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Articolo 34 Codice del consumo

(D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206)

[Aggiornato al 31/12/2023]

Accertamento della vessatorietà delle clausole

Dispositivo dell'art. 34 Codice del consumo

1. La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.

2. La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto, né all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile.

3. Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione europea o l'Unione europea.

4. Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale.

5. Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.

Spiegazione dell'art. 34 Codice del consumo

Con questa norma il legislatore fissa tre criteri in base ai quali poter stabilire l’abusività o meno di una clausola, e precisamente:
a) la natura del bene o servizio oggetto dell’accordo
b) le circostanze in cui si è concluso l’accordo, tenendo conto della diversa posizione di potere tra professionista e consumatore
c) le altre clausole dell’accordo o contenute in altro accordo collegato, in modo da poter effettuare una valutazione complessiva ed avere così una visione d’insieme tra clausole favorevoli e clausole sfavorevoli per il consumatore.

Si legge anche nella norma che sia la determinazione dell’oggetto dell’accordo che l’adeguatezza del prezzo non possono essere utilizzati come criteri per accertare la vessatorietà di una clausola se risultano individuati in modo chiaro e comprensibile.
Se questi non dovessero essere chiari, occorre fare riferimento al criterio dell’interpretazione più favorevole per il consumatore, mentre nel solo caso in cui tali elementi non siano assolutamente individuabili, l’accordo non può essere considerato valido, difettandone gli elementi fondamentali.

I commi 3 e 4 escludono in ogni caso la possibilità di dichiarare vessatorie le seguenti clausole:
1. quelle che riproducono leggi o convenzioni internazionali, comprese le leggi comunitarie. Alcuni professionisti hanno pensato di poter fare leva su tale disposizione per sottrarsi al giudizio di vessatorietà, imponendo ai consumatori clausole riproducenti convenzioni internazionali o leggi non direttamente applicabili alle situazioni disciplinate dal contratto (in contrario si è fatto osservare che le uniche clausole che non vanno sottoposte all’indagine di vessatorietà sono quelle che riproducono leggi applicabili nella specifica materia disciplinata dal contratto);
2. quelle oggetto di trattativa individuale tra il professionista e ciascun consumatore.
Anche in questa ipotesi, occorre, tuttavia, che il consumatore sia stato concretamente messo in condizione di poter influire sul contenuto della clausola; così, ad esempio, nel caso di contratto concluso dal professionista con il consumatore attraverso moduli già predisposti, sarà onere del professionista dimostrare che la clausola o le clausole, anche se preparate dal professionista, sono state condivise con il consumatore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 34 Codice del consumo

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Francesco V. chiede
martedì 06/04/2021 - Emilia-Romagna
“Una società del settore "apparecchi acustici" mi ha contattato al telefono per propormi di provare un nuovo apparecchio acustico per l'udito. Dopo un test effettuato mi propone un modello. Quindi lo prendo, firmo per ricevuta dell'avventa consegna. Ho portato questo apparecchio per due giorni, ma a fine giornata mi accordo che l'apparecchio sinistro non è al suo posto. Causa probabile, gli occhiali tolti e rimessi, hanno sganciato l'auricolare. Ho cercato, ma essendo anche uscito da casa non ho trovato l'apparecchio. Quindi telefono immediatamente e riporto la parte restante. Il consulente mi mostra il foglio da me firmato e mi fa notare che è previsto un caso di smarrimento il pagamento dell'apparecchio. Naturalmente non mi aveva avvisato di questa clausola e non mi ha dato la copia firmata, quindi non avendo letto al momento, sono dalla parte del torto. Mi chiedo, non è obbligatorio consegnare copia del documento? L'apparecchio ha un costo di € 4.500, sono anche sorpreso che non siano assicurati. Grazie per un consiglio.”
Consulenza legale i 16/04/2021
La dicitura relativa al risarcimento danni indicata nel modulo di prova da Lei sottoscritto è estremamente generica.
Si tratta di una sorta di clausola penale ma non è nemmeno indicato l’importo.
Tra l’altro, per come formulata, costituisce clausola vessatoria ai sensi dell’art. 33 del codice del consumo.
Come espressamente previsto dal successivo art. 34 nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari, incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole vessatorie siano state oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
Quest’ultima costituisce, come evidenziato dalla Suprema Corte con la sentenza n.18785 del 2010 un prius logico rispetto alla verifica della sussistenza del significativo squilibrio in cui riposa l'abusività della clausola o del contratto, sicchè spetta al professionista che invochi la relativa inapplicabilità dare la prova del fatto positivo dello svolgimento della trattativa e della relativa idoneità, in quanto caratterizzata dai suindicati imprescindibili requisiti, ad atteggiarsi ad oggettivo presupposto di esclusione dell'applicazione della normativa in argomento”.

Ciò posto, la circostanza che al momento della sottoscrizione non vi abbiano dato copia del documento non fa venire meno il fatto che questo sia stato validamente firmato.
A ciò si aggiunga che in ogni caso parte del bene dato in consegna sia stato effettivamente da Lei smarrito (ha riconsegnato soltanto la “parte restante”).
Quindi, comunque, un danno al soggetto proprietario dell’apparecchio è stato cagionato (la circostanza che non siano assicurati – per quanto anomala-non fa venire meno il fatto del danno).
E’ semmai un problema di quantificazione: l’importo dell’apparecchio acustico di euro 4500,00 dove è specificato? In ogni caso, Lei ha riconsegnato parte dell’apparecchio (ha una prova documentale di averlo, almeno in parte, riconsegnato?).
A questo punto, le strade da percorrere possono essere due: o cerca di trovare un accordo su un pagamento saldo e stralcio a tacitazione di qualsiasi pretesa oppure attende una formale richiesta scritta da parte del soggetto che Le aveva consegnato l’apparecchio onde valutare una più idonea risposta, tenuto conto che la clausola di risarcimento indicata nel formulario è appunto nulla in quanto indeterminata e, comunque, vessatoria.

Claudio M. chiede
martedì 11/09/2018 - Piemonte
“Ho sottoscritto ingenuamente, senza nessuna trattativa, un incarico di mediazione per vendita immobiliare in cui è prevista l'esclusiva ( l'alternativa prevista in contratto era la non esclusiva dietro pagamento, anche in caso di non conclusione della vendita, di spese documentate per un valore massimo autorizzato dal venditore ) . Il contratto prevede una penale a carico del venditore pari al doppio della provvigione per : recesso anticipato, violazione dell'obbligo di esclusiva, rifiuto di consentire, da parte del venditore, l'esecuzione dell'incarico. E' previsto altresì una penale a carico del venditore pari alla provvigione in caso di : rifiuto del venditore di accettare una proposta di acquisto conforme all'incarico, vendita effettuata anche dopo la scadenza del'incarico a persone segnalate dall'agenzia ( non è prevista la scadenza di quest'ultimo vincolo ).
E' prevista la penale pari alla provvigione a carico dell'agenzia per : recesso anticipato, mancata comunicazione di proposte di acquisto conformi all'incarico.
Il fatto : ho un compratore ( non segnalato dall'agenzia ) che è interessato all'acquisto senza però l'intermediazione dell'agenzia. Ho informato l'agenzia dell'ipotesi del compratore privato e l'agenzia mi ha ricordato la penale pari al doppio della provvigione in quanto l'agenzia vuole recuperare anche la provvigione che avrebbe percepito da un compratore da lei stessa individuato. si tenga presente che in tre mesi ( il contratto dura 12 mesi ) non mi è stata sottoposta nessuna proposta di acquisto.
Domanda: posso considerare vessatoria la penale pari al doppio ? Visto che voglio proporre all'agenzia una soluzione amichevole, quanto debbo riconoscere ? La provvigione è pari a 3000 euro più iva per un immobile del valore di 130.000.
Grazie”
Consulenza legale i 18/09/2018
Preliminarmente, occorre qualificare la fattispecie giuridica.
Siamo nell’ambito della cd. mediazione unilaterale atipica.
Infatti, in base all’art. 1754 c.c. il mediatore è colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.
Nel caso in esame, vi è un espresso incarico unilaterale di vendita (prassi peraltro quanto mai frequente nella compravendita immobiliare).
Tale circostanza, tuttavia, non va venire meno l’applicabilità della normativa in tema di mediazione (anziché quella sul mandato) come recentemente stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 24950 del 2016 dove si è ribadito che: “La circostanza che colui il quale si assuma mediatore non si sia interposto autonomamente tra le parti, ma abbia ricevuto da una sola di esse l'incarico di reperire un contraente per un determinato affare, non muta la natura mediatoria dell'attività svolta ove riconosciuta od oggettivamente riconoscibile come tale dall'altra parte. [...] L'incarico a svolgere la medesima attività che il mediatore svolgerebbe d'iniziativa propria può originare da un mandato interno con una delle parti, che tuttavia non muta l'attività che il mediatore svolga poi ai fini della conclusione dell'affare. Dunque, ciò che è decisivo non è tanto l'imparzialità del suo operare quanto la riconoscibilità esterna della posizione terza - che egli assume nel successivo rapporto con entrambe le parti, posizione che gli deriva, appunto, dall'assenza di collaborazione, dipendenza o rappresentanza con una sola di esse.”

Quanto alla durata ed al compenso del mediatore, essi possono essere liberamente determinati dalle parti contrattuali, non essendovi alcun obbligo di legge in tal senso.
Infatti, con riguardo alla misura della provvigione, il secondo comma dell’art. 1755 c.c. si limita a stabilire che “la misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti , in mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità”.
Pertanto, è lo stesso legislatore che rimette la determinazione del compenso alla libera trattativa tra le parti.
Nel caso in esame, tremila euro di provvigione sono circa il 3% del prezzo di vendita: il che appare essere nella media delle percentuali richieste dai mediatori.

Inoltre, al contratto di mediazione è sicuramente applicabile la disciplina del codice del consumo.
Una penale dall’importo manifestamente eccessivo (come quello del caso di specie che addirittura prevede la corresponsione del 200% dell’importo della provvigione!) riteniamo possa rientrare nelle ipotesi di clausole vessatorie previste dall’art. 33 del Codice del Consumo e, in particolare, nella fattispecie prevista dalla lettera f (“imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d'importo manifestamente eccessivo”).
In base al comma 5 dell’art. 34 del codice del consumo, laddove vi sia stata sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali (come nel caso in esame), incombe sul professionista l'onere di provare che le clausole, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposte, sono state oggetto di specifica trattativa con il consumatore. Se tale prova non viene fornita, la clausola vessatoria è nulla (mentre il contratto rimane valido per il resto).
Sul punto, la Cassazione con sentenza n.2970/12 ha ribadito che:"Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la loro sottoscrizione indiscriminata, non ne determina la validità ed efficacia, non potendosi ritenere che con tale modalità sia garantita l'attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa tra le altre richiamate".
Tuttavia, nel caso in esame, non possiamo dire vi sia stato un richiamo in blocco delle condizioni e nemmeno di gran parte di esse.
Quindi, laddove si voglia sostenere la nullità della clausola (che è comunque sicuramente vessatoria e assolutamente eccessiva), l’agente immobiliare potrà argomentare che essa è stata oggetto di trattativa individuale e quindi, anche se vessatoria, comunque valida.

Ad ogni modo, anche escludendo la tutela del codice consumo, in ipotesi di una controversia giudiziale riteniamo che in via residuale sarebbe comunque applicabile l’art. 1384 del codice civile secondo cui il giudice può diminuire equamente l’importo della penale laddove l’ammontare di quest’ultima sia manifestamente eccessivo (come appare nel caso di specie).

Ciò posto, in risposta alle domande contenute nel quesito, possiamo dunque in via definitiva affermare che:
1) si, la penale pari al doppio della provvigione costituisce una clausola vessatoria (nei limiti sopra evidenziati);
2) in caso di proposta di soluzione amichevole, un importo congruo potrebbe essere pari al 50% della provvigione prevista nel contratto.
Chiaramente, va tenuto presente che la penale sarebbe dovuta solo se effettivamente l'immobile venisse venduto e non per delle semplici trattative dirette del venditore con un potenziale acquirente.
Ovviamente, se l’immobile venisse venduto dopo la scadenza del mandato (30 maggio 2019, salvo proroga tacita di due mesi in mancanza di disdetta) non dovrebbe essere corrisposta alcuna penale in quanto l’esclusiva è limitata al periodo di validità dell’incarico e non oltre (art. 9 lett. B del contratto).

G. A. chiede
lunedì 31/01/2022 - Sicilia
“buonasera, ho acquistato un telefono rigenerato iphone sul sito Swappie, il telefono è arrivato con la pellicola di protezione sul vetro che copriva sapientemente una lesione, che dopo 3 giorni si e' allargata. Ho ricevuto il telefono tramite corriere il 7 gennaio e ho segnalato il problema l'11 gennaio, dopo varie email e contestazioni accettano di fare la riparazione, ritirano il telefono con il corriere e solo oggi, dopo 2 settimane, mi viene scritto che il telefono è stato danneggiato per uso improprio e che non ho diritto ne alla sostituzione ne alla riparazione ne al rimborso. Mi viene offerto soltanto di rispedirlo indietro presso il mio domicilio oppure effettuare la sostituzione ma a mie spese. ci sono alcune email con foto allegate che ho inviato con date e dettagli disponibili nel caso ci fossero i presupposti per accedere alla garanzia. Grazie in anticipo per la gentile assistenza”
Consulenza legale i 04/02/2022
In primo luogo, individuiamo il quadro normativo.

Un telefono rigenerato rientra nei beni usati per i quali è comunque applicabile la disciplina del codice del consumo.
L’art. 132 di quest’ultimo prevede che “il venditore è responsabile, a norma dell'articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene” e che “il consumatore decade dai diritti previsti dall'articolo 130, comma 2, se non denuncia al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto.”.
Il successivo art. 134 del codice del consumo prevede altresì che “è nullo ogni patto, anteriore alla comunicazione al venditore del difetto di conformità, volto ad escludere o limitare, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti dal presente paragrafo.”
Per quanto concerne i beni usati, l’unica limitazione prevista dal codice del consumo riguarda la durata della garanzia.
L’art. 134 prevede infatti che “nel caso di beni usati, le parti possono limitare la durata della responsabilità di cui all'articolo 132, comma primo ad un periodo di tempo in ogni caso non inferiore ad un anno.”.

Ciò posto, salta agli occhi che nelle condizioni generali di contratto (art. 6) sia stato fissato un termine di 72 ore per denunciare un prodotto errato o danneggiato.
Ciò è ribadito anche nell’art. 8 secondo cui: “qualora il Cliente ricevesse un prodotto non conforme alle specifiche, il Cliente dovrà informarci in merito entro tre (3) giorni dal ricevimento del prodotto.”.
Orbene, tale termine è in palese contrasto con quanto previsto dal sopra citato art. 132 del codice del consumo secondo cui il termine per denunciare un difetto di conformità è pari a due mesi.
Una tale clausola appare dunque rientrare in quelle vessatorie affette da nullità anche in caso di trattativa individuale, così come previsto dall’art. 34 del codice del consumo secondo cui: “Sono nulle le clausole che abbiano per oggetto o per effetto di escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista”.

Fermo quanto precede, nella presente vicenda, l’aspetto relativo ai tre giorni per denunciare sarebbe comunque superato dato che il telefono è stato in ogni caso visionato ai fini della garanzia, come leggiamo in una delle mail (“Abbiamo ricevuto e preso in carico il dispositivo che ci ha spedito per usufruire della garanzia”).
Tuttavia, nella medesima mail inviata dalla società si legge altresì: “I nostri tecnici hanno ispezionato il telefono e purtroppo hanno rilevato danni allo schermo molto più estesi di quelli da lei precedentemente segnalati al nostro servizio clienti, come può verificare dalle immagine scattate dai tecnici durante le ispezioni in allegato. Noto inoltre che, a seguito della sua segnalazione riguardo i danni riportati dal dispositivo, ha atteso 5 ulteriori giorni prima di procedere all'invio. Per tali motivi, le devo quindi comunicare che sfortunatamente la nostra garanzia non può essere più considerata come valida.
A fronte di ciò, chi ha fornito lo smartphone l’unica garanzia che concederebbe è la seguente: “effettuare delle riparazioni a pagamento sul suo dispositivo, o, in alternativa, rinviarglielo senza alcun costo.

Orbene, tali soluzioni prospettate non sono conformi a quanto previsto dall’art. 130 del codice del consumo secondo cui: “il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto”.

In merito all’onere della prova, la Cassazione con sentenza n.20811/2015 aveva evidenziato che: “che in tema di compravendita, l'obbligazione (di dare) posta a carico del venditore è di risultato, in quanto l'interesse perseguito dall'acquirente è soddisfatto con la consegna di un bene in grado di realizzare le utilità alle quali, secondo quanto pattuito, la prestazione sia preordinata. Ne consegue che all'acquirente (creditore) sarà sufficiente allegare l'inesatto adempimento, ovvero, denunciare la presenza di vizi o di difetti che rendano la cosa inidonea all'uso alla quale è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, essendo a carico del venditore (debitore), in virtù del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l'onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di avere consegnato una cosa che sia conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ove sia stata fornita tale prova, sarà allora onere del compratore dimostrare l'esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa, ascrivibile al venditore.”

Alla luce di tutte le osservazioni che precedono, in conclusione, possiamo affermare quanto segue.
Il bene risulta essere coperto dalla garanzia di legge e la denuncia è stata assolutamente tempestiva.
Suggeriamo quindi, preliminarmente, di insistere nella richiesta di riparazione dello schermo senza alcun costo, considerata la copertura della garanzia.

A fronte di una persistente risposta negativa, l’unica strada percorribile rimane solo quella giudiziale dall’esito comunque non scontato visto che non si tratta di un difetto intrinseco al bene relativo alla “fabbricazione o realizzazione” del medesimo ma di un danneggiamento del monitor (che potrebbe essere dovuto anche a una caduta accidentale successiva alla consegna).