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Articolo 17 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Cause relative all'esecuzione forzata

Dispositivo dell'art. 17 Codice di procedura civile

Il valore delle cause di opposizione all'esecuzione forzata [615] si determina dal credito (1) per cui si procede (2) (3):

quello delle cause relative alle opposizioni proposte da terzi a norma dell'art. 619, dal valore dei beni controversi (4) (5);

quello delle cause relative a controversie sorte in sede di distribuzione [512], dal valore del maggiore dei crediti contestati (6).

Note

(1) In materia di opposizione all'esecuzione forzata è bene precisare che, in seguito all'abrogazione dell'art.16c.p.c., la competenza è divisa tra il Giudice di pace e il Tribunale, in virtù della competenza per valore.
(2) Nel caso in cui il debitore contesti il diritto della parte istante di procedere all'esecuzione, il valore della causa si determina in base al credito per cui si procede. Diversamente, se il debitore contesta solo una parte del credito, il valore si determina dalla parte che è in contestazione.
(3) Nell'ipotesi in cui sorgano contestazioni in materia di esecuzione per consegna o rilascio o di obblighi di fare o non fare, il valore viene determinato secondo i criteri di cui all'art. 15 se il diritto per il quale si procede è un diritto reale immobiliare; nel caso in cui si proceda per un diritto reale mobiliare o per un credito il valore verrà determinato in via presuntiva ai sensi dell'art. 14.
(4) In caso di opposizione proposta da terzi che vantano la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, si deve aver riguardo al valore dei beni controversi determinato secondo i criteri di cui agli artt. 14 (se si tratta di beni mobili) e 15 (se si tratta di beni immobili).
(5) Per le cause di opposizione agli atti esecutivi di cui all'art.617, promosse anteriormente all'inizio dell'esecuzione, la competenza spetta al giudice indicato nel terzo comma dell'art. 480, ossia il giudice dell'esecuzione, competente per materia, del luogo dove il creditore ha, nel precetto, dichiarato residenza o eletto domicilio o, in mancanza, del luogo in cui è stato notificato il precetto. Diversamente, se il creditore non ha indicato nel precetto se intende promuovere espropriazione immobiliare o mobiliare, si ritiene competente il giudice individuato con il criterio del valore, avuto riguardo all'ammontare del credito per il quale si procede, salvo che sopravvenga un criterio di competenza. Per le cause di opposizione agli atti esecutivi, promosse dopo l'inizio dell'esecuzione è competente il giudice di quest'ultima.
(6) Nel caso in cui sorga una controversia in sede di distribuzione, il valore della causa viene determinato sulla base del valore del maggiore dei crediti contestati. Non si ha riguardo al valore reale, ma a quello affermato dall'attore o, in caso di contestazione parziale del credito, al valore affermato della parte contestata.

Spiegazione dell'art. 17 Codice di procedura civile

Quando si affronta il tema della competenza in materia di esecuzione forzata, occorre distinguere a seconda che si tratti di competenza per l’esecuzione forzata (ossia del processo esecutivo vero e proprio, a cui si fa riferimento al secondo comma dell’art. 9 del c.p.c.), o di competenza per cause relative all’esecuzione forzata.
E’ proprio a queste ultime che fa riferimento l’articolo in esame e si identificano, come risulta dalla stessa norma, nelle cause di:
  1. opposizione all'esecuzione, promosse sia prima dell'inizio dell'esecuzione ex art. 615 comma 1 cpc, che ad esecuzione iniziata ex art. 615 comma 2 cpc);
  2. opposizione di terzo all'esecuzione: sono quelle previste dall’art. 619 del c.p.c.);
  3. cause per le controversie distributive di cui all'art. 512 del c.p.c..
Risultano, pertanto, escluse dall'ambito di applicazione della norma:
a) le cause per l'esecuzione forzata, attribuite alla competenza per materia del Tribunale (cfr. secondo comma dell'art. 9 del c.p.c.);
b) le cause di opposizione agli atti esecutivi, attribuite alla competenza funzionale del Giudice dell’esecuzione, competenza che viene qualificata ora come per materia ora come funzionale.

Poiché le disposizioni contenute nell’articolo in esame richiedono di essere integrate con quelle di cui agli artt. 14 e 15 c.p.c., si afferma che trattasi di norma di rinvio; il riferimento ai predetti articoli, infatti, si rende necessario per determinare in concreto il valore del credito per cui si procede.

Analizziamo adesso le singole tipologie di cause qui previste.

  1. Cause di opposizione all'esecuzione forzata
Il riferimento è all'opposizione di cui all'art. 615 del c.p.c., la quale può essere proposta dal debitore o dal terzo assoggettato all'esecuzione sia prima che dopo l'inizio dell'esecuzione.
Per tali cause, dunque, il valore deve essere determinato con riferimento al credito per cui si procede.
E’ stato posto in evidenza che l’espressione qui utilizzata dal legislatore risulta imprecisa, in quanto non sempre l’esecuzione forzata è indirizzata al soddisfacimento di un credito, potendosi anche ricorrere a questa per conseguire coattivamente un diritto reale; si ritiene, dunque, che sarebbe più preciso parlare di “diritto per cui si procede”, anziché di “credito per cui si procede”.
A ciò si aggiunga un’altra considerazione: l’opposizione potrebbe anche riguardare solo una parte del credito, ed in questo caso sarebbe corretto determinare il valore della causa in base alla sola parte di credito contestata, quale emerge dall'atto di opposizione, anziché dal valore del credito complessivo, desunto ex art. 14 del c.p.c. dalla somma indicata nell’atto di precetto.
Dei dubbi possono sorgere per la determinazione del valore nel caso di opposizione proposta contro l’esecuzione di un obbligo di fare o di non fare o contro un’esecuzione per consegna o rilascio; per tali casi si ritiene che la determinazione del valore debba effettuarsi applicando l'art. 15 del c.p.c. se il diritto per cui si procede è un diritto reale immobiliare, e l'art. 14 c.p.c., con le relative presunzioni, se si tratta di un diritto reale mobiliare o di un diritto di credito.

  1. Cause relative alle opposizioni proposte a norma dell'art. 619 del c.p.c.
Qui il valore della causa va determinato tenendo conto del valore dei beni controversi.
Si ritiene che anche questa formula sia un po' approssimativa, in quanto in realtà nel nostro sistema positivo non si ha mai riguardo al valore dei beni in sé, ma al valore del diritto reclamato e che costituisce la causa della domanda.
Anche in questo caso, per determinare sotto un profilo concreto il valore dei beni controversi si dovrà applicare l’art. 14 c.p.c. se si tratta di opposizione di terzo all’esecuzione mobiliare e l’art. 15 c.p.c. se si tratta di esecuzione immobiliare.
In giurisprudenza, invece, per il caso di opposizione di terzo all'esecuzione, si è affermata la tesi secondo cui, ai fini della determinazione del valore dei beni controversi, occorre tener conto del valore attribuito ai beni nel verbale di pignoramento dall'ufficiale giudiziario.

  1. Cause relative a controversie sorte in sede di distribuzione
Il testo dell'art. 512 del c.p.c.., introdotto con la riforma del 2005, si limita a disporre che il giudice dell'esecuzione, al ricorrere delle fattispecie contemplate dalla medesima norma (insorgere di una controversia tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione, circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione), sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza, impugnabile nelle forme e nei termini di cui al secondo comma dell'art. 617 del c.p.c..
Non si pone più, dunque, un problema di competenza per valore (il testo precedente, invece, autorizzava il giudice dell'esecuzione a provvedere all'istruzione della causa, se rientrante nella sua competenza, ovvero, in caso contrario a rimettere le parti davanti al giudice competente).
La norma continua disponendo che il valore di una causa relativa a tali controversie, viene determinato sulla base del valore del maggiore dei crediti contestati.
In forza di tale criterio, dunque, si dovrà da un lato avere riguardo alla contestazione totale o parziale dell'opponente; dall'altro lato, il suddetto criterio costituisce un'applicazione del principio di cui al secondo comma dell’art. 10 del c.p.c., nella parte in cui esclude la somma delle domande proposte contro soggetti diversi.

Massime relative all'art. 17 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 37581/2021

Nei giudizi di opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c., ai fini della competenza, il valore della controversia si determina in base al "credito per cui si procede" a norma dell'art. 17 c.p.c. e, cioè, in riferimento alla somma precettata nella sua interezza, senza che assuma rilievo il maggiore importo - pari a quello del "credito precettato aumentato della metà" - al quale deve estendersi il vincolo imposto al terzo pignorato ai sensi dell'art. 546, comma 1, c.p.c. (Regola competenza).

Cass. civ. n. 24362/2018

In tema di equa riparazione, in caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo di esecuzione, il valore della causa va identificato, in analogia con il disposto dell'art. 17 c.p.c., con quello del credito azionato con l'atto di pignoramento. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO LECCE, 08/03/2016).

Cass. civ. n. 16920/2018

Nei giudizi di opposizione all'esecuzione il valore della controversia ai fini della competenza si determina, ai sensi dell'art. 17 c.p.c., in base all'importo indicato nell'atto di pignoramento, atteso che non assume rilievo la circostanza che l'opposizione sia limitata ad una sola parte del credito azionato esecutivamente.

Cass. civ. n. 13402/2000

La competenza a conoscere dell'opposizione alla esecuzione proposta prima dell'inizio dell'esecuzione mobiliare (opposizione a precetto) appartiene, ai sensi dell'art. 17 c.p.c., al giudice che sarebbe competente per valore in base all'intero ammontare del credito per cui si procede.

Cass. civ. n. 9755/1998

Qualora la parte cui sia stato notificato il precetto contesti il diritto della controparte a richiedere in tutto o in parte la somma precettata, vertendosi in ipotesi di opposizione all'esecuzione, il valore della causa si determina con riferimento all'intero ammontare del credito per cui si procede e non in base alla somma contestata, anche nell'ipotesi in cui la contestazione riguardi solo gli interessi o voci di spesa maturati dopo il rilascio del titolo esecutivo.

Cass. civ. n. 9815/1990

Qualora a seguito di verbale di conciliazione l'affittuario di fondo rustico si sia impegnato a rilasciare il fondo previo versamento da parte del concedente di una indennità, la competenza a conoscere dell'opposizione del primo contro il precetto per il rilascio del fondo, integrando un'opposizione all'esecuzione, deve essere determinata secondo gli ordinari criteri per valore e quindi ai sensi dell'art. 12 c.p.c., che concerne le cause relative a rapporti obbligatori e di locazione, senza che possa venire in rilievo l'ammontare dell'indennità dovuta dal concedente, che costituisce solo una condizione per il rilascio del fondo.

Cass. civ. n. 5123/1979

Nelle cause relative ad opposizione all'esecuzione forzata proposte da terzi che pretendono avere la proprietà o altro diritto reale sui mobili pignorati, il valore si determina in base a quello dei beni controversi a norma dell'art. 17 c.p.c., ma trova applicazione anche la norma dell'art. 14 c.p.c., per cui, in mancanza di una specifica contestazione formulata dal creditore opposto nella prima difesa, la causa si presume di competenza del giudice adito.

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Consulenze legali
relative all'articolo 17 Codice di procedura civile

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MARCO F. chiede
lunedì 13/07/2020 - Piemonte
“Salve, ho il seguente dubbio. L'art. 17 c.p.c. afferma che il valore della causa di opposizione si determina in base al valore del credito per cui si procede. Per credito per cui si procede deve farsi riferimento in caso di opposizione a precetto, all’importo indicato nell’atto di precetto (ex multis C. 9784/09) mentre in caso di opposizione ad esecuzione già iniziata, all’importo indicato nell’atto di pignoramento (ex multis C. 16920/18). Nulla viene detto, a proposito del valore della causa, nella eventualità che facciano ingresso, come spesso accade, i creditori intervenuti come litisconsorti necessari. Vorrei sapere se, una volta che questo accade, per calcolare il valore della causa, anche per il calcolo dei compensi legali, occorre poi tenere in considerazione anche il valore dei crediti facenti capo agli intervenuti - litisconsorti necessari - nella causa di opposizione oppure il valore della causa rimane comunque legato soltanto al credito oggetto di opposizione, a prescindere da chi interviene.<br />
<br />
Inoltre, collegata alla prima, è un'altra questione. L'opponente oltre a chiedere il riconoscimento dell'inesistenza del diritto del creditore procedente/pignorante ad agire esecutivamente, chiede anche, consequenzialmente, la declaratoria di invalidità degli atti esecutivi da questo posti in essere e di improcedibilità dell'azione esecutiva promossa. In caso di vittoria dell'opposizione in parola, il Giudice nonostante riconosca l'insussistenza del diritto ad agire esecutivamente in capo al creditore procedente, potrebbe però disattendere la richiesta di "annullamento" della procedura per esempio per la presenza di un pignoramento successivo sugli stessi beni, e quindi disattendere parzialmente la richiesta dell'opponente nella parte relativa alla caducazione della procedura esecutiva nel suo complesso. In questo caso, mi chiedo se i compensi legali dei creditori intervenuti nella causa di opposizione, graverebbero sull'opponente visto che non è riuscito a invalidare la procedura nei loro confronti, oppure graverebbero sul creditore opposto che ha perso la causa di opposizione.”
Consulenza legale i 20/07/2020
Per rispondere alla prima parte del quesito è utile richiamare la giurisprudenza relativa all’art. 17 c.p.c., secondo cui nella fase successiva all'inizio dell'esecuzione il valore della causa va determinato avendo riguardo agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto della opposizione (Cassazione civile sez. III, 30 giugno 2010, n.15633; Cassazione civile sez. III, 30 gennaio 2009, n.2473).
In particolare, è stato chiarito che, ai fini della liquidazione delle spese nei giudizi di opposizione all'espropriazione forzata, il valore della causa corrisponde al "peso" economico della controversia e dunque: (a) per la fase precedente l'inizio dell'esecuzione, al valore del credito per cui si procede; (b) per la fase successiva, agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione; (c) nel caso di opposizione all'intervento di un creditore, al solo credito vantato dall'interveniente; (d) nel caso in cui non sia possibile determinare gli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione, al valore del bene esecutato; (e) nel caso, infine, in cui l'opposizione riguardi un atto esecutivo che non riguardi direttamente il bene pignorato, ovvero il valore di quest'ultimo non sia determinabile, la causa va ritenuta di valore indeterminabile (Cassazione civile, sez. III, 23 gennaio 2014, n.1360).

Va, poi, ricordato che nel nostro sistema vige la cosiddetta par condicio creditorum, a stregua della quale il creditore intervenuto munito di titolo esecutivo si trova in una situazione paritetica a quella del creditore procedente, potendo sia l'uno, sia l'altro dare impulso al processo esecutivo con il compiere o richiedere al giudice il compimento di atti esecutivi.
Da tale principio discende che, quando l'esecuzione promossa dal creditore procedente sia validamente iniziata sulla base di un valido titolo che sia stato successivamente invalidato, il creditore procedente non potrà più dare seguito alla sua azione, ma gli interventori titolati potranno legittimamente proseguire nell’espropriazione giovandosi degli atti da lui compiuti (a cominciare dal pignoramento).
Invece, qualora il debitore contesti l'originaria mancanza di titolo esecutivo o l'invalidità originaria del pignoramento, l’accoglimento dell’opposizione investe la legittimità stessa dell'intera esecuzione, travolgendola sin dall'origine (Cassazione civile, sez. un., 07 gennaio 2014, n.61).

Pertanto, a parere dello scrivente, la più rispettosa applicazione del principio del “peso economico” elaborato dalla giurisprudenza in riferimento all’art. 17 c.p.c. dovrà tenere conto della portata dell’opposizione, valutando se essa sia diretta a invalidare in radice l’esecuzione con effetto nei confronti di tutti creditori, oppure se essa sia volta a caducare il titolo del solo creditore procedente.
Nella prima ipotesi, che spiega effetti economici più ampi, il valore della causa dovrebbe corrispondere alla somma di tutti i crediti oggetto dell’esecuzione; nella seconda, a quella del credito vantato dal soggetto che per primo ha dato impulso alla procedura espropriativa.

La seconda parte del quesito, invece, può essere risolta avendo riguardo al disposto dell’art. 91 c.p.c., che addebita alla parte soccombente le spese di giudizio nei confronti della parte vittoriosa.
Tale articolo viene costantemente interpretato nel senso che, al fine della distribuzione dell'onere delle spese del processo tra le parti, l’essenziale criterio rivelatore della soccombenza è l'aver dato causa al giudizio, con l’imputazione a ciascuna parte degli oneri processuali causati all'altra in relazione a pretese infondate (ex multis, Cassazione civile, sez. VI, 25 maggio 2020, n.9599).
Nella fattispecie prospettata nel quesito, la parte che formula la domanda di declaratoria di invalidità degli atti esecutivi non è il creditore procedente, bensì il debitore.
Pertanto, in caso di rigetto di tale domanda con salvezza della procedura esecutiva, le spese legali in favore dei creditori intervenuti dovrebbero essere poste a carico del solo opponente.

Elio D. chiede
giovedì 14/09/2017 - Sardegna
“In una opposizione alla esecuzione immobiliare è corretto, per la determinazione del compenso all'avvocato, identificare il valore della causa con quello dell'immobile pignorato risultante dalla stima (150.000,00 euro) depositata dal perito nominato dal giudice dell'esecuzione nel corso della procedura e dalla cui vendita all'asta il creditore avrebbe potuto soddisfare il proprio credito (15.000,00 euro) per il recupero del quale, essendo già in possesso di un titolo esecutivo, aveva promosso l'esecuzione forzata, oppure, per la determinazione del valore della controversia, bisogna sempre fare riferimento alla disposizione di cui all'art. 17 c.p.c, secondo cui il valore della causa è determinato dal credito per il quale si procede?
Ringrazio per il riscontro e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 21/09/2017
Va preliminarmente chiarito, a titolo introduttivo, quale sia oggi la disciplina applicabile in materia di compensi legali.

Già ormai da parecchi anni, e precisamente con il cosiddetto ''pacchetto Bersani'' sulle liberalizzazioni approvato con il decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006 e definitivamente convertito dalla Legge n. 248/2006, sono stati liberalizzati i compensi degli avvocati, attraverso l’abrogazione delle tariffe forensi: l’intenzione del legislatore è stata quella di non imporre vincoli di prezzo dall’alto, con riferimento al principio di cui all’art. 2233 cod.civ..
Quest’ultimo stabilisce, infatti, che al vertice della gerarchia tra le fonti al fine di determinare il compenso professionale c’è l’accordo tra le parti, e solo al secondo posto vengono le tariffe (oggi definite “parametri”, come si vedrà oltre).

E’ intervenuta poi nel 2012 la riforma dell'ordinamento forense (Legge n. 247 del 31 dicembre 2012), il cui articolo 13 ha stabilito che il compenso è pattuito “di regola” per iscritto, e precisamente quando lo richieda espressamente il cliente.
Infine, con l’ultima più recente riforma (L. n. 124/2017) è stato introdotto l’obbligo del preventivo scritto indipendentemente dalla richiesta del cliente.
Solo nel tradizionale caso in cui il cliente firmi il mandato ma senza alcun accordo sul pagamento del compenso, quest’ultimo sarà determinato (comma 6) in base a “parametri” definiti da tabelle contenute nel decreto n. 55 del 10/3/2014.

Ebbene, per tornare dunque al quesito, in assenza di previo e diverso accordo tra le parti, si deve fare riferimento agli articoli nn. 4 e 5 del citato decreto n. 55/2014.

Il primo, intitolato “parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale” così recita “Ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell'affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate (…)
Come si può leggere, il legislatore ha già predeterminato i compensi forensi a seconda del valore della causa, distinguendo analiticamente per tipologìa di controversia.
In particolare, le procedure esecutive immobiliari sono contemplate nella tabella n. 18 allegata al decreto in commento.

Non è specificato, in realtà, espressamente a quale criterio debba fare riferimento l’avvocato per la determinazione del valore della causa ai fini del calcolo dei propri compensi.
Tuttavia, è evidente che il Decreto n. 55/2014 ha inteso privilegiare il criterio del riferimento al valore della domanda (valore richiesto e non ottenuto ex post), tenendo conto però che la norma distingue tra “liquidazione dei compensi a carico del soccombente” e “liquidazione dei compensi a carico del cliente”.

In sintesi, la liquidazione pare doversi distinguere a seconda che:
a) venga effettuata dal Giudice al momento della conclusone del processo e dunque della redazione della sentenza: quando, cioè, deve liquidare quanto la parte soccombente è tenuta a pagare; in questo caso il valore è determinato dal codice di procedura civile;
b) venga sottoposta la vaglio del giudice, che deve liquidare una parcella all’avvocato (ad esempio in caso di contestazione del cliente): in questo caso si farà riferimento al valore della domanda.
Nella sostanza, tuttavia, non c’è grossa differenza tra le due ipotesi, dal momento che il codice di procedura civile, all’art. 10, recita proprio: “Il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti (…)”.
Si dovrà avere riguardo, quindi, al valore della domanda così come risultante nell’atto introduttivo.
La regola viene, per così dire, mitigata dalla seguente disposizione: “In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale”.
Vale a dire che se successivamente, nel corso del giudizio, emerge che la domanda iniziale era sproporzionata nell’ammontare o non fondata giuridicamente, si dovrà tenerne conto e ridimensionare al ribasso il valore della liquidazione.

Tornando al quesito, dunque, e per concludere, si ritiene che – alla luce di quanto sopra illustrato – il criterio del riferimento alla stima dell’immobile effettuata dal perito in corso di procedura esecutiva sia in ogni caso errato: tale somma, infatti, non coincide né con il valore della domanda (dunque con il credito vantato) né con il valore della somma poi effettivamente assegnata all’esito del giudizio (quanto poi effettivamente incassato dal creditore procedente all’esito della procedura esecutiva).
Pertanto, il compenso del legale andrebbe più correttamente ricalcolato sulla base o del credito per cui si procede oppure ancora, forse in maniera più corretta ad aderente al criterio del valore effettivo della controversia, sulla base del ricavato dell’esecuzione.