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Articolo 52 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Ricusazione del giudice

Dispositivo dell'art. 52 Codice di procedura civile

Nei casi in cui è fatto obbligo al giudice (1) di astenersi [51], ciascuna delle parti può (2) proporne la ricusazione mediante ricorso contenente i motivi specifici e i mezzi di prova.

Il ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria due giorni prima dell'udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell'inizio della trattazione o discussione di questa nel caso contrario [54 2] (3).

La ricusazione sospende il processo [296, 298] (4).

Note

(1) La norma si riferisce al giudice considerato come persona fisica. Non è pertanto ammissibile la ricusazione di un collegio astrattamente considerato, salvo il caso in cui si adducano motivi relativi alle persone fisiche che lo compongono.
(2) Il diritto delle parti di ricusare il giudice non astenutosi viene configurato quale diritto potestativo, di carattere processuale ed esercitabile qualora il procedimento obbligatoriamente previsto dall'art. 51 non venga attivato d'ufficio. Inoltre, si può anche configurare come onere, ovvero una facoltà che il soggetto deve esercitare per evitare conseguenze negative perché se non la esercita entro i termini di legge non ha altri mezzi processuali per far valere il difetto di imparzialità del giudice.
(3) Si tratta di due termini perentori (si cfr. 153 c.p.c.). L'atto introduttivo assume la forma del ricorso che deve essere depositato in cancelleria e deve contenere i motivi di ricusazione ed i mezzi di prova a sostegno portati dalle parti.
(4) La presentazione del ricorso determina in via automatica la sospensione del processo. Tuttavia si segnala un recente orientamento giurisprudenziale in base al quale la sospensione viene necessariamente disposta solo nel caso in cui l'istanza di ricusazione sia ammissibile e, pertanto, rispettosa delle condizioni ed i termini prescritti dalla legge (artt. 51-52). Durante il periodo di sospensione, gli atti compiuti risultano nulli (si cfr. 298 c.p.c.), eccezione fatta per quegli atti adottati in una situazione d'emergenza ovvero i provvedimenti cautelari ex art. 669quater e ss..

Brocardi

Actio adversus iudicem qui litem suam fecit
Nemo iudex in causa propria

Spiegazione dell'art. 52 Codice di procedura civile

Lo strumento processuale che l’ordinamento mette a disposizione delle parti per i casi di astensione obbligatoria del giudice è la ricusazione, qui disciplinata, e che può riguardare sia il giudice singolo che il collegio.
Essa viene in particolare definita dalla giurisprudenza di legittimità come uno strumento per mezzo del quale la parte che vi ha interesse può denunciare l’esistenza di una delle situazioni che possono fondare il sospetto della parzialità del giudice ed ha carattere strumentale rispetto alla decisione di merito (ovviamente, qualora nel frattempo venga rimossa la causa su cui si fonda, l’istanza di ricusazione sarà inammissibile).
La forma per proporre istanza di ricusazione è il ricorso, il quale deve::
  1. contenere la specifica indicazione dei motivi di ricusazione e dei mezzi di prova (se la ricusazione investe il collegio, tali elementi debbono essere addotti specificamente per ogni singolo membro);
  2. essere depositato in cancelleria almeno due giorni prima dell’udienza di trattazione della causa o, comunque, sempre prima della trattazione.
A tal proposito è prevalente in giurisprudenza la tesi secondo cui la dedotta tardiva conoscenza della composizione del collegio giudicante non può consentire l’invocazione, in fase di gravame, del motivo di ricusazione ad istanza della parte che non ha fatto valere l’istanza di ricusazione nei termini previsti da questa norma, e ciò in considerazione del fatto che le parti sono in grado di avere tempestiva conoscenza di tale composizione (e di proporre ritualmente la ricusazione) sia dal ruolo d’udienza sia dall’intestazione del verbale di causa.

Per quanto concerne il procedimento di ricusazione, si afferma in giurisprudenza che non è possibile individuare nel suo ambito una controparte, e ciò perché il diritto ad essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale può essere rivolto solo nei confronti dell’ordinamento, non potendosi ritenere sussistente un contrapposto diritto del giudice a decidere la questione, né essendo configurabile un interesse della controparte del giudizio di merito ad interferire nel giudizio di ricusazione.
Dall’accoglimento di tale tesi ne consegue che l’istanza di ricusazione non va notificata né al giudice ricusato né al contraddittore, anche se ragioni di opportunità consigliano che al giudice ricusato venga in ogni caso data la possibilità di intervenire nel procedimento per precisare o chiarire alcuni aspetti della questione dedotta ed, eventualmente, proporre richiesta di astensione.

Come si legge al terzo comma, l’effetto della ricusazione è quello di sospendere il processo; si è detto che ciò non deve intendersi nel senso che è sufficiente la mera presentazione dell’istanza di ricusazione, in quanto, qualora il giudice competente a decidere sulla richiesta di ricusazione accerti che la stessa è inammissibile, il processo potrà continuare, senza che a tal fine sia necessaria una iniziativa di parte o d’ufficio (parte della giurisprudenza ritiene che alla valutazione della ammissibilità dell’istanza di ricusazione possa partecipare anche il giudice ricusato).
Va tuttavia detto che, secondo la dottrina maggioritaria, la sospensione del processo si verificherebbe ipso iure, con effetto immediato, a seguito del solo deposito dell’istanza di ricusazione, alla quale deve seguire l’automatica trasmissione degli atti, da parte del giudice ricusato, a quello competente a decidere sulla ricusazione ex art. 53 del c.p.c..
All’assenza di soluzioni sicuri a tal riguardo ha fatto seguito l’orientamento più recente della Cassazione, la quale ha voluto precisare che all’istanza di ricusazione debbono farsi seguire automaticamente due effetti:
  1. la sospensione di diritto del processo di merito, nel rispetto di quanto previsto espressamente dal terzo comma dell’articolo in esame;
  2. l’automatica trasmissione degli atti da parte del giudice ricusato a quello competente a decidere sulla ricusazione ex art. 53 del c.p.c..
Avverso l’ordinanza che rigetta il ricorso con cui è proposta la ricusazione del giudice e che condanna il ricorrente al pagamento di una pena pecuniaria si ritiene che sia inammissibile il ricorso straordinario per Cassazione, in quanto trattasi di provvedimento che, seppure presenta un contenuto decisorio, difetta del requisito della definitività.
La parte la cui istanza è stata respinta può, tuttavia, riproporre la questione avvalendosi del mezzo di impugnazione normalmente esperibile avverso la sentenza pronunciata dal giudice che si intendeva ricusare; in questo caso, se il giudice dell’impugnazione accoglie la censura, dovrà annullare la sentenza, ma non potrà disporre il rinvio al giudice davanti al quale si è verificata la nullità de qua.

Massime relative all'art. 52 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 1624/2022

L'istanza di ricusazione non sospende automaticamente il processo quando il giudice "a quo" ne valuti l'inammissibilità per carenza "ictu oculi" dei requisiti formali, sicchè esso può proseguire senza necessità di impulsi di parte o d'ufficio; ciò al fine di contemperare il diritto delle parti all'imparzialità di giudizio, assicurato dalla circostanza che la delibazione di inammissibilità del giudice "a quo" non può comunque assumere valore ostativo alla rimessione del ricorso al giudice competente, ed al contempo il dovere di impedire l'uso distorto dell'istituto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito di proseguire il giudizio, in quanto l'istanza di ricusazione era stata formulata per contestare la mancata ammissione delle istanze istruttorie, e quindi palesemente al di fuori dei motivi di astensione obbligatoria previsti dall'art. 51, comma 1, c.p.c.). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 02/08/2016).

Cass. civ. n. 34429/2019

Non è ammissibile la ricusazione di un collegio astrattamente considerato, dovendo essa essere piuttosto diretta contro ciascuna delle persone fisiche che lo compongono, sul presupposto che, per ciascuna di esse, singolarmente ricorrano i motivi tassativamente indicati dalla legge per tale istituto. (Rigetta, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE ROMA, 18/12/2018).

Cass. civ. n. 11225/2019

In tema di ricusazione ai sensi degli artt. 52 ss. c.p.c., non sono previste né la comunicazione del relativo provvedimento di rigetto, poiché, una volta negata la sospensione del processo, le parti sono tenute al rispetto delle successive scansioni procedimentali senza necessità di ulteriori adempimenti dell'ufficio, né la concessione di termini a difesa, giacché tale procedimento, di natura incidentale, è connotato dai caratteri dell'essenzialità e della rapidità della decisione, pur nel rispetto delle garanzie del contraddittorio.

Cass. civ. n. 24007/2017

L'ordinanza di rigetto dell'istanza di ricusazione dello “iudex suspectus” segna automaticamente il "dies ad quem" dell'effetto sospensivo, ricollegato alla proposizione di quell'istanza dall'ultimo comma dell'art. 52 c.p.c., sicché, entro sei mesi dalla conoscenza di tale evento, la parte interessata, per evitare l’estinzione dello stesso, è tenuta a riassumere il processo sospeso, senza che la proposizione di un ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso detta ordinanza possa essere ritenuta equipollente alla riassunzione, in ragione della diversa finalità di tale strumento impugnatorio rispetto a quella di riattivare il giudizio.

Cass. civ. n. 21094/2017

In difetto di ricusazione, la violazione dell'obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché l'art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l'imparzialità e terzietà del giudice), ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell'ipotesi anzidetta, l'imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell'astensione e della ricusazione; né detti istituti, cui si aggiunge quello dell'impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall'art. 6 della Convenzione EDU, che, sotto l'ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell'imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost.

Cass. civ. n. 18976/2015

In tema di ricusazione del giudice, la "inimicizia" del ricusato, ai sensi dell'art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c., non può essere desunta dal contenuto di provvedimenti da lui emessi in altri processi concernenti il ricusante, tranne che le "anomalie" denunciate siano tali da non consentire neppure di identificare l'atto come provvedimento giurisdizionale; tuttavia, qualora ricorra tale ipotesi, il giudice della ricusazione deve anche accertare se quelle anomalie, in ipotesi ascrivibili ad altre cause, siano state determinate proprio da grave inimicizia nei confronti del ricusante, su cui incombe il correlato onere di allegare fatti e circostanze rivelatrici dell'esistenza di ragioni di avversione o di rancore estranei alla realtà processuale.

Cass. civ. n. 13018/2015

È inammissibile l'istanza di ricusazione proposta nei confronti di un giudice solo perché egli ha concorso al rigetto di una precedente istanza di ricusazione della stessa parte, in quanto, fuori della previsione dell'art. 51, n. 4, cod. proc. civ., il provvedimento giurisdizionale tipico, non affetto da anomalie evidenti, non rivela grave inimicizia del giudice solo perché contrario all'interesse della parte.

In tema di ricusazione del giudice, non è "causa pendente" tra ricusato e ricusante, ai sensi dell'art. 51, n. 3, cod. proc. civ., il giudizio di responsabilità di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117, atteso che il magistrato non assume mai la qualità di debitore di chi abbia proposto la relativa domanda, questa potendo essere rivolta, anche dopo la legge 27 febbraio 2015, n. 18, nei soli confronti dello Stato.

Cass. civ. n. 26223/2014

Il potere di ricusazione costituisce un onere per la parte, la quale, se non lo esercita entro il termine fissato dall'art. 52 cod. proc. civ., non ha mezzi processuali per far valere il difetto di capacità del giudice, sicché, in mancanza di ricusazione, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi non può essere fatta valere in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza.

Cass. civ. n. 22854/2014

La violazione dell'obbligo di astensione, previsto dall'art. 186 bis disp. att. cod. proc. civ. per il giudice dell'esecuzione che abbia conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione, è deducibile solo con lo strumento della ricusazione ai sensi dell'art. 52 cod. proc. civ., e non in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza emessa dal giudice che avrebbe dovuto astenersi.

Cass. civ. n. 16627/2014

Attesa la tassatività dei casi di ricusazione del giudice, soggetti a stretta interpretazione, la "inimicizia" del ricusato, ai sensi dell'art. 51, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., non può essere desunta dal contenuto di provvedimenti da lui emessi in altri processi concernenti il ricusante, tranne che le "anomalie" siano tali da non consentire neppure di identificare l'atto come provvedimento giurisdizionale; né la "causa pendente" tra ricusato e ricusante, ai sensi della medesima norma, può essere costituita dal giudizio di responsabilità di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117, che non è un giudizio nei confronti del magistrato, bensì nei confronti dello Stato.

Il procedimento di ricusazione del giudice ha natura giurisdizionale, sicché è necessario garantirvi il contraddittorio delle parti del processo cui la ricusazione accede, le quali devono essere messe in condizione di intervenire e adeguatamente interloquire, senza avere diritto, tuttavia, ad uno specifico termine, che non è previsto dalla legge.

Cass. civ. n. 1783/2011

L'incompatibilità che, ai sensi dell'art. 51, n. 4, e 52 c.p.c., giustifica l'accoglimento dell'istanza di ricusazione per avere il giudice conosciuto del merito della causa in un altro grado dello stesso processo non è ravvisabile nell'ipotesi in cui gli stessi componenti del Collegio delle Sezioni Unite investito della decisione sul ricorso avverso un provvedimento disciplinare posto a carico di un magistrato abbiano già deciso sull'impugnazione del provvedimento di sospensione cautelare emesso nei confronti del medesimo incolpato, atteso che la decisione sul provvedimento cautelare appartiene ad una serie processuale autonoma sia per presupposti, sia per ambito di cognizione sia per effetti impugnatori e che essa, di conseguenza, non è in alcun modo riferibile "ad un altro grado dello stesso processo".

Cass. civ. n. 27404/2008

Nel giudizio di ricusazione non è possibile individuare una controparte ; il diritto del litigante ad essere giudicato da un giudice terzo e imparziale si estrinseca, infatti, solo nei confronti dell'ordinamento, non sussistendo un contrapposto diritto del giudice a decidere la lite assegnatagli e non essendo ipotizzabile un interesse della controparte del giudizio di merito ad interferire nel giudizio di ricusazione. (Nella specie, in applicazione del riportato principio, la S.C. ha ritenuto che erroneamente il presidente della corte di merito aveva disposto la notifica dell'istanza di ricusazione al giudice ricusato e al contraddittore ).

Cass. civ. n. 21287/2007

La pretesa incompatibilità di uno dei giudici che hanno composto il collegio può esser fatta valere soltanto con la ricusazione nelle forme e nei termini di cui all'art. 52 c.p.c. e non dà luogo al vizio di costituzione ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'ufficio.

Cass. civ. n. 13667/2004

La ricusazione costituisce, come l'astensione, la manifestazione processuale dell'esigenza che il giudice, inteso come persona fisica, sia imparziale, sicché non è ammissibile la ricusazione di un collegio astrattamente considerato, dovendo essa essere piuttosto diretta contro ciascuna delle persone fisiche che lo compongono, sul presupposto che per ciascuna di esse, singolarmente considerata, ricorrano i motivi tassativamente indicati dalla legge per tale istituto. Ed essendo, appunto, la ricusazione strumento volto ad impedire, in presenza di quei motivi, la decisione della causa da parte di giudici concretamente designati, è parimenti da escludere che essa possa essere piegata a perseguire una funzione meramente preventiva, e che possa quindi essere utilizzata indipendentemente dall'effettiva assegnazione della causa ad un collegio.

Cass. civ. n. 10824/2004

Il magistrato che è stato componente della commissione esami per avvocato che abbia disposto l'espulsione di un candidato (e che non abbia firmato il provvedimento di espulsione) non ha l'obbligo di astenersi qualora chiamato a far parte del collegio dinanzi al quale viene proposta da parte del candidato espulso l'azione di risarcimento danni nei confronti di altri componenti della commissione di esame, pur avendo la facoltà di astenersi per gravi ragioni di convenienza, come previsto dall'art. 51 c.p.c.

Cass. civ. n. 13570/2000

Nell'ipotesi in cui, dopo la presentazione di istanza di ricusazione nei suoi confronti, il giudice lasci l'ufficio in seguito a trasferimento, ovvero si assenti per lungo tempo (nella specie, per maternità), ben può il Presidente del tribunale sostituire il magistrato assente e disporre la trattazione della causa in cui è intervenuta la ricusazione, senza dover necessariamente attendere la decisione sulla stessa, atteso che l'effetto sospensivo determinato dalla ricusazione non riguarda gli atti dell'amministrazione della giurisdizione qualificabili come processuali in quanto ordinatoriamente preordinati allo svolgimento dell'attività giurisdizionale, atti nel cui ambito rientra la designazione di uno o più magistrati in sostituzione di quelli trasferiti o in aspettativa.

Cass. civ. n. 3400/1998

L'art. 52 ultimo comma c.p.c., secondo cui «la ricusazione sospende il processo», deve essere interpretato, alla stregua delle finalità perseguite da tale norma, nel senso che la sospensione non discende dalla mera presentazione di istanza di ricusazione, occorrendo che l'istanza medesima sia proposta nel rispetto delle condizioni e dei termini prescritti, nonché nell'ambito delle ipotesi per le quali è contemplata, con la conseguenza che, ove il giudice competente a decidere sulla richiesta di ricusazione ne accerti l'inammissibilità, il procedimento può continuare, senza necessità d'impulsi di parte o d'ufficio. Pertanto, con riguardo a processo per cassazione, in cui sia stata fissata l'udienza ai sensi dell'art. 377, primo comma, c.p.c., la declaratoria d'inammissibilità della ricusazione di componenti del collegio, che sia stata resa dalla Suprema Corte (in diversa composizione) prima di detta udienza, consente la trattazione e decisione del ricorso, ancorché la declaratoria stessa sia intervenuta dopo la comunicazione e nel corso del termine previsti dal secondo comma del citato art. 377 c.p.c.

Cass. civ. n. 9549/1995

Nel caso di obbligo di astensione del giudice, la mancata ottemperanza a tale obbligo non incide sulla validità della sentenza ove non sia stata dedotta dalla parte interessata con tempestiva istanza di ricusazione, da proporsi, a norma dell'art. 52 c.p.c., due giorni prima dell'udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici chiamati a decidere la causa, e prima dell'inizio della discussione nel caso contrario.

Cass. civ. n. 4804/1993

La sola proposizione del ricorso per ricusazione non può determinare ipso iure la sospensione del procedimento e la devoluzione della questione al giudice competente a decidere sulla ricusazione stessa, in quanto spetta pur sempre al giudice a quo una sommaria delibazione della sua ammissibilità, all'esito della quale, ove risultino ictu oculi carenti i requisiti formali posti dalla legge per l'ammissibilità stessa, tale circostanza, pur non potendo assumere valore ostativo della rimessione del ricorso al detto giudice competente, esclude, nondimeno, l'automatismo dell'effetto sospensivo, risultando in tal guisa contemperate le contrapposte esigenze, sottese all'istituto, di assicurare alle parti l'imparzialità del giudizio nella specifica controversia di cui trattasi e di impedire, nel contempo, l'uso distorto dell'istituto medesimo.

Cass. pen. n. 3271/1992

Mentre il procuratore speciale è abilitato a formulare la dichiarazione di ricusazione in luogo dell'interessato, lo stesso non può dirsi per il difensore, il quale può soltanto presentare in cancelleria la dichiarazione di ricusazione formulata e sottoscritta dal suo assistito.

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Consulenze legali
relative all'articolo 52 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. P. G. chiede
venerdì 14/01/2022 - Lazio
“Salve, scrivo per chiedere gentilmente un parere in merito all'istanza di ricusazione in sede civile.
In sede civile qual'è la casistica giurisprudenziale relativa alla ricusazione per anticipazione della sentenza da parte dei giudici?
In particolare sempre in sede civile costituisce motivo di ricusazione la circostanza nella quale il Collegio giudicante anticipa ( il merito ) l'esito ( l'orientamento ed il convincimento ) ed il contenuto della futura sentenza a sfavore di una delle parti in una ordinanza di rigetto di mezzi istruttori?
Qual'è la norma di legge o principio giurisprudenziale che vieta ai giudici in sede civile di anticipare il contenuto della sentenza prima della pubblicazione della stessa?
Ringraziando anticipatamente per la cortese attenzione, porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 21/01/2022
Va precisato che, per capire se effettivamente, da parte del giudice, vi sia stata “anticipazione di giudizio” tale da suscitare dubbi sull’imparzialità del magistrato, sarebbe necessario conoscere il contenuto dell’ordinanza istruttoria in questione.
In secondo luogo, poiché nel quesito si parla di collegio giudicante, la Cassazione (Sez. I Civ.,, 22/07/2004, n. 13667) ha chiarito che “la ricusazione costituisce, come l'astensione, la manifestazione processuale dell'esigenza che il giudice, inteso come persona fisica, sia imparziale, sicché non è ammissibile la ricusazione di un collegio astrattamente considerato, dovendo essa essere piuttosto diretta contro ciascuna delle persone fisiche che lo compongono, sul presupposto che per ciascuna di esse, singolarmente considerata, ricorrano i motivi tassativamente indicati dalla legge per tale istituto”.
Premesso quanto sopra, nel codice di procedura civile manca una espressa previsione, analoga a quella contenuta, per il processo penale, nell’art. 37, comma 1, lett. b) c.p.p., norma da cui possiamo desumere anche cosa si intenda per “anticipazione di giudizio” ai fini della ricusazione del giudicante: ovvero una indebita manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto del processo.
Invece l’art. 52 c.p.c. stabilisce che la ricusazione può essere proposta “nei casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi”, rinviando così al disposto dell’art. 51 c.p.c.
In particolare, i casi di astensione obbligatoria sono i seguenti:
1) interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) esistenza di determinati vincoli di carattere personale del giudice (o del coniuge) con alcuna delle parti o dei difensori (parentela fino al quarto grado, affiliazione, convivenza o l’essere “commensale abituale”);
3) esistenza, in capo al giudice o al coniuge, di rapporti di “conflitto” con parti o difensori (causa pendente, grave inimicizia, rapporti di credito o debito);
4) l’aver “dato consiglio” o prestato patrocinio nella causa, o deposto in essa come testimone, l’averne conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o aver prestato assistenza come consulente tecnico;
5) l’essere tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti, oppure essere amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
Secondo l’opinione prevalente in giurisprudenza, i casi di astensione obbligatoria (e, dunque, di ricusazione) sono tassativi e non suscettibili di applicazione analogica.
Vi è poi l’ipotesi di astensione facoltativa, prevista dal comma 2 dell’art. 51 c.p.c., per “gravi ragioni di convenienza”: tuttavia, come abbiamo visto, l’istanza di ricusazione può essere proposta negli stessi casi in cui il giudice avrebbe l’obbligo, e non la facoltà, di astenersi.
Concluso l’esame del dato normativo, in giurisprudenza l’unico appiglio rinvenuto per considerare applicabile al processo civile la ricusazione per anticipazione di giudizio è quello contenuto in Cass. Civ., Sez. I,27/12/1996, n. 11505, che si limita però a ricordare come, secondo una parte della dottrina, la previsione di cui all'art. 37, lettera b), c.p.p. sarebbe estensibile analogicamente al processo civile.

M. B. chiede
domenica 07/05/2017 - Campania
“L'anno scorso in una mia causa per un mutuo fondiario, il giudice dopo che abbiamo espletato il 190 per le conclusioni, rimette la causa a ruolo per la espletazione di una mediazione, rimandando l'udienza di comparizione delle parti al primo di giugno prossimo. In primo momento la causa fu affidata ad un giudice V. successivamente ad un altro giudice dott. A. Nella prima pagina della comparsa di costituzione l'avvocato difensore dichiara che la controparte e' domiciliata presso il suo studio in via M., giusto mandato a margine. Il mandato a margine, con firma autentica, riporta, invece, che la controparte ha domicilio in un altro paese, alla via t.s. presso lo studio dell'avvocato A., sorella del giudice che attualmente detiene la causa.

Sembra un fatto veramente sorprendente dal momento che l'avvocato difenzore X dice che la controparte si domicilia presso il suo studio, mentre a margine e' dichiarato che il domicilio e' presso un altro studio di avvocato A., sorella del giudice che detiene la causa.

La prima richiesta che vi pongo e': quale e' il vero domicilio di controparte? quello dichiarato dall'avvocato difensore oppure quello nel mandato a margine?
L'avvocato che è dichiarato domiciliatario a margine, potrebbe essere considerato anche esso difensore della banca?
La sorella del giudice, che attualmente detiene la mia causa e presso il cui studio domicilia la controparte, come dichiarato a margine della comparsa di costituzione, e' sovente incaricata dalla medesima parte come difensore di altre cause, di cui ho prova di qualche udienza, e risultando da qualche missiva .

Insomma, alla luce di quanto vi ho scritto e da quello che potete voi stessi leggere negli allegati che vi mando, si ritiene che il giudice si sarebbe dovuto astenere dalla causa, primo perche'sicuramente e' commensale abituale della sorella difensore della banca, secondo perche' l'obbligo di astensione di un giudice pur non essendo configurabile per la mera esistenza di gravi ragioni di convenienza ex art. 51 comma 2 c.p.c., sussiste non soltanto nei casi indicati specificamente dall’art. 51 comma 1 c.p.c., bensì in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato, o di un suo prossimo congiunto, a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri. Cassazione del 2012.

Poiche' a tutt'oggi il giudice non si e' astenuto vorrei fare domanda di ricusazione. Prima della prossima udienza del 1 giugno prossimo.
A quale ufficio devo presentarla? nel caso specifico che vi ho scritto sono nelle condizioni di fare domanda di ricusazione?

Vi invio per email la comparsa di costituzione dell' avvocato difensore della banca con a margine il domicilio della banca e vi allego anche una missiva di un notaio verso la sorella del giudice ed una comparsa di udenza della stessa in altra cusa della banca.
M. B. .”
Consulenza legale i 15/05/2017
In ogni giudizio, ciascuna parte deve eleggere domicilio nel luogo ove ha sede il giudice adito per la controversia.
Quindi se un avvocato ha ricevuto mandato per assistere taluno in una controversia che si svolge innanzi ad un giudice al di fuori della circoscrizione ove esercita, dovrà eleggere domicilio presso un altro avvocato (comunemente detto domiciliatario) che esercita nel luogo ove ha sede il giudice adito ai sensi dell’art. 82 r.d. n. 37 del 1934.

L’elezione del domicilio è fatta al fine di favorire le comunicazioni e le notifiche tra le parti; tant’è che in mancanza di questa indicazione, le comunicazioni e le notificazioni vengono fatte presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria, rendendo molto difficile, per l’avvocato fuori sede, prenderne contezza.

Questa premessa vale ad affermare che nel caso in cui non sia possibile capire dove una parte ha eletto domicilio, come nel caso de quo, in cui nel medesimo atto vi sono due differenti indicazioni, l’unica conseguenza che potrebbe profilarsi è che le comunicazioni e le notificazioni non debbano eseguirsi presso il difensore od il domiciliatario, bensì in cancelleria.

Anche la Corte di Cassazione (n.18211/2004) ha ritenuto che non costituisca motivo di nullità della procura alle liti la difformità tra due elezioni di domicilio nello stesso atto, affermando che in questi casi deve ritenersi valida l’elezione di domicilio corretta, fatta nel luogo ove ha sede l’autorità giudiziaria adita.

Nel caso concreto oggetto del quesito, non vi era alcuna necessità di domiciliarsi presso un altro avvocato in quanto il giudice adito si trovava nella medesima circoscrizione ove l’avvocato di controparte esercitava, e ciò rende ancora più complicato individuare quale sia l’elezione di domicilio valida.
Non vale a chiarire la situazione l’indicazione dell’indirizzo pec.
Infatti, sebbene la Corte di Cassazione ritenga sufficiente l’indicazione della posta certificata al fine di eleggere validamente un domicilio per le comunicazioni e notifiche, nella sentenza n. 22892/2015, ha affermato che l’indicazione della pec è un’informazione aggiuntiva che si surroga ad una eventuale mancante domiciliazione, ma non può prevalere rispetto ad una volontaria elezione di domicilio.

In difetto di altri criteri utilizzabili, non dovrebbe esser ritenuta valida nessuna delle due indicazioni.
Tuttavia l’unica conseguenza che potrebbe derivarne è che le notifiche e le comunicazioni sarebbero dovute esser fatte presso la cancelleria del giudice ove è stata incardinata la controversia.

Il domiciliatario, di solito, ma non necessariamente, sostituisce anche il titolare della controversia durante le udienze.
Per quanto attiene alla ricusazione del giudice al quale è stata affidata la causa, 51 c.p.c. prevede al n.2 che il giudice debba astenersi “se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di uno dei difensori”.

In realtà la Cassazione in passato ha rilevato che nel caso in cui la parentela sussista tra il giudice ed il domiciliatario, l'incompatibilità prevista dall'art. 51 n.1 c.p.c. non è presente poiché egli non ha alcun interesse diretto e personale nella causa, essendo irrilevante, ai fini della sua prestazione professionale, la decisione della vertenza in senso favorevole o sfavorevole; nè sussisterebbe motivo di incompatibilità, non essendo difensore della parte, il domiciliatario non presterebbe patrocinio alla stessa. (Cass. 2512/1994)

Però, ad avviso di chi scrive, il rapporto di parentela tra domiciliatario e giudice, può costituire motivo di ricusazione.
Infatti la norma è tesa a preservare l’imparzialità del giudice, imparzialità che può venire meno ovvero essere comunque fortemente suggestionata, dalla parentela che lo lega al domiciliatario che sostituisca con continuità nelle udienze il titolare della controversia.
E ciò tantopiù se, come nel caso concreto, il domiciliatario sia legato alla parte da un rapporto fiduciario con la controparte, per la stabilità del rapporto professionale.

L’52 c.p.c. prevede che la domanda per la ricusazione del giudice deve essere proposta prima della prima udienza, se è noto il giudice che la tratterà, oppure in caso contrario prima dell'inizio della trattazione o discussione.
Il processo, quindi, è oramai in una fase troppo avanzata per poter volgere domanda di ricusazione del giudice.
Pertanto, dal momento che il giudizio sta volgendo al termine e non sono stati rispettati i termini previsti dall’art. 52 del c.p.c., non è più possibile proporre la domanda di ricusazione per quel giudizio.

Mario P. chiede
mercoledì 29/03/2017 - Veneto
“Prima della messa all'asta di un immobile, cioè 4 giorni prima, ho ricusato il giudice in quanto lo ritenevamo filo bancario perchè procedeva con l'asta sebbene in presenza di usura accertata. Il giudice scrisse al Presidente del Tribunale che la ricusazione non rispettava i tempi e che non la riteneva valida per cui disse che non sospendeva l'asta. L'asta fu eseguita non ostante le mie proteste poi messe agli atti. A metà di Giugno il collegio disse che i termini formali erano stati rispettati ma che la ricusazione veniva respinta in quanto non abbastanza motivata e mi condannò a pagare 100 euro.
La mia domanda riguarda se il Giudice ricusato doveva intanto sospendere l'asta in attesa della decisione del collegio e caso mai riassumerla solo in seguito perchè sento tanti pareri discordi. Grazie”
Consulenza legale i 04/04/2017
L’articolo che viene in considerazione nel caso di specie è il 52 cod. proc. civ., in forza del quale l’istanza di ricusazione sollevata da una delle parti “sospende il processo” (terzo comma dell’articolo).

In realtà, anche se il significato di quest’ultima espressione sembra inequivocabile, la giurisprudenza ormai pacifica e consolidata nega che la [edf ref=sospensione (processo civile)]sospensione del processo[/def] avvenga di diritto, mentre afferma che al Giudice spetta una sommaria valutazione sull’ammissibilità dell’istanza di ricusazione, all’esito della quale – ove risultino palesemente carenti i requisiti formali di legge per l’ammissibilità dell’istanza - il procedimento può continuare.
Ciò perché l’evidente inammissibilità dell’istanza in oggetto – anche se non può impedire la remissione del ricorso al giudice competente – esclude in ogni caso l’automatica sospensione del processo, in modo da contemperare le due contrapposte esigenze connesse all’istituto: da una parte, assicurare alle parti l’imparzialità di giudizio nella controversia in cui sono coinvolti e dall’altra impedire un uso distorto dell’istituto in questione.

Si citano alcune delle più recenti pronunce sul punto:

- “L'istanza di ricusazione non sospende automaticamente il processo quando il giudice "a quo" ne valuti l'inammissibilità per carenza "ictu oculi" dei requisiti formali, sicché esso può proseguire senza necessità di impulsi di parte o d'ufficio; ciò trova fondamento nel contemperamento tra il diritto delle parti all'imparzialità di giudizio nella specifica controversia, assicurato dalla circostanza che la delibazione di inammissibilità del giudice "a quo" non può comunque assumere valore ostativo alla rimessione del ricorso al giudice competente, ed il dovere di impedire al contempo l'uso distorto dell'istituto, altrimenti causato dall'automatismo dell'effetto sospensivo” (Cassazione civile, sez. VI, 04/12/2014, n. 25709; conforme Cassazione civile, sez. III, 13/12/2012, n. 22917);

- “La proposizione dell'istanza di ricusazione non determina l'automatica sospensione del procedimento e non priva il giudice del potere di giudicare” (Cassazione civile, sez. I, 08/05/2013, n. 10732).

Il Giudice, in definitiva, può valutare preventivamente i presupposti formali della valida ricusazione ai fini della sospensione del giudizio in modo che possa escludersi che un ricorso per ricusazione presentato senza rispettare le condizioni ed i termini prescritti possa automaticamente produrre la sospensione del processo.
Nel caso in esame, il Giudice ha compiuto una sommaria e preventiva valutazione circa la fondatezza dell’istanza presentata dalla parte e l’ha ritenuta priva dei requisiti di forma prescritti: quindi, del tutto legittimamente ha disposto l’asta, dal momento che il processo non si è interrotto.

Pasquale P. chiede
lunedì 07/11/2016 - Calabria
“Buonasera,
vorrei sottoporre il seguente quesito riguardante il ricorso contro un licenziamento per giusta causa (Lavoro).
Nella fattispecie , ricorrendo in giudizio (1°grado) contro un licenziamento per giusta causa il giudice (Sig. X) ha ritenuto di non accogliere il ricorso e confermando il licenziamento .
Siamo ricorsi in appello ed anche il 2° grado a ritenuto di confermare il licenziamento per giusta causa.
Il quesito che si pone è il seguente:
Può lo stesso giudice (Sig. X , quello che emesso sentenza di 1° grado) essere un consigliere della corte di appello e che giudica anche il secondo grado ?
Esiste il presupposto per ricorrere in Cassazione e , se si, esiste giurisprudenza in merito?
La sentenza di appello è stata così formulata:
“La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta:
Dott. …………. (Presidente)
Dott. …………. ( Consigliere relatore)
Dott. Sig. X (Consigliere). “
Consulenza legale i 10/11/2016
La risposta al quesito è negativa: no, non può il Giudice che ha trattato, ma soprattutto deciso, il primo grado essere membro del collegio giudicante in appello.
In tale ipotesi, il Giudice in questione ha l’obbligo di astenersi dal giudizio e, se non lo fa, le parti lo possono ricusare.

La disciplina di questa fattispecie è contenuta negli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile. Il primo, in particolare, recita nella sua prima parte (casi di astensione obbligatoria): “Il giudice ha l'obbligo di astenersi: (…)
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico”.
Il numero 4 della citata norma si riferisce dunque espressamente al (solo) caso in cui il giudice abbia partecipato alla decisione nel merito della controversia nel precedente grado di giudizio: il che è proprio quanto accaduto nel caso di specie.

Negli stessi casi elencati nell’art. 51 c.p.c. e sopra richiamati, ciascuna delle parti, in forza dell’art. 52 c.p.c., può proporre la ricusazione del Giudice, mediante ricorso.

Va opportunamente evidenziato che esiste un eccezione alla predetta regola, proprio in materia lavoro: la giurisprudenza, infatti, – addirittura la Corte Costituzionale investita della questione – ha statuito che non esiste l’incompatibilità al giudizio di cui all’art. 51 c.p.c. nell’ipotesi del cosiddetto “rito Fornero” di cui alla legge n. 92/2012, ovvero un procedimento particolare, di carattere breve e sommario, introdotto da quest’ultima norma (cosiddetta “Legge Fornero”) per i licenziamenti. Questo rito, infatti, si conclude con ordinanza, avverso la quale è necessario presentare opposizione avanti al medesimo Giudice che ha emesso l’ordinanza stessa.

La legittimità di questa norma è stata molto discussa, ma alla fine la giurisprudenza ha spiegato che non vi sono, in realtà, nel “rito Fornero” due gradi di giudizio, e che con l’opposizione all’ordinanza semplicemente si prosegue nel medesimo giudizio: “In relazione alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, comma 1, n. 4), c.p.c. e 1, comma 51, l. 28 giugno 2012, n. 92, censurati per violazione degli artt. 3, 24 e 111 cost., nella parte in cui, nel contesto del nuovo rito impugnatorio dei licenziamenti, prevedono che avverso l'ordinanza che decide in via semplificata sul ricorso del lavoratore può essere proposta opposizione “da depositare dinanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto”, senza prevedere l'obbligo di astensione per l'organo giudicante (persona fisica) investito della suddetta opposizione ove abbia pronunciato l'ordinanza opposta, è infondata l'eccezione di inammissibilità (…). La fase di opposizione — non costituendo una “revisio prioris instantiae” della fase precedente ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado — non postula l'obbligo di astensione (del giudice che abbia pronunziato l'ordinanza opposta), previsto dall'art. 51, comma 1, n. 4), c.p.c. con (tassativo) riferimento al magistrato che abbia conosciuto della controversia in altro [e non dunque, nel medesimo] grado del processo”. (Corte Costituzionale, 13/05/2015, n. 78) ed ancora: “Nel procedimento di impugnativa del licenziamento in regime di tutela reale, il giudice che abbia pronunciato l’ordinanza conclusiva della fase sommaria, di cui all’art. 1 comma 49 l. 28 giugno 2012 n. 92, non è obbligato ad astenersi, ai sensi dell’art. 51 comma 1 n. 4 c.p.c., nella successiva fase di opposizione prevista dal comma 51 dell’art. 1 l. cit., dovendosi escludere la natura impugnatoria del giudizio di opposizione in questione, con conseguente necessaria attribuzione della cognizione ad un giudice diverso.” (Tribunale Milano, sez. I, 11/10/2013).
Dal quesito, tuttavia, pare di evincere senza ombra di dubbio che non si versi in ipotesi di “rito Fornero”, poiché si parla proprio di Corte d’Appello e di Collegio (laddove nel rito sommario vi sarebbe invece un giudice monocratico, cioè unico).

Ciò premesso ed illustrato, va in ogni caso purtroppo precisato che l’istanza di ricusazione è soggetta a dei termini di decadenza ben precisi: “ll ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve essere depositato in cancelleria due giorni prima dell'udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell'inizio della trattazione o discussione di questa nel caso contrario”.
Qualora non venga rispettato tale termine, non si potrà più fare nulla: la ricusazione, infatti, è un onere per la parte, per cui la violazione da parte del Giudice dell’obbligo di astenersi non comporta la nullità della sentenza e non può essere dedotta in sede di impugnazione. Non è ammessa deroga neppure nel caso di tardiva conoscenza della composizione del collegio giudicante.

Paolo P. chiede
lunedì 09/11/2015 - Umbria
“Una sentenza civile che contiene, nella sua parte motiva, la seguente frase : "L'appellante mostra, con quelle argomentazioni, di non aver compreso il motivo per cui il Tribunale ha respinto la domanda." può essere corretta ex art. 89 c.p.c. ed anche il Giudice può essere ricusato ex art. 52 c.p.c. e la sentenza, successivamente, essere riformata?”
Consulenza legale i 16/11/2015
Il quesito impone una breve analisi dell'art. 89 del c.p.c.
Si tratta di una norma che vuole conciliare, da un lato, il diritto all'onore e alla reputazione, dall'altro il diritto di difesa e di manifestazione del pensiero: essa mira a far mantenere alle parti e ai loro difensori una condotta processuale corretta, evitando l'uso di espressioni che eccedano i limiti della convenienza.
In particolare, l'art. 89 fa riferimento a tre tipi di espressioni:
1. quelle "sconvenienti", suscettibili solo di cancellazione;
2. quelle offensive, che riguardano l'oggetto della causa, che possono essere solo cancellate;
3. quelle offensive ma che non attengono all'oggetto della causa, in ordine alle quali il giudice può ordinare il risarcimento del danno non patrimoniale.

L'ambito soggettivo di applicazione della norma è del tutto chiaro ed emerge dal dato letterale: essa sanziona la condotta scorretta delle parti e dei loro difensori.
Per questa ragione, nel caso di specie, anche a voler considerare l'espressione utilizzata sconveniente o offensiva, non è possibile applicare la norma sopra richiamata, in quanto in questo caso ad utilizzarla sarebbe stato il Giudice e non la parte o il suo avvocato.

Altra questione concerne la possibilità di ricusare il Giudice ai sensi dell'art. 52 c.p.c.
La ricusazione è un istituto che ambisce ad assicurare l'imparzialità del giudicante e può ottenersi ogni volta in cui ricorra un caso di astensione obbligatoria del Giudice (le ipotesi sono tassative ed elencate all'art. 51 del c.p.c.).
Ratio della norma è quella di sanzionare anche solo l'apparenza di parzialità della persona fisica incaricata di giudicare. Ricusare il Giudice è un diritto della parte ma anche un onere: difatti, il codice di rito impone che il ricorso atto ad ottenere la ricusazione del magistrato vada depositato in cancelleria due giorni prima dell'udienza, quando al ricusante è noto il nome dei giudici chiamati a trattare o decidere la causa, oppure prima dell'inizio della trattazione o discussione in caso contrario. Il decorso di tale termine rende il rimedio non più invocabile in altra fase del giudizio.

Per tale ragione meramente processuale, la ricusazione non appare più esperibile quale rimedio nel caso di specie.

Ad ogni modo, va sottolineato che, anche nel merito, assumendo che il ricorso fosse ancora depositabile, non sussistono i presupposti per la revocazione, quantomeno in base al mero utilizzo dell'espressione indicata nel quesito.
La ricusazione, come già anticipato, può ricorrere solo nei 5 casi previsti dall'art. 51 c.p.c., quali, ad esempio, quello in cui il giudice ha conosciuto della medesima causa come magistrato in altro grado del processo.
Nessuna delle ipotesi contemplata dalla legge sembra ricorrere nel nostro caso.

A tacer d'altro, comunque, si rileva che l'espressione usata non appare offensiva o sconveniente, poiché il Giudice, nel rigettare l'appello, si limita a dire che l'appellante non ha colto i motivi della sentenza di primo grado, che la Corte d'appello reputa invece convincenti. Si comprende che il Collegio, fra le righe, abbia reputato l'appello del tutto immeritevole di accoglimento, di fatto "criticando" la scelta difensiva dell'appellante, ma questo ci induce a ritenere che le espressioni utilizzate siano tali da giustificare nulla più che un "risentimento" da parte dell'avvocato dell'appellante.
Contro la sentenza andranno pertanto esperiti i rimedi ordinari di impugnazione.

Francesco B. chiede
giovedì 25/06/2015 - Puglia
“Ho fatto personalmente ricorso al Presidente della Repubblica, su un diniego di permesso di costruire intervenuto dopo circa 10 mesi del formatosi silenzio assenso, l'avvocato del Comune esercita il diritto del art. 48 comma 1 del copd. proc. amm. ex art. 10 del D.P.R. n. 1199/71.
Visto quanto detto CHIEDO
a/ il mio ricorso nella fase successiva serve a niente?
b/ il contributo unificato di € 650 lo perdo o lo posso recuperare o utilizzare per il ricorso da presentare al TAR tramite l'avvocato?
c/ avendo dei dubbi sul TAR (giustificati ?) come potrei fare per far spostare il giudizio presso altra sede di TAR.”
Consulenza legale i 30/06/2015
a. Il ricorso già presentato sarà riproposto - nella sostanza - nell'atto di costituzione innanzi al T.A.R.
Il Consiglio di Stato ha affermato che la notificazione dell’atto di opposizione rende il ricorso straordinario non più procedibile, dal momento che ogni ulteriore questione, ivi compresa l’ammissibilità dell’istanza di trasposizione del giudizio dinanzi al giudice amministrativo, non può più essere oggetto di valutazione in tale sede, essendo rimessa alla potestà decisoria dell’organo giudicante cui è devoluto l’affare. Di conseguenza, quando sia stata effettuata la trasposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in sede giurisdizionale, "la riattivazione del procedimento giustiziale amministrativo può avvenire (ai sensi dell’art. 10, comma 2 del d.P.R. n. 1199 del 1971) solo per iniziativa del giudice innanzi a cui il ricorso straordinario è stato trasposto, ove questo rilevi l’inammissibilità dello stesso in sede giurisdizionale ma la possibilità della sua decisione in sede straordinaria" (Cons. Stato, sez. I, 8.3.2010, n. 03511/2008).

b. Nel caso di opposizione a ricorso straordinario (art. 48 del Codice del processo amministrativo), il ricorrente, allorché voglia trasporre il giudizio dinanzi al giudice amministrativo, è chiamato a depositare nella segreteria di quest’ultimo un “atto di costituzione in giudizio”.

Con Circolare 18 ottobre 2011, il Segretariato generale della Giustizia amministrativa ha fornito delle istruzioni sull'applicazione del c.u. nel processo amministrativo.
Ha ricordato innanzitutto che l’art. 37, sesto comma, del D.L. n. 98 del 2011. ha assoggettato per la prima volta a contributo unificato il ricorso straordinario, nella misura fissa di 600,00 euro (oggi 650,00).
In considerazione di ciò, nonché della natura dell’atto con cui si opera la trasposizione, che postula la “prosecuzione” e non la “riproposizione” di un giudizio contenzioso, sia pure nella diversa sede giurisdizionale, l’ufficio procederà a richiedere, una volta verificato l’adempimento dell’onere tributario connesso alla presentazione del ricorso straordinario, l’eventuale differenza dovuta (o l’intero, se nulla era stato versato), calcolata in relazione ai diversi importi, previsti dal novellato art. 13, comma 6-bis, del T.U. n. 115 del 2002, rispettivamente, per il ricorso straordinario e per quello giurisdizionale.
Per quanto attiene alla quantificazione del contributo dovuto in ragione della trasposizione, occorrerà fare riferimento agli importi vigenti al momento della trasposizione stessa.

c.
La legge consente al cittadino di chiedere di non essere giudicato da qualcuno che sospetti non essere imparziale. E' consentito ricusare i singoli giudici ma non ottenere uno spostamento della sede giurisdizionale, la cui competenza per territorio è stabilita per legge.
L'art. 18 del Codice del processo amministrativo prevede al primo comma che al giudice amministrativo si applichino le cause di ricusazione previste dal codice di procedura civile (artt. 51-54 c.p.c.).

Il procedimento, descritto dall'articolo richiamato, si svolge nel modo seguente: la ricusazione si propone, almeno tre giorni prima dell'udienza designata, con domanda diretta al presidente, quando sono noti i magistrati che devono prendere parte all'udienza; in caso contrario, può proporsi oralmente all'udienza medesima prima della discussione. La domanda deve indicare i motivi ed i mezzi di prova ed essere firmata dalla parte o dall'avvocato munito di procura speciale. Proposta la ricusazione, il collegio investito della controversia può disporre la prosecuzione del giudizio, se ad un sommario esame ritiene l'istanza inammissibile o manifestamente infondata. In ogni caso la decisione definitiva sull'istanza è adottata, entro trenta giorni dalla sua proposizione, dal collegio previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito.

Angelo B. chiede
lunedì 07/07/2014 - Lombardia
“Ho perso la sentenza di primo grado dichiarata dal giudice "A" di natura costitutiva perciò non esecutiva fino al passato in giudicato.
Faccio ricorso in appello.Contemporaneamente la controparte chiede,tramite ex art 700 al giudice "B" della corta d'appello,di rendere esecutiva la sentenza di primo grado.Il giudice d'appello "B" accoglie tale richiesta.
Presento reclamo ed il giudice "C" di un'altra sezione del tribunale mi da ragione.Ora lo stesso giudice"B" che mi ha dato torto tramite art 700 è lo stesso che dovrà decidere in appello.
Nell'eventualità come potrebbe il Giudice"B"darmi ragione quando in precedenza sulla stessa causa mi dato torto?
Mi trovo ad essere giudicato dallo stesso giudice per lo stesso quesito sul quale mi ha già giudicato in precedenza dandomi torto.”
Consulenza legale i 08/07/2014
Il caso proposto coinvolge gli istituti dell'astensione e ricusazione del giudice, in particolare nel caso in cui il giudice che ha deciso su di un provvedimento cautelare ex art. 700 del c.p.c. si trovi a dover poi giudicare anche la causa di merito.

La questione è stata oggetto di pronunce giurisprudenziali e tesi dottrinali, e sul punto si è espressa anche la Corte Costituzionale.
Nel caso esaminato dalla sentenza n. 326 del 1997, la Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51 c.p.c., nella parte in cui non avrebbe imposto l'obbligo di astensione al giudice della causa di merito, che abbia concesso un provvedimento d'urgenza ante causam: in altre parole, ha ritenuto che tale articolo non si applichi quando l'identità del giudice si abbia tra un ricorso cautelare proposto prima della causa e il giudizio di merito.
Dice la Corte Costituzionale: "La previsione contenuta nell'art. 51, numero 4, cod. proc. civ., secondo cui il giudice ha l'obbligo di astenersi "se ha conosciuto [della causa] come magistrato in altro grado del processo" [...] al pari di quella contenuta nell'art. 34, comma 1, c.p.p., è funzionale al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, che ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, in relazione specifica al quale, peraltro, può e deve trovare attuazione".
Tuttavia, secondo la Corte, il giudizio cautelare non è equiparabile a quello di merito: infatti, la concessione della misura si fonda solo sui presupposti del pregiudizio irreparabile e del fumus boni iuris (parvenza del diritto). Questo secondo elemento deve risultare da un "semplice giudizio di verosimiglianza, concretizzantesi in una valutazione probabilistica circa le buone ragioni dell'attore, le quali vanno preservate dal rischio di restare irreversibilmente compromesse durante il tempo necessario a farle valere in via ordinaria. Di qui il carattere strumentale (rispetto — va sottolineato — non al merito della causa, bensì alla realizzazione del diritto da accertare in tale sede) assunto dal provvedimento cautelare, e la connessa struttura sommaria della cognizione".
Concludendo, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la cognizione che il codice di procedura civile attribuisce al giudice in sede di provvedimenti cautelari ante causam lascia assolutamente irrisolto il quesito circa l'esito finale del giudizio e non "anticiperebbe" affatto la decisione del merito: quindi, il giudice può essere lo stesso, anche se sarà suo dovere valutare, nel concreto, se "esistono gravi ragioni di convenienza" per "richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi", secondo quanto già previsto dall'ultimo comma dell'art. 51.

La sentenza analizzata dalla Consulta riguardava il caso di un provvedimento ante causam, ma si può ritenere analoga alla vicenda proposta nel quesito, in cui il provvedimento d'urgenza è stato chiesto tra il primo e il secondo grado di giudizio.

Anche la Cassazione si è espressa nel senso indicato, ad esempio con sentenza n. 422/2006 ("L'emissione di provvedimenti di urgenza o a cognizione sommaria da parte dello stesso giudice che è chiamato a decidere il merito della stessa, costituisce una situazione ordinaria del giudizio e non può in nessun modo pregiudicarne l'esito, né determina un obbligo di astensione o una facoltà della parte di chiedere la ricusazione").

Alla luce della giurisprudenza citata, anche costituzionale, si ritiene non applicabile al caso in esame l'art. 51, n. 4) c.p.c. e di conseguenza nemmeno l'art. 52 c.p.c. che consente alle parti di ricusare il giudice nei casi in cui questi ha l'obbligo di astenersi.

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