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Articolo 51 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Astensione del giudice

Dispositivo dell'art. 51 Codice di procedura civile

Il giudice ha l'obbligo di astenersi [disp. att. 78] (1):

  1. 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
  2. 2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado [o legato da vincoli di affiliazione], o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  3. 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
  4. 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio [82] nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro [810] o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico [61];
  5. 5) se è tutore, curatore [c.c. 343, 392], procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta [36 c.c.], di un comitato [39 c.c.], di una società [2247 c.c.] o stabilimento che ha interesse nella causa (2) (3).

In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio, l'autorizzazione è chiesta al capo dell'ufficio superiore (4) (5).

Note

(1) Si tratta di ipotesi tassativamente previste essendo l'elencazione specifica, in modo da individuarle tutte con certezza e di graduarle secondo la gravità. Si prevede infatti della c.d. astensione obbligatoria, intendosi una sorta di incapacità soggettiva del giudice, ovvero un obbligo di rinunciare ad esercitare le sue funzioni giurisdizionali per motivi personali o per uffici o funzioni precedentemente svolti.
(2) Le ipotesi di astensione obbligatoria attengono sia all'interesse diretto del giudice, che sussiste quando lo stesso è titolare di un rapporto giuridico dipendente, connesso o incompatibile con quello oggetto del processo (nn. 1 a 4), sia all'interesse indiretto, che attiene ad una relazione di legame o contrasto che ha il giudice nei confronti di soggetti a vario titolo coinvolti nella causa (n. 5).
(3) La norma si applica anche al giudice di pace in base a quanto previsto dalla l. 21-11-1991, n. 374, la quale estende i casi di astensione previsti nel presente articolo e dispone la astensione obbligatoria anche nel caso di sussistenza attuale o anche passata di rapporti di collaborazione o lavoro autonomo con una delle parti in giudizio.
(4) Questo comma disciplina l'ipotesi della astensione facoltativa, determinata da ragioni di opportunità. Si tratta di una clausola aperta e la discrezionalità qui prevista si riferisce solo alla valutazione delle ragioni di astensione, che una volta riconosciute, determina l'inizio del procedimento. In questi casi, il giudice deve richiedere una autorizzazione al capo dell'ufficio giudiziario, non bastando, a differenza del caso precedente, la sua semplice dichiarazione.
(5) Nonostante la norma indichi un "obbligo" di astenersi, appare più corretto parlare di onere di astenersi per non essere ricusato. Infatti, in caso di mancata astensione, obbligatoria o riconosciuta, sorge il potere delle parti di provocare la ricusazione (si cfr. 52), e nel caso di astensione obbligatoria si determinano conseguenze sul piano disciplinare e la nullità degli atti del giudizio compiuti dal giudice non astenutosi (si cfr. 158).

Ratio Legis

Lo scopo della norma è quello di garantire il pieno rispetto del canone di imparzialità del giudice assicurando una piena e serena giustizia delle posizioni soggettive, oltre quello di individuare un procedimento amministrativo ad hoc, puramente interno, col quale le parti in giudizio non hanno niente a che vedere, disciplinandone lo svolgersi. Nel caso in cui il giudice, pur in presenza delle ipotesi elencate, non si astenga, l'unico rimedio esperibile consiste nella ricusazione.

Brocardi

Nemo iudex in causa propria

Spiegazione dell'art. 51 Codice di procedura civile

Il primo comma della norma tratta dei casi di astensione obbligatoria del giudice, i quali vengono raggruppati in tutte quelle ipotesi in cui il giudice ha un interesse personale nella causa, tale da non permettergli di essere imparziale.
L’interesse può essere diretto (se attiene ad un elemento od oggetto della causa) o indiretto (se riguarda il rapporto con una persona coinvolta nella causa).
Per il Giudice di Pace l’astensione obbligatoria trova la sua disciplina all’art. 10 della Legge n. 374/1991.
E’ discusso se tali casi debbano essere intesi come tassativi o meno.
Secondo la tradizionale interpretazione giurisprudenziale della norma, i casi di astensione obbligatoria sono tassativi e non suscettibili di interpretazione analogica nè estensiva; parte della dottrina ha ritenuto più corretto parlare di una predeterminazione normativa delle fattispecie di astensione obbligatoria, le quali non si esauriscono in quelle specificamente indicate nel primo comma di questa norma, potendosene riscontrare altre, purchè risultanti da inequivoci dati normativi.
Inoltre, è stato anche osservato che, sebbene la norma parli di “obbligo” di astensione, in realtà sarebbe più corretto parlare di onere, nel senso che il giudice, se vuole evitare la ricusazione, deve astenersi qualora ricorra un caso di astensione obbligatoria. Secondo altra teoria sussisterebbe in capo al giudice un dovere giuridico di astensione, in quanto la sua violazione darebbe luogo a sanzioni disciplinari (e ciò ex art. 18 R.D. n. 511 del 31.05.1946).

Il n. 1 del primo comma dispone che il giudice è tenuto ad astenersi ove lui stesso abbia un interesse nella causa che è chiamato a decidere o in altra causa vertente su identica questione di diritto.
L’interesse a cui qui si fa riferimento può essere sia diretto che indiretto (quest’ultimo ricorre quando la decisione può avere riflessi giuridici o di fatto su un rapporto sostanziale di cui il giudice è parte); l’interesse indiretto, comunque, deve essere concreto e personale, in quanto la disciplina dell’astensione è prevista nel codice in riferimento a fatti, situazioni, interessi che ineriscono alle persone dei singoli magistrati e non ad intere categorie di giuridici.
La seconda fattispecie di interesse considerata, invece, riguarda il giudice chiamato a giudicare di una causa vertente su di una questione di diritto identica a quella che si dibatte in altra causa in cui lo stesso giudice abbia un proprio interesse.
La ragione di tale previsione è semplice: evitare che sulla controversia si pronunci un giudice che ha già un’opinione preconcetta sulla lite, nonchè evitare che l’organo giudicante si precostituisca ad hoc un precedente a sè favorevole.

Il n. 2 del primo comma riguarda la sussistenza di particolari rapporti di parentela del giudice o del coniuge con le parti in causa o con uno dei difensori.
Eventuali legami di sangue o affettivi, infatti, generano la presunzione che il giudice possa essere spinto ad emettere una decisione favorevole alla parte o al difensore, a cui è legato, in conseguenza di motivazioni extraprocessuali.
Per quanto concerne la locuzione “convivente o commensale abituale”, si ritiene che debba intendersi riferita a quei soggetti appartenenti ad una cerchia di persone che hanno una certa affectio familiaritatis.

Ai sensi del n. 3 il giudice è pure obbligato ad astenersi nel caso in cui lo stesso o la moglie abbiano una causa giudiziaria pendente con una delle parti o con alcuno dei suoi difensori.
Per “causa pendente” deve intendersi non soltanto una controversia civile, ma anche un procedimento penale o amministrativo; si è poi affermato che non rileva la previa pendenza della causa, in quanto esistono situazioni in cui il principio costituzionale del giudice terzo ed imparziale può essere pregiudicato anche nel caso di cause pendenti successive a quella in cui il giudice è chiamato a giudicare la sua controparte.
Il vero problema che può invece porsi è quello di distinguere tra cause reali (le quali legittimano un accoglimento della domanda di ricusazione) e cause che possono essere fittiziamente intentate, solo per ricusare quel determinato giudice investito della controversia.

Tra i casi di astensione obbligatoria una particolare attenzione va posta al n. 4 del primo comma, in cui si dice che il giudice deve astenersi se ha avuto cognizione della causa in un altro grado del procedimento, costituendo tale statuizione una applicazione del principio del giusto processo, espresso all’art. 111 Cost..
La ratio di tale ipotesi di astensione si ravvisa nella funzionalità dell’impugnazione che, come tale, postula la diversità del giudice, il quale, in caso contrario, non sarebbe imparziale, ma orientato a decidere secondo il suo precedente orientamento.
La giurisprudenza di legittimità ha tuttavia precisato che l'obbligo di astensione previsto nei confronti del giudice che ha conosciuto della causa nel precedente grado di giudizio deve intendersi circoscritto alla sola ipotesi in cui il giudice stesso ha partecipato alla decisione collegiale nella precedente fase del procedimento, mentre non può essere esteso alla diversa fattispecie in cui il magistrato si è limitato ad istruire la causa in primo grado, senza deciderla, e si trova, poi, a conoscerne in grado di appello.

Il riferimento, invece, alla posizione di amministratore di sostegno, che si rinviene al successivo n. 5, è stato aggiunto a seguito della riforma attuata con la Legge n. 6 del 9 gennaio 2004.

La violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi non comporta nullità della sentenza che verrà poi pronunciata e non può essere dedotta in sede di impugnazione, salvo il caso in cui l’obbligo di astenersi da parte del giudice scaturisca dal fatto di essere titolare di un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte (in tale ipotesi, infatti, la lesione del principio di imparzialità del giudice risulta di particolare gravità e non può non comportare la nullità assoluta della sentenza che sia stata pronunciata).
Ipotesi ancora diversa è quella del giudice che abbia egualmente partecipato alla pronuncia, sebbene autorizzato ad astenersi o la cui ricusazione sia stata accolta; in tal caso, infatti, viene ad essere integrata una nullità per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 del c.p.c.. A tale forma di nullità, tuttavia, si applica il principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione per effetto del combinato disposto degli artt. 158 e 161 c.p.c., con la conseguenza che, se il vizio non viene rilevato, d’ufficio o su eccezione di parte, dinanzi al giudice non correttamente costituito, esso dovrà essere denunciato in sede di gravame, in difetto di che dovrà ritenersi sanato a seguito del formarsi del giudicato sul punto.

Il secondo comma disciplina l’astensione discrezionale o facoltativa; è qui previsto che il giudice, per gravi ragioni di convenienza, possa chiedere, anche al di fuori dei casi previsti dal comma 1°, la possibilità di astenersi, facendone espressa richiesta al capo dell’ufficio giudiziario da cui dipende.
Il capo dell’ufficio a cui appartiene il singolo giudice può a sua volta negare la richiesta di astensione.
Ha precisato la giurisprudenza di legittimità che l’autorizzazione deve essere richiesta per “gravi ragioni di convenienza” e non per le ipotesi di astensione obbligatoria, per le quali il capo dell’ufficio deve limitarsi a nominare un nuovo e diverso giudice.

Per la disciplina del procedimento di astensione occorre riferirsi all’art. 78 delle disp. att. c.p.c.; prevede tale norma che il giudice istruttore, non appena riconosce l’esistenza di un motivo di astensione, deve farne espressa dichiarazione ovvero istanza scritta al Presidente del Tribunale già nel momento stesso in cui riceve il decreto di nomina.
Se, invece, il motivo di astensione sorge quando l’istruzione è già iniziata, lo stesso giudice istruttore deve darne subito notizia al capo dell’ufficio giudiziario competente, dichiarando o chiedendo di astenersi.
E’ stato precisato in giurisprudenza che l’onere di comunicare l’astensione alle parti sussiste solo nei casi in cui alla designazione di altro giudice debba provvedere il capo dell’ufficio e non quando è il magistrato competente a provvedere alla sostituzione astenendosi.

Massime relative all'art. 51 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 25487/2021

Il giudice che abbia partecipato soltanto alla attività istruttoria nel corso del giudizio di primo grado, senza poi prender parte alla decisione della causa, non ha alcuna incompatibilità a comporre il collegio giudicante in secondo grado e non è, pertanto, gravato dal dovere di astensione ex art. 51, n. 4, c.p.c., dovendosi la conoscenza della causa come magistrato in altro grado di giudizio riferire alla partecipazione alla decisione di merito e non ad atti istruttori nel giudizio di prime cure. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 27/08/2015).

Cass. civ. n. 19030/2021

In tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato, il procedimento davanti al Consiglio distrettuale di disciplina conserva il carattere amministrativo del precedente procedimento di competenza dei locali Consigli dell'ordine, svolgendo tale organo una funzione amministrativa di natura giustiziale; pertanto, non trovano applicazione le norme in tema di astensione del giudice contenute nei codici di procedura civile e penale. (Rigetta, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE ROMA, 25/01/2021).

Cass. civ. n. 34429/2019

Non è ammissibile la ricusazione di un collegio astrattamente considerato, dovendo essa essere piuttosto diretta contro ciascuna delle persone fisiche che lo compongono, sul presupposto che, per ciascuna di esse, singolarmente ricorrano i motivi tassativamente indicati dalla legge per tale istituto. (Rigetta, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE ROMA, 18/12/2018).

Cass. civ. n. 29833/2019

In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione, costituente illecito disciplinare a norma dell'art. 2, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 109 del 2006, non è esclusa nel caso in cui sia proposta un'istanza di ricusazione che il magistrato ritenga inammissibile (nella specie, sul presupposto che l'istante non fosse legittimato ad intervenire, e quindi ad assumere la qualità di parte, nella procedura esecutiva), quando sussista un obbligo di astensione nei casi di cui all'art. 51 (nella specie, comma 1, n.3) c.p.c., sussistendo altresì l'illecito della grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, a norma dell'art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 109 del 2006, qualora il magistrato non disponga la sospensione, ma compia atti ulteriori del procedimento.

Cass. civ. n. 15268/2019

L'obbligo di astensione sancito dall'art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c. si impone solo al giudice che abbia conosciuto della stessa causa come magistrato in altro grado, posto che la norma è volta ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima "res iudicanda" in un unico processo; ne consegue che l'obbligo non può essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorché riguardante le stesse parti e pur se implicante la risoluzione di identiche questioni. (Nella specie, la S.C. ha escluso la ricorrenza di un caso di astensione obbligatoria con riferimento al giudice istruttore di un giudizio di divisione, il quale sia era in precedenza pronunziato in un giudizio penale a carico di una delle parti parte, peraltro in relazione al delitto di lesioni volontarie in danno dell'altra parte).

Cass. civ. n. 27924/2018

Non è deducibile come motivo di nullità di una sentenza d'appello la circostanza che uno dei componenti del collegio che l'ha pronunciata avesse in precedenza conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro l'ordinanza di rigetto della richiesta di provvedimento d'urgenza "ante causam", poiché l'avere conosciuto della stessa causa in un altro grado deve essere ritualmente fatto valere come motivo di ricusazione del giudice, a norma degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c. e, d'altra parte, l'avere trattato della controversia in sede di procedimento cautelare "ante causam" neanche costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 326/1997 e ordinanza n. 193/1998), un'ipotesi sufficientemente assimilabile, sotto il profilo dell'incompatibilità, alla trattazione della causa in un altro grado di giudizio.

Cass. civ. n. 22930/2017

I casi di astensione obbligatoria del giudice stabiliti dall'art. 51 c.p.c., ai quali corrisponde il diritto di ricusazione delle parti, in quanto incidono sulla capacità del giudice, determinando una deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge, sono di stretta interpretazione e non sono, pertanto, suscettibili di applicazione per via di interpretazione analogica; ne consegue che l'obbligo di astensione sancito dal n. 4 del citato articolo nei confronti del giudice che abbia conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo - rivolto ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima regiudicanda nell'unico processo - non può essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorché riguardante le stesse parti e pur se implicante la risoluzione di identiche questioni. (Nella specie, la S.C. ha escluso la ricorrenza di un caso di astensione obbligatoria con riferimento al giudice che dopo avere emanato decreto ex art 148 c.c., opposto, al quale era seguita sentenza del tribunale, in diversa composizione, mai impugnata, aveva composto il collegio di appello che aveva conosciuto della richiesta di revisione delle condizioni di cui alla detta sentenza).

Cass. civ. n. 23520/2016

L'obbligo di astensione imposto dall'art. 51, n. 4, c.p.c., la cui violazione, ove oggetto di deduzione mediante rituale istanza di ricusazione, è causa di nullità della sentenza, va circoscritto alla sola ipotesi in cui il giudice abbia partecipato alla decisione del merito della controversia in un precedente grado di giudizio, e non può estendersi al caso in cui questi si sia limitato ad istruire la causa in primo grado senza deciderla, oppure abbia ivi reso una pronuncia relativa alle deduzioni probatorie, trovandosi, poi, a conoscerne in grado di appello, trattandosi di provvedimento tipicamente ordinatorio, privo, pertanto, di qualunque efficacia decisoria.

Cass. civ. n. 3136/2015

La fase dell'opposizione, ai sensi dell'art. 1, comma 51, legge 28 giugno 2012, n. 92, non costituisce un grado diverso rispetto a quella che ha preceduto l'ordinanza, ma solo una prosecuzione del medesimo giudizio in forma ordinaria, sicché non è configurabile alcuna violazione riconducibile all'art. 51, n. 4, cod. proc. civ. nel caso in cui lo stesso giudice-persona fisica abbia conosciuto della causa in entrambi le fasi.

Cass. civ. n. 2593/2015

L'obbligo del giudice di astenersi, previsto dall'art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si riferisce ai casi in cui egli abbia conosciuto della causa in altro grado del processo, e non anche ai casi in cui lo stesso abbia trattato di una causa diversa vertente su un oggetto analogo, ancorché tra le stesse parti, né in tale ipotesi sussistono gravi ragioni di convenienza rilevanti come motivo di ricusazione.

Cass. civ. n. 19704/2012

L'obbligo di astensione, rilevante in sede disciplinare a norma dell'art. 2, comma primo, lett. c), del d.l.vo 23 febbraio 2006, n. 109, non è limitato alle sole ipotesi previste dall'art. 51, comma primo, c.p.c. e dagli artt. 36 e 37 cod. proc. pen., ma è configurabile in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato o di un suo prossimo congiunto, poiché l'art. 323 c.p. fonda un dovere generale di astenersi, ove sussista un conflitto, anche solo potenziale, di interessi, che possono essere anche non patrimoniali, in quanto la previsione costituisce modalità di attuazione del principio di imparzialità, cui deve ispirarsi tutta l'attività dei pubblici ufficiali a norma dell'art. 97 Cost., ed il richiamo della disposizione ai requisiti della patrimonialità e dell'ingiustizia del danno attiene non all'interesse, ma all'evento del reato. Ne consegue che, con riferimento al giudice civile, la facoltà di astenersi per gravi ragioni di convenienza deve ritenersi abrogata per incompatibilità e sostituita dal corrispondente obbligo, in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, tanto più che la diversa soluzione esporrebbe la norma di cui all'art. 51, comma secondo, c.p.c. al dubbio di costituzionalità, per disparità di trattamento rispetto al giudice penale, su cui incombe l'obbligo di astenersi ai sensi dell'art. 36, comma primo, lett. h), cod. proc. pen., e a tutti i dipendenti della P.A., gravati di identico dovere per effetto dell'art. 6 del d.m. 28 novembre 2000, emanato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Cass. civ. n. 5701/2012

Ai fini dell'illecito disciplinare previsto dall'art. 2, comma primo, lett. c), d.lgs. n. 109 del 2006, l'obbligo di astensione del magistrato, pur non essendo configurabile per la mera esistenza di gravi ragioni di convenienza ex art. 51, comma secondo, cod. proc. civ., sussiste non soltanto nei casi indicati specificamente dall'art. 51, comma primo, cod. proc. civ., bensì in tutti quelli in cui sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato, o di un suo prossimo congiunto, a conseguire un ingiusto vantaggio patrimoniale o a farlo conseguire ad altri, o a cagionare un danno ingiusto ad altri.

Cass. civ. n. 10071/2011

Nei procedimenti disciplinari davanti agli ordini forensi, così come in quelli civili, l'inosservanza dell'obbligo dell'astensione determina la nullità del provvedimento adottato solo nell'ipotesi in cui il componente dell'organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del procedimento; in ogni altra ipotesi, invece, la violazione dell'art. 51 c.p.c. assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell'organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza non determina la nullità del provvedimento.

Cass. civ. n. 24758/2009

Costituisce illecito disciplinare l'omesso esercizio della facoltà di astensione da parte del magistrato investito di funzioni di P.M. tutte le volte che si configurino, nel procedimento, situazioni obiettivamente suscettibili di far ipotizzare che la sua condotta possa essere ispirata a fini diversi da quelli istituzionali. (Fattispecie nella quale un Procuratore della Repubblica aveva prestato consenso alla richiesta di applicazione di pena patteggiata formulata dal fratello, procurandogli l'indebito vantaggio costituito dall'esiguità della pena pecuniaria pattuita).

Cass. civ. n. 12263/2009

La sentenza pronunciata da un giudice che abbia violato l'obbligo di astenersi, di cui all'art. 51, n. 1, c.p.c., è nulla soltanto se quel giudice aveva un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte del giudizio. Negli altri casi la violazione dell'obbligo di astensione può costituire solo motivo di ricusazione, con la conseguenza che quella violazione resta ininfluente se la relativa istanza non è tempestivamente proposta.

Non costituisce causa di ricusazione, ai sensi dell'art. 51, n. 4, c.p.c., la circostanza che il medesimo giudice, dopo avere pronunciato una sentenza di condanna, sia chiamato a decidere l'opposizione all'esecuzione della stessa sentenza, in quanto in questo secondo giudizio il titolo esecutivo giudiziale viene in rilievo unicamente quale presupposto dell'esecuzione e non come momento conclusivo della funzione cognitiva del giudice

Cass. civ. n. 10545/2008

In tema di vizi relativi alla costituzione del giudice, in caso di autorizzazione ad astenersi disposta ex art. 51 c.p.c. dal presidente del tribunale verso il giudice istruttore istante, non sussiste in capo a quest'ultimo la legittimazione a comporre il collegio giudicante nel successivo giudizio d'appello e tale incompatibilità può essere fatta valere anche dalla parte che non ha proposto richiesta di ricusazione ; ne consegue la nullità della sentenza resa da un collegio cui partecipi il predetto giudice. (La S.C., cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha fissato il principio con riguardo al giudizio d'appello cui aveva partecipato il giudice istruttore della opposizione a sentenza di fallimento, autorizzato in primo grado ad astenersi ).

Cass. civ. n. 21287/2007

La pretesa incompatibilità di uno dei giudici che hanno composto il collegio può esser fatta valere soltanto con la ricusazione nelle forme e nei termini di cui all'art. 52 c.p.c. e non dà luogo al vizio di costituzione ravvisabile solo quando gli atti giudiziali siano posti in essere da persona estranea all'ufficio.

Cass. civ. n. 7702/2007

Qualora non sia stata proposta, ai sensi dell'art. 52 c.p.c., istanza di ricusazione, il vizio relativo alla costituzione del giudice per la violazione dell'obbligo di astensione non può essere dedotta quale motivo di nullità della sentenza, ex art. 158 c.p.c.; infatti, l'art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo, ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina anche attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione, sancendo, come ha affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 387 del 1999), che - in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull'impulso paritario delle parti - non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire l'imparzialità-terzietà del giudice solo attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione.

Cass. civ. n. 5030/2007

Non costituisce causa di nullità il compimento, da parte di un componente del collegio giudicante, di atti istruttori in un diverso grado del giudizio, costituendo semmai tale circostanza elemento di valutazione ai fini della astensione da parte del giudice o della sua ricusazione ad opera delle parti. In mancanza della prima, le parti devono procedere alla ricusazione, non potendo, di converso, dolersi in seguito della partecipazione del giudice alla decisione. (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha rigettato il motivo con il quale i ricorrenti avevano lamentato la nullità della sentenza di appello per aver fatto parte del collegio giudicante del tribunale lo stesso magistrato che aveva raccolto la prova per testimoni nel corso del processo di primo grado).

Cass. civ. n. 565/2007

Nei procedimenti civili, l'inosservanza dell'obbligo di astensione determina la nullità del provvedimento adottato solo nell'ipotesi in cui il componente dell'organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del procedimento, mentre in ogni altra ipotesi la violazione dell'art. 51 c.p.c. assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell'organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede d'impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento.

Cass. civ. n. 16119/2006

L'obbligo di astensione di cui all'art. 51, comma primo, n. 4, c.p.c. deve essere circoscritto alla sola ipotesi in cui il giudice abbia partecipato alla decisione del merito della controversia nel precedente grado di giudizio, e non può estendersi ai casi in cui abbia partecipato alla decisione dichiarativa dell'incompetenza, seguita da pronuncia della Corte di cassazione — adita con regolamento di competenza — che ha dichiarato la sussistenza della competenza declinata. In ogni caso, sul piano generale, la violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi non può essere dedotta in sede di impugnazione a fondamento della nullità della sentenza, se non sia stata proposta a riguardo dalla parte interessata istanza di ricusazione.

Cass. civ. n. 4024/2006

L'obbligo del giudice di astenersi, previsto dall'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c., si riferisce ai casi in cui egli abbia conosciuto della causa in altro grado del processo, e non anche ai casi in cui abbia avuto conoscenza, come magistrato, di una causa diversa che verta su un oggetto analogo e che comporti la risoluzione di una medesima problematica.

Cass. civ. n. 422/2006

L'emissione di provvedimenti di urgenza in corso di causa, o la partecipazione al collegio che li riesamina in sede di reclamo, da parte dello stesso giudice che debba decidere il merito della stessa, costituisce una situazione ordinaria del giudizio e non può in nessun modo pregiudicarne l'esito, né determina un obbligo di astensione o una facoltà della parte di chiedere la ricusazione.

Cass. civ. n. 11070/2001

Non è deducibile come motivo di nullità di una sentenza d'appello la circostanza che uno dei componenti del collegio che l'ha pronunciata precedentemente avesse conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro ordinanza di rigetto di richiesta di un provvedimento di urgenza ante causam, poiché l'avere conosciuto della stessa causa in un altro grado deve essere ritualmente fatto valere come motivo di ricusazione del giudice, a norma degli artt. 51, primo comma, n. 4 e 52 c.p.c e, d'altra parte, l'avere trattato della controversia in sede di procedimento cautelare proposto ante causam neanche costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 326/1997 e ordinanza n. 193/1998), un'ipotesi sufficientemente assimilabile, sotto il profilo dell'incompatibilità, alla trattazione della causa in un altro grado di giudizio.

Cass. civ. n. 70/2001

In tema di principi costituzionali d'imparzialità e d'indipendenza del giudice (artt. 25 e 101 Cost.), i motivi d'incompatibilità rilevano, sul piano dei rimedi processuali, come motivi di ricusazione, senza incidere sulla validità del provvedimento, a meno che il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, che lo ponga nella condizione sostanziale di parte. La partecipazione del giudice delegato, quale relatore, al collegio del tribunale fallimentare che decide su reclami contro i provvedimenti del medesimo giudice delegato, ancorché di natura giurisdizionale, trovando la sua ragione nel principio di concentrazione processuale presso gli organi del fallimento di ogni controversia e nella particolare posizione del giudice delegato, il quale è garante della rapidità delle fasi processuali, per la continuità della sua conoscenza su fatti, rapporti, situazioni, richieste e mutazioni soggettive ed oggettive della procedura, non implica violazione dell'obbligo di astensione previsto dall'art. 51, n. 4, c.p.c. Né sono riferibili al processo civile le considerazioni relative alle incompatibilità del giudice nel quadro dell'art. 34 c.p.p., attese le profonde differenze strutturali e funzionali tra il modello penale e quello civile; e ciò ancor più con riguardo alle peculiarità della disciplina fallimentare, ispirata al principio della concentrazione processuale presso i suoi organi di ogni controversia che ne deriva, con collegamenti ed interferenze inevitabili, che non sono rilevanti agli effetti della legittimazione del giudice, per la prevalente esigenza di portare allo stesso grado giurisdizionale tutto il procedimento e di ridurlo ad unità.

Cass. civ. n. 146/2000

L'eventuale partecipazione alla decisione della controversia di un magistrato che avrebbe dovuto astenersi, ai sensi dell'art. 51 c.p.c., non può di per sé integrare mancanza di giurisdizione del collegio giudicante, come tale deducibile, con riguardo a pronuncia di giudice amministrativo, con ricorso per cassazione a norma dell'art. 111, terzo comma, Cost., atteso che detta carenza di giurisdizione, in relazione all'illegittima composizione dell'organo giudicante, è ravvisabile solo nelle diverse ipotesi di alterazioni strutturali dell'organo medesimo, per vizi di numero o qualità dei suoi membri, che ne precludono l'identificazione con quello delineato dalla legge.

Cass. civ. n. 14676/1999

La violazione da parte del giudice dell'obbligo di astenersi, salva l'ipotesi di interesse in causa, non dà luogo a nullità, tuttavia, una volta che il giudice, per qualsiasi motivo, si sia astenuto, non può, di sua iniziativa, tornare a far parte del collegio giudicante, avendo perduto la capacità di giudicare in quella controversia, con la conseguenza che la sua ulteriore partecipazione alla decisione si configura come vizio della costituzione del giudice

Cass. civ. n. 2323/1997

Il motivo di astensione di cui all'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c., che la parte non abbia fatto valere in via di ricusazione del giudice a termini dell'art. 52, non può in seguito essere invocato in sede di gravame, e non trova deroga in relazione all'eventualmente dedotta, tardiva conoscenza della composizione del collegio giudicante, tenuto conto che le parti sono in grado di avere tempestiva contezza di tale composizione, dal ruolo di udienza e dall'intestazione del verbale di causa ad opera del cancelliere, e, quindi, di proporre rituale istanza di ricusazione.

Cass. civ. n. 11505/1996

Il fatto che il collegio giudicante nella fase di rinvio sia stato presieduto da un magistrato autore di altre sentenze pronunciate in cause analoghe e parallele a quella oggetto di rinvio non viola il principio dell'alterità del giudice del rinvio sancito dall'art. 383 c.p.c., né integra una qualche ipotesi di incompatibilità funzionale e, in particolare, quella prevista come causa di astensione obbligatoria dall'art. 51, comma primo, n. 4, c.p.c. per il caso in cui il giudice abbia nella stessa causa «conosciuto come magistrato in altro grado del processo», né viola l'art. 37, lettera b) del nuovo codice di procedura penale, estensibile analogicamente al processo civile, sotto il diverso profilo della anticipata manifestazione del convincimento del giudice.

Cass. civ. n. 1665/1996

In mancanza di ricusazione, la violazione, da parte del giudice, dell'obbligo di astenersi nell'ipotesi di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c., per aver conosciuto della causa in altro grado del processo, non comporta nullità della sentenza e non può essere dedotta in sede di impugnazione.

Cass. civ. n. 8797/1995

La norma dell'art. 51, n. 4 c.p.c., relativa all'obbligo di astensione del giudice che della sua causa «ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo», non è applicabile nell'ipotesi di cassazione per error in procedendo con rinvio (cosiddetto restitutorio o improprio) al medesimo giudice che ha emesso la decisione cassata, atteso che tale giudizio di rinvio (diversamente da quanto accade nell'ipotesi di rinvio cosiddetto proprio a seguito di annullamento per i motivi di cui ai nn. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c.) non si configura come un grado diverso ed autonomo da quello concluso dalla sentenza cassata.

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Consulenze legali
relative all'articolo 51 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A.T. chiede
domenica 19/12/2021 - Abruzzo
“Quesito: nell'ambito di una opposizione agli atti esecutivi, in una procedura esecutiva immobiliare, il giudice istruttore civile designato per la fase di merito è lo stesso giudice nominato relatore dal presidente del collegio a seguito di un reclamo ex art.591 ter, nell'ambito della stessa procedura esecutiva, formulato da parte della stessa società che ha introdotto la causa di merito e respinto dal giudice dell'esecuzione. Il giudice relatore nel collegio deve astenersi oppure essere ricusato dovendo decidere anche la causa di merito in cui è parte interessata la stessa società che ha introdotto la causa di merito e proposto reclamo al collegio? Se si in quale procedura deve astenersi (con possibilità di essere ricusato se non lo fa) considerato che è stato nominato relatore nel collegio successivamente all'introduzione della causa di merito ma che la decisione sfavorevole al reclamante è intervenuta prima della definizione della causa di merito, tuttora pendente?
Grazie”
Consulenza legale i 23/12/2021
Per rispondere al quesito in esame occorre preliminarmente evidenziare quale sia il complessivo quadro normativo di riferimento.

In primo luogo, dobbiamo tenere presente quanto disposto dall’art. 51 del codice di procedura civile in tema di astensione del giudice.
In particolare, il punto 4 di tale norma prevede espressamente che il giudice abbia l’obbligo di astenersi “se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo.
Il giudizio di reclamo è indubbiamente un giudizio di secondo grado in quanto si tratta di un mezzo di impugnazione contro i provvedimenti giurisdizionali diversi dalla sentenza.
La disciplina applicabile in ipotesi di reclamo ex art. 591 ter c.p.c. è quella contenuta nell’art. 669 terdecies c.p.c. (come espressamente indicato nell’articolo medesimo) il quale dispone che non può far parte del collegio il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato.

Quanto al giudizio di opposizione agli atti esecutivi, occorre puntualizzare che esso è costituito di due fasi, una cautelare e l’altra di merito.
L’art. 186 bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile prevede che i giudizi di merito di cui all'articolo 618 c.p.c., secondo comma, del codice sono trattati da un magistrato diverso da quello che ha conosciuto degli atti avverso i quali è proposta opposizione.
Sul punto, la Cassazione con sentenza n. 26551/2018 ha chiarito che: “il disposto dell'art.186 bis disp. att. c.p.c. è finalizzato ad escludere unicamente la coincidenza fra i magistrati persone fisiche che debbano trattare le due fasi (sommaria e ordinaria) del procedimento di opposizione agli atti esecutivi e non implica quindi che il magistrato persona fisica cui sia demandata la trattazione della fase di merito dell'opposizione suddetta non possa coincidere con quello designato quale giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 484 c.p.c.

Ciò posto in punto di diritto, nella presente vicenda leggiamo che il giudice designato per la fase di merito nell’ambito di una opposizione agli atti esecutivi è lo stesso giudice relatore nell’ambito del giudizio di reclamo azionato a seguito di una pronuncia sfavorevole nell’ambito della medesima procedura esecutiva.
Dunque, l’art. 186 bis predetto non appare essere stato violato in quanto il giudice della fase di merito è diverso da quello della fase sommaria.
Parimenti, stricto iure, non appare essere stato violato nemmeno quanto disposto dall’art. 669 terdecies c.p.c. in quanto non fa parte del collegio il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato (ne fa parte soltanto quello designato per il giudizio di merito).

Resta quindi da valutare se sia stata violata o meno la disciplina generale contenuta nel predetto art. 51 c.p.c. che prevede l’astensione obbligatoria laddove il giudice abbia conosciuto la causa come magistrato in altro grado del processo.
Ebbene, nel caso che ci occupa, il giudice persona fisica del giudizio di merito è lo stesso di quello del giudice relatore del collegio del reclamo e cioè di un procedimento di secondo grado rispetto al giudizio di opposizione agli atti esecutivi.
Ricordiamo che quest’ultimo, seppur costituito di due fasi distinte, costituisce un giudizio unico.
Ciò è stato ribadito dalla Suprema Corte anche nella sentenza n.7117 del 2015 secondo cui “ il collegamento tra le due fasi in cui si articola il processo di opposizione agli atti esecutivi (e di opposizione all'esecuzione), presuppone un carattere tendenzialmente unitario”.

Alla luce di ciò, in astratto è legittimo dunque ritenere che ci troviamo potenzialmente di fronte ad una ipotesi di astensione obbligatoria.
La risposta alla prima domanda contenuta nel quesito potrebbe dunque intendersi positiva.

Tuttavia, anche con riguardo alla seconda domanda contenuta nel quesito, occorre tenere presente un altro aspetto.
Nella recentissima sentenza n.25487 del 2021 la Cassazione ha evidenziato che: “il giudice che abbia partecipato soltanto alla attività istruttoria nel corso del giudizio di primo grado, senza poi prender parte alla decisione della causa, non ha alcuna incompatibilità a comporre il collegio giudicante in secondo grado e non è, pertanto, gravato dal dovere di astensione ex art. 51, n. 4, c.p.c., dovendosi la conoscenza della causa come magistrato in altro grado di giudizio riferire alla partecipazione alla decisione di merito e non ad atti istruttori nel giudizio di prime cure.”

Nella presente vicenda, se è vero che il giudice è stato nominato relatore nel collegio successivamente all'introduzione della causa di merito, è altrettanto vero che, al momento, in nessuno dei due giudizi è intervenuta alcuna decisione essendo entrambi pendenti.

Dunque, quanto previsto dall’art. 51 c.p.c al punto 4 e cioè l’obbligo di astensione (alla luce della interpretazione della Suprema Corte) si avrà soltanto al momento in cui uno dei due giudizi si sarà concluso.
In risposta quindi alla seconda domanda riteniamo che se, come è probabile, verrà deciso prima il giudizio del reclamo, il giudice si dovrà astenere nel giudizio di merito (e viceversa laddove invece dovesse essere definito prima quest’ultimo).

Giuseppe M. chiede
giovedì 24/09/2020 - Calabria
“Salve,
anzitutto mi congratulo per l'ultima cosulenza. Non so dove farlo, sul vostro sito, perche' venga pubblicata la mia soddisfazione.

Oggi ho un altro quesito che si riallaccia al precedente.

Nel 2015 , avendo il Comune approvato un progetto per la messa in opera di un canale, in zona PAI R4, SENZA il parere vincolante dell'Autorita' di Bacino Regionale, ho fatto un esposto alla Procura ed inviato copia a tutti i consiglieri comunali.

Dopo un paio di mesi il Tecnico comunale, il sindaco ed il vice sindaco mi hanno denunciato per diffamazione e/o calunnia.

Quest'ultima denuncia e' stata archiviata quella mia, per la messa in opera dei manufatti in zona PAI sara' trattata il 29 dic. dal GIP, dopo varie peripezie.

Il dirigente dell'U.T. comunale, avutane conoscenza, tempo 20 giorni, ha fatto un sopralluogo presso la mia abitazione rilevando.
- che 37 anni prima avevo tamponato il piano interrato.
- Che avevo "ristretto" il canale di scolo delle acque piovane esistente.

E' vero che avevo tamponato il piano interrato.

Al contrario non e' vero che avevo ristretto il canale esistente: nella delibera di Giunta , che allego, ero stato autorizzato ad occupare il canale esistente ( Che era stato anche deviato nel mio terreno da un fabbricato del 1954) ed autorizzato a spostarlo " nell'ambito della struttura in c.a. esistente".


Pero' il Dirigente dell'U.T ha " Omesso" nella sua denuncia penale e nel ricorso al TAR, di riportare che io ho costruito questo canale.

Per questo, qualche giorno dopo, ho scritto una amilpec alla segretaria comunale, persona per bene, chiedendo nuovamente il sopralluogo da parte del tecnico. Nessuna risposta.

La denuncia penale e' andata prescritta. Il Tar, ritenendo che vi fosse un pericolo pubblico conseguente al restringimento del canale, come sostenuto dal Tecnico del Comune, ha emesso la sentenza che vi ho gia' spedito.

Nel 2016, non avendo l'UT comunale rilevato la presenza di questo canale, ho scritto e protocollato una auto denuncia in cui scrivevo, al tecnico comunale, di fare una verifica sul mio terreno, allo scopo di rilevare la presenza di questo canale.
Nessuna risposta. In allegato l'auto denuncia.

Da circa due mesi, continuando le angherie del Tecnico nei miei confronti, ho chiesto al Prefetto e poi alla ( attuale) segretaria del Comune, che essendovi una grave inimicizia tra me ed il dirigente dell'U.T. lo stesso, gia' dal 2015 avrebbe dovuto astenersi dl trattare pratiche di mio interesse e che provvedessero oggi, in mancanza.

Nei giorni scorsi ho ricevuto una semplice email da parte di un altro collaboratore dell'UT, in cui mi comunicava che e' stato incaricato dal Dirigente a trattare le mie pratiche. Chiedero' alla Segretaria, come richiesto, che mi deve rispondere con mailpec, ufficialmente e per ovvi motivi ai sensi della L. 241/90.

DOMANDA.
Premesso che, ai sensi del D.M del 31.03.1994 pubbl. G.U. n. 149 del 28.06.1994, art. 6, il Dirigente UT era gia' dal 2015 in una posizione di incompatibilita' per denunce penali reciproche, di cui una, la mia, ancora pendente, avrebbe dovuto, gia' allora, astenersi dal trattare pratiche a mio nome ?

Omettendo la presenza del canale costruito ha indotto in errore il giudice del TAR facendo credere che avevo "ristretto" il canale pre esistente ( Pag. 6 allegata ordinanza) che , invece, ero stato autorizzato ad occupare ma ricostruendolo nell'ambito del mio fabbricato.
Siccome con piu' atti , strumentali e con motivazioni risibili mi ha perseguitato, questi atti che valore hanno ? Sono da ritenersi validi ed efficaci ? Posso fare qualcosa?
Grazie”
Consulenza legale i 30/09/2020
Al fine di dare una risposta esaustiva, va innanzitutto rilevato che il D.M. citato nel quesito è stato abrogato dall'art. 14, D.M. 28 novembre 2000, che -a sua volta- è stato sostituito dal D.P.R. n. 62/2013, ossia dal “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.
Detto D.P.R. è entrato in vigore nel giugno 2013 e, posto che i fatti riportati nella richiesta di parere sono avvenuti a partire dal 2015, è solo a quest’ultima fonte normativa che si deve fare riferimento al fine di valutare il comportamento del tecnico comunale.

Tanto chiarito, si rileva che il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici definisce gli obblighi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare nell’esercizio delle proprie funzioni.
Per quanto qui ci occupa, viene in rilievo l’art. 7, D.P.R. n. 62/2013, che impone al dipendente l’obbligo di astenersi dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere, tra l’altro, interessi di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia.
Lo stesso articolo, poi, prevede una norma di chiusura, sancendo l’obbligo di astensione anche per ogni altra ipotesi in cui esistano gravi ragioni di convenienza.
In entrambi i casi, sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza e la violazione degli obblighi previsti dal Codice integra un comportamento contrario ai doveri d'ufficio fonte di responsabilità disciplinare, oltre che di eventuale responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile (art. 16, D.P.R. n. 62/2013).

Si nota che l’art. 7, D.P.R. n. 62/2013 ricalca in modo pressoché letterale l’art. 51 c.p.c., che stabilisce i casi tassativi nei quali il Giudice è tenuto ad astenersi dal processo.
Secondo la giurisprudenza, oltre a rilevare sul piano disciplinare ex art. 7, D.P.R. n. 62/2013, le cause di incompatibilità previste dall'art. 51 c.p.c. sono estensibili, proprio in rispetto al principio costituzionale di imparzialità, a tutti i campi dell'azione amministrativa, in quanto presunzioni di doverosa declinatoria eccepibile dalla parte interessata (T.A.R. Napoli, sez. I, 09 gennaio 2020, n. 110; T.A.R. Ancona, sez. I, 26 marzo 2019, n. 175; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 19 maggio 2016, n. 517).
Tuttavia, va evidenziato che l’obbligo di astensione sussiste solo nei casi tassativi previsti dalla normativa suddetta, che non può essere applicata in via estensiva o analogica (Consiglio di Stato, sez. III, 02 aprile 2014, n. 1577; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 03 aprile 2019, n. 1844; T.A.R. Ancona, sez. I, 26 marzo 2019, n. 175).

Così, è stato chiarito che la mera presentazione di una denuncia non è di per sé idonea a creare una situazione di causa pendente, per la natura oggettiva della giurisdizione penale, o di grave inimicizia (Consiglio di Stato, sez. V, 20 dicembre 2018, n. 7170; Cassazione penale sez. VI, 13 marzo 2018, n.22540; Consiglio di Stato sez. V, 09 luglio 2015, n. 3443).
In particolare, la grave inimicizia, per configurare l’obbligo di astensione, deve essere reciproca, trovare fondamento esclusivamente in rapporti personali ed estranei all'esercizio della funzione e non anche in ragioni attinenti al servizio, e deve estrinsecarsi in dati di fatto concreti, precisi e documentati (Cassazione civile, sez. II, 31 ottobre 2018, n. 27923; Consiglio di Stato sez. VI, 11 settembre 2007, n. 4759).

Sulla base di quanto illustrato nella richiesta di parere, che riferisce la presenza di denunce “incrociate” e di iniziative del tecnico comunale concernenti l’attività istituzionale del comune, pare quindi abbastanza difficoltoso inquadrare la fattispecie all’interno delle cause di astensione sopra definite.
Va poi ricordato che, nel caso specifico, l’ordinanza di demolizione emessa dall’Ufficio tecnico comunale è un provvedimento vincolato di repressione di un abuso edilizio, che è un atto dovuto, adottabile anche dopo lungo tempo dalla realizzazione dell'opera abusiva, nonché sottratto alla discrezionalità del pubblico funzionario.
Peraltro, la circostanza che sarebbe stata omessa dal tecnico comunale (la costruzione del canale) non sembra inficiare l’ordinanza repressiva già emanata, che non ha quale presupposto il pericolo conseguente al restringimento del canale, bensì la incontestata realizzazione di una tamponatura in mancanza del necessario titolo edilizio.
Per di più, la legittimità di tale ordinanza di demolizione è stata già confermata dal Giudice amministrativo con una sentenza passata in giudicato e senza che il ricorrente abbia sollevato in quella sede alcun motivo di impugnazione sul punto.

In conclusione, sembra ormai preclusa la possibilità di invalidare gli atti compiuti dall’Amministrazione alla luce dei fatti riportati nel quesito, che potrebbero –al più- rilevare solo in sede disciplinare al fine di ravvisare la sussistenza dell’obbligo di astensione per “gravi ragioni di convenienza”.
Si nota, comunque, che il Comune sembra aver recepito per il futuro le rimostranze avanzate nei confronti del tecnico, decidendo di affidare le pratiche ancora aperte ad un altro funzionario dell’ufficio.

A. P. G. chiede
venerdì 14/01/2022 - Lazio
“Salve, scrivo per chiedere gentilmente un parere in merito all'istanza di ricusazione in sede civile.
In sede civile qual'è la casistica giurisprudenziale relativa alla ricusazione per anticipazione della sentenza da parte dei giudici?
In particolare sempre in sede civile costituisce motivo di ricusazione la circostanza nella quale il Collegio giudicante anticipa ( il merito ) l'esito ( l'orientamento ed il convincimento ) ed il contenuto della futura sentenza a sfavore di una delle parti in una ordinanza di rigetto di mezzi istruttori?
Qual'è la norma di legge o principio giurisprudenziale che vieta ai giudici in sede civile di anticipare il contenuto della sentenza prima della pubblicazione della stessa?
Ringraziando anticipatamente per la cortese attenzione, porgo distinti saluti.”
Consulenza legale i 21/01/2022
Va precisato che, per capire se effettivamente, da parte del giudice, vi sia stata “anticipazione di giudizio” tale da suscitare dubbi sull’imparzialità del magistrato, sarebbe necessario conoscere il contenuto dell’ordinanza istruttoria in questione.
In secondo luogo, poiché nel quesito si parla di collegio giudicante, la Cassazione (Sez. I Civ.,, 22/07/2004, n. 13667) ha chiarito che “la ricusazione costituisce, come l'astensione, la manifestazione processuale dell'esigenza che il giudice, inteso come persona fisica, sia imparziale, sicché non è ammissibile la ricusazione di un collegio astrattamente considerato, dovendo essa essere piuttosto diretta contro ciascuna delle persone fisiche che lo compongono, sul presupposto che per ciascuna di esse, singolarmente considerata, ricorrano i motivi tassativamente indicati dalla legge per tale istituto”.
Premesso quanto sopra, nel codice di procedura civile manca una espressa previsione, analoga a quella contenuta, per il processo penale, nell’art. 37, comma 1, lett. b) c.p.p., norma da cui possiamo desumere anche cosa si intenda per “anticipazione di giudizio” ai fini della ricusazione del giudicante: ovvero una indebita manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto del processo.
Invece l’art. 52 c.p.c. stabilisce che la ricusazione può essere proposta “nei casi in cui è fatto obbligo al giudice di astenersi”, rinviando così al disposto dell’art. 51 c.p.c.
In particolare, i casi di astensione obbligatoria sono i seguenti:
1) interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) esistenza di determinati vincoli di carattere personale del giudice (o del coniuge) con alcuna delle parti o dei difensori (parentela fino al quarto grado, affiliazione, convivenza o l’essere “commensale abituale”);
3) esistenza, in capo al giudice o al coniuge, di rapporti di “conflitto” con parti o difensori (causa pendente, grave inimicizia, rapporti di credito o debito);
4) l’aver “dato consiglio” o prestato patrocinio nella causa, o deposto in essa come testimone, l’averne conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o aver prestato assistenza come consulente tecnico;
5) l’essere tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti, oppure essere amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
Secondo l’opinione prevalente in giurisprudenza, i casi di astensione obbligatoria (e, dunque, di ricusazione) sono tassativi e non suscettibili di applicazione analogica.
Vi è poi l’ipotesi di astensione facoltativa, prevista dal comma 2 dell’art. 51 c.p.c., per “gravi ragioni di convenienza”: tuttavia, come abbiamo visto, l’istanza di ricusazione può essere proposta negli stessi casi in cui il giudice avrebbe l’obbligo, e non la facoltà, di astenersi.
Concluso l’esame del dato normativo, in giurisprudenza l’unico appiglio rinvenuto per considerare applicabile al processo civile la ricusazione per anticipazione di giudizio è quello contenuto in Cass. Civ., Sez. I,27/12/1996, n. 11505, che si limita però a ricordare come, secondo una parte della dottrina, la previsione di cui all'art. 37, lettera b), c.p.p. sarebbe estensibile analogicamente al processo civile.