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Articolo 10 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Determinazione del valore

Dispositivo dell'art. 10 Codice di procedura civile

Il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti (1) (2).

A tale effetto le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro (3), e gli interessi scaduti, le spese e i danni [1223, 1282, 2043 c.c.] anteriori alla proposizione si sommano col capitale [31, 104] (4).

Note

(1) La domanda, ovvero l'atto che fa nascere il processo [v. 99], è l'elemento dal quale si ricava il valore della causa. Per determinare la competenza per valore si ha riguardo al valore economico della prestazione o del bene richiesti, ossia in contestazione (c.d. petitum mediato). Inoltre, ai fini della determinazione del valore della causa, è bene precisare che al valore della domanda principale, ovvero quella che introduce il giudizio, non va sommato il valore della domanda riconvenzionale, cioè la domanda con la quale il convenuto, oltre a difendersi, chiede al giudice la pronuncia di un provvedimento a lui favorevole e sfavorevole per l'attore.
(2) Ai fini della determinazione del valore della domanda è necessario tener conto non solo delle risultanze dell'atto di citazione [v. 163], ma anche delle precisazioni o modificazioni apportate dall'attore alla prima udienza di trattazione [v. 183]. Diversamente, l'eccezione del convenuto [v. 112] costituisce solo una fonte complementare degli elementi determinativi della competenza, nel caso in cui non sia possibile determinarla sulla base della sola domanda.
(3) Vengono sommate le domande proposte fin dall'origine in un unico processo, e non anche quelle proposte in processi separati e poi riuniti, ovvero separatamente proposte da attori diversi contro il medesimo soggetto in processi distinti e autonomi. Si parla poi di cumulo semplice delle domande quando il proponente non deve aver condizionato l'accoglimento dell'una all'esito dell'altra. Diverso è il caso del cumulo alternativo (l'una o l'altra domanda) o eventuale (una domanda in via principale e l'altra in via subordinata); in questi casi il valore della causa si determina in base alla domanda di maggior valore.
(4) Soltanto gli interessi, spese e danni maturati precedentemente alla proposizione della domanda vanno calcolati ai fini del valore, sempre che gli accessori siano richiesti nella domanda.

Spiegazione dell'art. 10 Codice di procedura civile

Come si ricava dalla sua stessa rubrica, con questa norma, e con quelle che ad essa fanno seguito, il legislatore ha voluto dettare i criteri da seguire per l’individuazione del Giudice competente per valore, con l’evidente scopo di evitare che, ancor prima della controversia sul merito, le parti debbano trovarsi costrette ad affrontare altra controversia per individuare il giudice a cui rivolgersi.

Il primo criterio a cui attenersi per stabilire quale possa essere il valore di una controversia è quello di riferirsi al contenuto della domanda, o meglio all’interesse che con la domanda proposta si intende tutelare.

Si dice che la domanda deve essere valutata in concreto, il che comporta che il giudice investito della controversia, nell’individuazione dell’interesse che si vuole far valere in giudizio, non può soltanto attenersi ai contenuti dell’esposizione dell’attore ma, attraverso l’esame del petitum e della causa petendi, deve cercare di qualificare il contenuto sostanziale della domanda.

Potrebbe anche verificarsi che quel giudice, individuato come competente per valore, al termine del giudizio giunga a pronunciare una decisione superiore per valore alla propria competenza ovvero, al contrario, una decisione con cui accolga solo in parte l’originaria domanda (e, dunque, che si ponga al di sotto dei propri limiti di competenza).
Ciò, tuttavia, non assume alcuna rilevanza ai fini della competenza per come individuata, in quanto vige il principio secondo cui il valore della causa deve essere determinato non in base al decisum, bensì in base al deductum (appunto per dire che non interessano i limiti entro cui la domanda potrebbe essere accolta).

Il fatto, poi, che per determinare il valore della controversia ci si debba riferire al contenuto della domanda, rende prive di rilievo le contestazioni formulate dal convenuto o le diverse prospettazioni dei fatti. In particolare, la dottrina prevalente sostiene che, allorché eccezioni e contestazioni del convenuto siano volte esclusivamente a paralizzare la domanda dell’attore, le stesse non potranno assumere alcuna rilevanza ai fini della determinazione del valore.

Quanto appena detto, tuttavia, non vale nel caso di domanda riconvenzionale ex art. 36 del c.p.c. o nell’ipotesi di accertamento pregiudiziale che abbia efficacia di giudicato ex art. 34 del c.p.c.; entrambi possono influire sulla determinazione della competenza per valore, in quanto comportano un ampliamento dell’oggetto della lite.

Altra situazione prospettabile è che l’attore, nel corso del processo, voglia apportare modificazioni in aumento della domanda iniziale.
Parte della dottrina ritiene che in tali casi le ulteriori deduzioni dell’attore incidono sulla competenza solo se costituiscono domande nuove, mentre, secondo una tesi contrapposta, a prescindere dal fatto che si tratti di domande nuove o meno, qualora per effetto della modificazione in aumento dovesse essere superato il limite massimo di competenza del giudice adito, quest’ultimo diviene incompetente e la causa deve essere rimessa al giudice superiore.

Al contrario, qualora l’attore voglia rinunciare ad una parte della domanda o ad una tra più domande cumulate, si ritiene che tale rinuncia possa avere degli effetti sulla competenza solo in senso favorevole, ovvero:
  1. se la rinuncia riguarda quella parte di domanda che determinava l’incompetenza del giudice adito, avrà l’effetto di rendere competente quest’ultimo;
  2. se per effetto della riduzione, la domanda viene portata al di sotto della competenza minima del giudice adito, la competenza rimane ferma.
Il secondo comma costituisce un’ulteriore precisazione del criterio fissato al primo comma e si riferisce, almeno secondo la tesi prevalente in dottrina, alla fattispecie del c.d. cumulo oggettivo di domande, prevista dall’art. 104 del c.p.c. (la quale ricorre, appunto, quando una parte propone nello stesso processo una pluralità di domande contro una stessa persona, anche se non connesse tra loro).

Requisito essenziale per l’operatività di tale comma è non solo che le diverse domande siano proposte contro la stessa persona, ma anche che siano proposte nello stesso processo sin dall’origine, non potendo di contro trovare applicazione nel caso di domande proposte in giudizi inizialmente separati e successivamente riuniti ex art. 274 del c.p.c..
Inoltre, la giurisprudenza esclude che possa operare il cumulo nel caso di litisconsorzio facoltativo attivo, ossia quando più domande sono proposte da distinti soggetti nei confronti del medesimo convenuto.

La sua operatività è inoltre esclusa:
  1. se si intende cumulare la domanda principale con quella riconvenzionale, in quanto la regola del cumulo vale solo per le domande proposte contro la stessa parte;
  2. nel caso di domande dedotte in via alternativa o subordinata, poiché di fatto l’accoglimento di una delle domande determina il venir meno dell’interesse all’atra ed il valore dovrà essere determinato con riferimento alla domanda di valore maggiore;
  3. se tra le domande intercorre un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico;
  4. se le domande non sono fornite di reciproca autonomia (non è possibile la somma se una delle domande rappresenti un’istanza accessoria, completamente priva di autonomia rispetto alla domanda principale).
La seconda parte del capoverso della norma (relativa ad interessi scaduti, spese e danni anteriori alla proposizione della domanda) costituisce in realtà un’applicazione della regola della somma dei valori di cui alla prima parte del medesimo comma.
L’elencazione che qui si ritrova ha carattere soltanto esemplificativo, potendosi la norma estendere anche ai frutti naturali, svalutazione monetaria, fitti, pigioni, ecc., insomma a tutti quegli elementi che hanno la capacità di accrescersi durante il processo.
Unico limite è che si debba trattare di accessori anteriori, cioè già maturati al tempo in cui la domanda è stata proposta, non potendosi applicare a quegli accessori che maturano nel corso del processo.

Massime relative all'art. 10 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 40832/2021

Nel caso di domanda di proposta verso più debitori in solido, il valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese di lite, è costituito dall'ammontare complessivo dell'obbligazione dedotta in giudizio, senza che abbia rilievo la successiva ed eventuale fase del regresso tra condebitori solidali, siccome estranea alla specifica pretesa azionata dall'attore. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia di merito la quale, in un giudizio intrapreso da un avvocato nei confronti di un consiglio dell'ordine degli avocati e dei suoi componenti, per il risarcimento del danno derivante dall'avvio di un procedimento disciplinare a proprio carico, ha ritenuto che, ai fini della liquidazione delle spese in favore dei convenuti, risultati vittoriosi, il valore della causa fosse pari all'ammontare complessivo del risarcimento chiesto loro). (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 09/11/2018).

Cass. civ. n. 28041/2019

In tema di controversie aventi ad oggetto il pagamento di canoni di locazione, ancorché di importo non eccedente il limite di cinquemila euro di cui all'art. 7, comma 1, c.p.c., resta esclusa la competenza del giudice di pace, atteso che la pretesa creditoria ha la propria fonte in un rapporto locativo, materia da ritenersi riservata alla competenza del tribunale.

Cass. civ. n. 19606/2019

Ai fini della liquidazione delle spese di lite nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza di rilascio, adottata ex art. 665 c.p.c. a seguito dell'opposizione del conduttore, il valore della causa non è dato dall'ammontare della morosità su cui si fonda l'intimazione di sfratto, ma è costituito dal valore di quella parte del rapporto controverso tra le parti, ossia dal valore dei canoni scaduti e da scadere per tutta la rimanente durata della locazione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che, non essendo stati offerti elementi sufficienti per pervenire a tale determinazione, la causa fosse di valore indeterminato). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO ROMA, 13/11/2017).

Cass. civ. n. 16635/2019

Nel caso in cui, unitamente ad una domanda di valore determinato ed inferiore al limite della competenza del giudice adìto, venga proposta contro lo stesso convenuto una domanda di valore indeterminato, trova applicazione la disciplina del cumulo ex art. 10, comma 2, c.p.c., con conseguente spostamento della competenza al giudice superiore, salvo che l'attore abbia dichiarato, in modo inequivoco, di voler contenere il valore della seconda domanda entro detto limite.

Cass. civ. n. 22711/2018

Ai sensi dell'art. 10 c.p.c., richiamato dall'art. 5 d.m. n. 140 del 2012 "ratione temporis" applicabile, le domande proposte, in via gradata tra loro, verso la stessa parte non si sommano ai fini della determinazione del valore della causa, con riguardo alla liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa, dovendo esser utilizzato a tal fine l'ammontare richiesto nella domanda di valore maggiore. (Nella specie, la S.C. ha escluso il cumulo delle domande proposte dalla società attrice, in via principale, per ottenere la residua parte di un contributo concesso originariamente e, in via subordinata all'ipotesi di rigetto della pretesa svolta in via principale, per trattenere la somma già ricevuta).

Cass. civ. n. 907/2018

Esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro e resta devoluta alla cognizione del giudice competente secondo il generale criterio del valore la domanda di risarcimento dei danni proposta dai congiunti del lavoratore deceduto non "jure hereditario", per far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro nei confronti del loro dante causa, bensì "jure proprio", quali soggetti che dalla morte del loro congiunto hanno subìto danno e, quindi, quali portatori di un autonomo diritto al risarcimento che ha la sua fonte nella responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c.

Cass. civ. n. 17860/2017

Ai fini della determinazione della competenza per valore in ordine alla domanda relativa a somma di danaro, vanno sommati al capitale, ex art. 10, comma 2, c.p.c., gli interessi di mora già maturati “ante litem” ed autonomamente richiesti, ma non quelli moratori scaduti che non formino oggetto di apposita istanza, né quelli genericamente richiesti, perciò da intendersi come interessi successivi alla data di notifica dell'atto giudiziale introduttivo che, di per sé, vale altrimenti a costituire in mora il debitore.

Cass. civ. n. 3107/2017

Il cumulo delle domande, stabilito agli effetti della competenza per valore dall'art. 10, comma 2, c.p.c., riguarda solo le domande proposte tra le stesse parti e non si riferisce all'ipotesi di domande proposte nei confronti dello stesso soggetto da diversi soggetti processuali, in ipotesi di litisconsorzio facoltativo disciplinato dall'art. 103 c.p.c., nel qual caso, non richiamando detta ultima norma l'art. 10, comma 2 c.p.c., la competenza si determina in base al valore di ogni singola domanda.

Cass. civ. n. 18732/2015

L'indicazione del valore della causa, riportata in calce all'atto introduttivo del giudizio per la determinazione del contributo unificato dovuto per legge, ha finalità esclusivamente fiscale, sicchè non spiega alcun effetto sulla determinazione del valore della controversia ai fini della individuazione del giudice competente.

Cass. civ. n. 16898/2013

Ai fini della determinazione della competenza per valore, riguardo all'impugnativa della deliberazione dell'assemblea condominiale di approvazione del rendiconto annuale e di ripartizione dei contributi, seppure l'attore abbia chiesto la dichiarazione di nullità o l'annullamento dell'intera delibera, deducendo l'illegittimità di un obbligo di pagamento a lui imposto, occorre far riferimento soltanto all'entità della spesa specificamente contestata.

Cass. civ. n. 15853/2010

Qualora l'attore proponga domanda di risarcimento dei danni, cumulandola con quella di riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria, non si determina lo spostamento della causa al giudice superiore qualora egli dichiari, in modo inequivoco, di voler contenere l'intero "petitum" nel limite della competenza del giudice adito, con la conseguenza che la "clausola di contenimento" entro il detto limite diviene vincolante anche agli effetti del merito, sebbene non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni.

Cass. civ. n. 8660/2010

In tema di liquidazione degli onorari professionali a favore dell'avvocato, l'art. 6 della tariffa trova applicazione soltanto in riferimento alle cause per le quali si proceda alla determinazione presuntiva del valore in base a parametri legali, e non pure allorquando il valore della causa sia stato in concreto dichiarato, dovendosi utilizzare, in tale situazione, il disposto dell'art. 10 c.p.c., senza necessità di motivare in ordine alla mancata adozione di un diverso criterio.

Cass. civ. n. 26592/2009

Le spese processuali cumulabili alla domanda, ai fini della determinazione del valore di essa, sono soltanto quelle occorse per procedimenti autonomi dal processo introdotto con la domanda stessa, non anche quelle (per dattilografia, copie fotostatiche, studio, consultazioni e simili) sostenute prima di tale processo e ai fini della sua instaurazione.

Cass. civ. n. 8247/2009

L'appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae, in caso di risoluzione, alla regola generale, dettata dall'art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti, anche in ordine alle prestazioni già eseguite; ne consegue che, ove la risoluzione venga richiesta ad un collegio arbitrale, il valore della relativa controversia - rilevante ai fini della liquidazione del compenso spettante agli arbitri - si determina in base a quello dell'intero rapporto dedotto in contestazione.

Cass. civ. n. 110/2009

Qualora la domanda di pagamento degli interessi legali sulla somma capitale, chiesta a titolo di legato avente per oggetto una somma di pari importo, non sia stata espressamente formulata dall'attore con riferimento anche alla disciplina di cui all'art. 669 cod. civ. - prevedente la decorrenza dei medesimi interessi dall'apertura della successione - gli interessi legali devono intendersi richiesti dalla data di notifica dell'atto introduttivo del giudizio; ne consegue che, a norma dell'art. 10 secondo comma cod. proc. civ., per la determinazione del valore della causa ai fini della competenza, ci si deve riferire alla sola somma richiesta a titolo di capitale.

Cass. civ. n. 25257/2008

Nel caso in cui vengano proposte cumulativamente dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore al limite massimo di competenza per valore del giudice adìto, ed una domanda di condanna ad un facere per la quale non sia indicato alcun valore, quest'ultima deve ritenersi di valore corrispondente al suddetto limite massimo, con la conseguenza che il cumulo delle due domande comporta il superamento della competenza per valore del giudice di pace.

Cass. civ. n. 4994/2008

Al fine di stabilire la competenza per valore del giudice adito (nella specie, giudice di pace in base all'art. 113, secondo comma, c.p.c.), la rivalutazione monetaria, ove richiesta in aggiunta alla somma capitale ed agli interessi sino al momento della proposizione della domanda, si cumula, ai sensi dell'art. 10, secondo comma, c.p.c., con il capitale e gli interessi.

Cass. civ. n. 15714/2007

La circostanza che il comma 2 dell'art. 14 del D.P.R. n. 115 del 2002 esclude la rilevanza degli interessi per la individuazione del valore ai fini del contributo unificato, mentre essi sono considerati dall'art. 10, secondo comma, c.p.c. rilevanti ai fini dell'individuazione del valore della domanda ed il fatto che la dichiarazione della parte in funzione della determinazione del contributo unificato è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, escludono decisamente ogni possibile partecipazione di tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione, cui allude il n. 4 dell'art. 163 e, quindi, la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della «domanda», nel senso cui vi allude il primo comma dell'art. 10 citato, quando dice che «il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti» e fra queste dell'art. 14 c.p.c. (Sulla base di tale principio — espressamente dichiarato valido anche in relazione al regime di cui all'art. 9 della L. n. 488 del 1999 — la Suprema Corte ha escluso che la dichiarazione di valore per il contributo fosse valsa a ricondurre il valore della causa, relativa a somma di danaro, nel limite della competenza per valore secondo equità del giudice di pace in funzione — anteriormente al D.L.vo n. 40 del 2006 — della ricorribilità in cassazione e non dell'appellabilità, in presenza di una domanda proposta con richiesta di una somma di valore indeterminato e, quindi, corrispondente, ai sensi dell'art. 14 c.p.c., al massimo della competenza del giudice di pace adìto).

Cass. civ. n. 19302/2006

Il principio risultante dal secondo comma dell'art. 10 c.p.c., secondo cui, ai fini della determinazione della competenza per valore, si sommano al capitale richiesto gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda, e non anche quelli posteriori, che sono l'effetto dell'accertamento del diritto contenuto nella sentenza, trova applicazione anche in ordine al danno da svalutazione monetaria, sicché, ai fini della determinazione del valore della causa, deve tenersi conto soltanto della frazione di deperezzamento monetario intervenuto tra l'evento dannoso e la domanda, con esclusione della svalutazione monetaria maturatasi nel periodo successivo.

Cass. civ. n. 19065/2006

Ai fini della determinazione della competenza per valore, la domanda riconvenzionale non deve essere sommata a quella principale, poiché il cumulo, ai sensi dell'art. 10 c.p.c., è previsto solo per le domande proposte contro la medesima parte. Peraltro, nell'ipotesi in cui il giudice di pace, anche a seguito della domanda riconvenzionale, conservi la competenza a decidere sulla controversia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 7 e 36 c.p.c., — ai fini della individuazione del mezzo di impugnazione esperibile — deve tenersi conto del cumulo delle domande.

Cass. civ. n. 13228/2006

Nel caso di pluralità di domande proposte al giudice di pace, di cui l'una rientri nella competenza per materia del giudice adito (art. 7 comma terzo c.p.c.) e l'altra in quella per valore — e da decidere secondo equità se di importo non superiore a lire due milioni —, non si determina il cumulo previsto, ai fini della competenza per valore, dall'art. 10 c.p.c.; pertanto, la decisione relativa alla prima — essendo emessa secondo diritto — deve essere impugnata con l'appello, atteso che il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per le pronunce di cui all'art. 113 secondo comma c.p.c.

Cass. civ. n. 973/2006

La regola stabilita dall'art.10 c.p.c., secondo cui il valore della controversia va determinato sulla base della domanda e sulla scorta degli elementi che risultano dagli atti, non esclude che, a detto scopo, il giudice possa utilizzare anche il notorio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata che aveva considerato le domande relative agli interessi ed alla rivalutazione monetaria di valore determinabile, in quanto computabile avendo riguardo alla data di pagamento, risultante dagli atti di causa, ed al tasso degli interessi legali e dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo, costituenti fatti notori).

Cass. civ. n. 5402/2004

Nell'azione revocatoria, il valore della causa si determina non già sulla base dell'atto impugnato, bensì sulla base del credito per il quale si agisce in revocatoria, anche se il valore dei beni alienati, o comunque sottratti al creditore, risulti superiore, poiché l'azione revocatoria non ha carattere di azione di nullità ma solo carattere conservativo, dal momento che la sua funzione consiste nel paralizzare l'efficacia dell'atto impugnato per assicurare al creditore danneggiato l'assoggettabilità all'azione esecutiva dei beni alienati o comunque resi indisponibili dal debitore.

Cass. civ. n. 18942/2003

In caso di proposizione cumulativa di più domande, qualora l'attore abbia dichiarato di voler limitare complessivamente le domande nell'ambito della competenza per valore del giudice adito (cosiddetta «clausola di contenimento»), tale limitazione ha effetto non solo ai fini dell'individuazione del giudice competente per valore ma, nel caso del giudice di pace, anche in relazione alla scelta del criterio di decisione, e in ogni caso anche in relazione al merito, con la conseguenza che la sentenza che, accogliendo la domanda, vada oltre il limite indicato con la clausola di contenimento è viziata da ultrapetizione.

Cass. civ. n. 10249/2003

In tema di determinazione del valore della controversia l'art. 10, secondo comma, c.p.c., secondo cui gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano al capitale, intende riferirsi, con elencazione esemplificativa e non tassativa, a tutti quegli elementi — siano essi accessori o meno della domanda — che hanno in comune la capacità di accrescersi durante il processo, sicché la richiesta del riconoscimento e della liquidazione del relativo diritto fino al soddisfo non incide sul valore della controversia. (La Corte, nel formulare il principio sopra richiamato, ha ritenuto corretta la decisione con cui il Presidente del tribunale aveva determinato, ai sensi dell'art. 814 c.p.c., il compenso dovuto agli arbitri tenendo conto, ai fini del valore della controversia, soltanto delle pretese azionate con riferimento al momento della proposizione della domanda di arbitrato e non pure della richiesta di danni da ritardato pagamento con riferimento anche al tempo necessario allo svolgimento del giudizio arbitrale).

Cass. civ. n. 4638/2002

Ai fini della determinazione della competenza per valore nelle cause per pagamento di somme di danaro, deve aversi riguardo a quanto in concreto richiesto dall'attore (nella specie, rata di finanziamento), e non all'oggetto dell'accertamento che il giudice deve compiere quale antecedente logico per decidere del fondamento della domanda, con la conseguenza che l'eccezione del convenuto in ordine all'esistenza o validità del rapporto contrattuale sul quale è basata la domanda (nella specie, rapporto di finanziamento), comporta lo spostamento della competenza, in dipendenza del maggior valore dell'intero rapporto rispetto al valore della domanda, solo nel caso in cui l'eccezione non sia stata proposta come mero mezzo di difesa, ma dia luogo ad una questione pregiudiziale da risolversi con efficacia di giudicato ai sensi dell'art. 34 c.p.c.

Cass. civ. n. 15571/2001

In caso di proposizione cumulativa delle domande di risarcimento del danno e di rimborso delle spese relative all'accertamento tecnico preventivo senza indicazione di valore, non si ha superamento della competenza del giudice adito, ai sensi del combinato disposto degli articoli 10 e 14 c.p.c., là dove l'attore formuli, nell'atto introduttivo ovvero al più tardi nel corso della prima udienza, clausola o riserva di contenimento, dichiarando cioè di contenere il valore complessivo delle domande entro i limiti di competenza del giudice adito. Diversamente, la clausola o riserva di contenimento riferita esclusivamente ad una sola delle domande proposte cumulativamente non vale ad evitare il superamento di competenza in questione, in quanto ciascuna di esse si presume, ai sensi dell'art. 14 c.p.c., di valore uguale al limite massimo della competenza del giudice adito, sicché il cumulo ne comporta necessariamente il superamento.

Cass. civ. n. 14307/2001

Ai fini della determinazione del valore della causa nel caso in cui la domanda giudiziale abbia ad oggetto il mero accertamento della sussistenza del privilegio, occorre far riferimento all'ammontare del credito cui il privilegio accede, atteso che esso non vive separatamente dal credito ma necessariamente lo presuppone e lo segue. (Nel caso di specie la corte ha confermato la sentenza con la quale il tribunale, adito ai fini dell'accertamento della sussistenza del privilegio, ha ritenuto sussistente la sua competenza per valore sulla base del valore del credito cui la prelazione ineriva).

Cass. civ. n. 7757/1999

Ai fini della competenza per valore più domande devono essere sommate tra loro se proposte contro la stessa parte. È da escludere, pertanto, il cumulo tra la domanda di annullamento di una delibera assembleare (proposto contro il condominio) e quella di risarcimento dei danni proposta in proprio contro l'amministratore.

Cass. civ. n. 7695/1999

Ai fini della competenza per valore il cumulo delle domande, ai sensi dell'art. 10 c.p.c., concerne soltanto l'ipotesi di più domande intese come pretese ben distinte tra loro, aventi ciascuna una propria individualità, mentre rimangono assorbite tutte quelle richieste che essendo formalmente proposte in via separata sono prive di autonomia, in quanto hanno carattere accessorio, conseguenziale o strumentale. (Fattispecie riguardante la domanda di regolamento di confini e di apposizione dei termini ed in via conseguenziale di abbattimento dell'attuale muretto divisorio fra proprietà contigue e di rimborso delle spese necessarie per l'esecuzione dei lavori).

Cass. civ. n. 5839/1999

Il principio del cumulo di domande ex art. 10 c.p.c. determina uno spostamento della competenza dal giudice adito al giudice superiore ove l'attore non dichiari di voler contenere l'intero petitum nei limiti della competenza del giudice adito.

Cass. civ. n. 1136/1999

Ai fini della determinazione della competenza per valore vanno cumulate, a norma dell'art. 10, secondo comma c.p.c., le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona e non anche le voci che configurino elementi di specificazione della medesima domanda. Pertanto, in tema di risarcimento del danno, le varie componenti della pretesa risarcitoria (danno emergente lucro cessante, danno diretto ed indiretto, danno materiale e morale) costituendo voci dell'unico “petitum” e non autonome domande non possono ritenersi, ove d'importo indeterminato, ciascuna di ammontare pari al massimo della competenza del giudice adito e non possono pertanto portare al superamento di detta competenza in forza dell'indicato cumulo. Del pari, nel caso di domanda di risarcimento del danno di ammontare non specificato, con espressa richiesta di pagamento di rivalutazione e di interessi, non si è in presenza di una pluralità di domande bensì, attesa l'identità del titolo e della relativa natura giuridica, di un'unica domanda di risarcimento dei danni articolata in più voci illiquidate ed indeterminate, con conseguente inapplicabilità dell'art. 10 comma secondo c.p.c.

Cass. civ. n. 10379/1998

Qualora la domanda di pagamento degli interessi legali sulla somma capitale sia stata formulata dall'attore con riferimento ai soli interessi successivi alla notificazione dell'atto di citazione, non essendo questi ultimi computabili, a norma dell'art. 10 secondo comma c.p.c. per la determinazione del valore della causa ai fini della competenza, questa si determina con riferimento alla sola somma richiesta a titolo di capitale.

Cass. civ. n. 8141/1998

In ipotesi di litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.), caratterizzato da domande di più soggetti contro uno stesso convenuto in base a titoli autonomi anche se della stessa natura, non è applicabile il comma 2 dell'art. 10 c.p.c. (che è richiamato soltanto dall'art. 104 dello stesso codice, relativo al cumulo oggettivo), sicché il valore delle singole controversie deve essere autonomamente determinato.

Cass. civ. n. 3597/1997

Poiché la competenza per valore del giudice è determinata dalla domanda (art. 10 c.p.c.), se questa è di competenza del giudice adito, ma la sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro supera la competenza per valore del giudice che l'ha emessa, non vi è violazione di una norma sulla competenza, bensì della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Cass. civ. n. 4965/1995

Qualora l'attore unitamente alla domanda di accertamento dell'autenticità delle sottoscrizioni apposte ad una scrittura privata di compravendita proponga domanda di accertamento della proprietà del bene venduto con detta scrittura, la competenza per valore si determina in base al cumulo delle due domande, una di natura personale, ai sensi dell'art. 12 c.p.c. e l'altra di natura reale immobiliare, ai sensi dell'art. 15 comma 1, in ragione della rendita catastale moltiplicata per il coefficiente di legge.

Cass. civ. n. 5779/1993

Ai fini della determinazione del valore della causa il giudice deve anche tenere conto, per una esigenza di economia processuale, delle modifiche e riduzioni della domanda ritualmente introdotte dall'attore nel corso del giudizio, quando queste riconducano la controversia nell'ambito della sua competenza, non ostandovi né il principio generale dell'art. 10 c.p.c., che, pur legando la determinazione del valore della causa alla domanda originaria, nulla dispone sugli effetti dei successivi mutamenti di questa domanda, né il principio dell'art. 5 dello stesso codice (la giurisdizione e la competenza si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della domanda), che si riferisce solo a quelle situazioni extraprocessuali che la legge assume come fatti determinativi della competenza o della giurisdizione e non anche a quegli elementi intrinseci della domanda, né, infine, il principio della rilevabilità di ufficio della incompetenza per valore nel corso del giudizio di primo grado (art. 38 c.p.c.) che non implica affatto la necessità che il giudice declini la competenza su una domanda che, prima della decisione, sia stata ricondotta nei limiti della competenza del giudice adito e che solo a questo potrebbe, quindi, essere riproposta.

Cass. civ. n. 6214/1992

L'art. 10, secondo comma, c.p.c., secondo cui ai fini della determinazione del valore della causa per stabilire la relativa competenza le domande proposte nel medesimo processo contro la medesima persona si sommano tra loro, va inteso nel senso che il criterio del cumulo è applicabile soltanto quando le varie domande sono formulate contro lo stesso soggetto in un unico processo. Il criterio anzidetto non opera, invece, nel caso di domande proposte in giudizi diversi successivamente riuniti, poiché ciascuno dei singoli procedimenti mantiene la propria individualità, nonostante l'intervenuta riunione, e la competenza per valore deve essere stabilita attraverso la verifica del valore di ciascuna domanda.

Cass. civ. n. 974/1990

In ipotesi di litisconsorzio facoltativo che si determina a seguito di domande connesse per il titolo che siano proposte con unico atto di citazione nei confronti di più convenuti non trova applicazione il disposto del secondo comma dell'art. 10 c.p.c. — che prevede, ai fini della determinazione della competenza per valore, il cumulo delle domande proposte nello stesso processo nei confronti della medesima persona — ma il giudice adito, ove sia competente per valore in ordine ad alcuna delle domande, deve decidere anche in ordine a quelle di minor valore che sarebbero di competenza di un giudice inferiore, sempre che non ritenga che la riunione ritardi il processo (art. 103, cpv. c.p.c.).

Cass. civ. n. 5182/1989

Qualora, insieme con una domanda di valore determinato ed inferiore al limite della competenza del giudice adito, sia stata dall'attore proposta altra domanda senza precisazione della somma richiesta, il principio del cumulo ex art. 10 c.p.c., con spostamento della competenza al giudice superiore, non opera solo ove l'attore dichiari, in modo non equivoco, di voler contenere il valore di tale seconda domanda entro il predetto limite e cioè in una misura pari alla differenza fra questo ed il valore espressamente determinato dell'altra domanda.

Cass. civ. n. 2847/1980

Qualora nell'atto di citazione vengano richiesti, oltre al capitale, anche gli interessi legali, senza specificare se essi attengano o meno a periodo antecedente alla notificazione dell'atto introduttivo del processo, deve ritenersi, in mancanza di prova circa la natura del debito e la sua esenzione dalla costituzione in mora ai fini degli interessi, che la domanda giudiziale costituisca, di per sé, atto di costituzione in mora e che gli interessi richiesti decorrano dalla notificazione della citazione. Ne consegue che, per la determinazione del valore della causa, deve tenersi conto solo della somma richiesta a titolo di capitale, non essendo computabili a tal fine gli interessi successivi alla notificazione dell'atto introduttivo del processo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 10 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

U. M. chiede
martedì 19/04/2022 - Lazio
“Nel commentario all’art. 10 cpc (Determinazione del valore), alla nota (2) si afferma: "Ai fini della determinazione del valore della domanda è necessario tener conto non solo delle risultanze dell’atto di citazione (v.163) ma anche delle precisazioni o modificazioni apportate dall’attore alla prima udienza di trattazione (v.183)”. Si afferma ancora: "Qualora l’attore voglia rinunciare ad una parte della domanda o a una delle domande, si ritiene che tale rinuncia possa avere effetti sulla competenza in senso favorevole; se la rinuncia riguarda quella parte della domanda che determinava l’incompetenza del giudice adito, avrà l’effetto di rendere competente quest’ultimo”.
In una causa condominiale il GdP adito ha invece ritenuto con ordinanza e con rif. a Cass. 20118/2006, che il valore della domanda debba essere determinato esclusivamente sulla base dell'atto di citazione, escludendo tutte le attività successive, incluse le variazioni apportate sulla medesima vicenda dall'attore nella prima udienza. Vorrei conoscere le fonti e i riferimenti giurisprudenziali su cui si fondano le citate note del commentario Brocardi, che risulterebbero in contrasto con l'ordinanza.
Grazie per l'attenzione”
Consulenza legale i 27/04/2022
In merito alla questione degli eventuali effetti sulla competenza delle modifiche della domanda intervenute successivamente all’atto introduttivo, non sono mancate pronunce (come Cass. Civ., Sez. II, 21/05/1993, n. 5779) secondo cui “ai fini della determinazione del valore della causa il giudice deve anche tenere conto, per una esigenza di economia processuale, delle modifiche e riduzioni della domanda ritualmente introdotte dall'attore nel corso del giudizio, quando queste riconducano la controversia nell'ambito della sua competenza, non ostandovi né il principio generale dell'art. 10 c.p.c., che, pur legando la determinazione del valore della causa alla domanda originaria, nulla dispone sugli effetti dei successivi mutamenti di questa domanda, né il principio dell'art. 5 dello stesso codice (la giurisdizione e la competenza si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della domanda), che si riferisce solo a quelle situazioni extraprocessuali che la legge assume come fatti determinativi della competenza o della giurisdizione e non anche a quegli elementi intrinseci della domanda, né, infine, il principio della rilevabilità di ufficio della incompetenza per valore nel corso del giudizio di primo grado (art. 38 c.p.c.) che non implica affatto la necessità che il giudice declini la competenza su una domanda che, prima della decisione, sia stata ricondotta nei limiti della competenza del giudice adito e che solo a questo potrebbe, quindi, essere riproposta”.
Tuttavia, secondo l’orientamento prevalente e più recente, espresso, tra le altre, da Cass. Civ., Sez. II, 20/04/2006, n. 9250, “la riduzione della domanda, in corso di causa, da parte dell'attore, come non può ricondurre nell'ambito della competenza del giudice adito una domanda che originariamente eccedeva la sua competenza per valore, così non è idonea a far rientrare tra le cause che il giudice di pace decide secondo equità, ai sensi dell'art. 113, secondo comma, cod. proc. civ., quella introdotta con una domanda che in base al "petitum" originario ne era esclusa”.
Anche Cass. Civ., Sez. II, sentenza 13/09/2012, n. 15338 ha affermato che il comportamento della parte, successivo alla proposizione di una domanda, non può incidere sul valore della stessa, né sul correlato regime impugnatorio.

Antonino B. chiede
martedì 03/03/2015 - Sardegna
“In una causa, radicata, nell'aprile 2013, presso il giudice ordinario, con il fine di richiedere all'amministratore di condominio i dati relativi ai condomini, per riscuotere, quota parte, da ciascuno di essi, l'avvocato aveva citato, contestualmente, amministratore e condominio. Controparte, inizialmente contumace--avrebbe dovuto disporre di due distinte procure?-ha eccepito che essendo il valore iscritto della causa,pari ad € 5000 fosse di competenza del GdP ed il giudice, con quasi due anni di ritardo, anzichè farlo d'ufficio, si è spogliato, con decreto, della competenza, a favore del G.d.P., fissando un termine per la riassunzione della causa, senza tuttavia motivare di averlo fatto per avere individuata la parte legittimata in giudizio, esclusivamente nell'amministratore. A questo punto ci si interroga sui seguenti punti: come determinare il valore della causa? Se dovesse essere di valore indeterminato o superiore a 5000 € si dovrebbe tornare al giudice ordinario? Per eccepire il valore della causa non superiore ai 5000 €, il difensore doveva disporre di procura speciale rilasciata anche dall'amministratore--oltre a quella del condominio e, qualora essa mancasse, si potrebbe impugnare il decreto, invocando anche l'argomento del valore della causa--qualora indeterminato o superiore a 5000€-- e la carenza di motivazione del decreto? E' corretto considerare la materia condominiale, altra, rispetto al contenzioso con l'amministratore?”
Consulenza legale i 09/03/2015
Per rispondere con esattezza al quesito, si dovrebbe conoscere con precisione la domanda dedotta in giudizio. Supponendo che essa avesse solo questo tenore "si condanni l'amministratore a fornire i nominativi dei condomini morosi e relative quote dovute", si può osservare quanto segue.

Innanzitutto si premette che la riforma del condominio ad opera della legge 220/2012 (entrata in vigore il 17 giugno 2013 e quindi dopo l'instaurazione della causa di cui al quesito), ha modificato l'art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile stabilendo espressamente che "l'amministratore è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi". In precedenza, ci si era posti il dubbio circa il conflitto tra il diritto di difesa del creditore e il diritto alla privacy dei condomini, anche se di fatto la giurisprudenza di merito tendeva ad agevolare il creditore.

Quanto ai dubbi sulla competenza del giudice di pace o del giudice ordinario, va precisato che il giudice di pace ha una competenza funzionale, cioè indipendente dall'eventuale valore economico che si possa attribuire alla vicenda, solo per le cause relative alla "misura ed alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case" (art. 7, secondo comma n. 2, c.p.c.): ad esempio, alcuni condomini ritengono che un altro condomino faccia un uso più intenso dell'ascensore e quindi debba pagare più spese condominiali.
Quanto, invece, si tratti di controversia che attiene alla ripartizione di spese condominiali, ai fini della determinazione della competenza per valore, secondo la giurisprudenza di legittimità, "se il condomino agisce per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo di pagamento sull’assunto dell’invalidità della deliberazione assembleare, quest'ultima viene contestata nella sua globalità, sicché la competenza deve determinarsi con riguardo al valore dell’intera spesa deliberata; ove, invece, il condomino deduca, per qualsiasi diverso titolo, l’insussistenza della propria obbligazione, il valore della causa va determinato in base al solo importo contestato, perché la decisione non implica una pronuncia sulla validità della delibera di spesa nella sua globalità" (Cass. civ., 22.1.2010, n. 1201).
Le cause fin qui descritte sono quelle che possono sorgere tra i condomini del medesimo condominio.

Se, invece, è un terzo creditore a far causa all'amministratore del condominio per ottenere l'elenco dei condomini morosi, non vi è alcuna competenza funzionale del giudice di pace, quindi si guarda al valore della causa: se inferiore a 5.000 €, la competenza spetta al G.d.p., se superiore o indeterminabile, spetta al Tribunale.

L'ultimo comma dell'art. 38 del c.p.c. stabilisce che le questioni relative alla competenza vanno decise in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall'eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, dopo aver assunte sommarie informazioni. Quindi, per stabilire il valore della causa, si guarda a quanto le parti hanno dichiarato nei rispettivi atti: ad esempio, nel caso di specie, se si procedeva per un credito pari a 5.000 euro, questo potrebbe essere il valore preso in considerazione dal giudice per determinare la propria incompetenza.

Tuttavia, ciò che risulta prima facie errato nella decisione del giudice di rimettere la causa al G.d.p. sembra essere il mancato rispetto del citato art. 38: l'eccezione di incompetenza per valore va fatta a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata; il giudice può rilevarla d'ufficio, ma solo entro la prima udienza ex art. 183. Se la controparte ha proposto l'eccezione (risulta indifferente che a proporla sia stato il condominio o l'amministratore) in un momento successivo, avrebbe dovuto rilevare la decadenza del potere della parte di eccepire l'incompetenza dopo due anni dall'instaurazione della causa. Naturalmente, questa ricostruzione va confrontata con gli atti di causa, di cui non si dispone in questa sede per rispondere al quesito.

In conclusione, per rispondere alle domande poste nel quesito:
- come determinare il valore della causa?
Si applica l'ultimo comma dell'art. 38 c.p.c.
- se dovesse essere di valore indeterminato o superiore a 5.000 € si dovrebbe tornare al giudice ordinario?
Sì, perché il giudice di pace non ha competenza funzionale nella materia oggetto della causa in esame.
- per eccepire il valore della causa non superiore ai 5.000 €, il difensore doveva disporre di procura speciale rilasciata anche dall'amministratore oltre a quella del condominio e, qualora essa mancasse, si potrebbe impugnare il decreto, invocando anche l'argomento del valore della causa - qualora indeterminato o superiore a 5000€ - e la carenza di motivazione del decreto?
Non si ritiene che l'eccezione dovesse essere necessariamente proposta dall'amministratore, ma piuttosto che essa dovesse essere proposta tempestivamente, ex primo comma dell'art. 38. Il decreto sarebbe quindi illegittimo sotto questo profilo. Se poi si potesse dimostrare che il valore della causa è superiore a 5.000 euro o indeterminabile, la competenza allora spetterebbe certamente al Tribunale.
- é corretto considerare la materia condominiale, altra, rispetto al contenzioso con l'amministratore?
Certo, perché ai sensi dell'art. 7 del c.p.c. il giudice di pace ha una competenza funzionale solo per le cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case.

Per completezza, ricordiamo che la giurisprudenza di merito ha in più occasioni ravvisato la responsabilità dell'amministratore per la mancata sollecitudine nel dare riscontro alla richiesta stragiudiziale - e poi giudiziale - del creditore e di conseguenza per il danno generato dall'omessa o ritardata consegna.

Ludovica chiede
mercoledì 01/06/2011 - Sicilia
“La norma contenuta nel 2º comma dell'articolo in esame, riferita alla ipotesi di connessione soggettiva (così come richiamata dall'art.104 c.p.c.) consente una deroga alla competenza per valore del giudice? Se si, potreste fare qualche esempio?
Grazie mille.”
Consulenza legale i 03/06/2011

Ai sensi dell’art. 104 del c.p.c., contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, salvo rispettare il c.d. principio del cumulo, (2 comma dell’art. 10 c.p.c.), che opera, per l’appunto, in presenza della proposizione di più domande. In tale caso il loro valore va cumulato al fine dell’accertamento della competenza e ben si possono avere delle deroghe.

Se nel giudizio instaurato contro lo stesso debitore chiedo il pagamento di un credito vantato in base ad un contratto di leasing (euro 1.000) e il versamento di un altro credito come corrispettivo di una compravendita (euro 5.000) -> avrò 6.000 euro, totale dei valori economici delle prestazioni. Per cui non ci sarà la competenza del G. di Pace, ma del Tribunale in composizione monocratica.

Il cumulo delle domande, poi, deve essere semplice (nel senso che il proponente non deve aver condizionato l’accoglimento dell’una all’esito dell’altra: per es. con atto di citazione chiedo la risoluzione del contratto e la restituzione di quanto dato oltre al risarcimento del danno per responsabilità contrattuale), e non già alternativo (l’una o l’altra domanda) o eventuale (una domanda in via principale e l’altra in via subordinata); in questi due casi, infatti, si ha riguardo alla domanda di maggior valore.

Va tenuto conto, comunque, della specificazione della competenza del giudice di pace attraverso vari criteri legati in gran parte alla materia.

I due criteri della materia e del valore si sovrappongono.


Martina chiede
martedì 18/01/2011

“A cosa si riferisce il legislatore quando al secondo comma parla di spese danni e interessi scaduti anteriori alla domanda? Cosa significa che si sommano con il capitale? Di quale capitale parla?”

Consulenza legale i 20/01/2011

La disposizione di cui al secondo comma dell'art. 10 del c.p.c. va intesa nel senso che solo le quote già maturate nel momento in cui viene proposta la domanda si computano ai fini della competenza per valore, purché i menzionati accessori siano richiesti dalla parte, anche in corso di causa.
In giurisprudenza si è precisato che l'art. 10 c.p.c., ove dispone che gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione della domanda si sommano al capitale, intende riferirsi, con elencazione esemplificativa e non tassativa, a tutti quegli elementi - siano essi accessori o meno della domanda - che hanno in comune la capacità di accrescersi durante il processo, sicché la richiesta di riconoscimento e della liquidazione del relativo diritto fino al soddisfo non incide sul valore della controversia.

Il concetto di "capitale" è qui inteso semplicemente come somma di denaro che produce interessi.


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