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Articolo 83 Codice del processo amministrativo

(D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Effetti della perenzione

Dispositivo dell'art. 83 Codice del processo amministrativo

1. La perenzione opera di diritto e può essere rilevata anche d'ufficio. Ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio.

Spiegazione dell'art. 83 Codice del processo amministrativo

La norma in esame si occupa di disciplinare gli effetti della perenzione nel processo amministrativo.
In particolare, si prevede che la perenzione opera di diritto: ciò significa che il rapporto processuale si chiude nel momento in cui si verifica la perenzione, sicchè un’eventuale pronuncia successiva che dichiari l’avvenuta perenzione avrà effetti retroattivi.
La norma precisa, inoltre, che la perenzione può essere rilevata anche d'ufficio.
Ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio, a differenza di quanto disposto in tema di rinuncia.

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Consulenze legali
relative all'articolo 83 Codice del processo amministrativo

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Pietro M. chiede
giovedģ 22/03/2018 - Lazio
“Desidero sapere se , nel caso di perenzione di giudizio amministrativo ai sensi dell'art. 82 cod.proc.amm. per omessa presentazione da parte ricorrente di nuova domanda di fissazione di udienza a far tempo dalla notifica dell'avviso di perenzione ultraquinquennale , l'atto amministrativo impugnato ( in questo caso un'ordinanza di acquisizione di beni immobili al patrimonio comunale ) riacquisti tutta la sua efficacia e possa essere messo in esecuzione .
Grazie”
Consulenza legale i 29/03/2018
La perenzione è una tipica causa di estinzione del processo amministrativo.

Essa opera qualora non sia compiuto per un anno alcun atto della procedura (art. 81) ed interviene di diritto, a prescindere dal compimento di atti di procedura, qualora il ricorrente non proceda all'istanza di fissazione dell'udienza, e può essere rilevata anche d'ufficio.

Una particolare ipotesi di perenzione è quella di cui al presente quesito, a mente del quale essa opera quando, decorsi cinque anni dalla data di deposito del ricorso e fatto avviso di tale evento a cura della segreteria nei confronti della parti costituite, il ricorrente non presenti nuova istanza di fissazione dell'udienza entro sei mesi dalla notifica dell'avviso.

Al fine di precisare i requisiti formali della comunicazione effettuata dalla segreteria, il Consiglio di Stato, con decisione n. 5003/2015, ha ribadito che, ai fini della decorrenza del termine di sei mesi per la presentazione dell'istanza atta ad evitare la perenzione del ricorso, non è da ritenere idonea la comunicazione dell'avviso eseguita a mezzo fax, atteso che la disposizione di cui sopra richiede la notificazione, a meno che non vi sia la prova del raggiungimento dello scopo.

Fatte le dovute premesse in ordine ai requisiti necessari affinché il processo possa considerarsi estinto per perenzione, va dato atto che l'instaurazione del processo non inficia automaticamente l'efficacia del provvedimento e la sua esecutività (ovvero l'idoneità del provvedimento ad essere eseguito).

Invero, a meno che il provvedimento non venga annullato all'esito della proficua presentazione di un ricorso in sede amministrativa o giurisdizionale (come nella fattispecie in esame), esistono solamente due modalità attraverso le quali si possa sospendere l'eseguibilità del provvedimento (ovvero la possibilità legale e giuridica che gli effetti del provvedimento possano prodursi in presenza di un ricorso, anche se poi perento).
La prima (che configura un'attività preliminare ad un intervento di autotulela demolitoria) è disciplinata dall'art. 21 quater che, al comma 2 stabilisce che l'efficacia o l'esecuzione del provvedimento possa essere sospesa per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da un altro organo previsto dalla legge. In questo caso la stessa amministrazione procedente si avvede della possibile illegittimità dell'atto (segnalata tramite il ricorso) o della sua inopportunità e ne paralizza gli effetti, onde non pregiudicare la corretta rispondenza all'interesse pubblico ed a quello delle parti ricorrenti.
L'altra modalità è rappresentata dalla tutela cautelare di cui all'art. 55, tramite cui il ricorrente tenta di paralizzare l'efficacia del provvedimento, dimostrando il fumus boni iuris ed il periculum in mora.
Aldilà di tali ipotesi, oltre all'annullamento giurisdizionale o all'annullamento in autotutela del provvedimento, quest'ultimo non perde mai di efficacia e potrà sicuramente essere messo in esecuzione.

L'acquisizione al patrimonio comunale dell'immobile abusivo di cui all'art. 31 necessiterà ad ogni modo della trascrizione nei registri immobiliari del titolo di acquisizione dell'immobile e degli estremi sostanziali e catastali che lo individuano.

Angela D. chiede
domenica 01/05/2016 - Puglia
“Premessa:
soggetto "A" (ricorrente) impugna davanti al Tar il PRG adottato da Ente locale "B" (resistente) nel 2001.
Il Tar accoglie il ricorso e annulla il PRG impugnato (2012).
il Comune "B" (appellante) ricorre al CdS previa sospensiva.
"A" (appellato) si costituisce chiedendo il rigetto dell'appello.
Il CdS concede la sospensiva della sentenza del Tar, l'udienza di merito è di la da venire (segue inattività delle parti).
Persona "C" (cmq soggetta alla efficacia riflessa del giudizio del Tar emanato e CdS emanando) propone in questa fase intervento di terzo adesivo dipendente (in adesione dell'appellato "A").
Domanda:
il terzo "C", con il suo intervento in giudizio, può:
1) proporre domanda per motivi aggiunti (per ulteriori atti emanati anche di recente da Regione e Comune sul detto PRG) ?
2) proporre istanza di prelievo al CdS per ottenere sollecita fissazione di udienza di merito (tenuto conto che ne "A" ne "B" hanno prodotto dal 2012 ad oggi l'istanza di prelievo)?
Grazie”
Consulenza legale i 08/05/2016
Con il presente quesito viene richiesto se il terzo che interviene nel giudizio di appello in Consiglio di Stato possa:
1. proporre atto per motivi aggiunti (avverso atti emanati dall'Amministrazione nelle more del giudizio);
2. presentare istanza di prelievo al fine di ottenere una sollecita fissazione dell'udienza di merito (tenuto conto che né l'appellato, né l'Amministrazione appellante, dal 2012 ad oggi hanno mai presentato istanza di prelievo).
1. L'art. [[n104cpa]], comma 3, del C.P.A. stabilisce che "possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati".
Pertanto, in generale, l'atto di motivi aggiunti può essere proposto, ai sensi dell'art. 104, comma 3, del C.P.A. ora richiamato, solamente avverso provvedimenti e/o atti emanati dall'Amministrazione nel corso del giudizio di primo grado, al fine di evitare che il ricorrente debba proporre un giudizio ulteriore rispetto a quello già incardinato.
Al contrario, nel caso in cui l'Amministrazione emani ulteriori provvedimenti durante la pendenza del giudizio di appello, la controparte che si ritiene lesa da tali ulteriori provvedimenti deve proporre un ulteriore ricorso dinanzi al TAR competente, al fine di assicurare il rispetto del doppio grado di giudizio anche con riferimento a tali provvedimenti.
A titolo meramente esemplificativo, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 8 maggio 2015, n. 2328: "ai sensi dell'art. 104 comma 3, c.p.a., l'oggetto del giudizio di appello deve intendersi circoscritto agli atti e provvedimenti impugnati in primo grado, e ciò comporta non solo che ulteriori atti, ancorchè non aventi natura provvedimentale, non possono essere oggetto d'impugnazione, ma anche che i vizi ad essi eventualmente attribuiti non possono riverberarsi quali vizi — in via di illegittimità derivata — degli atti già impugnati atteso che, diversamente opinando, si giungerebbe o ad ammettere che un provvedimento amministrativo può risentire in via derivata dell'illegittimità di un atto del procedimento, pur senza impugnazione di questo; ovvero che, in sostanza, si aggirerebbe il chiaro limite posto dall'art. 104, comma 3, alla proposizione di motivi aggiunti in appello, in quanto, pur non ammettendone formalmente l'impugnazione, i nuovi atti (ed i loro vizi) dispiegherebbero effetti sui provvedimenti impugnati, allo stesso modo che se fossero stati anch'essi oggetto d'impugnazione".
Più nel dettaglio, la Giurisprudenza ha chiarito quanto segue: "Nel processo amministrativo i motivi aggiunti sono consentiti in appello solo per dedurre ulteriori censure in relazione ad atti e provvedimenti già impugnati, allorchè i vizi ulteriori emergano da documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, il che determina l'inammissibilità dell'impugnazione in appello di nuovi atti, fermo restando la possibilità per la parte, ove ne ricorrano le condizioni, di proporre avverso questi ultimi autonomo ricorso giurisdizionale; in effetti l'art. 104 comma 3, c.p.a., laddove consente la proposizione di motivi aggiunti in appello qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati, ha codificato il pregresso orientamento giurisprudenziale che ammette i motivi aggiunti in grado d'appello al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado, e non anche nella diversa ipotesi in cui con essi s'intenda impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di primo grado (cfr. Consiglio di Stato già citato, sez. IV, 8 maggio 2015, n. 2328).
2. Con riferimento alla possibilità, per l'interveniente, di depositare presso la Segreteria del Consiglio di Stato, la cd. istanza di prelievo, occorre sottolineare che l'art. [[n82cpa]], comma 1, del C.P.A. sembrerebbe consentire al solo ricorrente di presentare l'istanza di prelievo, stabilendo che "dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtu' del quale e' fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all'articolo 24 e dal suo difensore, entro centottanta giorni dalla data di ricezione dell'avviso. In difetto di tale nuova istanza, il ricorso e' dichiarato perento".
Infatti, la Giurisprudenza ha chiarito che: "a differenza dell'ordinaria perenzione biennale (ora annuale) prevista dall'art. 81 c. proc. amm., per la quale l'impulso processuale è riservato a tutte le parti, la perenzione dei ricorsi quinquennali sancita dall'art. 82 comma 1, c. proc. amm. ha carattere eccezionale e la dichiarazione di persistente interesse è riservata in maniera esplicita alla sola parte ricorrente". Inoltre il TAR Lazio ha aggiunto "Per aversi una valida manifestazione di volontà nel senso della prosecuzione del giudizio occorre, pertanto, che sia rispettato l'onere formale della doppia sottoscrizione, avendo la legge introdotto una peculiare fattispecie di atto processuale a firma congiunta del difensore e del ricorrente. Nel caso di ricorsi collettivi, l'istanza di fissazione di udienza deve essere presentata da tutti i ricorrenti. Ciò, in quanto nel ricorso collettivo le posizioni soggettive di ciascuno dei ricorrenti rispetto all'atto impugnato o al rapporto controverso non si comunicano agli altri, risolvendosi detto gravame in una pluralità di azioni autonome, solo cartolarmente congiunte in quanto contestualmente proposte in un unico atto. È , dunque, possibile che alcuni ricorrenti abbiano interesse alla prosecuzione del giudizio e decidano, quindi, di firmare l'istanza di fissazione di udienza ex art. 82 comma 1, c. proc. amm. ed altri, invece, di non coltivare più il giudizio" (cfr. T.A.R. Roma, (Lazio), sez. III, 15 ottobre 2014, n. 10355).
Tuttavia, poiché l'art. [[n83cpa]] del C.P.A. stabilisce che "la perenzione opera di diritto e puo' essere rilevata anche d'ufficio. Ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio", si ritiene che l'istanza di fissazione dell'udienza sembra che possa essere presentata da qualsiasi parte costituita del processo - quindi, nel caso di specie, dall'interveniente - in quanto, in caso di perenzione, ciascuna parte deve farsi carico delle spese sostenute, sicchè, ove si intenda conseguire una statuizione favorevole sulle spese, si dovrà necessariamente presentare l'istanza di fissazione d'udienza.