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Articolo 1168 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Azione di reintegrazione

Dispositivo dell'art. 1168 Codice Civile

Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.

L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di ospitalità(1).

Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.

La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione(2).

Note

(1) Le ragioni di servizio devono essere limitate alle sole mansioni domestiche; quelle di ospitalità vanno, invece, riferite all'accoglienza gratuita e temporanea di amici e parenti.
(2) Vedasi la sentenza della Consulta del 3 febbraio 1992, n. 25, che ha dichiarato parzialmente illegittimo il comma 1 dell'art. 705 del c.p.c..

Ratio Legis

La disposizione regola l'azione di reintegrazione (detta anche di spoglio); essa, esperibile anche dal detentore, protegge il possessore cui venga sottratto in tutto o in parte il possesso della cosa, prevedendo la reintegrazione, ossia il ripristino della situazione possessoria compromessa. Ha, dunque, una funzione recuperatoria; perché possa aversi tale risultato, bisogna che chi ha operato lo spoglio abbia ancora effettiva disponibilità della cosa tolta al possessore.
In ipotesi di perdita di quest'ultima, l'autore dello spoglio termina di essere il destinatario dell'azione di reintegrazione, ferma rimanendo pur sempre la responsabilità per il fatto illecito commesso.
Se, però, la cosa è stata trasferita ad un terzo a conoscenza dell'avvenuto spoglio, l'azione di reintegrazione è esperibile anche contro costui.
La privazione del possesso della cosa, deve essere avvenuto in modo violento od occulto, deve avvenire, cioè, contro la volontà di chi venga privato del possesso, ossia senza che questi ne venga a conoscenza, se non successivamente. L'azione di reintegrazione è possibile quando in caso di spoglio non violento o non occulto, ma, in tal caso, solo al ricorrere delle condizioni per l'esperibilità dell'azione di manutenzione, che, pertanto, non è esercitabile dal semplice detentore.

Brocardi

Ad colorandam possessionem
Animus spoliandi
Non alienat, qui dumtaxat omittit possessionem
Petitori possessionis, non ei qui possidet, onus probandi incumbit
Possessio defenditur ad instar iuris
Possidentes exceptionem, non possidentes actionem habent
Probatio onus petitoris, commodum possessoris
Spoliatus ante omnia restituendus

Spiegazione dell'art. 1168 Codice Civile

Il primo e il quarto comma dell’articolo

Il primo e il quarto comma dell’articolo riproducono le norme degli artt. 693 e 696 del vecchio codice, migliorandone la terminologia in alcuni punti, e così con la soppressione del riferimento alla « cosa mobile ed immobile » e della qualifica « qualunque esso sia » del possesso, nel primo comma; dell’inciso « premessa la citazione dell’altra parte » e della precisazione « fosse anche il proprietario delle cose di cui è patito lo spoglio » nel quarto.

Merita di essere particolarmente sottolineata la soppressione del riferimento alla « cosa mobile od immobile », poiché essa vale tra l’altro, ad eliminare ogni spunto per la proposizione della strana teoria, sostenuta sotto la vigenza dell’art. 695 del vecchio codice, secondo la quale l’azione di spoglio non tutelerebbe ogni possesso ma, secondo alcuni, solo quello a titolo di proprietà, secondo altri anche il possesso dei iura in re aliena, ma solo se ed in quanto tale possesso si attui con un possesso materiale, almeno parziale della cosa su cui cade il diritto reale.


Legittimazione attiva del possessore a mezzo d’altri

È appena il caso di rilevare che, tanto per il nuovo codice come per quello del 1865, l'azione compete anche a chi possieda non direttamente ma a mezzo di altra persona e può pure essere esperita nei confronti di questa persona.


Legittimazione attiva del detentore

II secondo comma dell'articolo precisa che l'azione è concessa anche al detentore (concetto questo che l'art. 695 racchiudeva nell'espressione « possesso qualunque esso sia »), tranne nel caso in cui egli abbia la detenzione per ragioni di servizio o di ospitalità (c.d. detentore non autonomo).

La precisazione varrà ad eliminare ogni possibilità di ulteriore discussione sui limiti di esperibilità dell'azione, e vale poi a risolvere, in modo implicito ma inequivoco, la questione, dibattuta sotto la vigenza del codice del 1865, circa la legittimazione ad agire in reintegrazione del c. d. detentore nell'interesse altrui.

II diverso trattamento delle due ipotesi è logico, poiché, mentre è opportuno dare al detentore autonomo (anche se nell'interesse altrui) un mezzo pronto per riavere la cosa e ciò in relazione ed a causa delle responsabilità che gli incombono, diversa è la posizione del detentore non autonomo: nei casi infatti in cui lo spoglio sia opera del possessore, la legittimazione non sarebbe giustificata, non avendo il detentore non autonomo alcun diritto nei riguardi della persona nel cui nome possiede; se invece lo spoglio è opera di terzo non sarebbe conveniente lasciare l'iniziativa ad un operaio, apprendista, domestico o commesso.


Legittimazione attiva del chiamato all’eredità

L' art. 460 del c.c. accorda la tutela possessoria anche al chiamato all'eredità, il quale « può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, anche senza bisogno di materiale apprensione ».

Secondo i lavori preparatori, si tratterebbe unicamente di una concessione in via utile e che non implicherebbe il riconoscimento di un possesso nel chiamato alleredità, come era invece per l'art. 925 del cod. 1865: la funzione della saisine scomparirebbe così col nuovo codice.

Non mancherà, però, la tesi contraria, secondo cui la saisine non è affatto scomparsa nel nuovo codice, anche se sono cambiate le parole, perché l'azione possessoria non può trovare il suo fondamento che in uno stato di fatto riconosciuto come possesso: e ciò sebbene il possesso di cui si parli stia indubbiamente ad indicare una situazione diversa da quella normale in tema di tutela possessoria.


Lo spoglio clandestino

Il terzo comma dell'articolo colma, in conformità all'orientamento della dottrina maggioritaria, una lacuna del vecchio codice stabilendo che, in caso di spoglio clandestino, il termine non comincia a decorrere se non dal giorno della scoperta dello spoglio. È appena il caso da un lato di sottolineare il carattere oggettivo del requisito della clandestinità e di rilevare come alla scoperta effettiva dello spoglio non possa non venire equiparata la possibilità di scoperta da parte di un possessore di normale diligenza; dall'altro di osservare come, quando lo spoglio non sia clandestino, il termine non decorre dal completo esaurimento dei fatti che lo costituiscono, ma dalla esecuzione anche parziale di essi, quante volte questa valga ad impedire comunque l'esercizio del possesso del medesimo e dal primo dei pia atti di spoglio, ove essi siano collegati e diretti contro lo stesso possesso, ispirati ad un unico fine con unica intenzione, per modo che ciascuno di tali atti debba considerarsi continuazione ed ulteriore esplicazione di quelli precedenti.


Coordinamento della norma con gli artt. 1145, comma 2, e 1170

L'articolo in esame va posto in relazione da un lato con l’ art. 1145 del c.c., comma 2, che, come si è visto, codifica l'insegnamento assai diffuso in giurisprudenza - pur nel silenzio dell'art. 690 codice del 1865 - secondo cui nei rapporti fra privati è concessa l'azione di spoglio rispetto ai beni appartenenti al pubblico demanio, ai beni delle provincie e dei comuni soggetti al regime proprio del demanio pubblico; dall'altro con l' 1170, ult. comma, che stabilisce la c. d. funzione recuperatoria dell’azione di manutenzione, ammettendo, cioè, che quest'ultima azione competa anche a colui che abbia subito uno spoglio non violento o non clandestino.

La prima di queste disposizioni è in realtà un corollario dell'attribuzione dell'azione di spoglio al semplice detentore: tuttavia, date le non poche discussioni agitatesi in proposito, non è inopportuno che essa sia stata espressamente dichiarata.

La seconda deve essere qui segnalata, oltre che per la sua bontà, per una conseguenza che essa non può fare a meno di produrre in ordine al concetto di « violenza » dello spoglio.

È noto come, con riferimento al codice del 1865, dottrina e giurisprudenza siano da tempo concordi nel ritenere che, per aversi spoglio violento, basta una violazione della volontà, anche solo presunta, del possessore o detentore.

Se però per il nuovo codice lo spoglio « non violento » legittima all'azione di manutenzione, è chiaro che una così ampia accezione della « violenza » non potrà più venire accolta: e ciò perché l'accoglierla porterebbe alla stranezza di far considerare illecito uno spossessamento che non urti contro la volontà del possessore.


Nozione di spoglio

Poiché il nuovo codice non dà una precisa e completa determinazione dello spoglio, è chiaro che si è rimesso al suo concetto tradizionale: di conseguenza, così per il nuovo come per il vecchio sistema, deve ritenersi non necessaria ad integrare lo spoglio la totale privazione del possesso, bastando invece che ne sia stato notevolmente diminuito e reso incomodo l'esercizio, e per contro costituisce elemento essenziale dello spoglio l' animus spoliandi, che si concretizza nella consapevolezza di commettere un atto arbitrario, costituito dall'agire contro la volontà dello spogliato, in modo da sostituire il proprio all'altrui possesso.


Questioni varie

Nel silenzio della legge, le varie questioni agitatesi con riferimento al codice del 1865 si pongono negli stessi termini di fronte al nuovo codice. Dovrà pertanto ritenersi:

a) che l'azione di spoglio, così come del resto l'azione di manutenzione, sia ammissibile anche tra compossessori, quando uno di essi impedisca all'altro l'uso o il godimento della cosa posseduta in comune;

b) che l'immissione in possesso ad opera di ufficiale giudiziario non escluda la possibilità di uno spoglio (anche all'infuori del dolo ai danni dell'ufficiale giudiziario da parte del richiedente) tutte le volte in cui avvenga in modo illegittimo ed arbitrario;

c) che l'azione di spoglio, così come quella di manutenzione, non possa intentarsi contro atti della pubblica amministrazione, quando si tratti di atti compiuti iure imperii anziché iure gestionis.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

551 La disciplina delle azioni possessorie non si allontana sostanzialmente dagli schemi del codice del 1865. L'azione di reintegrazione è data per lo spoglio qualificato da violenza o da clandestinità. Oltre che al possessore, l'azione è concessa a chi ha la mera detenzione della cosa. Mi è sembrato però opportuno negarla a chi detiene la cosa per ragioni di servizio o di ospitalità: l'azione potrà in tal caso esperirsi dal possessore. Come nel codice del 1865 (art. 696), l'azione deve essere proposta entro l'anno dal sofferto spoglio; ma, se lo spoglio è clandestino, il termine decorre dal giorno in cui è scoperto (art. 1168 del c.c.), Costituisce una disposizione nuova quella dell'art. 1169 del c.c., il quale ammette che l'azione di reintegrazione sia proposta contro chi abbia il possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare fatto con la conoscenza dell'avvenuto spoglio. La norma, già accolta nella dottrina canonica, colpisce l'acquirente che, consapevole dello spoglio compiuto dal suo dante causa, trae profitto dalla lesione arrecata al possesso altrui.

Massime relative all'art. 1168 Codice Civile

Cass. civ. n. 31642/2021

Lo spogliato del possesso, che agisca per conseguire il risarcimento dei danni, è soggetto al normale onere della prova in tema di responsabilità per fatto illecito. Pertanto, qualora non abbia provato il pregiudizio sofferto, non può emettersi, in suo favore, condanna al risarcimento con liquidazione equitativa dei danni.

Cass. civ. n. 23870/2021

In caso di spoglio clandestino del possesso, incombe su colui che assume di averlo subìto l'onere della prova della tempestività dell'azione di reintegra, il cui termine di un anno inizia a decorrere non già da quando il ricorrente sia venuto effettivamente a conoscenza dello spoglio, bensì da quando egli sia stato nella condizione di potersene accorgere, usando la diligenza ordinaria dell'uomo medio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che, nel caso di spoglio clandestino del possesso di una servitù di passaggio a favore di un terreno concesso in affitto, la decorrenza del termine annuale per l'esercizio dell'azione di reintegra non era impedita per il solo fatto che il passaggio fosse effettuato dall'affittuario, anziché dalla proprietaria del terreno).

Cass. civ. n. 21613/2021

In tema di possesso, è passibile di azione di reintegrazione, ex art. 1168 c.c., colui che, consapevole di un possesso in atto da parte di un altro soggetto, anche se ritenuto indebito, sovverta, clandestinamente o violentemente, a proprio vantaggio la signoria di fatto sul bene, nel convincimento di operare nell'esercizio di un proprio diritto reale, essendo, in tali casi, "l'animus spoliandi in re ipsa", né potendo invocarsi il principio di legittima autotutela, il quale opera nell'immediatezza di un subìto ed illegittimo attacco al proprio possesso.

Cass. civ. n. 29087/2019

Le azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione sono esperibili davanti al giudice ordinario solo quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell'ambito e nell'esercizio dei poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti (di fronte ai quali le posizioni soggettive del privato hanno natura non di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, tutelabile, quindi, davanti al giudice amministrativo), ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali, mentre, ove dette azioni siano proposte in relazione a comportamenti attuati in esecuzione di poteri pubblici o comunque di atti amministrativi, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.(In applicazione di tale principio, la S.C. ha affermato la giurisdizione del g.a. in relazione ad una domanda di reintegra proposta nei confronti di un Comune che aveva ripreso il possesso di aree portuali in forza di provvedimenti di decadenza da concessioni marittime demaniali, specificamente richiamati in una scrittura privata, stipulata con l'occupante, di fissazione della data di restituzione delle aree).

Cass. civ. n. 15874/2019

Nel caso di spoglio attuato per mezzo dell'ufficiale giudiziario in forza di un titolo esecutivo, l'azione possessoria è proponibile nelle sole ipotesi in cui il titolo esecutivo sia inefficace nei confronti dello "spoliatus" ovvero l'avente diritto sia stato immesso nel possesso di un immobile diverso da quello contemplato nel titolo esecutivo, dovendosi far valere mediante le opposizioni esecutive tutti gli altri vizi del titolo posto a fondamento del rilascio.

Cass. civ. n. 11369/2019

L'elemento oggettivo dello spoglio, che consiste nella privazione del possesso, si atteggia diversamente a seconda che questo abbia a oggetto una cosa o un diritto, sostanziandosi, nel primo caso, in un'azione che toglie al possessore il potere di fatto sulla cosa e, nel secondo caso, in un comportamento che impedisce al possessore l'esercizio del diritto e che può estrinsecarsi sia in un atto positivo, rivolto a porre in essere un ostacolo materiale all'esercizio dell'altrui diritto, sia in un contegno negativo, con il quale lo "spoliator" si opponga all'eliminazione di un ostacolo non creato da lui, contro l'espressa volontà del possessore di riportare la situazione di fatto allo "status quo ante". Da tanto consegue che se un'opera (cosa o manufatto) necessaria all'esercizio di una servitù venga asportata, distrutta o resa inservibile per una qualsiasi causa non imputabile al possessore del fondo servente, questi commette spoglio della servitù qualora si opponga arbitrariamente al ripristino dell'opera che il possessore del fondo dominante chieda di eseguire a sua cura e spesa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice d'appello che aveva escluso la sussistenza dell'illecito possessorio nella condotta consistita nell'avere diffidato il possessore del fondo dominante dal ripristinare la strada sulla quale aveva esercitato la servitù di passaggio, in quanto deterioratasi per cause naturali). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA).

Cass. civ. n. 2991/2019

In tema di tutela possessoria, non assumono rilevanza la legittimità dell'esercizio del vantato possesso e la sua rispondenza ad un valido titolo, quanto piuttosto la mera situazione di fatto esistente al momento dello spoglio o della turbativa, sicché, ove si controverta in ordine ad una servitù di passaggio su fondo privato per l'accesso alla strada pubblica, rimane estranea al giudizio la presenza o meno di un titolo autorizzativo, rilasciato dalla competente autorità amministrativa stradale, a compiere gli atti che esteriorizzano il possesso di tale servitù. Ne consegue che, anche in mancanza di detto titolo, la domanda possessoria tra privati è ammissibile e, quindi, valutabile nel merito, pure ai fini dell'eventuale condanna al risarcimento dei danni eventualmente prodotti dall'avversa condotta illecita.

Cass. civ. n. 32364/2018

Le azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione (e di chi agisca per conto di essa) sono esperibili davanti al giudice ordinario solo quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti (di fronte ai quali le posizioni soggettive del privato hanno natura non di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, tutelabile, quindi, davanti al giudice amministrativo), ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali, mentre, ove dette azioni siano proposte in relazione a comportamenti attuati in esecuzione di poteri pubblici o comunque di atti amministrativi, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha affermato la giurisdizione del g.o. in relazione ad una domanda di reintegra e/o manutenzione nel possesso di un terreno privato sul quale l'amministrazione aveva fatto scaricare una ingente quantità di detriti franosi, atteso che l'ordinanza sindacale invocata dal Comune resistente aveva solo imposto ad alcuni soggetti la rimozione di tutto il materiale già crollato o instabile, ma non aveva affatto stabilito che la strada dovesse essere liberata riversando tale materiale sul fondo posseduto dai ricorrenti).

Cass. civ. n. 24967/2018

Devono considerarsi autori morali dello spoglio e, quindi, legittimati passivi alla domanda di reintegra unitamente all'autore materiale, il mandante e colui che "ex post", pur senza autorizzarlo, abbia utilizzato consapevolmente a proprio vantaggio il risultato dello spoglio, sostituendo il suo possesso a quello dello spogliato.

Cass. civ. n. 21457/2018

Lo spoglio costituisce atto illecito che lede il diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa e obbliga chi lo commette al risarcimento del danno, sicché la relativa condotta materiale deve essere sorretta da dolo o colpa, la cui prova incombe, secondo i principi generali in tema di ripartizione dell'onere probatorio, su chi propone la domanda di reintegrazione.

Cass. civ. n. 16000/2018

Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 3 febbraio 1992, che ha dichiarato l'illegittimità, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 705 c.p.c., nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed alla esecuzione della relativa decisione anche quando da tale esecuzione possa derivare al convenuto pregiudizio irreparabile, il convenuto in giudizio possessorio può opporre le sue ragioni petitorie quando dalla esecuzione della decisione sulla domanda possessoria potrebbe derivargli un danno irreparabile, purché l'eccezione sia finalizzata solo al rigetto della domanda possessoria (e non anche ad una pronuncia sul diritto con efficacia di giudicato) e non implichi, quindi, una deroga delle ordinarie regole sulla competenza. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di merito che aveva dichiarato l'improponibilità dell'eccezione petitoria, sollevata dal resistente, senza indagare sulla irreparabilità del pregiudizio che gli sarebbe derivato dall'esecuzione dell'ordine di demolizione del muro in cemento armato da lui realizzato in violazione del possesso della servitù di veduta vantato dai ricorrenti).

Cass. civ. n. 1455/2018

In tema di spoglio, il decorso del termine di decadenza di cui all'art. 1168 c.c. non è rilevabile d'ufficio dal giudice ed è soggetto al regime delle preclusioni, in primo come in secondo grado, giacché, vertendosi in materia di diritti disponibili, deve essere eccepito, ex art. 2969 c.c., dalla parte interessata la quale, peraltro, nel sollevare l'eccezione deve manifestare chiaramente la volontà di avvalersi dell'effetto estintivo dell'altrui pretesa, ricollegato dalla legge al decorso dell'anno dall'asserito spoglio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva escluso la ricorrenza di tale eccezione nella difesa con cui il convenuto genericamente assumeva di avere da sempre esercitato il proprio diritto di proprietà).

Cass. civ. n. 15517/2017

In materia di tutela possessoria delle servitù di passaggio, diretta al ripristino dello stato di fatto mutato contro la volontà del possessore del fondo dominante, è irrilevante accertare se la servitù sia ancora esercitabile con diverse modalità, dovendosi solo verificare se vi sia stata una modifica dello stato dei luoghi tale da produrre un'apprezzabile riduzione delle possibilità di utilizzo della detta servitù, caratterizzanti il possesso precedente.

Cass. civ. n. 14797/2017

In tema di spoglio, l’accertamento del giudice deve riguardare sia l’elemento oggettivo della privazione totale o parziale del possesso, violenta o clandestina, che l’elemento soggettivo, ossia l’“animus spoliandi”, che non consiste nella sola coscienza e volontà dell’agente di compiere il fatto materiale della privazione del possesso, bensì nella consapevole volontà di sostituirsi al detentore, contro la volontà di questo (ovvero nella sua inconsapevolezza o impossibilità di venire a conoscenza dell'azione espoliatrice), nella detenzione totale o parziale e nel godimento del bene, con la conseguenza che il consenso, espresso o tacito, del possessore allo spoglio, costituisce causa escludente dell’“animus spoliandi”.

Cass. civ. n. 8911/2017

In tema di reintegrazione nel possesso, il requisito della clandestinità dello spoglio sussiste ogni qual volta lo spossessamento avviene mediante atti che non possano venire a conoscenza di colui che è stato privato del possesso o della detenzione, sicché ciò che rileva è che il possessore o il detentore, usando l’ordinaria diligenza ed avuto riguardo alle concrete circostanze in cui lo spossessamento si è verificato, si siano trovati nell’impossibilità di averne conoscenza, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito che, ove sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o errori di diritto, si sottrae al sindacato di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha escluso la clandestinità del possesso esercitato da un parroco, quale appartenente ad un ente ecclesiastico, su di un bene di titolarità della parrocchia, che lo stesso parroco amministrava in rappresentanza della diocesi, rilevando che, in forza delle disposizioni di diritto canonico che gli attribuiscono la vigilanza sui beni ecclesiastici, a fronte di corrispondenza intercorsa con il rappresentante dell'ente, che invocava la proprietà di detto bene, il vescovo avrebbe potuto sostituirsi al parroco ed esercitare l'autorità di controllo di sua spettanza).

Cass. civ. n. 4198/2016

Nel giudizio possessorio, l'eccezione "feci, sed iure feci" è ammessa solo ove tenda a far valere lo "ius possessionis" (e, cioè, l'esistenza di un possesso nello spogliatore) e non anche lo "ius possidendi" (e, cioè, il diritto, in capo al medesimo, di possedere), non potendosi la prova del possesso desumere, in seno a tale procedimento, dal regime, legale o convenzionale, del corrispondente diritto reale.

Cass. civ. n. 2300/2016

La sentenza resa sulla domanda possessoria non può avere autorità di cosa giudicata nel giudizio petitorio caratterizzato da diversità di "petitum" e "causa petendi", giacché l'esame dei titoli costitutivi dei diritti fatti valere dalle parti è compiuto nel procedimento possessorio al solo fine di dedurre elementi sulla sussistenza del possesso, restando impregiudicata ogni questione sulla conformità a diritto della situazione di fatto oggetto di tutela.

Cass. civ. n. 8811/2015

In tema di azioni a difesa del possesso, chi ha collaborato con l'autore morale dello spoglio è passivamente legittimato all'azione di reintegrazione solo se ha stabilito con la cosa un rapporto materiale che ne comporti il potere di disposizione, in difetto del quale egli non avrebbe nulla da restituire.

Cass. civ. n. 6792/2015

Colui che è convenuto con azione possessoria per violazione dei limiti imposti dalle norme in materia di distanze può dimostrare l'insussistenza dell'altrui diritto al fine di negare lo stato di possesso vantato dall'attore, senza con ciò determinare confusione fra giudizio possessorio e giudizio petitorio, poiché tale accertamento rileva per stabilire se esista un possesso tutelabile.

Cass. civ. n. 19830/2014

Colui che assume di essere stato spogliato del possesso di una servitù di passaggio non è tenuto a dare la prova dell'inesistenza della tolleranza, trattandosi di fatto impeditivo che deve provare l'altra parte.

Cass. civ. n. 18486/2014

Il conduttore che mantenga la disponibilità dell'immobile dopo la cessazione di efficacia del contratto di locazione è legittimato a ricorrere alla tutela possessoria ex art. 1168, secondo comma, cod. civ., in quanto detentore qualificato, ancorché inadempiente all'obbligo di restituzione agli effetti dell'art. 1591 cod. civ.

Cass. civ. n. 7741/2014

L'azione ex art. 1168 cod. civ. ha la finalità di reintegrare il possesso nelle condizioni di esercizio anteriori allo spoglio, sicché il risarcimento del danno da spoglio deve includere i costi di ripristino del bene (nella specie, azienda alberghiera), se questo, per gli interventi compiuti dallo spogliatore, non sia possedibile con le modalità anteriori allo spoglio.

Cass. civ. n. 6428/2014

Qualora il convenuto eccepisca l'ultrannualità dell'azione di spoglio, spetta all'attore provarne la tempestività.

Cass. civ. n. 3627/2014

Il detentore autonomo, che proponga azione di reintegrazione del possesso, deve provare di aver esercitato in nome altrui il potere di fatto sulla cosa, dimostrando l'esistenza del titolo posto a base dell'allegata detenzione, senza che il giudice debba accertare la validità e l'efficacia di siffatto titolo, atteso che in materia possessoria non rileva mai la valutazione degli effetti negoziali di un atto.

Cass. civ. n. 26985/2013

In tema di tutela possessoria, perché sussista la violenza dello spoglio non è necessario che questo sia stato compiuto con forza fisica o con armi, essendo invece sufficiente che sia avvenuto senza o contro la volontà effettiva, o anche solo presunta, del possessore, mediante una mera violenza morale, quale una minaccia.

Posto che il possesso costituisce una situazione di fatto avente propria rilevanza giuridica, la cui compromissione dà luogo di per sé all'insorgenza di un obbligo risarcitorio, la conseguente domanda risarcitoria può essere proposta congiuntamente all'azione di reintegra o di manutenzione, senza, tuttavia, che trovi applicazione rispetto ad essa il termine annuale di decadenza di cui all'art. 1168 cod. civ., poiché i danni arrecati al possesso dallo spoglio o dalle molestie integrano gli estremi dell'illecito extracontrattuale, e sono come tali soggetti alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2947 cod. civ.

Cass. civ. n. 24673/2013

In tema di spoglio la violenza e la clandestinità dell'azione, che implicano l'"animus spoliandi", non sono insiti in ogni fatto materiale che determini la privazione dell'altrui possesso ma conseguono solo alla consapevolezza di contrastare e di violare la posizione soggettiva del terzo.

Cass. civ. n. 7214/2013

La convivenza "more uxorio", quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Ne consegue che l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio.

Cass. civ. n. 22174/2012

In tema di tutela possessoria, ricorre spoglio violento anche in ipotesi di privazione dell'altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest'ultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di acquiescenza.

Cass. civ. n. 18058/2012

Il termine annuale per chiedere la reintegrazione nel possesso a seguito di spoglio, di cui all'art. 1168 c.c., ha natura sostanziale, atteso che il suo inutile decorso estingue il relativo diritto, e, pertanto, non è soggetto alla sospensione nel periodo feriale, disposta dalla legge n. 742 del 1969 con riguardo ai termini processuali.

Cass. civ. n. 9043/2012

La privazione del possesso conseguente all'occupazione di una parte di un terreno altrui costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli, idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, la quale si risolve in una "declaratoria iuris" che non esclude la possibilità di verificare, in sede di liquidazione, la reale esistenza del danno risarcibile.

Cass. civ. n. 8854/2012

Non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile in modo violento o clandestino (che si configura come fatto illecito) nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell'esistenza e dell'entità materiale del pregiudizio e la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull'"an debeatur", non essendo allora ammissibile il ricorso al potere officioso di liquidazione equitativa del danno.

Cass. civ. n. 8148/2012

Nel caso di spoglio o turbativa posti in essere con una pluralità di atti, il termine utile per l'esperimento dell'azione possessoria decorre dal primo di essi soltanto se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, devono ritenersi prosecuzione della stessa attività; altrimenti, quando ogni atto - presentando caratteristiche sue proprie - si presta ad essere considerato isolatamente, il termine decorre dall'ultimo atto. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto correttamente motivata la sentenza di merito, la quale aveva negato qualsiasi collegamento tra l'atto di spoglio consistito nella chiusura di una strada con catena sorretta da paletti, e l'analoga chiusura con cavo e lucchetto che si affermava esistente due anni prima dello spoglio, ma della quale non era stata provata la persistenza).

Cass. civ. n. 2367/2012

Ai fini della reintegrazione nel possesso di una servitù di passaggio, non occorre che tale possesso abbia i requisiti occorrenti per l'usucapione, essendo sufficiente la prova del durevole e pacifico utilizzo del passaggio in epoca prossima a quella dello spoglio, dal quale è consentito presumere l'utilizzo nel momento dello spoglio stesso ed, altresì, che il transito sia stato dall'attore effettuato nella sua qualità di possessore di un fondo cui si accede mediante quello attraversato.

Cass. civ. n. 879/2012

La presenza di opere visibili e permanenti, indicative di un transito, configura un requisito necessario ai fini dell'acquisto della servitù di passaggio per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, ma non anche per la tutela possessoria del passaggio medesimo, essendo a tal fine sufficiente la prova dell'effettuazione di detto transito sul bene altrui.

Cass. civ. n. 16236/2011

Al fine della ricorrenza di un atto di spoglio denunciabile con azione di reintegrazione, l'"animus spoliandi" postula la consapevolezza dell'autore di acquisire la cosa contro la volontà espressa o tacita del possessore; detto requisito soggettivo, pertanto, deve essere escluso qualora risulti che, al momento della materiale apprensione del bene, l'autore dello spoglio non conosceva e non era in grado di conoscere l'altrui possesso, o di acquisire la cosa contro la volontà espressa o tacita del possessore.

Cass. civ. n. 16229/2011

In tema di azioni possessorie, affinché ricorra lo spoglio a mezzo di ufficiale giudiziario è necessario che il titolo, in forza del quale si procede, non abbia efficacia contro il possessore e che l'intervento dell'ufficiale giudiziario sia stato maliziosamente provocato da colui che ha richiesto l'esecuzione, ovvero che vi sia il dolo dell'istante il quale, conscio dell'arbitrarietà della sua richiesta, abbia sollecitato l'intervento dell'ufficiale giudiziario.

Cass. civ. n. 15971/2011

Il termine annuale, previsto a pena di decadenza dall'art. 1168 c.c. per la proposizione dell'azione di reintegrazione nel possesso, va determinato con riferimento alla data di deposito del ricorso, che individua con certezza la reazione all'atto illecito; ne consegue che, ove l'originario giudizio sia stato cancellato dal ruolo e poi riassunto, è alla data di deposito del primo ricorso che occorre fare riferimento, poiché il giudizio è prorogato a seguito della riassunzione.

Cass. civ. n. 14178/2011

Poiché la servitù di presa d'acqua comprende la facoltà di accedere al fondo servente al fine di esercitare il diritto di attingimento, pur conservando il proprietario del fondo servente la facoltà di chiudere o recintare il proprio fondo, tale recinzione deve essere effettuata in modo che il diritto del proprietario del fondo dominante, come quello del possessore, non ne risulti impedito o limitato, derivandone diversamente spoglio o turbativa del possesso, contro i quali è data la tutela prevista dagli artt. 1168 e 1170 c.c.. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in relazione ad una servitù di attingimento di acqua, aveva ritenuto di dover qualificare come semplice molestia l'attività del proprietario del fondo servente che aveva apposto un cancello con lucchetto sul proprio terreno, esigendo in tal modo dal proprietario del fondo dominante il requisito dell'annualità del possesso).

Cass. civ. n. 2316/2011

In tema di giudizio possessorio, l'elemento soggettivo che completa i presupposti dell'azione di spoglio risiede nella coscienza e volontà dell'autore di compiere l'atto materiale nel quale si sostanzia lo spoglio, indipendentemente dalla convinzione dell'agente di operare secondo diritto.

Cass. civ. n. 16136/2010

Il conduttore che perda il godimento dell'immobile durante il periodo in cui il proprietario debba eseguire delle riparazioni, non perde anche la detenzione dell'immobile stesso sino a quando non sia stata pronunciata la risoluzione del contratto di locazione e può pertanto proporre azione di spoglio contro il proprietario che, a lavori eseguiti, rifiuti la restituzione dell'immobile (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso l'arbitrarietà della condotta del conduttore, che, avendo dovuto consegnare le chiavi dell'immobile all'amministratore dello stabile per l'esecuzione di lavori di riparazione delle parti comuni, ne aveva ottenuto la riconsegna al termine dei lavori).

Cass. civ. n. 21233/2009

Nel giudizio possessorio l'accoglimento della domanda prescinde dall'accertamento della legittimità del possesso, perché è finalizzato a dare tutela ad una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprietà o di un altro diritto reale. Ne consegue che il giudicato formatosi sulla domanda possessoria è privo di efficacia nel giudizio petitorio avente ad oggetto l'accertamento dell'avvenuto acquisto del predetto diritto per usucapione, in quanto il possesso utile ad usucapire deve avere requisiti che non vengono in rilievo nei giudizi possessori.

Cass. civ. n. 19384/2009

In tema di azioni a difesa del possesso, tra causa possessoria e causa petitoria sussiste una forma di connessione impropria, non essendo ravvisabile un vincolo di subordinazione o di garanzia o di pregiudizialità, ne consegue che non va disposta la sospensione del giudizio possessorio in attesa dell'esito definitivo del giudizio petitorio, posto, altresì che la sentenza definitiva che decide la controversia petitoria, escludendo definitivamente la sussistenza del diritto, impone di negare al possesso la protezione giuridica.

Cass. civ. n. 13270/2009

In tema di possesso, è passibile di azione di reintegrazione, ai sensi dell'art. 1168 c.c., colui che, consapevole di un possesso in atto da parte di altro soggetto, anche se ritenuto indebito, sovverta, clandestinamente o violentemente, a proprio vantaggio la signoria di fatto sul bene nel convincimento di operare nell'esercizio di un proprio diritto reale, essendo, in tali casi, "l'animus spoliandi in re ipsa", e non potendo invocarsi il principio di legittima autotutela, il quale opera soltanto "in continenti", vale a dire nell'immediatezza di un subito ed illegittimo attacco al proprio possesso.

Cass. civ. n. 1551/2009

In tema di possesso, l'utilizzazione, da parte dei condomini di uno stabile, di un'area condominiale ai fini di parcheggio, non tutelabile con l'azione di reintegrazione del possesso di servitù, nei confronti di colui che - come nel caso di specie - l'abbia recintata nella asserita qualità di proprietario. Per l'esperimento dell'azione di reintegrazione occorre infatti un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo, purché avente i caratteri esteriori di un diritto reale, laddove il parcheggio dell'auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ovverosia la "realità" (inerenza al fondo dominante dell'utilità così come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari.

Cass. civ. n. 12751/2008

In tema di spoglio violento e clandestino, il detentore che agisce, ex art. 1168, secondo comma, c.c., per la reintegra, può fornire la prova del titolo anche per presunzione non essendo in discussione la validità e gli effetti del vincolo che giustifica la detenzione qualificata ma esclusivamente il fatto storico dell'esistenza del corrispondente potere di fatto sulla cosa.

Cass. civ. n. 9284/2008

L'azione di reintegra ex art. 1168 c.c., è esperibile anche da parte di chi possegga la cosa per mezzo di altra persona cui abbia trasferito la detenzione qualificata del bene, e può essere esercitata nei confronti dello stesso detentore che abbia mutato la propria detenzione in possesso. Costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, se vi sia stata negazione e privazione del possesso da parte del detentore o se si tratti di opposizione alle richieste del possessore riconducibili al godimento del bene, nell'ambito del rapporto obbligatorio in forza del quale è stata trasferita la detenzione.

Cass. civ. n. 19931/2007

Il detentore qualificato che agisce per la reintegrazione nel possesso deve provare il titolo dal quale trae origine tale detenzione, a differenza del semplice possessore al quale è sufficiente invocare il principio possideo quia possideo.

Cass. civ. n. 13116/2007

Nel caso di azione di spoglio esperita denunziando più atti materiali distanziati nel tempo, qualora il giudice li colleghi tra loro teleologicamente, ritenendoli espressione di un unico disegno teleologico, il relativo termine di decadenza decorre dal primo di tali atti, a meno che il ricorrente stesso non provi che si tratta comportamenti autonomi e non avvinti dal medesimo disegno. Ove, successivamente, il convenuto deduca — proponendo eccezione di decadenza dall'azione — l'esistenza di un atto di spoglio precedente a quello denunziato dal ricorrente, affermando il collegamento tra i due, spetta al resistente che lo allega fornire la prova del collegamento.

Cass. civ. n. 10375/2007

Le azioni possessorie sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. (e di chi agisca per conto di essa) quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali; ove risulti, invece, sulla base del criterio del «petitum» sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il controllo di legittimità dell'esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, competente essendo il giudice amministrativo, poiché integra una questione di merito — che spetta al giudice provvisto di giurisdizione decidere — se l'azione sia proponibile e la pretesa dell'attore possa essere soddisfatta. (Nella specie, relativa al presunto spossessamento esercitato mediante prosecuzione di un'occupazione a fini di esproprio, la S.C. ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, essendosi in presenza di una efficace dichiarazione di pubblica utilità).

Cass. civ. n. 4632/2007

A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell'art. 34 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80 (Corte Cost., sent. n. 281 del 2004), sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione all'azione possessoria promossa dal privato nei confronti della P.A. in conseguenza della mera attività materiale, non sorretta da alcun formale provvedimento amministrativo, da questa posta in essere in ambito urbanistico. Non costituiscono atti d'imperio della P.A., idonei ad affievolire a interesse legittimo la posizione soggettiva del privato, né una variante di piano regolatore generale, inidonea a produrre l'effetto implicito di dichiarazione di pubblica utilità, né l'acquisizione di un fondo con atto, che, in assenza dei caratteri della cessione amichevole, deve qualificarsi come atto di vendita di diritto privato. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato la giurisdizione dell'AGO sull'azione di manutenzione esercitata dal proprietario di terreno a cui favore era costituita una servitù avente ad oggetto il divieto di destinare il fondo servente ad uso diverso da quello agrario, a seguito di acquisizione e trasformazione in parcheggio da parte del Comune).

Cass. civ. n. 25899/2006

In tema di reintegrazione nel possesso, il venir meno della ragion d'essere della tutela possessoria per intervenuta decadenza rende inammissibile anche il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo che tragga origine dallo spoglio, che è in tal caso soltanto un profilo della tutela accordata dall'ordinamento al diritto soggetto del leso al fine di assicurarne la piena reintegrazione. Ne consegue che l'azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno consista nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate per quella tutela in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti anche la lesione di altri diritti del possessore, sicché la privazione del possesso non esaurisca il danno, ma si presenti come causa di altre lesioni patrimoniali subite in via derivativa dallo spogliato.

Cass. civ. n. 25241/2006

In tema di azioni possessorie, non costituisce domanda nuova, perché inclusa nella originaria domanda di reintegrazione in forma specifica del possesso, la successiva richiesta di risarcimento dei danni in forma generica proposta a seguito della sopravvenuta indisponibilità del bene.

Poiché la privazione del possesso costituisce fatto illecito, al risarcimento dei danni derivanti dallo spoglio sono applicabili le norme dettate dagli artt. 1226 e 2056 c.c.

Cass. civ. n. 23397/2006

Le azioni possessorie sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. (e di chi agisca per conto di essa) solo quando il comportamento perseguito dalla medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell'ambito e nell'esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti (di fronte ai quali le posizioni soggettive del privato hanno natura non di diritto soggettivo, bensì di interessi legittimi, tutelabili, quindi, davanti al giudice amministrativo), ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali. Ne consegue che, ove dette azioni siano proposte in relazione a comportamenti attuati in esecuzione di poteri pubblici o comunque di atti amministrativi, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 37, primo comma, c.p.c. (Nella specie, relativa al presunto spossessamento esercitato mediante chiusura di un passaggio a livello ferroviario, la S.C. ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'atto era conseguenza ed effetto di una circolare e di una connessa ordinanza ministeriale, contestabili eventualmente innanzi al Tar).

Cass. civ. n. 13216/2006

L'apposizione di una ringhiera su un muro divisorio che, avendo funzione di parapetto, consentiva di esercitare il diritto di veduta sull'altrui proprietà, integra uno spoglio parziale, in quanto modifica, rendendole più difficili, le modalità dell'ispicere e del prospicere in alienum in cui si sostanziava l'esercizio del diritto di servitù in presenza del solo muretto.

Cass. civ. n. 12740/2006

In tema di possesso, il requisito della clandestinità dello spoglio, che va riferito allo stato di ignoranza di chi lo subisce, postula che quest'ultimo si sia trovato nell'impossibilità di averne conoscenza nel momento in cui lo stesso viene posto in essere; peraltro, poiché tale inconsapevolezza non deve essere determinata da negligenza del possessore, che va accertata anche alla stregua delle circostanze in cui è stato commesso lo spoglio e mantenuto lo spossessamento, la clandestinità è esclusa dalla presenza di persone che in qualsiasi modo rappresentino il possessore, o dalla conoscenza del fatto da parte delle medesime. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza che aveva ritenuto la clandestinità dello spoglio sul rilievo che non era stato valutata al riguardo la presenza di guardie campestri incaricate dal possessore di vigilare sul fondo e perciò in grado di percepire tempestivamente qualsiasi fatto che avrebbe potuto pregiudicarne il normale godimento).

Cass. civ. n. 11386/2006

L'azione di reintegrazione del possesso persegue lo scopo di restituire il possesso della cosa a chi ne sia stato spogliato; pertanto, la relativa domanda non può essere accolta nel caso in cui la cosa sia andata distrutta, difettando in questo caso il presupposto stesso per il ripristino della situazione possessoria precedente.

Cass. civ. n. 20875/2005

La domanda di risarcimento del danno consistente nella diminuzione patrimoniale sofferta per il tempo in cui si è protratto lo spoglio o la turbativa del possesso, avendo contenuto possessorio, può essere proposta congiuntamente all'azione di reintegra o di manutenzione del possesso; essa, tuttavia, non rimane soggetta alla preclusione annuale di cui all'art. 1168 c.c., trovando applicazione, in tema di illecito extracontrattuale, il termine di prescrizione stabilito dall'art. 2947 c.c.

Cass. civ. n. 20346/2005

A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale parziale dell'art. 34 del D.L.vo 31. marzo 1998, n. 80 (sentenza n. 281 del 2004), la cognizione dell'azione possessoria esperita dal privato contro la P.A. in conseguenza di una sua attività materiale, non sorretta da alcun provvedimento formale, è devoluta all'autorità giudiziaria ordinaria. (Nella specie, si è altresì escluso che l'avere la P.A. posto in essere la denunciata violazione del possesso in occasione dell'esecuzione di lavori di ripristino di una strada costituisse ragione sufficiente per affermare che il suo comportamento, in tesi lesivo del diritto del privato, risultasse sorretto da un formale provvedimento).

Cass. civ. n. 17567/2005

In tema di azione di reintegrazione nel possesso, la produzione del titolo da cui il deducente trae lo ius possidendi può solo integrare la prova del possesso, al fine di meglio determinare e chiarire i connotati del suo esercizio, ma non può sostituire la prova richiesta nel relativo giudizio, avendo il ricorrente l'onere di provare di avere effettivamente esercitato, con carattere di attualità, la signoria di fatto sul bene che si assume sovvertita dall'altrui comportamento violento od occulto.

Cass. civ. n. 16496/2005

In tema di condominio, le parti comuni di un edificio formano oggetto di un compossesso pro indiviso che si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, sicché la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipenda dall'attività dei rispettivi proprietari (come ad esempio per scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o per aria condizionata); pertanto, nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano — e soltanto per traslato il proprietario — trae da tali utilità, nel secondo caso nell'espletamento della predetta attività da parte del proprietario. Qualora uno dei condomini, senza il consenso degli altri ed in loro pregiudizio, abbia alterato o violato, lo stato di fatto o la destinazione della cosa comune impedendo o restringendo il godimento spettante a ciascun possessore pro indiviso sulla cosa medesima in modo da, sottrarla alla sua specifica funzione, sono esperibili da parte degli altri comproprietari le azioni a difesa del compossesso per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato, allo scopo di trarne quella utilitas alla quale la cosa era asservita prima della contestata modificazione; in proposito, peraltro, non si rende necessaria la prova specifica del possesso di detta parte quando essa sia costituita dalla porzione immobiliare in cui l'edificio si articola e l'eccezione feci sed iure feci è opponibile solo quando l'attività materiale del condomino non sia in contrasto con l'esercizio attuale o potenziale di analoga attività da parte di altro condomino, non limitandone i poteri corrispondenti ai diritti spettanti sulle cose condominiali. (Nella specie sono stati ravvisati gli estremi dello spoglio nell'apertura di un varco praticato dal condomino nel muro di cinta dell'edificio per mettere in comunicazione la proprietà esclusiva con la pubblica strada, giacché la modificazione dei luoghi, sottraendo il muro alla destinazione di recinzione e protezione dell'edificio, impediva agli altri condomini di ricavarne l'utilità inerente alla funzione della cosa comune).

Cass. civ. n. 15885/2005

Costituendo il possesso l'esercizio di fatto delle facoltà corrispondenti alla proprietà o ad un diritto reale, la tutela possessoria prevista dagli artt. 1168 e 1170 c.c. presuppone, da parte del richiedente, la specifica deduzione di una situazione di fatto corrispondente alle facoltà esercitabili in virtù di un determinato diritto dominicale, che si assumono lese dall'altrui comportamento. Ne consegue che il comportamento della parte che abbia dedotto, nell'atto introduttivo, la violazione del possesso corrispondente alla proprietà del bene e successivamente, nel corso del giudizio, la lesione del possesso conforme ad un diritto di serviti, introduce una nuova causa petendi a fondamento della propria pretesa, dando luogo ad una mutati libelli non consentita, atteso che le facoltà inerenti al diritto di serviti non rappresentano un connotato ordinario del diritto di proprietà, ma soltanto un vantaggio aggiuntivo ed eventuale.

Cass. civ. n. 15558/2005

In tema di possesso di servitù di veduta, agli effetti della tutela restitutoria di cui all'art. 1168 c.c., non è necessario accertare che la veduta sia esercitata in forza di un regolare titolo di acquisto, essendo sufficiente, invece, la corrispondenza tra l'esercizio di fatto delle facoltà della parte istante ed il contenuto della servitù prediale, in forza di un accertamento, demandato al giudice di merito, incentrato sull'esistenza di opere che consentono il possesso delle predette facoltà e del pregiudizio che ad esse deriverebbero dalla costruzione della controparte.

Cass. civ. n. 14067/2005

Lo spoglio del possesso di un bene (nella specie, cortile condominiale) ben può rimanere integrato dalla messa in esecuzione da parte dell'amministratore di condominio, con la consapevolezza di agire contro la volontà espressa o presunta del possessore, di opere deliberate dall'assemblea (nel caso, chiusura dell'accesso mediante recinzione ed apposizione di cancello elettrico), non assumendo rilievo la circostanza che la domanda di sospensione delle delibere in questione risulti essere stata in precedenza giudizialmente rigettata, stante l'ontologica diversità tra il giudizio avente ad oggetto l'impugnazione delle delibere e quello possessorio.

Cass. civ. n. 9562/2005

Al fine della tutela del possesso corrispondente ad una servitù di passaggio, è irrilevante la circostanza che il passaggio medesimo non sia necessario od indispensabile al possessore, per avere questi altri e più comodi accessi al proprio fondo, atteso che l'utilità, quale elemento costitutivo essenziale della servitù, viene in considerazione unicamente in sede petitoria, come vantaggio che il fondo servente sia in grado di arrecare direttamente al fondo dominante.

Cass. civ. n. 9226/2005

In tema di reintegrazione del possesso, il detentore qualificato o autonomo che proponga azione di spoglio non invoca a suo favore un semplice rapporto di fatto con il bene, bensì un titolo che lo legittima alla detenzione nel proprio interesse; ne consegue che egli deve provare l'esistenza del titolo posto a base dell'allegata detenzione e che il giudice deve verificare la sussistenza, la validità ed efficacia del rapporto dedotto.

Cass. civ. n. 24026/2004

Ai fini della reintegrazione nel possesso di una servitù di passaggio, non occorre che il possesso abbia i requisiti richiesti per l'usucapione, ma è sufficiente la prova dei durevole e pacifico utilizzo del passaggio in epoca prossima a quella dello spoglio, dal quale è consentito presumere anche l'utilizzo nel momento dello spoglio stesso, e che il transito è stato dall'attore effettuato nella sua qualità di possessore di un fondo cui si accede mediante quello attraversato.

Cass. civ. n. 17988/2004

La detenzione di un bene da parte di un coerede non priva gli altri coeredi (non detentori) del compossesso del bene ereditario, perché costoro succedono nella stessa situazione possessoria che faceva capo al de cuius senza necessità di alcun atto materiale di apprensione (nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha, nella specie, ritenuto, peraltro, configurabile in termini di spoglio il rifiuto di consegna delle chiavi di un immobile opposto agli altri coeredi dal coerede detentore che aveva altresì impedito loro anche il semplice accesso all'immobile, osservando, ancora, che integra senz'altro gli estremi dello spoglio — tutelabile con l'apposita azione di reintegrazione — l'atto a mezzo del quale il coerede detentore miri, anche senza violenza materiale, a modificare arbitrariamente a proprio vantaggio, ed in danno degli altri coeredi non detentori, la relazione di fatto con il bene, trasformando il compossesso in possesso esclusivo, e conseguentemente escludendo gli altri dalla possibilità di goderne allo stesso modo).

Cass. civ. n. 7538/2004

In tema di azione di spoglio, il possesso (o compossesso) di un bene, concretandosi in un potere di fatto sulla cosa, che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, non presuppone l'effettiva e continua utilizzazione della cosa in ogni sua parte, essendo sufficiente una relazione con il bene unitariamente considerato, anche se si concreti, per le particolari esigenze del possessore, in forme di godimento limitato. (La Corte ha cassato la decisione impugnata che, nel rigettare la domanda di reintegra del compossesso di uno spiazzo e di una stradella di accesso, aveva ritenuto che l'attore non avesse dimostrato l'esatta estensione del compossesso, rilevando che la costruzione realizzata dai convenuti aveva ridotto la lunghezza della stradella senza impedirne la percorribilità per accedere allo spiazzo).

Cass. civ. n. 5760/2004

L'acquirente di bene immobile che, anziché agire in via petitoria a tutela del diritto asseritamente violato, intende avvalersi della tutela possessoria è tenuto, in caso di contestazione da parte del convenuto, a fornire la prova del concreto esercizio del proprio possesso sul bene medesimo, risultando a tale fine inidonea la mera produzione in giudizio del titolo di acquisto, che vale soltanto a rafforzare ad colorandam possessionem la prova stessa.

Cass. civ. n. 4952/2004

L'esistenza di un diritto di servitù di passaggio su fondo altrui non esclude che il proprietario del fondo servente possa servirsi delle opere realizzate per renderne possibile l'esercizio, salvo che ciò sia escluso dal titolo della servitù o che tale utilizzazione comprometta il passaggio del titolare della servitù. (I giudici di appello avevano ritenuto non configurabile, ai sensi dell'art. 1168 c.c., lo spoglio del possesso lamentato dai ricorrenti in relazione alla chiusura di un varco da essi aperto nella loro proprietà, compiuta dal Condominio titolare di un diritto di servitù di passaggio gravante sul fondo dei ricorrenti. La Corte, nel cassare la sentenza, ha ritenuto legittima l'utilizzazione del varco da parte dei ricorrenti che se ne servivano per accedere a un'area condominiale).

Cass. civ. n. 8075/2003

... A tal fine, è sufficiente che l'erede provi la propria qualità di successore universale, non richiedendosi la dimostrazione dell'esistenza di un titolo che autorizzi ad esercitare il potere di fatto sulla cosa. Inoltre, costituendo il possesso, ai sensi dell'art. 1140 c.c., un potere di fatto che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio non solo della proprietà, ma di ogni altro diritto reale, l'erede di chi possedeva la cosa come usufruttuario è legittimato ad esperire i rimedi apprestati dall'ordinamento contro chiunque compia atti di spoglio o di turbativa e anche nei confronti della persona divenuta piena proprietaria del bene per effetto dell'estinzione del diritto di usufrutto di cui era titolare il defunto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso la legittimazione degli eredi del soggetto che possedeva un immobile a titolo di usufrutto a promuovere l'azione di reintegrazione nei confronti di chi era divenuto pieno ed esclusivo proprietario del bene con l'estinzione dell'usufrutto).

Cass. civ. n. 3290/2003

Il giudice che accordi la tutela possessoria al detentore senza titolo dell'immobile, ovvero la neghi a colui che la richieda nei confronti di quello, non legittima con ciò stesso il possesso nei confronti del proprietario, né esclude il diritto di quest'ultimo di ottenere la restituzione ed il risarcimento dei danni subiti per non aver potuto disporre liberamente del suo bene.

Cass. civ. n. 643/2003

In tema di possesso delle servitù ed in ipotesi di dedotto spoglio, va negata la tutela richiesta ai sensi dell'art. 1168 c.c. quando il modo di esercizio della servitù non rimanga modificato dal mutamento dello stato dei luoghi, cosicché la servitù stessa può continuare ad essere esercitata nel modo e con i mezzi con cui in precedenza veniva già esercitata.

Cass. civ. n. 636/2003

Nel caso di spoglio o di turbativa posti in essere con più atti materiali distanziati nel tempo, il termine di un anno per l'esperimento dell'azione possessoria non può decorrere dal primo di essi se dopo ciascun atto, e senza nessuna opposizione da parte dell'agente, venga ripristinata ad opera dello spogliato la situazione precedente, venendo meno in tal caso il collegamento tra i vari atti, ciascuno dei quali va riferito ad un distinto periodo di possesso.

Cass. civ. n. 16956/2002

Ai fini della tutela del possesso di una servitù, per accertare e qualificare la relazione di fatto instauratasi fra il ricorrente ed il fondo che si assume servente non è sufficiente avere riguardo alla pratica dell'anno precedente al preteso spoglio (o alla turbativa), dovendosi valutare l'intera relazione di fatto, così come si è sviluppata nel tempo. La regola, posta dall'art. 1066 c.c., secondo la quale occorre avere riguardo alla pratica dell'anno antecedente, infatti, indica solo i criteri che devono essere seguiti per risolvere le controversie relative alla misura e alle modalità del possesso delle servitù, ma non stabilisce che per qualificare come possesso la relazione di fatto col fondo che si assume come servente occorra riferirsi solo alle manifestazioni di detta relazione nell'anno precedente al preteso spoglio.

Cass. civ. n. 13747/2002

In tema di spoglio di beni oggetto di compossesso fra i condomini la loro mancata utilizzazione da parte di alcuni condomini, che costituisce manifestazione delle facoltà comprese nel diritto di proprietà e nel relativo possesso, non esclude l'animus spoliandi da parte del condomino che si impossessi del bene comune trasformando l'utilizzazione uti condominus con l'uso uti dominus.

Cass. civ. n. 12173/2002

Nel caso di spoglio posto in essere con più atti, il termine di un anno per l'esercizio delle azioni possessorie decorre dal primo atto quando quelli successivi risultino obiettivamente legati al primo, in dipendenza dei caratteri intrinseci e specifici degli atti stessi, così da profilarsi come progressiva estrinsecazione di un medesimo disegno dello stesso iter esecutivo o come manifestazione di una stessa ed unica situazione lesiva dell'altrui possesso secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito.

Cass. civ. n. 10676/2002

Il detentore qualificato del bene, ovvero chi detenga la cosa nell'interesse proprio in forza di un titolo contrattuale anche atipico, è legittimato a proporre l'azione di reintegra nel possesso anche nei confronti dello stesso possessore, dovendosi escludere per contro che la legittimazione attiva sia estesa a qualsiasi detentore, purché non sia tale per ragioni di servizio o di ospitalità.

Cass. civ. n. 7621/2002

Nel giudizio possessorio l'eccezione feci, sed iure feci, è ammessa soltanto quando tende a far valere non già lo ius possessionis (cioè l'esistenza di un possesso nello spogliatore), ma lo ius possidendi (cioè il diritto di possedere dello spogliatore medesimo).

Cass. civ. n. 6221/2002

Il conduttore è detentore qualificato per conto del locatore possessore; egli ha diritto alla tutela della propria situazione giuridica mediante l'esercizio dell'azione di reintegrazione contro l'autore dello spoglio. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la pronunzia del giudice di merito, secondo il quale nel godimento del bene concesso in locazione rientrava la possibilità di fruire della somministrazione di energia elettrica, sicché il conduttore era legittimato alla tutela della possibilità di accedere al vano (nella specie, condominiale ove era sito il contatore).

Cass. civ. n. 15322/2001

II possesso è tutelato da spogli e molestie indipendentemente dal suo eventuale carattere lesivo di diritti altrui, i quali, pertanto, non possono essere utilmente opposti all'attore in reintegrazione o manutenzione, essendo consentito al convenuto farli valere solo dopo l'esaurimento del giudizio possessorio e l'esecuzione del provvedimento che lo ha concluso (salva l'ipotesi di un pregiudizio irreparabile che ne possa derivare). L'eccezione feci, sed iure feci, pertanto, è ammessa in sede possessoria se investe non già lo ius possidendi, ma lo ius possessionis, dovendo consistere nella deduzione non di un diritto, ma di un altro possesso, incompatibile con quello vantato dall'attore, in quanto lo esclude o lo comprime o lo limita. (Alla stregua dei principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato la decisione del tribunale che, in riforma alla decisione pretorile — la quale aveva accolto la domanda degli originari attori che, lamentando lo spoglio o molestia derivanti da lavori di scavo, avevano chiesto la reintegrazione o manutenzione del possesso, stabilendo che l'intimato dovesse provvedere alla riduzione in pristino del terreno dei ricorrenti e astenersi dal compimento di ulteriori lavori di scavo — aveva respinto detta domanda, ritenendo l'appellante titolare di una servita di acquedotto, come sarebbe stato desumibile dall'esistenza di una tubatura per la cui riparazione era stato eseguito lo scavo in questione).

Cass. civ. n. 15130/2001

Al fine della configurabilità dello spoglio, il quale costituisce un atto illecito che lede il diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa, obbligando chi lo commette al risarcimento del danno, con l'atto materiale deve coesistere il dolo o la colpa, la cui prova incombe su chi propone la domanda di reintegrazione, mentre rappresenta apprezzamento di fatto — riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logica e sufficiente — l'accertamento dell'esistenza dell'indicato elemento soggettivo, ed il possessore non deve debba provare anche la consapevolezza dell'autore della lesione di aver violato l'altrui diritto.

Cass. civ. n. 10819/2001

In tema di tutela possessoria, non ogni modifica apportata da un terzo alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso costituisce, spoglio o turbativa, essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l'esercizio del possesso. (Principio affermato in relazione alla costruzione di un muro comportante riduzione di un'area destinata a servitù di passaggio, senza che, però, ne risultasse impedito il transito anche veicolare).

Cass. civ. n. 10406/2001

In una situazione di compossesso il godimento del bene da parte dei singoli compossessori assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di essi abbia alterato e violato senza il consenso e in pregiudizio degli altri partecipanti lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore sulla cosa medesima, o che in modo apprezzabile ne modifichi o turbi le modalità di esercizio (nella specie, la S.C., in forza del sopraenunciato principio, ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza del giudice d'appello che aveva escluso che l'apposizione, da parte di alcuni dei comproprietari, di una lapide sulla facciata esterna di una cappella funeraria in aggiunta a quella preesistente e convenzionalmente accettata da tutti i compossessori potesse costituire turbativa o molestia del compossesso del bene comune in danno degli altri comproprietari del bene).

Cass. civ. n. 3984/2001

Nei casi in cui oggetto del possesso sia stata la porzione di uno stabile interamente demolito ma poi ricostruito, non è esperibile l'azione di spoglio poiché difetta il presupposto stesso della tutela e non può esplicarsi la sua funzione recuperatoria; l'ontologica distinzione dei due immobili implica che una pronuncia di condanna alla reintegrazione darebbe luogo all'instaurazione di un potere di fatto nuovo e diverso, non al ripristino di quello che veniva svolto in precedenza.

Cass. civ. n. 15381/2000

Ai fini dell'esistenza dello spoglio o della turbativa del possesso non è necessaria la prova dell'animus spoliandi o turbandi in quanto gli artt. 1168 e 1170 c.c. prescindono del tutto dal riferimento psicologico, sicché va escluso che dalla natura di atto illecito della molestia o dello spoglio derivi che il possessore debba altresì provare la consapevolezza dell'autore dell'aggressione di aver violata la norma posta a tutela del pieno e libero esercizio del possesso.

Cass. civ. n. 11453/2000

La violenza, quale presupposto dell'azione di spoglio ex art. 1168 c.c., implica che lo spoglio venga commesso con atti arbitrari, i quali contro la volontà espressa o tacita del possessore tolgano a questo il possesso o gliene impediscano l'esercizio, con la consapevolezza, da parte di chi commette lo spoglio, di agire proprio per privare il possessore della cosa posseduta (cosiddetto animus spoliandi). La clandestinità va riferita, invece, allo stato di ignoranza di chi subisce lo spoglio, il quale deve essersi trovato nell'impossibilità di avere conoscenza del fatto costituente spoglio nel momento in cui questo viene posto in essere.

Cass. civ. n. 8489/2000

L'animus spoliandi consiste nella intenzione di attentare alla posizione possessoria altrui e non è escluso dall'essere l'autore dello spoglio assistito da un titolo negoziale, poiché il suo esercizio non elimina quell'intento che sorregge la condotta pregiudizievole di quel possesso per la cui tutela è apprestata l'azione di reintegrazione.

L'esercizio dell'azione di reintegrazione contro l'autore dello spoglio è consentito dall'art. 1168, secondo comma, c.c. anche al «detentore qualificato», a colui, cioè, che esercita il potere di fatto sulla cosa altrui con l'intenzione di tenerla a propria disposizione in virtù di un diritto personale. Poiché la posizione lato sensu possessoria del detentore non ha un'estensione oggettiva pari a quella del possesso stricto sensu tale da prescindere dal vincolo obbligatorio che ne concreta e delimita il fondamento, il giudice del merito, a fronte delle contestazioni dell'intimato, non può, ai fini del riconoscimento della tutela possessoria, esimersi dall'accertamento del rapporto obbligatorio e dalla verifica che l'attività, contestata dal preteso autore dello spoglio, rientri nell'ambito della detenzione consentita da quel rapporto. Tale verifica, vertendosi in tema di tutela possessoria, non va estesa all'opponibilità del rapporto al preteso autore dello spoglio.

Cass. civ. n. 8394/2000

Rientra tra le facoltà del comproprietario la installazione di un cancello sul passaggio comune, con consegna delle chiavi agli altri comproprietari, in quanto essa non impedisce l'altrui pari uso, e, pertanto, configura un atto compiuto nell'esercizio del diritto di apportare alla cosa comune le modifiche necessarie per il suo miglioramento, e non può considerarsi come spoglio, né come turbativa o molestia del compossesso degli altri comproprietari.

Cass. civ. n. 4679/2000

In tema di azione di reintegrazione, l'animus spoliandi non è escluso da una condotta oggettivamente lesiva sorretta dal convincimento di esercitare un preteso contrapposto diritto, essendo anzi rinvenibile nella stessa.

Cass. civ. n. 1825/2000

In tema di servitù di passaggio non ricorrono gli estremi dello «spoglio» quando l'esercizio da parte del proprietario del fondo servente della facoltà (riconosciutagli dalla legge) di chiudere il proprio fondo (nella specie, con un cancello) si attui in maniera tale da consentire, agli eventuali possessori del libero passaggio attraverso il medesimo, di continuare in fatto (attraverso, ad esempio la consegna della chiave o di un congegno di apertura automatica) l'esercizio della corrispondente servitù, in tal guisa contemperandosi le esigenze di tutela del diritto di proprietà del primo, con l'eventuale incomodo dei secondi nel praticare il passaggio.

Cass. civ. n. 1824/2000

In tema di azioni possessorie, la prova per testimoni del possesso, consistendo questo in una relazione materiale tra chi se ne assuma titolare e la cosa, può riguardare solo l'attività attraverso la quale il possesso si manifesta, non già il risultato del suo esercizio nel quale il possesso stesso si identifica, e ciò in applicazione della regola fondamentale secondo la quale la prova testimoniale deve avere ad oggetto non apprezzamenti o giudizi, ma fatti obiettivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che, in un'azione di manutenzione, aveva ritenuto inammissibile la prova testimoniale del possesso per essere stato il relativo capitolo di prova formulato dal ricorrente nel modo seguente. «Vero che ..., unendo il proprio possesso a quello dei loro danti causa, sono compossessori da oltre un ventennio in modo continuo, pubblico, pacifico, non equivoco ed esclusivo dei sottodescritti immobili...»).

Cass. civ. n. 924/1999

L'azione possessoria contro la pubblica amministrazione è esperibile sia se questa agisca iure privatorum, sia se ponga in essere un'attività sine titulo, cioè in assenza di qualsiasi potere giuridico ad essa conferito dalla legge, in quanto in tali casi si ha un comportamento meramente materiale e non opera, perciò, il divieto di condanna ad un facere previsto dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E. Qualora, invece, l'attività dell'amministrazione si risolva nell'esecuzione di un potere pubblico o di un atto amministrativo sia pure viziato, la tutela possessoria è inammissibile, perché questa, dovendo ripristinare la situazione modificata o turbata dall'attività denunziata si attuerebbe con un provvedimento di natura costitutiva che, elidendo gli effetti dell'azione amministrativa, violerebbe il divieto imposto dal giudice ordinario dall'art. 4 della legge indicata.

Cass. civ. n. 5200/1999

Poiché per integrare l'elemento soggettivo della lesione possessoria è necessario il dolo o almeno la colpa, deve tenersi conto delle cause soggettive di esclusione dell'illecito, tra le quali figura l'errore scusabile determinato dalla palese e obiettiva difficoltà nel ricondurre alla previsione normativa, pur esaminata con la dovuta diligenza, il caso concreto. (Nella specie il giudice di merito aveva dato rilievo all'obiettiva incertezza in ordine all'applicabilità al caso concreto delle norme locali in materia di stanze tra edifici).

Cass. civ. n. 3674/1999

Il requisito della clandestinità cui risulta subordinata l'azione di reintegrazione ex art. 1168 c.c. importa che la privazione del potere di fatto sul bene accada all'insaputa del possessore, il quale ne venga — così — a conoscenza solo in un momento successivo.

Cass. civ. n. 1204/1999

Ricorre spoglio violento anche nella privazione dell'altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trova il possessore eseguita contro la volontà anche soltanto presunta del possessore; presunzione sussistente sempre che manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso e che non è superata dal semplice silenzio, fatto di per sé equivoco che non può essere interpretato senz'altro come manifestazione di consenso o di acquiescenza.

Cass. civ. n. 10477/1998

Qualora sia stata proposta azione di reintegrazione nel possesso allegandosi dall'attore la propria situazione di detentore qualificato del bene in ordine al quale si assume essere avvenuto il denunziato spoglio, il giudice del merito a fronte della contestazione del convenuto, deve verificare il titolo della pretesa detenzione, ponendo a carico dell'attore il relativo onere della prova, e verificare la sussistenza, la validità e l'efficacia del rapporto dedotto.

Cass. civ. n. 8233/1998

La trasformazione di una servitù di passaggio mediante modificazione delle opere necessarie al suo esercizio, ovvero il suo trasferimento in altro luogo per unilaterale iniziativa del proprietario di uno dei due fondi integra (in assenza di accordo tra i proprietari medesimi o di un ordine del giudice) gli estremi, oggettivi e soggettivi, dello spoglio violento, rimanendo riservate all'eventuale giudizio petitorio la valutazione delle ragioni addotte dal proprietario convenuto in possessoria circa la esistenza di un suo diritto alla trasformazione o allo spostamento del passaggio (anche se venga, in concreto, rappresentata una assenza di danno, se non addirittura un vantaggio, per il fondo dominante).

Cass. civ. n. 5808/1998

Integra una violazione dell'altrui possesso, tutelato dalla legge come stato di fatto, qualunque modificazione dello stato dei luoghi operata con la consapevolezza del divieto espresso o tacito del possessore, con la conseguenza che ai fini della tutela possessoria di una servitù deve farsi riferimento non alla possibilità di esercizio della stessa, bensì al modo in cui la servitù veniva esercitata prima che la situazione dei luoghi fosse stata modificata.

Cass. civ. n. 5714/1998

Sussiste spoglio allorché il proprietario, possessore del fondo gravato da servitù di passaggio restringe l'ampiezza dell'iter, pur se in ottemperanza a norme imperative di legge — (nella specie installandovi una scala antincendio in corrispondenza delle uscite di sicurezza di un suo sottostante esercizio pubblico) — perché tale intento non esclude l'animus spoliandi, mentre la modifica dell'esercizio di una servitù, in mancanza di accordo con il possessore del fondo dominante, deve esser chiesta in un giudizio petitorio.

Cass. civ. n. 5314/1998

L'affidamento di un bene (come conseguenza della stipula di un contratto atipico) per la realizzazione di un interesse proprio anche dell'affidatario conferisce, a quest'ultimo, la detenzione qualificata della res, tutelabile, ex art. 1168 c.c., con l'esercizio dell'azione di reintegrazione non solo nei confronti del concedente, ma anche del terzo autore materiale dello spoglio e consapevole della violenza usata per contrastare l'opposta volontà dello spoliatus (ancorché tale terzo abbia agito su incarico del concedente), a condizione che il rapporto scaturente dal contratto abbia carattere non di mera saltuarietà od occasionalità, ma di concreta stabilità, onde consentire all'affidatario la detenzione della cosa fino a quando non sia esaurita l'attività per la quale essa gli era stata consegnata.

Cass. civ. n. 4526/1998

Per la configurabilità del possesso di servitù di veduta, tutelabile con l'azione di spoglio, non è necessario che l'opera da cui è esercitata sia destinata esclusivamente all'affaccio sul fondo del vicino, se per ubicazione, consistenza e caratteristiche, il giudice del merito ne accerti l'oggettiva idoneità all'inspicere e al prospicere in alienum, come nel caso di vedute da terrazze, lastrici solari, ballatoi, pianerottoli, porte di accesso, scale.

Cass. civ. n. 3549/1998

La legittimazione a proporre l'azione di reintegrazione nel possesso va apprezzata in riferimento alla data del sofferto spoglio e non già con riguardo alla data della proposizione del ricorso di cui all'art. 703 c.p.c., alla quale per definizione si assume cessato, proprio in ragione dello spoglio, il potere di fatto sulla cosa, di cui appunto si domanda la reintegrazione. Consegue che è irrilevante il venire meno del titolo della detenzione qualificata (nella specie locazione) in epoca successiva al fatto lesivo, attenendo tale modificazione alla sfera del petitorio, mentre la tutela possessoria è concessa a salvaguardia della situazione di fatto ed non di diritto.

Cass. civ. n. 1206/1998

In tema di azione di reintegrazione del possesso deve riconoscersi a ciascuno dei compossessori la facoltà di agire a tutela del proprio compossesso, senza che insorga necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i compossessori, non ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario, né di inscindibilità delle cause, essendo idonea la pronuncia a produrre effetti nei confronti della parte revocata in giudizio, onde la stessa non può dirsi inutiliter data.

Cass. civ. n. 1131/1998

Al fine di ritenere l'esistenza di uno spoglio occulto o clandestino è necessario non tanto che il possessore abbia ignorato il fatto, ma soprattutto che egli si sia trovato nella impossibilità di averne cognizione, onde per escludere la clandestinità è determinante la presenza di persone che in qualsiasi modo rappresentino il possessore o la conoscenza del fatto da parte delle medesime.

Cass. civ. n. 1042/1998

Nelle azioni possessorie, l'eccezione feci, sed iure feci del convenuto che deduce di essere compossessore della cosa, rende necessario l'esame del titolo per stabilire sia pure ad colorandam possessionem, l'esistenza e l'estensione del diritto che si allega. Pertanto, tale eccezione deve ritenersi ammissibile se il convenuto tenda a dimostrare di aver agito nell'ambito della sua relazione di fatto, esclusiva o comune, con il bene, mentre deve ritenersi inammissibile se il convenuto mira a fare accertare il suo diritto sul bene medesimo, non potendo essere desunta in sede possessoria la prova del possesso del regime legale o convenzionale del corrispondente diritto reale, occorrendo, invece, dimostrare l'esercizio di fatto del vantato possesso indipendentemente dal titolo e ciò anche dopo la parziale dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 705 c.p.c., in quanto il convenuto in giudizio possessorio può opporre le sue ragioni solo quando dalla esecuzione della decisione sulla domanda possessoria potrebbe derivargli un danno irreparabile, e sempre che l'eccezione sia finalizzata solo al rigetto e della domanda possessoria e non implichi, quindi, deroghe alle regole generali sulla competenza.

Cass. civ. n. 13101/1997

In tema di azione di spoglio, l'accertamento del giudice deve riguardare non soltanto l'elemento oggettivo della privazione, totale o parziale, del possesso avvenuta violentemente o clandestinamente (da provarsi da parte dell'attore del giudizio possessorio), ma anche il correlato elemento soggettivo (il cosiddetto animus spoliandi), il quale può legittimamente ritenersi insito nel fatto stesso di privare del godimento della cosa il possessore contro la sua volontà (espressa o tacita), indipendentemente dalla convinzione dell'agente di operare secondo diritto ovvero con il proposito di ripristinare la corrispondenza tra situazione di fatto e situazione di diritto. La esistenza del detto elemento soggettivo può, pertanto, venir esclusa quando sia provato, da parte del convenuto nel giudizio possessorio, il proprio ragionevole convincimento circa il consenso del possessore alla modifica o alla privazione del suo possesso.

Cass. civ. n. 11119/1997

Il convincimento di esercitare un proprio diritto non esclude l'animus spoliandi neppure quando lo spoglio è compiuto da un compossessore ed è inopponibile quando l'attività materiale di un condomino sulle cose comuni sia in contrasto con l'esercizio attuale o potenziale di analoga partita di altro condomino, limitandone i poteri corrispondenti sulle predette cose comuni.

Cass. civ. n. 10366/1997

L'animus spoliandi, che integra l'elemento soggettivo della condotta tesa a violare l'altrui possesso, si sostanzia nella consapevolezza di attentare ad esso contro la volontà, manifesta o presunta, del possessore, consapevolezza espressa secondo le forme del dolo o della colpa, situazioni soggettive invero indefettibili nella struttura complessiva dell'atto illecito (quale indiscutibilmente risulta la privazione o la violazione dell'altrui possesso).

Cass. civ. n. 7994/1997

Anche in tema di «spoglio» commesso dal compossessore, la ricorrenza dell'animus spoliandi è insita nel fatto stesso di privare l'altro del possesso, in modo violento e clandestino, ciò implicando la consapevolezza dell'autore dello «spoglio», di agire contro la volontà espressa o presunta.

Cass. civ. n. 2247/1997

Ai fini della tutela possessoria l'attore ha l'onere di fornire la prova dell'esercizio di fatto del possesso indipendentemente dal titolo, non potendo detta prova desumersi dal regime legale o convenzionale del diritto reale corrispondente.

Cass. civ. n. 2028/1997

Configura spoglio in danno del conduttore — che perciò è legittimato attivo alla relativa azione prevista dall'art. 1168 c.c. — la privazione del godimento del bene locato, pur se effettuata dal locatore e pur se questi ritiene di agire nell'ambito dei diritti derivatigli dal contratto. (Nella specie il locatore, riservatosi il godimento su un lato di capannone, concesso ad altri in locazione sull'altro lato, aveva chiuso il comune ingresso ad esso con lucchetto, impedendovi l'accesso al conduttore).

Cass. civ. n. 1798/1997

L'attribuzione dell'azione di reintegrazione anche al detentore (salvi i casi di detenzione per ragioni di servizio o di ospitalità) comporta che una volta accertata la materiale detenzione della cosa da parte del soggetto che ha proposto l'azione (e in assenza delle suindicate ragioni giustificatrici della detenzione) sia superfluo accertare se il potere di fatto si sia concretato o no nel possesso in senso stretto, manifestato cioè come corrispondente all'esercizio della proprietà o di un diritto reale.

Cass. civ. n. 5952/1996

II soggetto che fa valere in sede possessoria, al fine di conseguire la reintegrazione del possesso, non già il pregresso esercizio da parte sua di un potere di fatto sulla cosa corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà o di un altro di diritto reale, ma un potere di fatto accompagnato dal riconoscimento di una prevalente situazione giuridica altrui, e cioè la detenzione e non già il possesso della cosa, ha l'onere non solo di specificare ma anche di provare il titolo in base al quale esercitava il potere sul bene. Infatti l'art. 1168 c.c. tutela solo la detenzione qualificata, quella cioè in cui il rapporto di fatto con la cosa è in funzione dell'interesse del detentore, quale mezzo per l'esercizio di un suo diritto, mentre, nel caso di detenzione per ragioni di servizio o di ospitalità, la norma riconosce al solo possessore di conseguire la reintegrazione. Né può rilevare la dedotta sopravvenienza nel corso del giudizio di una situazione pienamente possessoria, in mancanza della prova della interversione del possesso ai sensi dell'art. 1141 c.c. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, valorizzando la presunta esistenza di una prova del possesso da parte dell'attore, aveva accolto l'azione di spoglio da lui proposta, benché inizialmente lo stesso avesse precisato di fruire del bene quale conduttore).

Cass. civ. n. 5740/1996

Perché ricorra lo spoglio a mezzo dell'ufficiale giudiziario è necessario che il titolo in forza del quale si proceda non abbia efficacia contro il possessore e che l'intervento dell'ufficiale giudiziario sia stato maliziosamente provocato da colui che ha richiesto l'esecuzione, vale a dire che l'istante conscio dell'arbitrarietà della sua richiesta, abbia in mala fede sollecitato l'intervento dell'ufficiale giudiziario. Stante la presunzione di legittimità che inerisce all'attività dell'ufficiale giudiziario quale organo del pubblico potere, l'onere della prova dell'arbitrarietà della condotta dello stesso incombe su colui che invoca la tutela possessoria.

Cass. civ. n. 3660/1996

Il mancato esercizio per un anno di una servitù di passaggio a intervalli infrannuali non fa perdere al titolare il possesso della stessa ove ne permanga la possibilità e resti, quindi, fermo l'animus possidendi. Invero, il carattere saltuario dell'esercizio delle servitù discontinue non ostacola l'esperibilità delle azioni a tutela del possesso, dovendo esso essere valutato in relazione alle peculiari caratteristiche ed esigenze delle servitù stesse, essendo sufficiente, una volta instaurata sul bene le relazione di fatto sostenuta dal relativo animus possidendi, che il bene possa continuare a considerarsi nella virtuale disponibilità del possessore, che può venir meno soltanto in presenza di chiari ed univoci segni dell'animus derelinquendi.

Cass. civ. n. 3295/1996

In tema di tutela del possesso di servitù di passaggio, quando i risultati della prova non consentono di escludere che il transito sia stato consentito per mera tolleranza, l'incertezza sulla configurabilità di una situazione possessoria non può essere superata in base al titolo prodotto in giudizio, il cui esame è consentito solo ad colorandam possessionem, e cioè per qualificare una già accertata situazione di fatto individuando il diritto al cui esercizio il possesso corrisponde, ma non per dimostrare quest'ultimo, che va rigorosamente provato dall'attore.

Cass. civ. n. 12227/1995

In tema di uso della cosa comune, non può ritenersi consentita l'installazione, da parte di un condomino, per suo esclusivo vantaggio ed utilità, di un cancello in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla costituzione del condominio al passaggio dei condomini, per l'accesso, tra l'altro, a vani di proprietà esclusiva dei medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in quanto detta installazione costituisce — anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi del cancello — una modificazione delle modalità di uso o di godimento della cosa comune, che interferisce sul «pari uso» della stessa spettante agli altri condomini.

Cass. civ. n. 4461/1995

In tema di condominio di edifici, l'apposizione di transenne tubolari ai marciapiedi comuni, le quali impediscono a taluni condomini l'accesso con i veicoli a detti marciapiedi ai quali in passato essi avevano acceduto, integra attività di spoglio e l'eccezione dell'amministratore di averlo compiuto in esecuzione di una deliberazione condominiale legittima e non impugnata (feci sed iure feci) non è idonea ad escludere l'animus spoliandi, soprattutto se, come nella specie, per lungo tempo dopo l'assunzione della deliberazione, i condomini abbiano continuato ad esercitare il possesso.

Cass. civ. n. 3377/1995

Allorquando il giudice di primo grado, pur rigettando la richiesta di reintegrazione nel possesso di una servitù per l'oggettiva impossibilità di ripristino dell'originario stato dei luoghi su cui insisteva la stessa, abbia emesso una statuizione di accertamento dell'avvenuto spoglio da parte del convenuto ed abbia, conseguentemente, condannato l'autore dello spoglio al risarcimento del danno derivante dall'avvenuta violazione del possesso, sussiste, per il soccombente, l'interesse ad impugnare la pronuncia sulla domanda possessoria, deducendo che la relativa azione era improponibile per l'avvenuto decorso, al momento della richiesta di reintegrazione, del termine annuale dell'avvenuto spoglio, al fine di conseguire anche il rigetto dell'azione di risarcimento del danno a tale titolo proposta, in quanto soggetta agli stessi termini dell'azione possessoria.

Cass. civ. n. 3055/1995

Anche la esecuzione di un provvedimento giudiziario senza il rispetto delle forme e delle modalità previste nello stesso provvedimento o nella legge può concretare uno spoglio tutelabile (nella specie, il soggetto, autorizzato, con provvedimento di urgenza, ad eseguire il distacco di un tubo di derivazione di acqua potabile dal suo impianto idrico, previa esecuzione dei lavori necessari per assicurare, per altra via, la fornitura dell'acqua nell'appartamento del vicino, aveva eseguito il distacco del tubo di derivazione direttamente e senza attendere l'esecuzione dei lavori previsti nel provvedimento d'urgenza).

Cass. civ. n. 11064/1994

Ove, con deliberazione congiuntamente adottata dai condomini proprietari, ciascuno per un tratto, di una strada di collegamento fra i diversi edifici condominiali, venga disposta la chiusura continua dei cancelli d'accesso alla strada anzidetta, con consegna ai condomini del congegno elettronico di apertura, la concreta attuazione di tale delibera non può configurare lesione del possesso esercitato dai condomini, iure proprietatis, sul tratto di strada appartenente al condominio del quale essi fanno parte, dal momento che, quanto alle modalità di esercizio del loro diritto sulle parti comuni, essi, come condomini, sono vincolati alla volontà espressa dalla maggioranza, ma ben può integrare una lesione possessoria con riguardo al passaggio da essi esercitato sull'intera strada iure servitutis.

Cass. civ. n. 10363/1994

La recinzione di un fondo da parte di taluni dei compossessori attuata in modo tale da consentire agli altri compossessori il libero accesso al fondo medesimo e quindi il libero esercizio del loro compossesso non costituisce spoglio e neppure molestia o turbativa del compossesso degli altri in quanto raffigura un atto lecito rientrante nelle facoltà dei compossessori, trovando al contempo ogni eventuale incomodo di accesso adeguata compensazione nell'esigenza comune a tutti i compossessori di tutela del compossesso del fondo dall'ingerenza di estranei.

Cass. civ. n. 9206/1994

Con riguardo alle azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario ogni qual volta, in relazione al petitum sostanziale della sottostante pretesa di merito, la domanda risulti diretta a tutelare una posizione di diritto soggettivo, ovvero sia rivolta contro un comportamento di fatto della P.A. il quale, ancorché diretto al perseguimento di finalità di ordine generale, non sia attuato in esecuzione di poteri pubblici o di provvedimenti amministrativi. (Nella specie è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento all'azione di manutenzione promossa dai proprietari di una strada interpoderale nei confronti del comune che, assumendo trattarsi di strada vicinale gravata da uso pubblico, aveva provveduto a rimuovere una sbarra apposta al suo inizio).

Cass. civ. n. 8874/1994

Consistendo lo spoglio nella privazione del possesso o della detenzione esercitati da un soggetto su di una cosa, la vendita di un bene da parte del comproprietario-compossessore in quanto traslativa dello ius possidendi, ma non necessariamente dello iuris possessionis, non è sufficiente ad integrare gli estremi dello spoglio in danno degli altri compossessori ove non segua l'immissione di fatto dell'acquirente nel possesso del bene a lui venduto.

Cass. civ. n. 5732/1994

Le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell'eventuale identità soggettiva, sono caratterizzate dall'assoluta diversità degli ulteriori elementi costitutivi (causa petendi et petitum), e, conseguentemente, i provvedimenti e le soluzioni adottate in sede possessoria, lasciando impregiudicata ogni questione sulla legittimità della situazione oggetto di tutela, non possono influire sull'esito del giudizio petitorio. Né le prove acquisite nel giudizio possessorio possono (salvo che non siano state richieste con riguardo a siffatta utilizzazione) essere richiamate nel giudizio petitorio, in favore dell'una o dell'altra parte.

Cass. civ. n. 5281/1994

L'esistenza di un giudicato penale di condanna che si fondi sull'accertata illiceità del possesso di un determinato bene non preclude al possessore l'esercizio dell'azione di reintegrazione contro l'autore di un eventuale spoglio, configurandosi l'azione stessa come rimedio eccezionale, concesso per ragioni di ordine pubblico a tutela della situazione di fatto, quale è dato apprezzare nei suoi soli connotati materiali, a prescindere da qualificazioni giuridiche o da stati soggettivi di mala fede del possessore.

Cass. civ. n. 3749/1994

La rimozione delle opere che rendono apparente una servitù (nella specie, di passaggio), senza pregiudicarne od ostacolarne l'esercizio, non danno (rectius: N.d.R.) luogo ad uno spoglio, che presuppone una privazione (totale o parziale) del possesso, non ravvisabile in atti pregiudizievoli soltanto della sua attitudine di fatto costitutivo della usucapione del corrispondente diritto, possibile solo per le servitù apparenti.

Cass. civ. n. 2111/1994

Il regime probatorio (e, in particolare, la distribuzione dell'onere della prova tra le parti) nel procedimento possessorio instaurato a tutela della detenzione qualificata è notevolmente diverso da quello a tutela del possesso in senso proprio (ossia corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale). Mentre, in questo ultimo caso, il titolo da cui si assume avere origine il possesso, non può esser fatto valere per dimostrare la esistenza dello jus possidendi ma solo ad colorandam possessionem, e cioè per rafforzare la prova dell'esistenza di atti materiali integranti il possesso, nel primo procedimento invece, colui che assume di essere detentore qualificato ha l'onere di provare l'esistenza del titolo, da cui la detenzione ha avuto origine e che comporta necessariamente la trasmissione della detenzione stessa (locazione, deposito, comodato, contratto agrario, ecc.) ma non anche la persistenza della sua validità ed efficacia nel momento dello spoglio. (Nella specie la C.S. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto insufficiente la prova, fornita dagli affittuari di fondi rustici, della detenzione qualificata di alcuni fabbricati, sulla base del mero rapporto di pertinenzialità con i fondi in affitto, essendo peraltro tale circostanza contrastata dallo stato di rovina e inagibilità dei fabbricati).

Cass. civ. n. 1964/1994

Ai fini della configurabilità, in astratto, di uno spoglio a mezzo di ufficiale giudiziario, non è richiesto un titolo assolutamente abnorme ma è sufficiente che il titolo in forza del quale si procede non abbia efficacia contro il possessore, come quando, nell'ipotesi di un provvedimento di rilascio d'immobile, esso non sia eseguibile per sopraggiunte disposizioni legislative di proroga degli sfratti.

Cass. civ. n. 12790/1993

Ai fini dell'accoglimento dell'azione di reintegrazione è necessario accertare il possesso (o, ai sensi dell'art. 1168 comma secondo c.c., la detenzione qualificata) del soggetto spogliato al momento dello spoglio, restando irrilevante quale delle due parti in causa abbia posseduto il bene in contestazione in un'epoca anteriore.

Cass. civ. n. 10936/1993

Ai fini della tempestività dell'azione di spoglio, entro un anno dal fatto, deve farsi riferimento al giorno del deposito in cancelleria del ricorso al pretore, non a quello successivo della notificazione del ricorso stesso con il decreto di fissazione della comparizione delle parti, tenendo conto che detto deposito segna l'esercizio del diritto da parte dell'istante ed al contempo la instaurazione del procedimento possessorio.

Cass. civ. n. 8744/1993

Integra spoglio l'impedimento del possesso esistente, senza che possa diversamente rilevare la possibilità di un diverso modo di esercizio di detto possesso, atteso che questo verrebbe a porre in essere una situazione di fatto diversa dalla precedente ed estranea all'esercizio in atto tutelato.

Cass. civ. n. 7691/1993

In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto all'edificio), quando risulti quello di una o più delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.

Cass. civ. n. 7109/1993

Nell'ipotesi in cui il giudice d'appello con la sua pronuncia riformi la sentenza di primo grado, in base alla quale l'istante aveva conseguito il possesso della cosa oggetto della sua domanda di reintegrazione (art. 1168 c.c.), viene meno il titolo del conseguito possesso ed il convenuto in giudizio acquista il diritto alla restituzione della cosa; tuttavia, perché la situazione possessoria originaria possa essere ripristinata a favore della parte vittoriosa in appello, è necessario che questa abbia proposto la pretesa restitutoria, la quale non può ritenersi implicita nella richiesta di rigetto della domanda di reintegra del possesso. Ne consegue che il giudice d'appello incorre nel vizio di estrapetizione se, in riforma della decisione di primo grado, non si limiti a rigettare la domanda di reintegra del possesso, ma condanni colui che l'ha proposta a restituire il bene alla controparte, benché questa non ne abbia chiesto la restituzione.

Cass. civ. n. 5873/1993

Poiché «autore morale» dello spoglio — legittimato passivo dell'azione di reintegrazione — non è solo il mandante, ma anche chi abbia «coscientemente» tratto vantaggio dall'illecito possessorio altrui, chi ha acquistato la proprietà della cosa, con diritto alla consegna della stessa, commette spoglio non in qualunque caso in cui comunque ottenga dal suo dante causa l'adempimento e ne tragga quindi vantaggio, ma soltanto ove sia cosciente che lo stesso suo dante causa per effettuarne la consegna, abbia con violenza o clandestinità sottratto la cosa a chi la possedeva (o la deteneva con diritto alla tutela possessoria).

Cass. civ. n. 4628/1993

Per la configurabilità dello spoglio non è necessario che la privazione del possesso abbia carattere definitivo o permanente, essendo sufficiente che si manifesti con carattere duraturo, ossia che essa non si riveli di per sé come mero impedimento di natura provvisoria o transitoria, ma si presenti come destinata a permanere per una durata apprezzabile di tempo. (Nella specie la C.S. ha confermato sul punto la decisione di merito che aveva disposto la reintegra avendo ravvisato lo spoglio nel parcheggio sul fondo altrui di un'autovettura per diverse ore, per due volte distinte, in guisa da rendere impossibile il transito al proprietario).

Cass. civ. n. 12515/1992

Nel caso di azioni possessorie proposte contro la pubblica amministrazione, per comportamenti attuati in esecuzione di poteri pubblici o di provvedimenti amministrativi, vi è difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dell'amministrazione stessa, inteso nel senso che il divieto di elisione degli effetti dell'azione amministrativa, posto dall'art. 4, L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, preclude l'unica pronunzia che sia possibile richiedere al giudice ordinario e da lui soltanto ottenibile, senza che sia ipotizzabile una equipollente tutela perseguibile presso il giudice amministrativo, cui spetta, invece, di conoscere delle azioni eventualmente intraprese per far valere vizi del provvedimento (nella specie, di notificazione di quello concernente l'occupazione di un immobile in via di urgenza).

Cass. civ. n. 6477/1992

Il principio dell'improponibilità delle azioni possessorie nei confronti della P.A. non opera sia con riguardo ai meri atti materiali di questa, non ricollegabili nemmeno implicitamente all'esercizio di un potere amministrativo, sia agli atti che seppure tipicamente amministrativi, risultino emessi in totale carenza di potere. Ne consegue che, in presenza di presunto atto ablatorio, ove difetti uno dei presupposti dell'esistenza del relativo potere, quale è l'esatta individuazione, nell'atto medesimo, del bene di proprietà privata sul quale sono destinate a prodursi le conseguenze dell'azione della P.A., il comportamento da essa materialmente tenuto è perseguibile con le azioni suddette, senza che rilevi in contrario, ove si tratti di opere costitutive di una servitù, sul bene medesimo, il principio della cosiddetta espropriazione acquisitiva che costituisce un modo di acquisizione alla proprietà pubblica di un bene di proprietà privata, non potendo tale principio trovare applicazione in caso di imposizione di servitù.

Cass. civ. n. 8203/1991

Nei confronti dei terzi che lo abbiano privato del godimento del bene la legittimazione all'azione di reintegrazione spetta anche al detentore, a meno che il potere di fatto sulla cosa oggetto dello spoglio non derivi da un rapporto di servizio o di ospitalità, indipendentemente dal titolo della detenzione.

Cass. civ. n. 6772/1991

Ai fini dell'esercizio delle azioni possessorie, previste dagli artt. 1168, 1169, 1170 c.c., non si richiede che il possesso abbia gli stessi requisiti del possesso ad usucapionem, essendo le dette azioni destinate ad assicurare l'immediata tutela contro la privazione violenta e clandestina o la menomazione del possesso inteso come esercizio di fatto del potere sulla cosa, espresso in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di un diritto reale. Sono pertanto irrilevanti, ai fini della tutela apprestata dalle azioni possessorie, la frequenza e le modalità di esercizio del possesso, essendo l'azione di reintegrazione data a tutela di qualunque possesso, anche se illegittimo o abusivo, purché abbia i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale.

Cass. civ. n. 1863/1991

La proponibilità dell'azione di reintegrazione nei confronti della P. A. o del privato che abbia agito in attuazione di un provvedimento autorizzatorio della stessa, in relazione al divieto per l'autorità giudiziaria ordinaria di emettere, nei confronti dell'amministrazione stessa o di chi ne sia «longa manus», la pronuncia di una condanna ad un facere, presuppone che l'apprensione del bene altrui non sia avvenuta in base ad un provvedimento riconducibile a poteri autoritativi, ma concreti una mera attività di fatto, ancorché strumentale alla cura di interessi generali, come nel caso in cui, a fini espropriativi, il privato incaricato dalla P.A. abbia occupato un'estensione maggiore di quella prevista dal relativo decreto o non fedelmente eseguito l'incarico.

Cass. civ. n. 7874/1990

In tema di compossesso la cosiddetta eccezione feci sed iure feci (risolventesi nel richiamo di un titolo da cui si assume che derivi la liceità del comportamento denunziato con l'azione possessoria) può e deve essere esaminata dal giudice esclusivamente nella ipotesi in cui l'attore, pur riconoscendo l'esistenza di un compossesso del convenuto, assuma che questi ne abbia esteso la sfera in suo danno, in quanto in tal caso l'esame del titolo è diretto soltanto a stabilire, attraverso l'accertamento della consistenza del compossesso, se il comportamento asserito lesivo abbia o meno esorbitato dai limiti consentiti dal titolo stesso.

Cass. civ. n. 7836/1990

Ove l'attore, pur dichiarandosi titolare di un diritto reale, non chieda la tutela dei poteri e delle facoltà che ad esso ineriscono, ma invochi semplicemente il ristabilimento di una situazione di fatto inerente alla cosa oggetto di quel diritto, deve riconoscersi la natura possessoria dell'azione ed escludersene la natura petitoria e reale, esulando dal petitum l'affermazione o la negazione del diritto reale, senza che i riferimenti a posizioni soggettive di natura petitoria, che si accompagnino alla detta domanda volta semplicemente ad ottenere la tutela del possesso, valgono a modificarne la natura, essendo diretti soltanto ad colorandam possessionem, cioè ad illustrare la posizione giuridica soggettiva sottostante al potere di fatto esercitato sulla cosa e di cui si chiede la tutela.

Cass. civ. n. 7748/1990

In tema di azione di reintegrazione per spoglio, la privazione del possesso costituisce un fatto potenzialmente produttivo di effetti pregiudizievoli per il possessore, il che giustifica in suo favore la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno a carico dell'autore dello spoglio, la quale, costituendo una semplice declaratoria iuris, non impedisce che, nel successivo autonomo giudizio, sia accertata non solo la misura ma la stessa esistenza in concreto di un danno risarcibile.

Cass. civ. n. 5415/1990

Con riguardo al possesso la prova da parte di colui che l'invoca deve avere ad oggetto soltanto l'elemento di fatto (relazione materiale con la cosa) perché sia per il codice civile vigente (art. 1141) sia per quello abrogato (art. 687) si deve sempre presumere il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando non si prova che ha cominciato ad esercitarlo come detenzione, con la conseguenza che, provato il potere di fatto del soggetto che vanta il possesso ad usucapionem, fa carico alla controparte l'onere della prova della detenzione iniziale atta a vincere la presunzione iuris tantum del possesso legittimo.

Cass. civ. n. 3716/1989

In tema di servitù discontinue, come quelle di passaggio, il possesso tutelabile (nella specie, con l'azione di reintegrazione) va considerato in relazione alle peculiari caratteristiche ed alle esigenze dell'immobile a favore del quale il diritto stesso si esercita, senza venir meno in ragione del carattere solo saltuario del transito, essendo sufficiente, una volta instaurata sul bene la relazione di fatto sostenuta dal relativo animus possidendi, che il bene stesso possa continuare a considerarsi nella virtuale disponibilità del possessore, salvo che non risulti esteriorizzato da chiari ed univoci segni un animus derelinquendi.

Cass. civ. n. 3710/1989

In tema di possesso, qualora il convenuto con l'azione di reintegrazione eccepisca che il potere di fatto sul bene è stato esercitato dal pretesto spogliato per mera sua tolleranza (in considerazione di rapporti di amicizia, familiarità e buon vicinato) e per un tempo limitato, solo rispetto a questo periodo l'eccezione implica, in difetto della relativa prova, il riconoscimento dell'esercizio del detto potere di fatto. Essa, pertanto, non basta ad esonerare l'attore dall'onere della prova dell'esercizio del possesso al diverso e successivo momento dello spoglio, da cui dipende l'accoglimento dell'azione di reintegrazione, restando irrilevante quale delle due parti in causa avesse anteriormente posseduto il bene in contestazione.

Cass. civ. n. 1093/1989

L'azione per il risarcimento del danno ha natura possessoria quando il danno si fa consistere nella sola lesione del possesso, e quindi soggiace alle regole dettate sia in ordine alla competenza che in ordine al termine di decadenza per proporla, mentre non ha natura possessoria, e rientra nella previsione generale dell'art. 2043 c.c., sottraendosi quindi a quelle regole, quando si lamenti non la lesione del solo possesso ma anche quella di altri diritti del possessore.

Cass. civ. n. 1044/1989

Il termine per l'esercizio dell'azione possessoria, in caso di spoglio o turbativa effettuati in modo clandestino, non decorre dall'effettiva scoperta del fatto lesivo, ma dal giorno in cui lo stesso avrebbe potuto essere scoperto usando l'ordinaria diligenza dell'uomo medio.

Cass. civ. n. 958/1989

La presenza di opere visibili e permanenti, indicative di un transito, configura requisito ai fini dell'acquisto della servitù di passaggio per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, non anche per la tutela possessoria del passaggio medesimo, essendo all'uopo sufficiente la prova dell'effettuazione di detto transito sul bene altrui, per accedere al fondo di cui si abbia la proprietà od il possesso.

Cass. civ. n. 81/1989

Poiché è da presumere il possesso da parte di colui che eserciti un potere di fatto sulla cosa, spetta a chi contesti il possesso medesimo l'onere di provare che esso derivi da atti di tolleranza, i quali hanno fondamento nello spirito di condiscendenza, nei rapporti di amicizia o di buon vicinato e implicano una previsione di saltuarietà o transitorietà.

Cass. civ. n. 6583/1988

L'eccezione feci, sed iure feci, sollevata dal convenuto nel giudizio possessorio di reintegrazione, consente una valutazione del titolo posto a sostegno di detta eccezione al limitato fine di acquisire elementi di prova in ordine alla esistenza ed estensione del possesso che il convenuto opponga di avere sulla cosa per escludere o limitare quello ex adverso vantato, mentre è preclusa ogni indagine sull'eventuale ius possidendi del convenuto medesimo in considerazione del divieto di cumulo del giudizio petitorio con quello possessorio, stabilito dall'art. 705 c.p.c.

Cass. civ. n. 8784/1987

Il concetto di clandestinità di cui all'art. 1168 c.c., che deve essere stabilito esclusivamente in rapporto al soggetto passivo dello spoglio, ha un valore diverso da quello che assume quando costituisce un vizio del possesso in genere, poiché, mentre in quest'ultimo caso, la clandestinità è un vizio obiettivo, che implica occultamento di fronte a tutti, nell'ipotesi di spoglio basta che l'atto sia celato allo spogliato, anche se noto agli altri. È, pertanto, clandestino lo spoglio commesso all'insaputa del possessore o del detentore, che ne venga a conoscenza in un momento successivo, quando esso sia stato realizzato con atti che non siano venuti e non potessero venire a conoscenza dello spogliato, usando l'ordinaria diligenza.

Cass. civ. n. 4906/1987

Allorquando il convenuto in giudizio possessorio non contesti i fatti addebitatigli, ma sostenga di aver agito quale detentore qualificato in funzione di un rapporto contrattuale che lo lega a chi agisce in reintegrazione, proponendo in tal modo l'eccezione feci sed iure feci, la configurabilità dello spoglio è condizionata dalla natura del vincolo contrattuale dedotto e dall'analisi delle facoltà di godimento concesse a chi, in base a quel rapporto con la cosa, poteva disporne, di talché il giudice del merito è tenuto, sia pure ai soli fini del giudizio possessorio, ad esaminare l'eccezione ed alla conseguente indagine.

Cass. civ. n. 4625/1987

Nel giudizio possessorio assume rilievo esclusivo la situazione di fatto esistente al momento dello spoglio o della turbativa, con la conseguenza che, per l'esperimento delle azioni di reintegrazione o di manutenzione è sufficiente un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo o di mala fede, purché abbia i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale e il potere di fatto non venga esercitato per mera tolleranza dell'avente diritto.

Quando nel giudizio possessorio sia stata fornita la prova del possesso di colui che sostiene di essere stato spogliato, l'esame dei titoli può essere consentita solo ad colorandam possessionem, cioè al fine di individuare il diritto (proprietà, comproprietà, usufrutto o altro) al cui esercizio corrisponde il possesso, ma non per escludere l'esistenza del già accertato potere di fatto.

Cass. civ. n. 6741/1986

In materia di azione di reintegrazione, lo spoglio e l'animus spoliandi non sono esclusi dalla presenza di un titolo di concessione amministrativa (nella specie assegnazione di alloggio Iacp) nell'autore dello spoglio, poiché questa non fa venire meno l'intenzione di attentare al possesso altrui. Pertanto ove il bene oggetto della concessione sia posseduto da altri, il concessionario non può farsi ragione da sé, sottraendolo a chi lo detiene.

Qualora venga proposta azione di reintegrazione ai sensi dell'art. 1168 c.c., il compito del giudice è limitato all'accertamento - sulla base dei prodotti elementi probatori - circa la sussistenza di un possesso tutelabile e, di contro, di un'azione integrante gli estremi dello spoglio. Ogni questione riguardante la legittimità del possesso - e, in particolare, la sua rispondenza ad un valido titolo - resta invece estranea al giudizio possessorio: nel quale i titoli di proprietà possono quindi venire in rilievo solo ad colorandam possessionem.

Cass. civ. n. 3896/1985

In tema di spoglio il requisito della violenza non deve necessariamente consistere in un'attività materiale, essendo sufficienti a integrarlo anche atti di costringimento morale diretti contro la volontà espressa o presunta del possessore al fine di sottrarre al medesimo il possesso o impedirgliene l'esercizio.

Cass. civ. n. 3055/1985

In tema di azione di reintegrazione, l'attore, che abbia fornito la prova del possesso del bene in epoca prossima a quella del lamentato spoglio non è tenuto a dimostrare anche il possesso anteriore o l'inizio di esso, mentre grava sul convenuto, ai sensi del secondo comma dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare il successivo mutamento della predetta situazione di fatto, e cioè la mancanza di possesso dell'attore all'epoca del dedotto spoglio.

Cass. civ. n. 3010/1982

L'animus spoliandi è insito nel comportamento di colui che sovverta la situazione possessoria contro la volontà (presunta fino a prova contraria) del possessore — rimanendo irrilevante l'intento di nuocere o meno dell'agente, così come la sua convinzione di esercitare un proprio diritto e la stessa sua ignoranza della preesistenza dell'altrui possesso.

Cass. civ. n. 2745/1982

La perdita del compossesso di un bene ereditario da parte di un coerede non detentore — il quale acquista tale compossesso pro indiviso senza necessità di un atto di materiale apprensione — può verificarsi solo quando un altro coerede compia un atto diretto all'apprensione ed occupazione esclusiva del bene, idoneo a mutare l'originario compossesso in possesso esclusivo. Pertanto, correttamente è esclusa la configurabilità dello spoglio nel rifiuto del compossessore detentore di consegnare al compossessore non detentore un esemplare delle chiavi dell'immobile costituente il bene ereditario, in quanto tale rifiuto non muta la situazione di compossesso dell'immobile in precedenza esistente.

Cass. civ. n. 2744/1982

La tutela possessoria della servitù di derivazione d'acqua e di acquedotto riguarda non solo il possesso dell'acqua o dell'impianto sito sul fondo dominante, ma tutto ciò che è necessario per usare della servitù stessa e che costituisce godimento connesso all'esercizio del corrispondente diritto reale. Pertanto, ogni atto diretto a privare il fondo dominante di tale godimento o a turbarlo, da chiunque compiuto, a partire dalla fonte o dal punto di derivazione e fino a quello in cui l'acqua può essere utilizzata, costituisce spoglio o turbativa del possesso e la tutela concessa a chi l'ha subito è quella prevista dagli artt. 1168 e seguenti c.c., non già un'azione contrattuale, ancorché gli atti di spoglio o di turbativa siano stati commessi da chi contrattualmente ha costituito la servitù o da un uso avente causa.

Cass. civ. n. 511/1982

Poiché lo spoglio è clandestino quando sia commesso all'insaputa del possessore o detentore qualificato senza che al riguardo rilevi la conoscenza dell'intenzione dello spogliatore, il precarista può essere considerato spogliatore dal momento in cui ha cominciato a possedere in nome proprio contro la volontà, espressa o presunta, del possessore o detentore qualificato, ad esempio o mediante rifiuto di consegnare la cosa o, qualora si tratti di detenzione di un immobile, mediante sostituzione delle serrature per impedire l'accesso al concedente.

Cass. civ. n. 372/1982

In tema di spoglio, il requisito della violenza o della clandestinità deve ravvisarsi in qualsiasi attività costituente espressione di un antagonismo consapevole, manifesto o subdolo con la volontà, espressa o presunta, del possessore o del detentore.

Cass. civ. n. 4622/1978

La necessità di esaminare, in un giudizio possessorio, il titolo di acquisto, di possesso o di detenzione del bene controverso deriva dalla condotta del convenuto nel giudizio possessorio, nel senso che, se il convenuto, in luogo di negare il fatto attribuitogli, assume, invece, di averlo compiuto nel legittimo esercizio del suo possesso e di non avere, quindi, leso alcun possesso o compossesso altrui, il tema del dibattimento si sposta dal piano della violazione del vantato possesso a quello della coesistenza e dei limiti di possesso o compossesso analoghi — e quindi di conflitto tra i medesimi — a dirimere il quale sorge la necessità dell'esame dei titoli, da considerarsi solo come fatti inducenti prova del possesso (ad colorandam possessionem) e non come fonte del diritto affermato.

Cass. civ. n. 3455/1978

Per stabilire il dies a quo del termine di decadenza dell'azione possessoria, l'indagine, tipicamente di fatto, in ordine alla autonomia, o meno, dei diversi atti in cui si concreti lo spoglio o la molestia deve essere compiuta tenendo conto anche del tenore della domanda, nel senso che, quando lo stesso ricorrente in sede possessoria si lamenti non già di singoli atti di spoglio o di molestia, bensì del fatto unitario risultante dalla loro reiterazione non è consentito al giudice, senza incorrere un vizio logico, scomporre il fatto denunciato nei singoli atti in cui si manifesta e a ognuno di essi riferirsi per stabilire la data di decorrenza del termine suddetto.

Cass. civ. n. 4288/1976

La legittimazione alle azioni possessorie aventi ad oggetto un bene compreso in un'eredità spetta, in difetto di materiale apprensione, solo all'erede.

Cass. civ. n. 2882/1975

Quando al giudice venga chiesto il ristabilimento di una precedente situazione di fatto, non basta a ravvisare un'azione petitoria la circostanza che l'istante si qualifichi come proprietario e invochi titoli costitutivi della proprietà, poiché tali prospettazioni debbono considerarsi fatte ad colorandam, dovendo invece ravvisarsi un'azione possessoria, per la quale è competente il pretore, che potrà emettere anche, a favore dell'istante, una condanna al risarcimento del danno, quale accessoria rispetto alla condanna alla reintegrazione o alla cessazione della turbativa.

Cass. civ. n. 2416/1975

L'elemento oggettivo dello spoglio, che consiste nella privazione del possesso, si atteggia diversamente a seconda che questo abbia ad oggetto una cosa, o un diritto, sostanziandosi, nel primo caso, in un'azione che toglie al possessore il potere di fatto sulla cosa, e nel secondo caso in un comportamento che impedisce al possessore l'esercizio del diritto, e che può estrinsecarsi sia in un atto positivo, rivolto a porre in essere un ostacolo materiale all'esercizio dell'altrui diritto, sia in un contegno negativo, con il quale lo spoliator si opponga all'eliminazione di un ostacolo non creato da lui, contro l'espressa volontà del possessore di riportare la situazione di fatto allo status quo ante . Da tanto consegue che se un'opera (cosa o manufatto) necessaria all'esercizio di una servitù venga asportata, distrutta o resa inservibile per una qualsiasi causa non imputabile al possessore del fondo servente, questo commette spoglio della servitù qualora si opponga arbitrariamente al ripristino dell'opera che il possessore del fondo dominante chieda di eseguire a sua cura e spese.

Cass. civ. n. 3200/1974

Le azioni possessorie non possono essere proposte nei confronti del titolare di una concessione amministrativa, soltanto quando sono rivolte contro atti del concessionario riferibili alla stessa pubblica amministrazione concedente e non anche quando sono dirette contro atti di godimento del proprio diritto posti in essere dal concessionario nell'esercizio di poteri non attribuitigli con l'atto di concessione. In tal caso, infatti, il provvedimento richiesto all'autorità giudiziaria non comporta alcuna modifica del provvedimento amministrativo e non viola, pertanto, la norma di cui all'art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E.

Cass. civ. n. 477/1972

Richiesti originariamente i soli provvedimenti di ripristino della situazione possessoria, la successiva domanda di risarcimento dei danni, ancorché connessa e conseguenziale (per la intrinseca natura di illecito civile propria dell'atto di molestia o di spoglio), comporta un ampliamento del petitum, si da travalicare l'ambito dell'emendatio libelli prevista dall'art. 184 cod. proc. civ.

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Y. R. W. chiede
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“ricorso di azione possessoria

un convivente carcerato con precedenti vuole subentrare nel contratto tramite more uxorio nonostante il suo stato civile sia coniugato ma separato di fatto sino alla morte della convivente con morosità sia durante la convivenza sia dopo la morte della convivente ( intestataria del contratto)

gli eredi (fratello e madre della morta) hanno chiuso il contratto di locazione

provo a spiegarmi meglio, nel 2019 ho firmato un contratto di locazione con una signora, che me ne ha fatte passare di tutti i colori, nel luglio 2022 tale signora è venuta a mancare, al funerale della signora ho incontrato il fratello e la madre che sono gli effettivi eredi( non hanno voluto proseguire con la locazione), e inoltre un certo signore TIZIO, il signor TIZIO era scortato da alcuni agenti penitenziari essendo lui in carcere da almeno 7 mesi prima della morte della signora, e si è presentato come convivente della defunta e voleva subentrare nel contratto di locazione (anche se doveva pagare ancora una pena in carcere). Dopo un paio di controlli abbiamo riscontrato che il signore era presente nello stato di famiglia di lei, senza però un contratto di convivenza, ma anche che era separato giudizialmente dalla moglie (10 anni di separazione, la separazione deriva da violenza domestica alla moglie e ai figli e stalking) dove ha avviato il divorzio nel 3/2021 tramite giudizio e con sentenza il 12/2021, ma su carta in comune risulta per il 10/2022 due mesi dopo la morte della conduttrice, la signora con cui conviveva aveva un debito con me pari a 6000 euro di arretrati, e il passato di lui è stato entra e esci dalla prigione con diversi mesi/anni di convivenza pari a 3 abitazioni per 11 anni, tuttavia in questi anni oltre la prigione il signore dichiarava alla stampa che era senza una casa per questo aveva occupato abusivamente una casa popolare nonostante la residenza la aveva con la defunta, nel corso della convivenza la signora lo ha anche denunciato per violenza poi ritirata successivamente ma tale denuncia lo ha fatto tornare in prigione avendo gli arresti domiciliari tutto ciò è avvenuto prima della locazione di casa mia, secondo lei tale signore poteva comunque pretendere il more uxorio, essendo ancora coniugato e non che non abbia aiutato la defunta materialmente e moralmente ( come viene descritto nella definizione di convivenza di fatto) oltre abitare occasionalmente con lei che sia per il carcere o altri avvenimenti?”
Consulenza legale i 15/06/2023
Sebbene non si abbia avuto modo di visionare atti sulla questione giudiziaria in oggetto e approfondire i fatti e le argomentazioni delle due parti avversarie, si rileva quanto segue.

Pare che il compagno della titolare del contratto di locazione, ora defunta, abbia proposto un ricorso a tutela del possesso per poter tornare a vivere nell’immobile oggetto della locazione in qualità di convivente more uxorio.

La giurisprudenza ha affermato il principio per cui la convivenza more uxorio determina un potere di fatto sull’abitazione tale da assumere i connotati di una detenzione qualificata dell’immobile su cui il convivente esercita un diritto di godimento il cui spoglio lo legittima a proporre un’azione possessoria (Cass. civ. n. 17917/2015).

Colui che sostiene la lesione della propria detenzione qualificata (tutelabile con le azioni a tutela del possesso), deve però provare la relazione di fatto con la cosa e la sua posizione di convivente more uxorio.

Nel caso di specie sembra che tra l’intestataria del contratto e colui che sostiene di essere il convivente more uxorio, non ci fosse una convivenza di fatto intesa come “consorzio familiare”, stante anche il precedente matrimonio non ancora sciolto ma, presumibilmente, una relazione sentimentale con convivenza occasionale.

Quindi, se da una parte pare compatibile in astratto l’azione proposta dal “convivente” per tornare nel possesso dell’immobile, dall’altra parte sarà difficile che riesca ad ottenere una pronuncia a proprio favore che lo rimetta nella detenzione dell’immobile.

Un elemento che fa propendere per questa interpretazione è anche il fatto che i figli della defunta intestataria abbiano deciso di risolvere il contratto di locazione senza interpellare il compagno della madre.

Queste sono le considerazioni svolte con i dati a disposizione, non si esclude che leggendo gli atti giudiziari si possa dare un’interpretazione differente della vicenda.

A. B. chiede
martedì 05/04/2022 - Estero
“Gentili Sig.ri

Si tratta di mia figlia Tizia che ha assieme al marito una vecchia casa. Tra questa casa e il vicino c’è una servitù di passaggio registrata con atto presso il catasto già nel 1950 circa. Durante gli anni, nessuna interruzione nell’uso ha comportato l’estinzione della medesima.

Ora Caia, la figlia del vicino (morto a causa del Covid) vorrebbe poter vendere la proprietà ereditata. Caia non era a conoscenza o almeno ha preteso di non sapere dell’esistenza dell’atto registrato e vuole adesso cercarne l’annullamento. Intanto ha chiuso il passaggio con una paratia in faesite.

La mia domanda e’ questa: Spetta a me agire per difendere la servitu’ in questione oppure spetta a Caia agire per raggiungere il suo scopo?

La situazione in cui ci troviamo mi ha spinto ad avventurarmi nel mondo del codice civile, ferma restando pero’ l’ignoranza in materia. Comunque una domanda mi sono posto a cui non ho trovato risposta: puo’ una servitu esposta a spoglio/molestia cessare di esistere se non viene difesa entro un anno? L’articolo 1170 sembra non contemplare questa possibilita’.

A sua volta l’ articolo 1072 e seguenti specificano in modo chiaro che l’estinzione della servitu’ puo’ avvenire per : confusione, prescrizione dopo 20 anni di non uso, accordo tra le parti o il venir meno della caratteristica di fondo intercluso. Il venir meno dell’utilitas non puo’ estinguere la servitu’ se non dopo 20 anni,articolo 1074.

In altre parole mi domando se corriamo il pericolo di subire l'estinzione della servitu' se non agiamo in via possessoria, nonostante quello che dicono gli articoli 1072,1073 e 1074 del Cc.

Cordiali saluti
Ps: invio separatamente copia dell'atto registrato”
Consulenza legale i 11/04/2022
In casi come questo se si ha interesse a continuare ad avvalersi della servitù e soprattutto se non si alcuna intenzione di perderne il diritto, occorre senza alcun dubbio reagire tempestivamente al comportamento illegittimo ed arbitrariamente posto in essere dal proprietario del fondo servente.
Diversi sono gli strumenti giuridici che il nostro ordinamento mette a disposizione a tale scopo.
Innanzitutto viene in considerazione l’art. 1079 del c.c., il quale contempla la c.d. "vindicatio servitutis", detta anche "azione confessoria"; mediante l’esercizio di tale azione si riconosce al titolare del fondo dominante il diritto di citare in giudizio il proprietario del fondo servente per ottenerne la condanna:
a) al riconoscimento dell’esistenza della servitù, qualora ne venga contestato l’esercizio;
b) alla cessazione di eventuali impedimenti o turbative.

Oltre a questa azione, espressamente prevista in materia di servitù, è tuttavia possibile avvalersi anche delle c.d. azioni possessorie.
Il diritto di servitù, infatti, presuppone che il proprietario del fondo servente consenta al titolare del diritto medesimo di esercitarlo; ogni forma di impedimento al suo esercizio, mediante azioni volte a precluderlo del tutto ovvero a renderlo soltanto più difficoltoso, viene definito spoglio (nel caso di specie lo spoglio è stato integrato dall’apposizione di un elemento che ne ostacola il passaggio).

In questi casi, il titolare del diritto di servitù per tutelarsi deve rivolgersi all’autorità giudiziaria, esercitando una delle azioni possessorie previste dal codice civile, come l’azione di reintegrazione disciplinata all’art. 1168 c.c.
In particolare, secondo quanto disposto da tale norma, colui che ha subito lo spoglio, entro un anno da esso (nel caso di spoglio clandestino entro un anno dalla sua scoperta) dovrà rivolgersi al Tribunale competente, chiedendo allo stesso di ordinare il ripristino della situazione anteriore allo spoglio ed eventualmente anche di condannare l’autore dello spoglio al risarcimento dei danni subiti dal possessore a causa della privazione del possesso.

Per ciò che concerne il risarcimento dei danni, si richiede che colui il quale ha subito lo spoglio dimostri il tipo di danno ricevuto e che sia anche in grado di quantificarlo, in quanto il pregiudizio non potrà ritenersi automaticamente riconosciuto dal giudice.
In tal senso si è pronunciata da ultimo la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31642/2021, nella quale è stato affermato che lo spogliato del diritto, che agisca per conseguire il risarcimento dei danni, è soggetto al normale onere della prova in tema di responsabilità per fatto illecito (ciò significa che, se non prova il pregiudizio sofferto, non potrà emettersi in suo favore condanna al risarcimento con liquidazione equitativa dei danni).

Altra azione possessoria esperibile al fine di tutelare l’esercizio di un diritto di servitù è quella che il codice civile definisce azione di manutenzione e che viene disciplinata al successivo art. 1070 del c.c..
Chi pone il quesito dubita della possibilità di esperire tale azione in tema di servitù, ma in realtà si tratta di dubbio infondato, in quanto, come si legge nella stessa norma, detta azione viene concessa non soltanto a colui che è stato molestato nel possesso di un immobile, ma anche a chi è stato molestato nel possesso di un diritto reale sopra un immobile (ed è tale proprio il diritto di servitù).
Diversi sono i presupposti che legittimano l’esercizio delle due azioni: con l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.) il ricorrente vuol far valere lo spoglio violento o clandestino posto in essere in suo danno e che lo ha del tutto privato del possesso; con quella di manutenzione (art. 1170 c.c.), invece, si fa valere la mera molestia nel possesso, differenziandosi sia le condotte “di aggressione” al bene da tutelare, sia i presupposti a fondamento della tutela del diritto.
L’azione di manutenzione è diretta contro la molestia nel possesso o c.d. spoglio semplice (la molestia si misura per gradi ed è manutenibile o no a seconda che superi o meno la normale tollerabilità), mentre l’azione di reintegrazione è diretta contro lo soglio vero e proprio, inteso come privazione del possesso, che può a sua volta essere parziale o totale, a seconda che cada sull’intera cosa o su parte di essa.

Nel caso di specie sembra evidente che l’azione posta in essere dall’altra parte sia a tutti gli effetti qualificabile come azione di spoglio, in quanto l’autore di essa ha inteso impedire, a chi fino a quel momento esercitava il diritto di servitù, il passaggio in qualunque modo sul proprio fondo, ostruendone lo stesso con un ostacolo.
Diversa, invece, sarebbe stata la situazione se anziché ostacolare del tutto avesse solo ostruito in parte il passaggio, ad esempio restringendone l’accesso in modo da consentire solo il passaggio pedonale anziché con mezzi meccanici (in questo caso l’azione più adatta alla tutela del possesso sarebbe stata l’azione di manutenzione di cui all’art. 1170 c.c.).

Tutto quanto fin qui detto ha, a sua volta, come presupposto essenziale la circostanza che l’atto avverso il quale tutelarsi (ossia lo spoglio) non sia stato posto in essere da più di un anno, poiché se risale ad epoca anteriore non ci si può più avvalere di questa forma di tutela più veloce, non fondata sui titoli, ma si dovrà necessariamente ricorrere all’azione contemplata all’art. art. 1079 del c.c. e citata all’inizio di questa consulenza, ossia la c.d. azione confessoria, per mezzo della quale si potrà ottenere sia il riconoscimento della servitù che l’ordine da parte del giudice di far cessare eventuali impedimenti o turbative all’esercizio di quella servitù.

Per concludere va precisato che nel caso delle azioni possessorie si discute soltanto del possesso di un immobile o di un diritto sopra un immobile, il che comporta che l’altra parte non potrà addure in propria difesa l’inesistenza della servitù, dovendo a tal fine esperire un diverso tipo di azione, che è la c.d. actio negatoria servitutis.
Inoltre, per quanto concerne il timore di poter perdere la servitù per estinzione del relativo diritto, va precisato che tale timore potrebbe essere fondato soltanto nel caso di servitù che si ha intenzione di acquistare per usucapione, in quanto troverebbe applicazione il disposto di cui all’art. 1167 del c.c., secondo cui l’usucapione è interrotta se il possessore è stato privato del suo possesso da oltre un anno.
In questo caso, invece, la servitù ha il suo titolo costitutivo in un regolare atto notarile debitamente trascritto ed a ciò si aggiunge, come riferito nel quesito, che l’uso di essa non è stato mai interrotto (ciò che è indispensabile al fine di non vedersi dichiarata estinta la servitù per non uso ventennale ex art. 1073 del c.c.).

C.C. chiede
giovedì 02/09/2021 - Sicilia
“Buongiorno
La situazione. Sono proprietario da più di 20 anni di una seconda casa con accesso alla strada pubblica, accesso delimitato dalla casa del vicino in particolare da un muro in cattive condizioni. tale accesso consente anche l'accesso al cortile del vicino che è a sua volta collegato alla strada da un altro accesso.
Al momento dell'acquisto ho predisposto un cancello per chiudere questo accesso e lascio le chiavi al vicino in caso di difficoltà perché ero presente in loco solo una volta all'anno in estate.
Ho eseguito lavori di abbellimento su questo accesso 5 anni fa e ho creato un ulteriore confine di separazione con il cortile del vicino, lasciando sempre la chiave in caso di problemi, in particolare sul muro del vicino, al quale non si può accedere da questo percorso (lui era così in grado di eseguire lavori di circolazione dell'acqua).
4 anni fa il vicino ha lavorato direttamente in casa mia, in particolare rompendo le tubature dell'acqua perché voleva impostare un codice digitale sulla mia porta di accesso. Abbiamo avuto un primo conflitto e ho chiesto, tramite un avvocato, di interrompere questo lavoro e ho anche vietato il passaggio attraverso la mia proprietà per posta di un avvocato.
Da allora, e più recentemente, ha continuato a usare il passaggio, quindi ho cambiato le serrature per impedirgli di passare.
Oggi porta la causa in tribunale invocando l'articolo 1168 del codice civile
Ci tengo a precisare che non c'è diritto di passaggio nei miei documenti di proprietà o nei suoi che lui ha presentato al giudice.
la sua casa ha diverse possibili uscite sulla pubblica via senza passare per casa mia. Anche con la chiave usa questo passaggio in modo molto discontinuo e sporadico, infatti lo usa per accedere ad una delle sue dipendenze che si trova sulla pubblica via.
il suo argomento è dire che è sempre passato di lì (oltre agli altri accessi) da quando era piccolo anche se è tornato in regione solo 3 anni fa e non ci abita
per l'articolo del codice civile, chiede la restituzione del passaggio, ma per me il passaggio non è legittimo
quale strategia efficace posso mettere in atto per evitare la restituzione di un passaggio che gli avevo concesso per tolleranza.”
Consulenza legale i 09/09/2021
Va premesso che non è stato possibile, in questo caso, esaminare copia del ricorso ex art. 1168 c.c., per cui verrà fornita una risposta di ordine generale rispetto al quesito posto. In altre parole, senza esaminare gli atti e documenti richiesti non ci è possibile ipotizzare in concreto una “strategia” difensiva.
Quel che possiamo dire è che le cosiddette azioni possessorie - vale a dire l’azione di reintegrazione o di spoglio ex art. 1168 c.c., e l’azione di manutenzione, ex art. 1170 c.c. - sono previste a tutela, appunto, del possesso, cioè di una situazione di fatto (“potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”, secondo la definizione dell’art. 1140 c.c.).
Ora, la tutela del possesso (situazione di fatto considerata meritevole di tutela dal legislatore) è questione distinta dalla eventuale tutela petitoria (ossia la tutela del diritto di proprietà o di altro diritto reale). Anzi, nel rapporto tra le due, l’art. 705 c.p.c. stabilisce che “il convenuto nel giudizio possessorio non può proporre giudizio petitorio, finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita”.
Ai fini del giudizio possessorio, dunque, non ha rilevanza la “legittimità” del passaggio, né la circostanza che la controparte abbia a disposizione altre vie di accesso, né che dagli atti non risulti alcun “diritto” di passaggio: si tratta infatti di aspetti che riguardano la tutela petitoria, non la possessoria.
La sostituzione delle chiavi di accesso costituisce un “tipico” esempio di condotta di spoglio, contro la quale può essere concessa (ricorrendone i presupposti di legge) la tutela possessoria.
In quest’ottica, l’eventuale richiamo alla “tolleranza” dell’avente diritto si fonda sul disposto dell’art. 1144 c.c., secondo cui “gli atti compiuti con l'altrui tolleranza non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso”.
La giurisprudenza ha, tuttavia, chiarito che la “tolleranza” (che escluderebbe l’acquisto del possesso tutelabile) può ritenersi sussistente solo nel caso di comportamenti a carattere occasionale e saltuario.
Si veda ad esempio Cass. Civ., Sez. II, Sentenza, 16/04/2018, n. 9275: “poiché l'uso prolungato nel tempo di un bene non è normalmente compatibile con la mera tolleranza, essendo quest'ultima configurabile, di regola, nei casi di transitorietà ed occasionalità, in presenza di un esercizio sistematico e reiterato di un potere di fatto sulla cosa spetta a chi lo abbia subito l'onere di dimostrare che lo stesso è stato dovuto a mera tolleranza”.
Ed ancora, secondo Cass. Civ., Sez. II, 24/11/2003, n. 17876, “in materia di possesso, non è configurabile un atteggiamento di tolleranza del proprietario, che - come tale - esclude una situazione possessoria a favore del terzo, allorché l'uso del bene da parte di quest'ultimo sia prolungato nel tempo o, avvenendo contro la volontà del proprietario, non possa fondarsi sull'altrui compiacenza” (nel nostro caso, risulta esservi stata anche una diffida da parte di un avvocato).
Un ultimo profilo da analizzare è quello delle caratteristiche del possesso che può essere tutelato con l’azione di reintegrazione; tuttavia, l’art. 1168 c.c. non richiede una durata minima o una continuità del possesso, al contrario di quanto avviene con l’azione di manutenzione, che può essere proposta solo se “il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto, e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente”. In proposito si veda Cass. Civ., Sez. II, 28/03/2007, n. 7579: “in tema di azione di spoglio, il possesso (o compossesso) di un bene, concretandosi in un potere di fatto sulla cosa, che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, non presuppone l’effettiva e continua utilizzazione della cosa in ogni sua parte”.

Giuseppe G. chiede
lunedì 24/08/2020 - Lazio
“Buongiorno, vi ho scritto più volte per chiedervi consulenza legale in merito alla situazione della proprietà. In particolare la vostra prima risposta al quesito Q202025037 nell'ultima parte quando viene citata l'azione di manutenzione riflette quanto è accaduto che sintetizzo di seguito.
Si tratta di una proprietà da me acquistata ad ottobre 2019 costituita da due fabbricati ed una corte esclusiva, corte distaccata con una via pubblica, con le mie proprietà e con fabbricato del vicino incriminato.
E' accaduto che a giugno 2019 i vicini, rivendicando la proprietà di una parte di questa corte hanno rotto un cancelletto perimetrale con una smerigliatrice, sono entrati e con dei pali ed una rete hanno diviso la corte in modo arbitrario delimitandone una parte. Hanno chiuso il cancelletto che avevano rotto con la smerigliatrice con un catenaccio e lucchetto che è rimasto nella loro esclusiva disponibilità.
Durante l'irruzione sono stato avvisato dalle telecamere di sorveglianza, che hanno ripreso l'intero avvenimento e da un testimone.
1) Ho chiamato il 112 che ha raccolto le generalità dei presenti intervistato le persone sull'accaduto.
2)Ho incaricato un avvocato che ha depositato ricorso ex art 703 cpc e 669bis ss cpc per la reintegra nel possesso 1168 cc ed art 2043 per il danno sull'azione di spoglio subito, avendo dovuto pagare penali vs fornitori in quanto una parte dell'area occupata è oggetto di un permesso per costruire, approvato dal comune per la realizzazione di un cancello carrabile.
il giudice ha fissato la data di comparizione delle parti per novembre
i carabinieri hanno negato l'accesso agli atti perché l'intervento ha generato un'annotazione per cui il verbale è documento di polizia giudiziaria coperto da segreto d'ufficio
abbiamo sporto denuncia/querela, il carabiniere ci ha spinto a denunciarli per esercizio arbitrario delle proprie ragioni e violazione di domicilio, successivamente abbiamo effettuato un'integrazione in cui chiedevamo a giudice sulla base dei fatti descritti di identificare i reati


Il dubbio principale, da cui nasce il quesito è che se il giudice dovesse non accogliere il reintegro del possesso sarei privato di una parte della corte che è descritta nelle planimetrie catastali e negli atti di proprietà (mio e del mio dante causa) e di fatto, sarei privato del possesso ma anche della proprietà di una parte della corte generando così un evizione parziale.
Mi chiedevo quindi se oltre a dover notificare a coloro che hanno commesso lo spoglio non debba inviare almeno una raccomandata al dante causa, per informarlo della minaccia di evizione, al fine di non perdere la garanzia.
Il dubbio è che il dante causa e lo spogliante sono parenti diretti e potrebbero essere d'accordo tra loro.
E' lecito a vostro avviso procedere anche verso il dante causa ? Si può procedere con una minaccia di evizione anche per un procedimento possessorio?

NB attenzione, anche se il possesso della proprietà è da meno di un anno, il possesso dello stato dei luoghi della proprietà del dante causa è immutato da 40 anni, provato da foto aeree, per cui il possesso del dante causa si unirebbe al mio.
L'unico rischio è che la controparte, attraverso false testimonianze, possano dire che quella corte, delimitata da un muro doppio e da un cancello perimetrale da oltre 40 anni fosse precedentemente al mio acquisto utilizzata anche dallo spogliante.”
Consulenza legale i 29/08/2020
Le domande poste nel quesito nascono, in realtà, da un equivoco. Non bisogna infatti confondere spoglio con evizione.
Per spoglio si intende, infatti, la privazione totale o parziale del possesso (e, entro certi limiti, della detenzione) su una cosa, che avvenga contro la volontà espressa od anche solo presunta del possessore.
Avverso lo spoglio il codice civile prevede il rimedio dell’azione di reintegrazione (art. 1168 del c.c.).
Dallo spoglio vanno poi distinte le “semplici” molestie nel possesso, che danno luogo all’azione di manutenzione prevista dall’art. 1170 del c.c.
L’evizione, invece, si pone su un piano completamente diverso. Essa infatti consiste nella perdita, totale o parziale, di un diritto in forza del diritto preesistente di un terzo. Parliamo dunque di diritti, come la proprietà, e non di situazioni di fatto (qual è invece il possesso).
Come peraltro già spiegato in occasione della precedente consulenza, ai sensi del n. 3 dell’art. 1476 del c.c., il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta non sia, in tutto (evizione totale) o in parte (evizione parziale), di altri, con conseguenze differenziate nei due casi.
Perché possa parlarsi di evizione non sono sufficienti né minacce o rivendicazioni verbali, né molestie di fatto: infatti essa è necessariamente collegata all’esperimento di un’azione giudiziaria da parte del terzo.
Così si avrà evizione compiuta, quando un terzo abbia vittoriosamente rivendicato la proprietà del bene (o di parte di esso), e nel relativo giudizio sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato.
Si avrà, invece, minaccia di evizione (art. 1485 del c.c.), quando il terzo abbia citato in giudizio il compratore.
Nel nostro caso, però, è evidente che non si è verificata neppure la minaccia di evizione, dal momento che i terzi non hanno agito in giudizio per rivendicare la proprietà del bene, ma hanno commesso un vero e proprio spoglio, contro il quale correttamente è stata proposta azione di reintegrazione. Si tratta inoltre di fatti che molto probabilmente daranno origine anche ad un procedimento penale per esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 392 del c.p.
Non avrebbe senso, quindi, inviare una raccomandata al dante causa “per informarlo della minaccia di evizione” dal momento che di evizione non si tratta. Per aversi evizione sarebbe necessario un giudizio non possessorio, ma petitorio, cioè teso alla tutela del diritto di proprietà; inoltre tale giudizio dovrebbe essere proposto dal terzo, il quale pretenda per sé la proprietà del bene.

Anonimo chiede
venerdì 18/10/2019 - Lazio
“Buongiorno,
Il mio problema riguarda una casa in comproprietà con la mia ex convivente. La casa si trova nel comune di...... La proprietà è al 90% mia e al 10% della ex convivente (così come riportato nell'atto pubblico). Non esiste contratto di convivenza. Io mi sono allontanato per disaccordo e anche minacce (peraltro registrate) circa tre anni fa. Vivevo nella casa con i miei due figli (in affido condiviso con la mia ex moglie - un'altra persona) e con la convivente e con il di lei figlio (non mio) maggiorenne.
Ho iniziato un'azione legale presso il tribunale di ...... con assistenza del mio avvocato a Gennaio 2017 per la divisione e/o acquisto e/o vendita a terzi e/o asta giudiziaria. Ci sono stati due tentativi di mediazione (dice il mio avvocato obbligatori) con esito negativo perché la controparte non si è presentata. C'è stata una prima udienza a Maggio scorso presso il Tribunale di ......., ma rinviata perché il Giudice non era presente ed il sostituto ha preferito rinviare (così dice il mio Avvocato perché io non sono andato). La prossima udienza si terrà il 23/10 P.V..
La controparte nel frattempo ha cambiato le chiavi di casa impedendomi l'accesso. Ho inviato una ditta di trasporti con persone di mia fiducia e una guardia giurata a recuperare le mie cose circa due anni fa. (Questo per evitare contatti perché la controparte è un persona pericolosa, capace di minacciare le persone con armi di vario genere.) Alle persone inviate è stato impedito l'accesso e solo una parte dei beni sono stati recuperati. Dei quadri di valore (di artista famoso e documentati da galleristi e vari testimoni) e altri oggetti di valore non sono stati riconsegnati. Solo una parte dei miei libri sono stati riconsegnati. Altri miei libri si trovano nella casa affianco alla mia (sono villette a schiera) per la quale la controparte aveva dato una caparra, ma poi è stata acquistata da un'altra signora che mi ha contattato per restituirmi i libri.
La controparte vive ora nella mia casa (al 90%) con il compagno, il figlio ed il padre.
Nel frattempo io e solo io pago il mutuo di 450.000 Euro acceso 5,5 anni fa per 25 anni ed intestato ad entrambi come coobbligati da un conto cointestato sul quale giro i fondi un attimo prima di effettuare manualmente il pagamento.
La controparte è stata recentemente querelata per stalking codice rosso dalla vicina, che viene perseguitata ogni volta che entra ed esce di casa.
La mia idea è, oltre che procedere con la causa per la separazione del bene in comune, che io in ogni caso intendo assolutamente acquistare rilevando il 10% della controparte (con il beneplacito della Banca che ha già dato il suo assenso verbale all riformulazione del mutuo in tal senso), richiedere l'indennità di occupazione (che è stato già chiesta dall'avvocato nelle prime missive) sulla base di una valutazione del valore di locazione redatta da un agente immobiliare già perito presso il Tribunale di Roma. Credo che per richiedere l'indennità di occupazione occorra una nuova causa.
Inoltre intendo querelare la controparte per appropriazione indebita per non aver restituito tutti i miei beni.
Dal momento della mia fuga non ho potuto più frequentare i miei figli con regolarità perché mi sono trasferito a ..... (dove lavoro) nell'abitazione dei miei genitori. I miei figli si trovano presso la madre a Roma, ma hanno sofferto molto. Anche loro sono stati minacciati e offesi ripetutamente dalla controparte durante la convivenza (hanno ormai 16 e 19 anni).
Intendo ritornare a ..... per frequentare di nuovo regolarmente i miei figli, che hanno necessità del mio supporto morale. Ma sono impegnato a pagare il mutuo per la casa in questione e quindi non posso prenderne un'altra.
Il mio avvocato mi dice che non è possibile richiedere una procedura d'urgenza.
Desidero conoscere la vostra opinione in merito.
Vi ringrazio anticipatamente.

Consulenza legale i 23/10/2019
Il problema per il quale si chiedono principalmente dei chiarimenti sembra essere quello di come rientrare nel minor tempo possibile nel possesso, o quantomeno nel compossesso, di quell’immobile e dei beni mobili che vi si trovano all’interno e di cui si è proprietari.
Anche se tra le parti sussisteva una situazione di mera coabitazione, che trovava la propria origine oltre che in un legame sentimentale, anche in una situazione di contitolarità dell’immobile, la fattispecie che viene qui descritta non è per nulla dissimile da quella che si viene a creare nel caso di coniugi prima della separazione o ancora di coloro che assumono la qualità di coeredi di un medesimo bene.
In tutti questi casi, finché non si venga a costituire un titolo espresso (sia esso volontario o giudiziale) in forza del quale si attribuisca ad una delle parti il possesso in via esclusiva dell’immobile, nessuno dei comproprietari potrà legittimamente arrogarsi il diritto di cambiare la serratura e così impedire agli altri comproprietari di accedere all’immobile.

Il compimento di un atto di tale tipo, infatti, assume rilevanza sotto un profilo sia civilistico che penalistico, integrando rispettivamente un’ipotesi di spoglio e di violenza privata, oltre che di appropriazione indebita per gli eventuali mobili altrui che vi si trovano all’interno (sempre che la parte spossessata riesca in qualche modo a provare la titolarità di questi ultimi).
Il fondamento normativo di ciò lo si ritrova nelle norme che il legislatore detta in materia di comunione, ed in particolare all’art. 1102 del c.c., norma che riconosce a ciascun comproprietario il diritto di servirsi della cosa comune purché non venga impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Impedire del tutto agli altri comproprietari il diritto di usare del bene comune vuol dire compiere delle azioni di spoglio o molestia del possesso, il che comporta la necessità di coordinare l’art. 1102 c.c. con l’art. 1168 c.c. (che disciplina l’azione di reintegrazione) e con l’art. 1170 del c.c. (che disciplina l’azione di manutenzione).

Nel caso specifico, tenuto conto delle modalità con cui è stata posta in essere la condotta di privazione del possesso altrui (cambio clandestino della serratura all’insaputa dell’altro comproprietario), ricorrerebbero tutti i presupposti per esperire l’azione di reintegrazione di cui all’art. 1168 c.c., in quanto trattasi indubbiamente di spoglio attuato con violenza o clandestinità.
Per quanto concerne il requisito della violenza, costituisce opinione consolidata quella secondo cui non occorre una violenza fisica (attuata con armi o minacce), ma è sufficiente che lo spoglio sia avvenuto contro o senza la volontà effettiva, anche solo presunta del possessore (possono citarsi in tal senso Cass. 1131/1993; Cass. 1101/1981).

In ordine al requisito della clandestinità, invece, si considera tale lo spoglio commesso all’insaputa del possessore, il quale ne venga a conoscenza in un momento successivo, a condizione che l’inconsapevolezza non sia dovuta a negligenza dello spogliato.
A questi elementi, che vengono tradizionalmente definiti oggettivi, deve aggiungersi un elemento soggettivo, ossia l’animus spogliandi o turbandi, costituito dalla consapevolezza di sostituirsi nella detenzione o nel godimento del bene contro la volontà dello spogliato, ed insito nel fatto stesso di privare del godimento della cosa il possessore contro la sua stessa volontà espressa o tacita.
L’inconveniente di tale tipo di azione, l’unica che possa consentire a chi viene spossessato di rientrare al più presto nel possesso del bene, sta nel fatto che essa ha un termine di prescrizione molto breve, in quanto si prescrive in un anno dallo spoglio del bene o da quando, comunque, si è venuti a conoscenza dell’illecito.
La previsione di una prescrizione così breve trova la sua ratio proprio nella possibilità di ottenere dal giudice un provvedimento urgente ed immediato, per mezzo del quale è possibile chiedere la liberazione dell’immobile.
Il provvedimento di reintegra che il giudice andrà ad emettere, infatti, potrà essere immediatamente utilizzato come titolo esecutivo per procedere coattivamente alla sostituzione della serratura, ossia con l’ausilio, oltre che di un legale, dell’ufficiale giudiziario.

Sulla scorta di quanto fin qui detto, e volendo adesso rispondere ad una delle domande che si pongono, può dirsi che probabilmente il legale della cui prestazione ci si è avvalsi riferisce che non è possibile avvalersi di una procedura d’urgenza in quanto è trascorso il termine di un anno dall’avvenuta conoscenza dello spoglio clandestino (del resto, la narrazione dei fatti sembra proprio far intuire ciò).
A questo punto, dunque, non resterebbe altra soluzione che quella di attendere l’esito del giudizio divisionale, tenendosi ben presente di quanto statuito dall’art. 1116 del c.c., norma che rende applicabile alla divisione ordinaria le norme sulla divisione ereditaria.
In particolare, tra queste ultime si ritiene opportuno segnalare il disposto dell’art. 720 del c.c. che, nell’ipotesi di immobili non divisibili, attribuisce al comproprietario che vanta la quota maggiore il diritto di chiederne l’attribuzione per intero “con addebito dell’eccedenza”.

Per quanto concerne il diritto a pretendere la corresponsione di una indennità di occupazione e le modalità attraverso cui far valere lo stesso, va detto che, non essendo stata esperita l’azione di reintegrazione nel possesso (unitamente alla quale sarebbe stato possibile anche richiedere la suddetta indennità), l’altra soluzione sarebbe potuta essere quella di avanzarne richiesta nel giudizio di scioglimento della comunione, dando prova della propria inequivoca volontà di negare l’uso esclusivo del bene da parte dell’altro comproprietario.
Si afferma, infatti, in giurisprudenza che il godimento dell’immobile da parte di uno dei comproprietari non comporta di per sè, in assenza di titolo o di prova dell’opposizione degli altri eredi, alcun obbligo di corrispondere un’indennità per l’occupazione esclusiva (così Cass. 9-2-2015 n° 2423, secondo la quale “L’uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari, nei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., non è idoneo a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l’occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli sia stato concesso”).
Sembra, però, che tale richiesta non sia stata contestualmente avanzata nel giudizio di scioglimento della comunione, il che comporta che, previa formale opposizione (che sembra essere stata fatta), si dovrà procedere con autonomo giudizio a richiedere la liquidazione di essa, per la cui determinazione si ritiene abbastanza corretta la soluzione prospettata nel quesito.

Quanto al tema penale, va fatta subito una precisazione.
Sebbene la condotta di controparte sembra integrare diverse fattispecie di reato, nessuna eventuale azione penale può essere attivata al fine di essere reimmessi nel possesso dell’abitazione. Il procedimento penale, invero, è strutturato unicamente per valutare la sussistenza di una fattispecie di reato, non per altro. Le forme di tutela per la persona offesa dal reato, laddove abbia avuto luogo la costituzione di parte civile, si riducono al risarcimento dei danni (morali e materiali) ma il giudice penale non può, eccezion fatta per rarissimi casi, imporre altri obblighi al condannato.
Ciò detto, procediamo con la disamina delle fattispecie rilevanti.

Quanto al cambio della serratura, si noti che la condotta potrebbe integrare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all’art. 392 del codice penale. Tale fattispecie, che in buona sostanza punisce la condotta di chi si fa giustizia da solo pur potendo adire un giudice, sembra attagliarsi al caso di specie laddove la controparte non aveva alcun diritto di cambiare la serratura essendo pendente un procedimento volto proprio a stabilire le modalità di godimento dell’immobile. Si noti che, sul punto, si è anche pronunciata la Cassazione che, in modo costante, afferma che “ai fini della sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, nella nozione di violenza rientra anche il mutamento della destinazione delle cose stesse che si verifica quando con qualsiasi atto o fatto materiale sia impedita, alterata o modificata la loro utilizzabilità, come quando, sostituendosi la serratura della porta di ingresso, sia impedito l'accesso ad un appartamento, a colui che ne sia il compossessore o codetentore, perché una simile azione concreta la mutazione della specifica destinazione che la cosa possiede ai fini della particolare utilizzazione cui l'hanno destinata le parti interessate al suo godimento”.

Quanto invece all’omessa restituzione dei beni situati nell’abitazione, più volte richiesti, la condotta in questione potrebbe integrare il reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 del codice penale.
Detto reato, che sostanzialmente punisce chi, avendo il possesso di una cosa mobile, se ne appropri compiendo atti che, inequivocabilmente, siano significativi della volontà di utilizzare le cose predette come se fossero proprie, sembra integrato allorché la controparte, proprio attraverso l’omessa restituzione dei beni in questione, abbia palesato la propria intenzione di appropriarsene e, dunque, di esercitare su quei beni una potestà incompatibile coi diritti del proprietario.

Passando, invece, alla condotta della controparte, che avrebbe offeso e maltrattato ripetutamente i figli conviventi, la stessa potrebbe integrare il reato di cui agli articoli 571 e 572 del codice penale. Detti reati, invero, puniscono – tra le altre – proprio la condotta di chiunque abusi dei mezzi di correzione o disciplina o, semplicemente, maltratti un familiare e/o una persona convivente o sottoposta alla sua custodia.
Reati, dunque, che ben potrebbero essere applicati al caso di specie, a seconda del comportamento concreto posto in essere dalla controparte.


Francesco C. chiede
martedì 22/01/2019 - Campania
“Nel nostro parco sono assegnati tutti i posti auto disponibili a sorteggio. Se entra un'auto non autorizzata effettuando anche sosta selvaggia di impedimento ad altri assegnatari chi deve intervenire? L'amministratore dice che non è compito suo ma di ciascun condomino.
Siamo alla legge della "faida". D'altronde l'Amministratore non provvede neanche a porre un cartello al cancello di ingresso. mi fu detto che il condominio non può chiamare il carro attrezzi.
Quali mezzi ha il condomino per agire immediatamente onde eliminare il sopruso che gli impedisce di utilizzare il suo parcheggio o box?”
Consulenza legale i 27/01/2019
L’amministratore non ha l’obbligo di essere un vigile privato chiamato a fare il “posteggiatore” all’interno del cortile condominiale. Può sicuramente, nell’ambito dei suoi poteri di gestione e conservazione dei beni comuni previsti dal n.4) dell’art 1130 del c.c., far apporre un cartello segnaletico al cancello di ingresso del tipo: “divieto di sosta”, “parcheggiare solo negli appositi spazi” o similari.
D’altro canto, i vigili urbani non possono intervenire per dirimere problematiche di posteggio in un cortile condominiale, in quanto lo stesso è un’area privata: la forza pubblica può, infatti, entrare nella proprietà privata altrui, solo in determinate circostanze strettamente previste dalla legge.

Nel caso in cui i condomini non rispettino la regolamentazione stabilita in assemblea circa l’utilizzo turnario degli stalli di posteggio delle auto, il singolo condomino non ha, nei fatti, alcun potere di intervenire nell’immediatezza dell’accaduto. Anzi, l’intervento nell’immediato, potrebbe portare ad un peggioramento della posizione del condomino rispettoso delle norme condominiali, in quanto potrebbe integrare anche la fattispecie di reato di cui all’art. [n393cp] c.p: l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
In caso di parcheggio selvaggio nell’immediatezza del fatto il consiglio che ci si sente di dare, è quello di ricorrere alle norme delle buone maniere e del buon vicinato.
In caso di mancato rispetto della delibera assembleare che ha stabilito l’uso turnario del cortile condominiale destinato a parcheggio, l’unica strada possibile è quella di intraprendere la via giudiziaria.

La giurisprudenza oramai costante ha ritenuto pienamente valida la delibera condominiale che dispone l’uso turnario della cosa comune, in quanto essa non viola, ma anzi valorizza e attua, quanto disposto dal 1°comma dell’art 1102 del c.c., norma applicabile anche in ambito condominiale per via del rinvio effettuato dall’art 1139 del c.c.
La prima parte dell’art 1102 del c.c. dispone che:” Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto…”
Il diritto che ciascun comproprietario ha di fare parimenti uso del bene, non deve essere interpretato, secondo i giudici di legittimità, come un contemporaneo e qualitativamente identico uso del bene comune da parte di tutti i partecipanti alla comunione: così ragionando, infatti, si arriverebbe alla completa impossibilità per ogni comproprietario di utilizzare la cosa, tutte le volte che il bene sia strutturalmente insufficiente a garantire un suo uso contemporaneo da parte di tutti. In un’ottica di pacifica convivenza e di autoregolamentazione, quindi, è ben possibile che i condomini stabiliscano delle regole per garantire a ciascuno e a turno un uso esclusivo del parcheggio condominiale (si veda su tutte,Cass. Civ., Sezione II, n. 12873 del 16.06.2005).
Qualora tale regolamentazione non sia rispettata, l’unica strada percorribile è quella della tutela possessoria e del risarcimento del danno, rimedi che vengono riconosciuti anche da chi si trovi in una situazione di compossesso con altri comproprietari, i quali impediscano con il loro comportamento di fare uso della cosa comune (si veda in questo senso Cass. Civ., Sez. II, n. 13747 del 20.09.2002 e Cass. Civ.,Sez.II, n.11486 del 12.05.2010).

La tutela possessoria viene riconosciuta dal nostro ordinamento dall’art. 1168 del c.c., norma che dispone che chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal fatto, chiedere contro l’autore dello spoglio (il condomino indisciplinato), la reintegrazione del possesso medesimo.
Affinché si possa parlare di spoglio nel possesso è necessario che il soggetto che si ritiene leso provi la sussistenza di due aspetti:
- la perdita del potere di fatto sulla cosa e
- la volontà del soggetto che esercita lo spoglio di agire contro la volontà degli altri possessori (e cioè di tutti gli altri condòmini).

Da un punto di vista della legittimazione a proporre l’azione di spoglio, è opportuno precisare che in un contesto condominiale tale tipo di azione, esercitata per tutelare il pacifico godimento e utilizzo da parte di tutti i condomini delle parti comuni dell’edificio, può essere proposta sia dai singoli proprietari che dall’ amministratore, in qualità di rappresentante istituzionale di questi ultimi.
Come si è detto all’inizio, l’amministratore è chiamato ai sensi dell’art. 1130 n.4) del c.c. a compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio; tale potere è interpretato dalla giurisprudenza costante in senso estensivo, facendovi rientrare anche la possibilità di instaurare l' [[def ref=azione possessoria] sia contro gli stessi condomini, sia contro terzi soggetti autori di azione di spoglio nel possesso sulle parti comuni dell’edificio.
Rientrando la facoltà appena descritta nei perimetri dei poteri dell’organo amministrativo descritti dall’art. 1130 del c.c., l’amministratore, a mente del successivo art.1131 del c.c., può stare in giudizio personalmente senza una specifica autorizzazione assembleare; in altre parole egli, in teoria, potrebbe dare mandato ad un legale, senza la previa autorizzazione assembleare.
L’art. 1168 del c..c dispone che l’azione di spoglio deve essere instaurata entro l’anno dal sofferto spoglio. Il termine imposto dal legislatore può sembrare a prima vista breve, ma in un contesto condominiale come quello descritto dal quesito, dove i comportamenti molesti paiono ripetersi in maniera continuativa, il termine annuale non rappresenta un particolare problema, in quanto lo stesso ricomincia a decorrere dal momento in cui viene posto in essere dagli altri condomini un nuovo comportamento lesivo del possesso.

Ai sensi dell’art 703 c.p.c., le azioni possessorie vengono proposte con ricorso innanzi al tribunale nel cui circondario è sito l’immobile oggetto del possesso, ed essendo un procedimento cautelare è caratterizzato da una istruttoria piuttosto celere, che termina con una ordinanza che, se il ricorrente avrà adeguatamente assolto gli oneri probatori descritti, comanderà ai condomini convenuti di cessare tutti quei comportamenti che hanno causato una privazione nell’esercizio del possesso dei beni condominiali. Entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento alle parti, il giudice fissa innanzi a sé l’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, se richiesto da uno dei contendenti. In tale giudizio, caratterizzato da una istruttoria piena ed approfondita, il condomino che si ritiene leso potrà, oltre a ribadire ed approfondire le difese già espresse nella precedente fase cautelare, chiedere al giudice di condannare la parte convenuta al risarcimento danni patiti. È opportuno sottolineare che la legittimazione a proporre l’azione possessoria da parte dell’amministratore senza autorizzazione assembleare, derivante dal combinato disposto degli artt. 1130 n. 4) e 1131 del c.c., si estende non solo alla preliminare fase cautelare, ma anche alla eventuale fase successiva.


Francesca A. chiede
sabato 20/02/2016 - Calabria
“Tizio ritenendo di essere stato spogliato nel possesso di un terreno con fabbricato, posseduto dal padre prima e poi da lui, propone ricorso avverso Caio, chiedendo al giudice di reintegrarlo. Il giudice rigettava con ordinanza la richiesta di Tizio, il quale non proponeva reclamo nei sessanta giorni. Tuttavia, Tizio che ha posseduto per oltre 30 anni l’immobile, in continuità con il padre deceduto, ritiene sussistano tutti i requisiti per proporre un giudizio di accertamento dell’usucapione maturata in capo ad esso. Può Tizio, proporre giudizio per vedersi riconosciuta l’usucapione, nonostante l’avvenuto spoglio e la mancata proposizione del reclamo avverso l’ordinanza che ha deciso il rigetto del suo ricorso? Si considera interrotto il possesso maturato in seguito all’avvenuto spoglio?E può proporre l’usucapione, pur avendo cosi concluso il giudice “… non avendo Tizio fornito una prova adeguata di aver esercitato al momento del presunto spoglio un potere di fatto corrispondente all’esercizio della diritto di proprietà, il ricorso non può trovare accoglimento?”
Consulenza legale i 26/02/2016
Con il presente quesito viene richiesto, in primo luogo, se, a seguito di rigetto dell'azione di reintegrazione ex art. 1168 del c.c., il soggetto che assumeva di essere stato spogliato, possa richiedere l'accertamento dell'usucapione con riferimento allo stesso bene.
Da quanto è stato rappresentato, e con particolare riferimento allo stralcio di ordinanza riportato testualmente, sembrerebbe che, nel provvedimento di rigetto dell'azione di reintegrazione, non sia stata respinta l'azione per assenza di legittimazione attiva da parte del proponente - quindi perché non sarebbe possessore del bene - bensì poiché lo spogliato non avrebbe fornito la prova di avere agito in virtù della propria titolarità sul bene.
Pertanto, sembrerebbe che l'eventuale proposizione dell'azione volta ad accertare il maturare dell'usucapione, allo stato, non sia necessariamente incompatibile con quanto disposto nell'ordinanza di rigetto dell'azione di reintegrazione, la quale, si ribadisce, non sembra negare il possesso del bene da parte di Tizio.
Tra l'altro, e più precisamente, occorre distinguere tra possesso utile ai fini dell'usucapione e situazione di fatto tutelabile in sede di azione di reintegrazione (indipendentemente dalla prova che spetti un diritto, da parte di chi è privato, violentemente o occultamente, della disponibilità del bene).
In secondo luogo viene richiesto se l'avvenuto spoglio possa costituire un atto interruttivo del possesso ai fini del maturare dell'usucapione.
La disposizione di riferimento risulta essere l'art. 1167, comma 1, del c.c., il quale stabilisce che:
"I. L'usucapione è interrotta quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno.
II. L'interruzione si ha come non avvenuta se è stata proposta l'azione diretta a ricuperare il possesso e questo è stato ricuperato".
Pertanto, poiché l'azione di reintegrazione è stata rigettata, e il possesso non è stato recuperato, l'usucapione potrebbe essere stata efficacemente interrotta.

Sandro chiede
mercoledì 06/04/2011 - Piemonte

“1) Se ospito per un certo numero di giorni un mio parente od amico, e durante questo periodo il suddetto mi sottrae un bene che suscita particolarmente il suo interesse o la sua curiosità, ho la possibilità di richiedere l'azione di reintegrazione?
2) Il concetto di "spoglio clandestino" risulta poco chiaro.”

O. D. chiede
martedì 25/10/2022 - Friuli-Venezia
“Sono convivente con altra persona madre di 2 figli provenienti dal precedente matrimonio, di cui uno residente con noi. Dopo oltre 3 anni di convivenza presso la casa di lei e nella mia, abbiamo acquistato un immobile nel 2020, con caparra confirmatoria ed anticipo versati dal sottoscritto. 2 anni dopo, per questioni legate a varie necessità tra cui la considerazione di non avere figli e/o eredi diretti, decido in accordo con la compagna di cedere la mia quota di proprietà ad un prezzo concordato ma simbolico in quanto non comprendente le rate di mutuo fino ad allora versate e altri pagamenti al costruttore "in nero". Arriviamo ad un rogito in cui mi viene versato per la cessione della quota l'importo di 25000€ pari all'anticipo più spese (contro i 39000 DOVUTI). Di comune accordo e come risulta dal rogito mantengo la mia residenza nella stessa casa. Nulla faceva presagire ad un inasprimento dei rapporti. Al culmine di una serie di litigi (non dovuti a tradimenti o abbandono di tetto coniugale ma a diversità di vedute), decidiamo la separazione ma la "ex" compagna vuole che lo faccia entro 20 giorni. Faccio presente che l'80% dei mobili è stato acquistato dal sottoscritto con pagamento tracciabile e che è impossibile trovare un posto in affitto non ammobiliato con così scarso preavviso. Vorrei sapere se esiste un termine legale TASSATIVO entro il quale devo uscire dalla casa della ex e cosa posso pretendere a livello economico riguardo alle quote di mutuo versate e i pagamenti fatti al costruttore. E' mio interesse trovare un accordo stragiudiziale che comporti un termine ragionevole di uscita ed una quota in denaro commisurata ai mobili presenti che sono disposto a lasciare per un contributo in denaro.”
Consulenza legale i 04/11/2022
Con riferimento al primo dei quesiti formulati, la legge non prevede alcun termine entro cui il convivente more uxorio, in conseguenza della fine della relazione di coppia, debba allontanarsi dall’abitazione del, o della, partner.
Tuttavia la Cassazione (Sez. I Civ., 11/09/2015, n. 17971) ha precisato che “la convivenza more uxorio, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare” e che il convivente “in virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto (ex art. 2 Cost.) della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente”.
Ora, se è vero che tale detenzione qualificata dipende comunque dall'esistenza di un programma di vita in comune, ciò non significa che il convivente non proprietario possa essere “buttato fuori di casa” in seguito alla rottura della relazione, ad esempio cambiando la serratura: afferma infatti la giurisprudenza citata che “l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio” (prevista dall'art. 1168 del c.c.).
È dunque ragionevole che venga concesso all’ex partner un congruo termine per reperire altro alloggio, fermo restando che, laddove la presenza nell’immobile si protragga, il convivente proprietario potrà agire in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile. Naturalmente, la soluzione migliore rimane quella prospettata nel quesito, di un accordo tra le parti inteso a consentire il trasloco dell’ex in tempi ragionevoli.
Quanto al secondo quesito oggetto di consulenza, il rimborso delle spese sostenute durante la convivenza è questione assai frequente e dibattuta.
Ora, la giurisprudenza recente (Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 14/07/2021, n. 20062) ha affermato che “la sussistenza della convivenza more uxorio non attribuisce automaticamente alle operazioni aventi contenuto economico-patrimoniale lo status di donazioni o atti di liberalità” (in quanto tali non rimborsabili).
Aggiungiamo che la situazione va valutata caso per caso, avuto riguardo all’entità delle spese sostenute dal convivente, alle sue condizioni economiche, ecc.
Si è fatto anche ricorso, a tal fine, alla figura dell’obbligazione naturale, ex art. 2034 del c.c., ovvero a quella avente ad oggetto una prestazione eseguita spontaneamente in esecuzione di doveri morali o sociali, quali sono appunto i doveri collegati alla convivenza di fatto, quale formazione sociale tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost.
Così, ad esempio, Cass. Civ., Sez. VI - 3, ordinanza 01/07/2021, n. 18721: “nell'ambito di una convivenza di fatto, il pagamento di una somma per la ristrutturazione dell'immobile adibito a casa familiare di proprietà dell'ex convivente, si configura come adempimento di un'obbligazione naturale quando la prestazione è contenuta nei limiti di proporzionalità e adeguatezza rispetto alle condizioni sociali e patrimoniali di chi ha effettuato il pagamento. In tal caso dette somme non sono rimborsabili alla cessazione della convivenza”.
Ancora, Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 12/06/2020, n. 11303 ha ribadito che “un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente "more uxorio" configura l'adempimento di un'obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens”.
Occorrerà dunque verificare il rispetto di tali parametri anche nel caso oggetto del quesito.
Laddove le spese sostenute dal convivente non rientrino nella “normalità”, sarà possibile esperire nei confronti dell’altro l’azione di arricchimento senza causa, ex art. 2041 del c.c.: “in tema di convivenza more uxorio l'azione di arricchimento senza causa è inammissibile quando le prestazioni rese dai conviventi trovano la loro giustificazione nel rapporto di convivenza, mentre è configurabile un indebito arricchimento, ed è pertanto possibile proporre il relativo rimedio giudiziale, nel caso in cui le prestazioni rese da un convivente e convertite a vantaggio dell'altro esorbitano dai limiti di proporzionalità e adeguatezza” (Cass. Civ., Sez. III, 15/05/2009, n. 11330).
Ancora più esaustiva sul punto Cass. Civ., Sez. III, 22/09/2015, n. 18632, secondo cui “l'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro, avvenuta senza giusta causa. In particolare, l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro è configurabile in presenza di prestazioni a vantaggio del primo, che esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. La mancanza o la ingiustizia della causa non è, invece, invocabile qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità, ovvero dell'adempimento di una obbligazione naturale”.

F. G. chiede
martedì 26/07/2022 - Campania
“Ho una causa di divisione di terreni ereditari da ben 15 anni; i cinque fratelli, tutti contadini, che coltivavano il terreno sono deceduti e sono subentrati i figli; uno dei condividenti sostiene di aver usucapito una certa porzione del terreno avendo continuato il possesso del padre. Di fatti OGGI I FONDI SONO ABBANDONATI, NON COLTIVATI, anche quelli di colui che pretende l'usucapione in danno degli altri condividenti. A parte le disquisizioni sull'usucapione ed il timore di essere denunciato per invasione di terreni da questo signore che si è inventato l'usucapione la domanda è: E' legittimo pretendere l'usucapione e lasciare il fondo incolto? il predetto signore non sta commettendo qualche reato? Aver recintato il terreno a causa di divisione in corso al fine di escludere gli altri condividenti non è alterazione dello stato dei luoghi?
cosa si può fare?”
Consulenza legale i 09/08/2022
L’azione posta in essere da uno dei condividenti, consistente nel recintare in corso di causa una porzione del terreno da dividere, non può essere capace di influenzare e comunque produrre alcun effetto giuridico ai fini della formazione dei lotti e della conclusione del giudizio di divisione.
Sembra più che evidente che intenzione di colui che ha recintato sia quella di far uscire quella porzione di terreno dal lotto complessivo da dividere, in modo da ottenerne una quota di maggiore consistenza.

Tuttavia, va detto che non è certamente questo il modo corretto per reclamare e far valere l’usucapione, ancor più nel corso di una causa di divisione.
La norma a cui probabilmente intende fare ricorso colui che ha recintato il terreno è l’art. 714 c.c., ove è prevista la possibilità di domandare la divisione anche nel caso in cui uno o più coeredi abbiano separatamente goduto di parte dei beni ereditari, facendo tuttavia salvi gli effetti dell’usucapione.
Si precisa in giurisprudenza che, ai fini dell’usucapione, non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo invece che il coerede abbia goduto del bene o della porzione di bene che intende usucapire in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui ed in modo tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus (così Cass. ord. n. 966/2019, ord. n. 10494/2018, sent. n. 24214/2014, sent. n. 7221/2009, sent. n. 5687/1996).

In ogni caso, come si è prima accennato, l’avvenuta usucapione del bene non può essere reclamata semplicemente nei fatti con una recinzione, ma avrebbe dovuto essere quantomeno dedotta dalla parte che ne ha interesse in sede di giudizio di divisione, integrando un’eccezione in senso stretto, in quanto diretta a rilevare la sopravvenienza dei fatti estintivi del diritto degli altri condividenti, la quale deve essere, pertanto, proposta a pena di decadenza con la comparsa di costituzione e risposta depositata dal convenuto nei termini di legge.

A ciò si aggiunga che secondo quanto statuito di recente dalla Corte di Cassazione, Sez. II. con sentenza n. 1642 del 22.01.2019 “Non può essere sottratta dalla comunione ereditaria, per intervenuta usucapione, la sola porzione materiale di un più ampio immobile. Ciò in ragione del fatto che l’usucapente deve godere del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare la volontà di possedere uti dominus e non più uti con dominus”.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione escludeva che uno dei coeredi potesse usucapire un’area o un’ala di un castello di oltre 200 vani, ipotesi che ben può assimilarsi alla pretesa del coerede di aver usucapito una porzione, peraltro indivisa, di un più ampio lotto di terreno.

Non potendo trovare quella pretesa di usucapione alcun fondamento giuridico e dovendosi ritenere tutti i coeredi legittimati ad usare il bene immobile ereditato, la conclusione che se ne deve trarre è che il comportamento tenuto dal coerede che ha arbitrariamente recintato una porzione di quell’immobile (così intendendo privare gli altri coeredi del possesso e godimento di detta porzione) configura a tutti gli effetti gli estremi dello spoglio, e ciò conformemente a quanto sostenuto da Cass. civ. sent. n. 17988 del 07.09.2004, ove si legge quanto segue:
Il coerede detentore che impedisce agli altri coeredi il potere di fatto esercitato dal proprio dante causa costituisce spoglio in quanto realizza le condizioni per mutare l’originario compossesso in possesso esclusivo”

Si osserva, infatti, che la detenzione da parte di un coerede non può privare gli altri coeredi, non detentori, del compossesso dei beni ereditati, in quanto costoro succedono nella stessa situazione possessoria che faceva capo al de cuius senza necessità di alcun atto di materiale apprensione.
Integrando l’atto di recinzione gli estremi dello spoglio, ci si dovrà necessariamente avvalere dello strumento giuridico a tali fini messo a disposizione dal nostro ordinamento giuridico, ovvero l’azione di reintegrazione, disciplinata dall’art. 1168 del c.c..
In tal senso si legge sempre nella sentenza da ultimo citata n. 17988/2004 che “l’atto a mezzo del quale il coerede detentore mira, anche senza violenza materiale a modificare arbitrariamente a proprio vantaggio e in danno degli altri coeredi non detentori la relazione di fatto col bene è tutelabile con l’azione di reintegrazione”.

Pertanto, ciò che si consiglia è di affrettarsi a diffidare formalmente il coerede che ha apposto la recinzione a rimuovere la stessa, portando all’attenzione del destinatario, nel corpo della medesima diffida, che l’escludere da ogni godimento diretto o indiretto, anche occasionale, gli altri coeredi fa sorgere in capo a questi ultimi il diritto ad una indennità di occupazione.
Qualora, poi, pur a seguito di tale diffida, il coerede dovesse non rimuovere la recinzione, non resta altra soluzione che quella di agire con l’azione di reintegrazione, la quale va in ogni caso proposta a pena di decadenza entro l’anno dal sofferto spoglio (ovvero entro un anno da quando è stata apposta la recinzione).

R. S. chiede
domenica 08/05/2022 - Lazio
“Ho realizzato un sito web ed ho registrato il relativo codice sorgente alla SIAE in qualità di autore. Detto codice sorgente è tuttora nella disponibilità della mia ex-convivente che non vuole restituirmelo nonostante abbia paventato azioni legali nei suoi confronti. Il mio legale mi ha detto che non è possibile effettuare una azione di reintegra in quanto questa è applicabile unicamente ai beni materiali mentre il codice sorgente è per definizione immateriale. Quali strumenti è possibile utilizzare in sede civile per rientrare in possesso del mio codice?”
Consulenza legale i 21/05/2022
Purtroppo dobbiamo confermarle quanto segnalatole dal legale da lei precedentemente consultato in relazione all’impossibilità di esperire l’azione di reintegrazione al fine di rientrare in possesso del codice sorgente, nonostante lo stesso sia stato debitamente registrato presso il competente registro SIAE.
Invero, l’azione di reintegrazione ex art. 1168 del Codice Civile, è volta a tutelare il possessore di un bene materiale che è stato illegittimamente spogliato dello stesso.
Il codice sorgente di un software è un bene, inequivocabilmente, immateriale e, pertanto, la proprietà intellettuale relativa allo stesso non può essere propriamente tutelata attraverso il ricorso all’azione in discorso.
Tuttavia, potrebbe essere avanzata una ipotesi alternativa. Ossia, quella di esperire l’azione di reintegrazione nei confronti della sua ex-convivente lamentando l’illegittimo spoglio del supporto hardware (oggetto fisico) su cui è salvato o trascritto il codice sorgente. Si specifica che tale azione non sarebbe comunque volta a tutelare il suo diritto d’autore bensì a perseguire la reintegrazione nel possesso del supporto materiale.
E’ necessario, comunque, considerate che questa via non può dirsi particolarmente agevole, dal momento che sarebbe suo onere provare che la sua ex compagnia le abbia sottratto il possesso del supporto in maniera violenta ovvero occulta.
Per altro verso, il diritto d’autore da lei vantato sul software, potrebbe essere tutelato con l’esperimento dell’azione inibitoria ai sensi dell’articolo 156 della legge n. 633 del 1941, il quale afferma che: “Chi ha ragione di temere la violazione di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante in virtù di questa legge oppure intende impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta sia da parte dell'autore della violazione che di un intermediario i cui servizi sono utilizzati per tale violazione può agire in giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia vietato il proseguimento della violazione. Pronunciando l'inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento”.
Con l’esperimento di questa azione si potrebbe ottenere un provvedimento del giudice che, innanzitutto, diffidi chi detiene attualmente il supporto ove è registrato il codice a usarlo e, ipoteticamente, che ordini la restituzione del supporto medesimo.
Il contenuto del pronunciamento che decide sull’azione ex articolo 156 della l.d.a. ha, infatti, un contenuto discrezionalmente determinabile dal giudice.
In caso di mancato rispetto da parte del convenuto di un provvedimento di tal fatta, questi sarebbe condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria consistente in una somma fissa per ogni episodio di violazione o inosservanza del provvedimento (cd. astraintes).
In ogni caso, prima di ponderare la scelta di una delle due azioni sopra descritte, potrebbe essere utile esperire un tentativo di recuperare il proprio codice sorgente entrando in contatto con la SIAE, dal momento che, ai fini della registrazione presso il registro competente è stato allegato, come da istruzioni ricavabili dal sito dell’Ente, un esemplare del programma fissato su supporto digitale (CD-rom, DVD non riscrivibili) contenente il codice sorgente o l’applicativo, oppure entrambi.

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