comporta una situazione di comunanza di cause, nel giudizio di risarcimento danni da incidente stradale promosso dal danneggiato nei confronti del danneggiante-assicurato, così come deve riconoscersi al giudice di primo grado, in applicazione dell'articolo 107 c.p.c., il potere di ordinare l'intervento dell'impresa assicuratrice, sia al fine di un'eventuale estensione nei suoi confronti della domanda attrice, sia in relazione all'eventuale pretesa del convenuto di trasferire a suo carico le conseguenze della propria soccombenza verso il danneggiato, così deve ritenersi altrettanto giustificato l'esercizio del potere discrezionale del giudice di autorizzare la parte a chiamare in causa il terzo assicuratore ai sensi dell'art. 106 c.p.c.

Cass. civ. n. 2901/2008

Il litisconsorzio meramente processuale, che si verifica in caso di chiamata in causa, per ordine del giudice, di un terzo cui è ritenuta comune la controversia, impone la presenza in causa del terzo anche nei successivi gradi di giudizio, ma non comporta che a tale soggetto debbano ritenersi automaticamente estese le domande e le conclusioni formulate nei confronti di altri soggetti processuali, occorrendo a tal fine un'espressa manifestazione di volontà al riguardo.

Cass. civ. n. 13908/2007

In difetto di declinazione, da parte dell'originario convenuto (nella specie, rimasto contumace), della titolarità dell'obbligazione dedotta, con indicazione di quella del terzo, il giudice non può, d'ufficio, ipotizzata l'esistenza di un diverso obbligato, ordinare l'intervento in causa del terzo, una tale inziativa manifestando non già il legittimo intento di consentire, nel simultaneus processus l'individuazione del vero obbligato, bensì la indebita intenzione di correggere in via officiosa la supposta erroneità della vocatio in ius da parte attrice.

Cass. civ. n. 13907/2007

Qualora il convenuto eccepisca di non essere titolare del lato passivo del rapporto dedotto in giudizio e indichi come tale il terzo, il giudice di primo grado, con valutazione discrezionale, non sindacabile in sede di legittimità, può ordinare l'intervento in causa del terzo, a norma dell'art. 107 c.p.c., in tal modo costituendosi un simultaneus processus diretto alla individuazione del titolare passivo del credito azionato, al terzo estendendosi in via automatica la domanda dell'attore.

Cass. civ. n. 13165/2007

Condizione legittimante l'adozione dell'ordine di chiamata in causa di un terzo è la negazione da parte dell'originario convenuto della titolarità passiva della obbligazione azionata e della indicazione in capo al terzo di detta titolarità. Pertanto, qualora il convenuto sia rimasto contumace, il giudice che, di ufficio, ipotizzi la esistenza di un diverso obbligato e ne ordini la sostituzione a quello individuato dall'attore, manifesta non già il legittimo intento di consentire, nel simultaneus procesus la individuazione del vero obbligato, bensì la indebita intenzione di correggere in via officiosa la supposta erroneità della vocatio in iudicio da parte attrice, incorrendo, così, nel vizio di extrapetizione.

Cass. civ. n. 10023/2004

Qualora il convenuto, nel resistere alla domanda attrice, indichi un terzo quale responsabile dei fatti contestati e il giudice, ritenendo la comunione di cause, ordini la chiamata in causa di detto terzo, qualora venga accolta, anche parzialmente, la domanda attrice nei confronti del solo convenuto, escludendo qualsiasi responsabilità del terzo, non possono essere poste le spese di lite sostenute dal terzo a carico della parte attrice, ancorché quest'ultima, quale parte più diligente, abbia provveduto a notificare al terzo l'atto di chiamata.

Cass. civ. n. 187/2003

L'attribuzione della qualità di parte all'interventore nel processo iussu iudicis non postula la proposizione di domande da parte del medesimo (né che domande siano, viceversa, formulate nei suoi confronti), essendo, per converso, sufficiente la sua presenza o evocazione in giudizio, che dà per ciò stesso luogo ad una fattispecie di litisconsorzio processuale, con la conseguenza che, pur non potendosi pronunciare condanna del terzo in favore dell'attore, se questi non l'abbia voluta, tuttavia la domanda nei confronti del terzo può essere anche implicita e non può mai considerarsi nuova, sempre che l'intervenuto sia stato disposto in ipotesi di declinazione, da parte dell'originario convenuto, della titolarità dell'obbligazione dedotta, con indicazione di quella del terzo e, quindi, al fine di accertare, nel contraddittorio di tutti gli interessati, quale sia la parte obbligata in relazione al titolo azionato con l'atto introduttivo, così che al processo si aggiunga solo una parte e non anche una nuova causa petendi o un diverso petitum.

Cass. civ. n. 10400/2002

La relazione di accessorietà dell'obbligazione fideiussoria rispetto a quella principale non esclude la reciproca autonomia delle due obbligazioni e si traduce sul piano processuale nella non configurabilità del litisconsorzio necessario tra creditore, debitore principale e fideiussore, a meno che il giudice non ordini l'intervento in causa del fideiussore ai sensi dell'art. 107 c.p.c., nel qual caso si realizza una situazione di litisconsorzio necessario di tipo processuale, che produce i medesimi effetti di quello sostanziale.

Cass. civ. n. 4051/2002

L'esercizio, da parte del giudice, del potere-dovere di ordinare, anche d'ufficio, l'integrazione del contraddittorio, postulando il positivo esito della preliminare indagine circa la ricorrenza dei presupposti che rendono necessaria l'integrazione stessa, comporta che siffatta indagine deve essere svolta con esclusivo riguardo al rapporto quale affermato dall'attore e, pertanto, a prescindere dalla sua reale configurazione giuridica, posto che, iscrivendosi la figura del litisconsorzio nel quadro della legitimatio ad causam, soltanto alla domanda è legittimo fare riferimento per la individuazione dei soggetti coinvolti e per accertare, di conseguenza, la regolarità del contraddittorio.

Cass. civ. n. 14179/1999

Nella controversia instaurata con opposizione ad ordinanza ingiunzione, irrogativa di sanzione amministrativa per omissioni contributive relative ad un rapporto di lavoro subordinato del quale l'opponente contesti l'esistenza, è inammissibile la chiamata in causa del lavoratore al fine di accertare l'insussistenza del rapporto, giacché nel giudizio di opposizione ex artt. 22 e 23 della L. n. 689 del 1981 — avente ad oggetto soltanto l'accertamento della legittimità della pretesa sanzionatoria nei confronti dell'autore dell'illecito amministrativo o dell'obbligato in solido — non sono configurabili situazioni di comunanza di causa ovvero ipotesi di chiamata in garanzia.

Cass. civ. n. 5983/1999

L'intervento in causa iussu iudicis (art. 107 c.p.c.), determinando una forma di litisconsorzio meramente processuale, può essere disposto (a differenza che nell'ipotesi disciplinata dal precedente art. 102 del codice di rito) sulla base di un giudizio di mera opportunità processuale, e non richiede, pertanto, che il rapporto sostanziale sia comune ed indivisibile rispetto ai soggetti chiamati.

Cass. civ. n. 8473/1995

L'intervento in causa per ordine del giudice, ex art. 107 c.p.c., ha lo scopo di estendere gli effetti sostanziali del giudicato al terzo, cui il rapporto sostanziale controverso sia comune, ovvero sia connesso per il titolo o per l'oggetto con l'altro rapporto in cui il medesimo si trovi con l'attore o con il convenuto, pertanto, il chiamato in causa è sempre legittimato a proporre impugnazione incidentale adesiva a quella principale od incidentale della parte (attore o convenuto), per evitare che il giudicato sul detto rapporto possa produrre effetti pregiudizievoli su quello ad esso connesso, intercorrente tra lui e la parte al cui gravame aderisce; egli può, invece, impugnare la sentenza, in via principale od in via incidentale autonoma, nella sola ipotesi in cui sia risultato in tutto od in parte soccombente, rispetto alle proprie conclusioni, formulate in modo autonomo, ovvero a pretese fatte valere direttamente contro di lui. (Nella specie, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, chiesto ed ottenuto da una società, il giudice ordinò la chiamata in causa dell'amministratore unico della stessa. Il tribunale accolse l'opposizione e condannò la società e l'amministratore, in persona, a rimborsare all'ingiunto le spese processuali. La sentenza fu confermata in grado d'appello, con decisione impugnata per cassazione dal solo amministratore, nella sua qualità di chiamato in causa per ordine del giudice. In applicazione del principio di diritto di cui alla massima, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso, affermando che la sola società sarebbe stata legittimata a proporlo, mentre l'amministratore avrebbe potuto proporre ricorso incidentale adesivo a quello principale nella sola ipotesi in cui la società lo avesse formulato, oppure avrebbe potuto proporre anche ricorso principale, ma solo nei confronti di quella parte della statuizione con la quale era stato condannato, in solido con la società, a rimborsare all'ingiunto le spese del giudizio d'appello).

Cass. civ. n. 7083/1995

L'intervento in causa iussu iudicis, ex art. 107 c.p.c., può essere disposto dal giudice in qualsiasi momento, ma solo nel giudizio di primo grado e non anche nel giudizio di appello. Detto intervento — che va disposto quando il giudice ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo, al quale la causa è comune — si ricollega ad una facoltà del giudice (di primo grado), il cui esercizio (in senso positivo o in senso negativo) coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali, non sindacabili in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 5082/1995

L'intervento iussu iudicis, rispondendo ad un interesse di ordine pubblico che trascende quello delle stesse parti originarie o dei terzi, e cioè all'interesse superiore della giustizia ad attuare l'economia dei giudizi e ad evitare i rischi di giudicati contraddittori, può essere ritualmente disposto, sulla base di una valutazione che costituisce espressione di un potere discrezionale riservato al giudice del primo grado, il cui esercizio non è suscettibile di sindacato nelle fasi successive, né, in particolare, in sede di legittimità, anche nel caso in cui, di fronte a difese del convenuto dirette a far accertare la propria estraneità al rapporto controverso, il giudice ritenga di dover indurre od autorizzare chi agisce ad estendere la propria domanda nei confronti del terzo indicato come titolare del rapporto medesimo.

Cass. civ. n. 459/1982

Il terzo chiamato in causa iussu iudicis — sia quando l'ordine del giudice si ricollega a ragioni di semplice opportunità, sia, ed a maggior ragione, quando esso è dettato dall'esigenza di assicurare l'integrità del contraddittorio — assume nel processo una posizione autonoma, tale da consentirgli di proporre domande e difese senza riguardo allo stato della lite, salvo il limite generale della proposizione delle stesse con l'atto di costituzione in giudizio.

Cass. civ. n. 4247/1978

L'interveniente in causa iussu iudicis acquista la qualità di parte indipendentemente dalla circostanza che egli proponga domande, o che queste siano proposte nei suoi confronti, e, pertanto, mentre può impugnare la sentenza, in via principale od incidentale autonoma, solo se risulti in tutto od in parte soccombente rispetto a proprie autonome conclusioni, è in ogni caso legittimato a proporre impugnazione incidentale adesiva all'impugnazione principale od incidentale della parte con la quale abbia quella comunanza di interesse che ha costituito il presupposto della sua chiamata in causa.

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