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Articolo 1117 ter Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Modificazioni delle destinazioni d'uso

Dispositivo dell'art. 1117 ter Codice Civile

(1)Per soddisfare esigenze di interesse condominiale l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio(2), può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni(3).

La convocazione dell'assemblea deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione.

La convocazione dell'assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso(4).

La deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di cui ai precedenti commi.

Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterino il decoro architettonico.

Note

(1) Articolo aggiunto con legge del 11 dicembre 2012, n. 220.
(2) Non è più richiesta l'unanimità (es. per trasformare un giardino in parcheggio).
Alcuni autori si chiedono però se non mantenga la sua operatività anche il principio generale desumibile dall’art. 1102 del c.c. in tema di comunione, secondo il quale "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa".
(3) L'articolo, del tutto nuovo rispetto all'assetto originario del codice civile, regolamenta la “modificazione delle destinazioni d’uso volte a soddisfare esigenze di interesse condominiale”. Deve essere comunque garantita la sicurezza nonché il decoro architettonico dell’edificio, unici limiti all'autonomia dell'assemblea condominiale.
(4) Viene previsto un procedimento aggravato di convocazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

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Consulenze legali
relative all'articolo 1117 ter Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. C. chiede
martedì 18/04/2023
“Sono proprietario di un alloggio condominiale. L’edificio è stato costruito su un suolo assegnato nel 1987 dal Comune in diritto di superficie (99 anni) nell’ambito di un piano di zona di cui all’art.51 della legge n.865/71. La Regione ha erogato un mutuo, a tasso agevolato, con Provvedimento n.9246 del 07/01/1988 subordinando il tutto alle seguenti condizioni:
- Sup. utile (Su) degli alloggi: n.6 (80mq) e n.6 (95mq); altezza utile: 2,70m;
- Sup. non residenziale (Snr): ≤ 35% della superf. utile;
- Box posto auto: ≤ 18,00 mq;
Nel progetto approvato, oltre alle normali pertinenze comuni (androne, scala, ascensore), vi è anche un ampio locale sottotetto (sub 15) che compare come ambiente unico accessibile solo per manutenzione e riparazione (dal punto di vista Catastale "bene comune non censibile").
Tutti i soci della cooperativa (ora condomini) avremmo desiderato, a suo tempo, godere di una superficie aggiuntiva dividendo il sottotetto in tante mansardine in modo da averne una per ogni alloggio. Non abbiamo però inserito questa superficie aggiuntiva per non penalizzare quella dei balconi in quanto si andava, complessivamente, a superare il vincolo del 35% di superficie non residenziale.
Mi pongo la seguente domanda: “oggi è possibile aggiungere la superficie delle mansardine a quella degli alloggi o i vincoli di allora sono ancora condizionanti ?”
La Legge 23 dicembre 1998, n.448 consente di trasformare il diritto di superficie in diritto di piena proprietà pagando il suolo a valore di mercato in forma ridotta. Dall’importo calcolato va detratta la somma a suo tempo versata per il canone novantanovennale.
Il pagamento del suolo consente di superare una serie di limitazioni presenti nella convenzione diventando pieni proprietari dell’alloggio e della quota di terreno nonché proprietari delle quote pertinenziali (parti comuni dell’edificio: androne, ascensore, scale e sottotetto).
Si potrebbe eventualmente superare il limite di cui sopra trasformando il diritto di superficie in diritto di piena proprietà?
Distinti saluti”
Consulenza legale i 29/04/2023
La possibilità o meno di apportare modifiche all’immobile a cui si fa riferimento nel quesito non può farsi dipendere dal regime proprietario del suolo su cui lo stesso immobile è stato costruito.
Infatti, sebbene la cooperativa costruttrice risulti soltanto titolare del diritto di superficie su tale suolo, i singoli soci assegnatari degli alloggi hanno sui medesimi un diritto di proprietà pieno (ovviamente di sola proprietà superficiaria), il che sarebbe già sufficiente per poter essere legittimati ad apportare all’immobile eventuali modifiche.

Tuttavia, i limiti alla modificabilità degli immobili realizzati dalla Cooperativa edilizia si ritiene che debbano piuttosto farsi discendere da quelli che sono i principi che ispirano l’edilizia convenzionata in genere, intesa come quella particolare forma di edilizia popolare che nasce da un accordo tra imprese costruttrici private e Comuni per far fronte alle esigenze di categorie sociali più deboli.
E’ per questa ragione che vengono previste regole ben precise e particolari vincoli da rispettare, il primo dei quali è quello derivante dal comma 3 dell’art. 35 Legge n. 865/1971, richiamato nelle premesse dell’atto di costituzione del diritto di superficie, nel quale si dice che sulle aree espropriate dal Comune o dai loro consorzi viene concesso il diritto di superficie “…per la costruzione di case di tipo economico e popolare...”.

Della particolare natura che gli alloggi da realizzare devono possedere se ne trova conferma anche all’art. 6 dell’atto di costituzione del diritto di superficie, ove la parte concessionaria (ovvero la Cooperativa edilizia) dichiara di essere in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalle allora vigenti disposizioni per l’assegnazione “di alloggi economici e popolari”.
Già tale disposizione lascia intendere che i vincoli scaturenti dall’acquisto di un alloggio realizzato in edilizia convenzionata non possono individuarsi soltanto nelle limitazioni inerenti alla vendita, locazione e costituzione di diritti reali di godimenti (limitazioni a cui si fa espresso riferimento all’art. 7 di quel medesimo atto), ma anche nella caratteristiche costruttive che gli immobili realizzati devono possedere e mantenere per poter essere qualificati come “alloggi economici e popolari”.
Ulteriore conferma di quanto appena detto si ritrova al successivo art. 9 dell’atto costitutivo del diritto di superficie, in cui si precisa che le costruzioni dovranno essere eseguite conformemente al progetto approvato, progetto sulla base del quale è stata rilasciata la concessione edilizia a costruire (e precisamente la concessione di costruzione citata all’art. 4 del successivo atto di assegnazione) e successivamente il relativo permesso di abitabilità.

A ciò si aggiunga che la stessa parte assegnataria, in sede di stipula dell’atto di assegnazione dell’alloggio, ha espressamente dichiarato di conoscere ed accettare senza alcuna riserva e condizione i vincoli contenuti nella convenzione stipulata con il Comune concedente il diritto di superficie, vincoli ai quali non può venir meno neppure in caso di acquisto del diritto di piena proprietà del suolo.

In considerazione di quanto fin qui detto, dunque, ed a prescindere dal riscatto del suolo su cui l’edificio è stato costruito, ciò che occorre verificare, avvalendosi a questo punto di un tecnico di propria fiducia, è se la normativa urbanistica consente di apportare modifiche a quel progetto originario per il quale è stata rilasciata regolare concessione edilizia ovvero se una modifica, quale quella che si intende realizzare, non possa essere assentita perché farebbe perdere alle singole abitazioni la loro natura di “alloggi di tipo economico e popolare” (per superamento della superficie massima abitabile).
Si tenga presente al riguardo che un’intervento di questo tipo non è neppure realizzabile mediante segnalazione certificata di inizio attività, in quanto il comma 2 dell’art. 22 del T.U. edilizia dispone che possono realizzarsi mediante SCIA quelle varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie e che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia.

Qualora non dovesse sussistere alcun ostacolo sotto il profilo urbanistico, da un punto di vista prettamente civilistico una tale modifica può ritenersi sicuramente ammissibile, potendo a tal fine farsi applicazione di quanto disposto dall’art. 1117 ter c.c., norma che consente all’assemblea dei condomini, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, di modificare la destinazione d'uso delle parti comuni.

C. F. chiede
lunedì 28/02/2022 - Lombardia
“Nel mio Condominio esiste appartamento, di proprietà Condominiale, da sempre destinato come benefit al Custode/addetto alle pulizie condominiali. Nell’ultima Assemblea Ordinaria, con 486 millesimi presenze/deleghe si è deliberato per dare in comodato/affitto l’appartamento, avendo da due anni optato per l’impresa di pulizie.
Prima di deliberare per affittanza del medesimo, non si sarebbe dovuto deliberare “cambio di destinazione d’uso proprietà comune condominiale”? Non rientra in Art. 1117 per di più con maggioranza di 800 millesimi?
Alcuni Condomini contestano la procedura all’Amministratore.
Qual è l’esatta procedura?
Grazie”
Consulenza legale i 02/03/2022
I dubbi di una parte del condominio sono legittimi, ma non è detto che ciò possa portare ad una impugnazione di quanto deliberato.

Se esaminando il regolamento di condominio emerge che tra i beni comuni condominiali vi è l’alloggio del portiere, esso a norma di regolamento deve essere destinato al servizio di portierato. È ben possibile che i proprietari riuniti in assemblea decidano di dismettere il servizio e di mettere a reddito l’alloggio affittandolo, ma per tale ultimo passaggio si sarebbe dovuto seguire la procedura indicata dall’art. 1117ter del c.c. e gli adempimenti in essa indicati: destinare infatti tale alloggio all’affitto a favore di un soggetto esterno (che di fatto diviene inquilino di tutti i componenti del condominio), distoglie il bene dalla sua originale destinazione economica.

L’art. 1117 ter del c.c. è una norma piuttosto singolare nel contesto del diritto condominiale: esso prevede un quorum molto elevato per giungere a deliberare il cambio di destinazione d’uso di un bene comune (appunto 4/5 dei partecipanti al condominio che rappresentano almeno 800 millesimi) e una procedura di convocazione della assemblea di condominio differente rispetto a quella ordinariamente prevista. Sicuramente l’amministratore, proprio perché consapevole degli adempimenti particolarmente gravosi che comporta l’applicazione dell’art. 1117 ter del c.c., ha fatto finta di nulla applicando la normativa ordinaria. A questo punto è giusto chiedersi se l’errore o l’incuria dell’amministratore abbia inficiato quanto deciso dalla assemblea in merito all’alloggio del portiere. La risposta a tale domanda è: dipende.
La violazione dell’art. 1117 ter del c.c. comporta un vizio di semplice annullabilità della delibera condominiale e non di nullità. Ciò significa che si poteva eventualmente impugnare la delibera condominiale per violazione dell’art. 1117 ter del c.c. ma questo si doveva fare nei limiti ed entro i termini indicati dall’art. 1137 del c.c.

L’art. 1137 del c.c. ci dice che la delibera contraria alla legge può essere impugnata dai soli condomini assenti il giorno della riunione o che hanno espresso voto contrario o si sono astenuti; l’impugnazione poi deve avvenire entro trenta giorni decorrenti per i proprietari presenti dal giorno della riunione, mentre per i condomini che erano assenti dal giorno in cui viene loro comunicato il verbale della riunione condominiale.
In altre parole, se oramai è decorso il termine per impugnare previsto dall’art. 1137 del c.c., la delibera che ha previsto la modifica del cambio di destinazione d’uso è ormai divenuta inoppugnabile anche se adottata in violazione dell’art. 1117 ter del c.c.


Franco G. chiede
martedì 13/04/2021 - Friuli-Venezia
“Gentili Avvocati,
avevo già scritto a Voi in materia Q202127801 . Il mio dubbio adesso è: come scritto, le mie camere sono sotto il lastrico (terrazza). La stessa terrazza e munita di impianti fissi per stendibucato installati dall'origine dal costruttore sin dal 1973 (unico blocco con muro e ringhiere) dove i condomini in generale e io in particolare abbiamo sempre usato. Adesso col bonus- cappotto e caldaia l'amministratore mette pannelli termici per acqua calda – a mio avviso poco convenienti e dannosi per la guaina appena cambiata. Il condominio, non conoscendo i danni che può provocare e sentendo l'amministratore “voi non pagate niente, paga tutto lo stato”, sarebbero quasi tutti d'accordo (da verificare). Il mio quesito è:
è obbligatorio procedere alla la variazione uso parti comune per poter installare pannelli al posto dello stenditoio prima dei lavori?
Se l'amministratore ha già iniziato i lavori senza fare, con una votazione all'ordine del giorno, variazione uso parti comune, posso bloccare?
Se blocco, l'amministratore può fare in un secondo momento la votazione per la variazione d'uso con la maggioranza dei 4/5 dopo che tramite un legale intimo il fermo e ripristino uso terrazza come stenditoio (importante questo quesito)oppure cosa?
Questo perché facendola in un secondo momento ad agevolazione richiesta sicuramente anche quelli che non sono favorevoli poi lo diventano per non perdere l'agevolazione totale (sarebbe come un ricatto).

Grazie saluti

Consulenza legale i 20/04/2021
Se la collettività condominiale vuole adibire a area per l’alloggiamento di pannelli solari un terrazzo comune da sempre utilizzato come stenditoio deve per forza applicarsi l’art.1117ter del c.c., in quanto la sua destinazione d’uso ne viene radicalmente modificata, non fosse altro per il fatto che nell’area dove prima vi ci si accedeva per stendere i panni, ora vi si trovano dei pannelli solari che di fatto impediscono di svolgere l’attività precedente.
Ciò comporta che prima di qualsiasi installazione sulla terrazza è necessario procedere alla votazione indicata dall’art.1117ter del c.c. Se l’amministratore procede di sua iniziativa a far eseguire i lavori compie una grave negligenza professionale ed è sicuramente possibile rivolgersi ad un legale per imporre il blocco dei lavori.
Ovviamente le votazioni di cui all’art.1117ter del c.c. devono farsi prima che i lavori abbiano inizio e non dopo la loro realizzazione.


Franco G. chiede
domenica 21/03/2021 - Veneto
“Gentili Avvocati, è la terza volta che ricorro a Voi, contento.
Abito all'ultimo piano di un condominio di 4 piani e 12 appartamenti. Sulla mia camera da letto insiste un terrazzo di circa 35 mq che il proprietario costruttore aveva adibito a stendibiancheria installando sostegni fissi in ferro e fili per stendere. Così era dal mio ingresso sia come inquilino poi proprietario. Un servizio utilissimo. Lo scorso anno, causa infiltrazioni nel mio appartamento, è stato rifatto tutto con nuove guaine e pavimentazione. L'amministratore nel fare richiesta per il bonus decreto rimborso € 110% tra l'altro vorrebbe inserire l'installazione di pannelli solari - non potendo metterli sui coppi che non reggono, vorrebbe installarsi proprio sul detto terrazzo cambiando l'uso. A parte che imbullonando tali attrezzi verrebbero inseriti viti e staffe che, col tempo, creerebbero problemi d'infiltrazione e sbarellamento causa vento degli stessi, porterebbero non poco disagio e stress visto che sarebbero a stretto contatto sulle mie camere da letto.
Può l'amministratore, anche con una maggioranza, dopo 48 anni privarci di un servizio?
Al momento dell'acquisto il proprietario mi ha consegnato un regolamento condominiale regolarmente registrato dal notaio – però nella prima riunione di condominio (eravamo in pochi perché vi erano ancora appartamenti da vendere) non lo ha fatto votare. Lo abbiamo fatto due anni dopo ma uno non ha firmato (per ricatto).
In caso proseguisse, quante speranze avrei per tutelarmi?
Grazie”
Consulenza legale i 26/03/2021
Innanzitutto è utile precisare che l’amministratore non può decidere di sua spontanea volontà di modificare la destinazione d’uso di una parte comune dell’edificio: questa possibilità è sicuramente ammessa (come vedremo meglio), ma è una decisione che necessariamente deve essere presa dai proprietari riuniti in assemblea appositamente convocata. L’amministratore non può fare altro che prendere atto di quanto deliberato dalla assise e darvi esecuzione.

Fatta questa doverosa premessa ciò che ci si prefigge di fare è cambiare la destinazione d’uso di una parte comune dell’edificio; tale operazione è sicuramente possibile, ma vi sono delle rigide condizionalità previste dall’art. 1117 ter del c.c.
Tale articolo dispone che qualora per interesse di natura condominiale si voglia modificare la destinazione di una parte comune dello stabile, ciò deve essere approvato dalla assemblea di condominio con una maggioranza pari a 4/5 dei partecipanti al condominio che rappresentano a loro volta i 4/5 del valore dell’edificio (800 millesimi).
Il legislatore, quindi, condiziona la modifica della destinazione d’uso ad una doppia maggioranza per teste e millesimi elevatissima, che non trova uguali in tutta la normativa condominiale.

Le differenze rispetto alla disciplina ordinaria non terminano qui, in quanto i commi 2°,3° e 4° dell’art 1117ter del c.c. introducono una disciplina speciale anche in merito alle modalità di convocazione della assemblea, e sulle modalità di redazione della delibera assembleare di approvazione della modifica.
La convocazione della riunione assembleare deve essere affissa per almeno trenta giorni nei locali di uso comune o negli spazi a ciò destinati, e deve essere recapitata dall’amministratore ai singoli proprietari a mezzo raccomandata o altri equipollenti mezzi elettronici almeno 20 giorni prima del giorno fissato per la riunione condominiale.
Il 3° comma dell’art 1117 ter del c.c. dispone inoltre che a pena di nullità della convocazione la stessa deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso.

E’ interessante notare come la disciplina ordinaria in merito alle modalità di convocazione della assemblea, prevista dal comma 3° dell’art 66 disp. att. del c.c., prevede che la convocazione possa essere recapitata anche a mano ai singoli condomini almeno 5 giorni prima della data fissata per l’adunanza, e non prevede alcun requisito la cui mancanza comporti la totale nullità dell’atto di convocazione. Il legislatore, quindi, in merito al cambio di destinazione d’uso ha previsto una modalità di convocazione rafforzata della assemblea condominiale, che aumenta gli adempimenti richiesti all’amministratore rispetto a quelli previsti dalla normativa ordinaria.

Proseguendo in questo senso, il comma 4° dell’art 1117 ter del c.c., dispone che la delibera adottata dalla assemblea convocata nella modalità di cui ai precedenti commi, deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di convocazione previsti dalla normativa speciale in commento.

Per addivenire quindi alla modifica della destinazione d’uso della terrazza non solo si dovranno raggiungere in assemblea gli elevati quorum deliberativi che si sono detti, ma l’amministratore dovrà rigorosamente rispettare le procedure straordinarie di convocazione dell’assise previste dalla norma. Se così non fosse, e l’assemblea comunque deliberasse di adibire la terrazza a locale per i pannelli fotovoltaici condominiali, si potrebbe sicuramente fare opposizione innanzi alla autorità giudiziaria nei termini indicati dall’art.1137 del c.c.

Quanto detto finora vale però solo nel caso in cui i pannelli fotovoltaici siano anch’essi condominiali e quindi utilizzati per alimentare i servizi comuni (ad esempio luce scala e ascensore), se invece i pannelli sono al servizio delle singole unità abitative la situazione muta radicalmente, in quanto troverebbe applicazione il co. 2° dell’art.1122bis del c.c. e non più l’art.1117 ter del c.c.

L’art. 1122 bis del c.c. introduce un vero e proprio diritto del singolo condomino all’utilizzo delle parti comuni dell’edificio, al fine dell’installazione di impianti fotovoltaici al servizio delle singole unità abitative. Il comma 2° di tale articolo dispone infatti che:” È consentita l'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale dell'interessato”.
Al fine di rafforzare tale diritto, il legislatore al 4° co. dell’art. 1122 bis del c.c. dispone espressamente che l’installazione degli impianti fotovoltaici non sono soggetti ad autorizzazione assembleare.

Seppur in ambito di installazione di pannelli fotovoltaici l’organo assembleare vede i suoi poteri d'intervento diminuire considerevolmente, esso non è stato del tutto dimenticato dal legislatore. Il comma 3° dell’art.1122 bis del c.c. dispone che qualora si rendessero necessarie delle modifiche alle parti comuni dell’edificio, il condomino interessato alla installazione degli impianti ne deve dare comunicazione all’amministratore, indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi.
L’assemblea, convocata ad hoc dall’amministratore, potrà prescrivere particolari modalità esecutive delle installazioni o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio. Su richiesta degli altri condomini l’assemblea potrà ripartire l'uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o comunque in atto.
Ai fini di quanto prevede il comma 3° dell’art 1122 bis del c.c. l’assemblea delibera con le maggioranze di cui al comma 5° dell’art.1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno i due terzi del valore dell’edificio).
Analizzata per sommi capi la normativa condominiale in materia di impianti fotovoltaici, si può concludere che l’assemblea non ha il potere di impedirne l’installazione, ma ha il potere di influenzare le modalità esecutive dell’opera.

Concludendo, è quindi importante capire a che utilizzo si vorranno destinare i pannelli fotovoltaici. Se essi sono al servizio dei singoli appartamenti e quindi di proprietà esclusiva del condomino proprietario dovrà trovare applicazione l’art. 1122 bis del c.c., se invece i pannelli sono condominiali sarà l’art.1117 ter del c.c. e le sue rigide procedure a dover essere applicate.

Non si ritiene che in tale problema rivesta particolare importanza il regolamento condominiale a meno che in tale documento non si dica che la terrazza sia di proprietà o concessa in uso esclusivo all’autore del quesito: in tal caso non vi è nessuna norma che potrà costringere quest’ ultimo a sopportare la presenza dei pannelli sulla sua terrazza.

Luigi S. chiede
lunedì 10/02/2020 - Liguria
“Gent.mi,
confermando piena soddisfazione per le Vs. risposte per i quesiti posti in precedenza sono ancora qui a chiedere una Vostra consulenza per problemi di carattere condominiale.
Il condominio e composto da 76 unità abitative più la portineria, attualmente data in locazione, considerata bene comune, alle unità si accede da due ingressi per un totale di tre scale, da un ingesso si accede alle scale A e B e dall’altro alla scala C.
Oltre alla portineria in fase di costruzione sono stati realizzati ampi spazi in parte presenti al piano zero e altri all’ultimo piano, su questi spazi nessuno dei proprietari può vantare diritti di proprietà esclusiva.
In epoca remota alcuni tra i condomini hanno manifestato interesse per l’utilizzo di questi spazi, in assenza di altri interessati, gli spazi in oggetto, sono stati trasformati in cantine a tutt’oggi utilizzate in modo esclusivo, a detta di qualcuno la discussione era stata portata in assemblea ma non c’è traccia di un verbale (lo stiamo cercando) .
Per il godimento in forma esclusiva ad ognuno dei beneficiari è richiesto un contributo annuale che viene versato nel fondo di riserva condominiale insieme alla quota millesimale e all’affitto dell’ex portineria (Solo per la rendita resa dalla riscossione degli affitti ogni condomino, in proporzioni ai millesimi di sua proprietà, integra annualmente la dichiarazione dei redditi) .
Elenco dei beneficiari dei vani cantina.
Note N° di locali Iniziali Importo
Ex. Amministratore 1 C.A. € 85,00
Consigliere Scala B e Figlio 2 DC.C. € 177,00
Figlia di DC.C. 1 DC.D. € 65,00
Condomino 1 G.R. € 85,00
Condomino 1 N.R. € 65,00
Ex. Amministratore 1 O.F. € 85,00
Ex. Amministratore 1 T.G. € 58,00
Totale € 620,00

Sottolineo che il condomino descritto come DC. C. è con la sua famiglia proprietario di tre immobili uno per lui uno per il figlio e uno della figlia e per ogni immobile risulta a titolo esclusivo l’utilizzo di tre locali adibiti a cantina.
Gli attuali utilizzatori vorrebbero che tali spazi siano regolarmente accatastati por poi sottoscrivere con il condominio un regolare contratto di locazione. (riservando per se il diritto di prelazione).
Ad oggi nel condominio si stanno attivando le procedure di adeguamento dello stabile alla normativa antincendio, quindi si renderà necessario prestare attenzione a quanto depositato all’interno degli spazi adibiti a cantina e/o deposito che ha detta dell’Ing. che è stato incaricato dovranno, allo stato attuale, essere dotati di porte antifiamma.
Quesiti:
• E’ da considerarsi legittimo il cambio di destinazione d’uso dei locali (non sembra esserci evidenza di delibera da parte dell’assemblea).
• E’ legittimo che tali spazi siano ad oggi di godimento esclusivo e che sugli stessi possa essere lecito vantare il diritto di prelazione.
• Quali passi e/o azioni sono necessari, al fine di riportare tali spazi al loro uso e destinazione originale, in modo che tutti possano goderne in equa misura, sempre che tale richiesta sia da Voi considerata legittima.
Ringraziando ancora colgo l’occasione di porgere cordiali saluti.

Consulenza legale i 15/02/2020
Pima della riforma del condominio introdotta con la L. n.220/2012, la giurisprudenza ha più volte chiarito che è possibile per il condominio dare in locazione delle parti comuni, in quanto essa rappresenta un uso indiretto del bene da parte di tutti i condomini e come tale assolutamente ammissibile. Per concedere in locazione uno spazio comune non erano richieste le maggioranze previste per le innovazioni di cui all’art. 1120 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno i 2/3 del valore dell’edificio: 666millesimi), ma il più basso quorum previsto dal 2° comma dell’art. 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio: 500 millesimi). I giudici giungevano a tale conclusione poiché la locazione non esclude nessun condomino dal godimento del bene, ma anzi costituisce una attuazione di tale facoltà (si veda in questo senso Cass. Civ., Sez. II, n.10446 del 21.10.1998). La questione è stata molto dibattuta attorno alla possibilità di dare in locazione l’alloggio dell’ex portiere, ma può tranquillamente applicarsi anche ad altri spazi comuni.

In assenza di una specifica norma, presente ad esempio per le locazioni ad uso abitativo (si veda il co.4° dell’art.1 della L. n.431/98), il contratto di locazione non richiede come requisito per la sua validità la forma scritta, comunque assolutamente consigliata per questioni fiscali, qui non affrontate, e per dare prova in giudizio del vincolo contrattuale. Si ritiene pertanto, in linea teorica, che il condominio possa dare in locazione degli spazi comuni da adibire a cantine anche in assenza della sottoscrizione di una specifica scrittura privata da parte dell’amministratore di condominio: è tuttavia fondamentale che l’assemblea, con le maggioranze che si sono sopra dette, autorizzi la concessione in locazione delle aree comuni. Il tacito consenso dei condomini non può sanare in alcun modo la mancanza di una delibera condominiale in cui: vengano individuate le aree che saranno oggetto di locazione, precisata la durata del vincolo e, soprattutto, l’ammontare del canone.

Nel caso di specie manca uno scritto che provi il vincolo contrattuale, e ciò può dedursi dal fatto che gli stessi condomini interessati vorrebbero che le aree condominiali venissero accatastate come cantine, per poi sottoscrivere un contratto di locazione che preveda anche un diritto di prelazione nei loro confronti. Ma pare anche mancare la delibera assembleare che autorizzi la locazione degli spazi comuni.
In assenza di una delibera con la quale l’assise autorizzò a suo tempo la locazione, potrebbe trovare applicazione oggi il nuovo art. 1117 quater del c.c. Tale norma, non redatta, a dire il vero, in maniera molto chiara, introduce una specifica tutela nel caso in cui un condomino ponga in essere delle attività che incidano negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni delle parti comuni dell’edificio. La norma in esame dà la possibilità anche al singolo condomino, oltre che al nominato amministratore, di diffidare il soggetto che ha posto in essere tali comportamenti dal continuarli, e di convocare l’assemblea dei proprietari affinché la stessa, con le maggioranze di cui al 2° co. dell’art.1136 del c.c., deliberi sulle iniziative da intraprendere, anche giudiziarie, per porre fine a tali comportamenti scorretti. Se l’assemblea darà il suo assenso, il condominio, nella persona del suo amministratore, potrebbe anche adire l’autorità giudiziaria per pretendere lo sgombero dei locali comuni, se i condomini occupanti non vi provvedano spontaneamente a seguito della diffida loro inviata.

E’ anche giusto sottolineare che oltre a mettere all’ordine del giorno dell'assemblea quanto previsto dal citato art. 1117 quater del c.c., sarà anche possibile per i condomini che hanno l’interesse inverso, mettere all’ordine del giorno la possibilità che l’assise decida: di sanare l’irregolarità derivante dalla mancanza di una delibera assembleare che autorizza l’attuale occupazione degli spazi comuni, di accatastare determinate aree comuni e di cederle poi in locazione a soggetti terzi o agli attuali condomini occupanti, riconoscendo loro un diritto di prelazione in caso di futura vendita.

Ma qui sorge un problema, in quanto ci si chiede con quali maggioranze è possibile adottare per l’assemblea condominiale una tale decisione, alla luce della riforma condominiale apportata dalla L. n. 220/2012.
La giurisprudenza che si è infatti citata all’inizio del parere teneva conto della normativa condominiale in vigore antecedentemente alla importante novella del 2012. La riforma del diritto condominiale ha introdotto, oltre al già citato art. 1117 quater del c.c., l’art.1117 ter del c.c.: tale articolo introduce una particolare procedura per modificare la destinazione d’uso di una parte comune dell’edificio.

Oltre al fatto che viene prevista una modalità speciale (definita rafforzata) di convocazione della assemblea condominiale, la novità più rilevante della norma che si sta esaminando è che per addivenire alla modifica della destinazione d’uso per una parte comune dell’edificio è richiesto che l’assise approvi la modifica con dei quorum elevatissimi, che non hanno uguali in nessuna altra norma del diritto condominiale: il cambio di destinazione dovrà essere approvato, infatti, con una maggioranza pari a 4/5 dei partecipanti al condominio che rappresentano a loro volta i 4/5 del valore dell’edificio (800 millesimi).

Gli artt. 1117 ter e quater del c.c. sono una novità introdotta in epoca piuttosto recente: la giurisprudenza non ha avuto ancora modo di analizzare compiutamente tutti i risvolti applicativi. In particolare non vi sono pronunce che chiariscano se per addivenire alla trasformazione di uno spazio comune in cantina, come nel caso descritto, e per affittare poi tale vano, siano necessari i quorum previsti dal nuovo art. 1117 ter del c.c. Una parte degli interpreti ritiene che se il cambio di destinazione d’uso non comporta un radicale mutamento della parte comune dell’edificio (per esempio il giardino condominiale diventa un parcheggio ad uso comune), non vi sia la necessità di applicare la nuova normativa. Seguendo questa interpretazione, nel caso di specie per modificare la destinazione d’uso delle cantine e per cederle in locazione agli attuali condomini occupanti sarà sufficiente che l’assemblea si esprima con le maggioranze previste dalla giurisprudenza di cui si è parlato all’inizio del parere.

Chi scrive non concorda con questa interpretazione più permissiva, in quanto sia con l’art. 1117 ter del c.c., ma anche con il successivo art. 1117 quater del c.c., il legislatore introduce un mezzo di tutela molto forte, volto ad evitare che le destinazioni d’uso delle parti comuni mutino per decisione arbitraria dei singoli proprietari e senza un controllo penetrante della assemblea. In ragione di ciò si ritiene che per modificare la destinazione d’uso di una parte comune, modifica che comporta la trasformazione di un vano cantina destinato non alla comunità condominiale ma all’uso del singolo, e per decidere di dare in affitto poi tale vano così trasformato, sottraendolo di fatto al concreto uso condominiale, sia necessario che l’art. 1117 ter del c.c. trovi piena e completa applicazione.

LUCIA P. chiede
giovedì 26/09/2019 - Emilia-Romagna
“Nel cortile del ns. condominio abbiamo:
A) 7 box garage costruiti a ridosso dello stradello (terrapieno) di accesso , sul tetto dei quali è posto uno stenditoio;
B) 4 box garage separati. Non tutti i garage appartengono a condomini residenti. Quando si è trattato di intervenire dato il degrado dei box A) è sorto il problema della divisione delle spese poiché lo stenditoio è d'uso comune, che dovevano essere ripartite fra tutti i condomini proprietari degli appartamenti, ma non dei garage. Considerato che lo stenditoio è usato da un solo condomino avevamo votato a norma 1117ter, seguendo tutto l'iter per filo e per segno, per la rimozione dello stesso sia per fare un intervento duraturo nel tempo, sia perché in futuro le spese fossero a carico dei soli proprietari dei box. Data l'opposizione dell'unico condomino l'Amm.re ci consigliò i soprassedere data la poca chiarezza della nuova norma che doveva essere chiarita in Cassazione.
Nel frattempo i box stanno andando in malora a causa infiltrazione dall'alto (stenditoio) e dal lato terrapieno per cui ora si pone la necessità di un duplice intervento: 1) sul tetto dei box 2) sul muro esterno con scavo e posa tubazione forata drenante ecc.
Domando: E' stata chiarito se la rimozione stenditoio rientra nell'art.1117ter? E come dividere le spese dato che non tutti i proprietari dei box B) intendono pagarle.
Grazie”
Consulenza legale i 30/09/2019
Tra le novità più rilevanti apportate dalla L. n. 220/2012 vi è l’art 1117 ter del c.c., il quale introduce una specifica disciplina nel caso in cui si voglia modificare la destinazione d’uso di determinate parti comuni dell’edificio.
Tale articolo dispone che qualora per interesse di natura condominiale si voglia modificare la destinazione di una parte comune dello stabile, tale modifica deve essere approvata dalla assemblea di condominio con una maggioranza pari a 4/5 dei partecipanti al condominio che rappresentano a loro volta i 4/5 del valore dell’edificio (800 millesimi).
Il legislatore, quindi, condiziona la modifica della destinazione d’uso ad una doppia maggioranza per teste e millesimi elevatissima, che non trova uguali in tutta la normativa condominiale. Le differenze rispetto alla disciplina ordinaria non terminano qui, in quanto i commi 2°,3° e 4° dell’art 1117 ter del c.c. introducono una disciplina speciale anche in merito alle modalità di convocazione della assemblea, e sulle modalità di redazione della delibera assembleare di approvazione della modifica.
La convocazione della riunione assembleare deve essere affissa per almeno trenta giorni nei locali di uso comune o negli spazi a ciò destinati e deve essere recapitata dall’amministratore ai singoli proprietari a mezzo raccomandata o altri equipollenti mezzi elettronici almeno 20 giorni prima del giorno fissato per la riunione condominiale.
Il 3° comma dell’art 1117 ter del c.c. dispone inoltre che a pena di nullità della convocazione la stessa deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso.
E’ interessante notare come la disciplina ordinaria in merito alle modalità di convocazione della assemblea, prevista dal comma 3° dell’art 66 disp. att. del c.c., prevede che la convocazione possa essere recapitata anche a mano ai singoli condomini almeno 5 giorni prima della data fissata per l’adunanza, e non prevede alcun requisito la cui mancanza comporti la totale nullità dell’atto di convocazione. Il legislatore, quindi, in merito al cambio di destinazione d’uso ha previsto una modalità di convocazione rafforzata della assemblea condominiale, che aumenta gli adempimenti richiesti all’amministratore rispetto a quelli previsti dalla normativa ordinaria.
Proseguendo in questo senso, il comma 4° dell’art 1117ter del c.c., dispone che la delibera adottata dalla assemblea convocata nella modalità di cui ai precedenti commi, deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di convocazione previsti dalla normativa speciale in commento.

L’art. 1117 ter del c.c., come si è detto sopra, è una delle novità introdotte dalla riforma del diritto condominiale: essendo una novità relativamente recente ancora non può dirsi compiutamente esaminata dalla giurisprudenza della corte di cassazione. È utile ricordare come la Suprema Corte rappresenti nel nostro ordinamento giudiziario il terzo grado di giudizio, e viene adita solo qualora una delle parti in causa non si ritenga soddisfatta delle sentenze emesse dalle corti territoriali di 1° e 2° grado (i quali possono essere il giudice di pace, il tribunale o la corte d'appello a seconda della materia e del valore oggetto del contenzioso). È ben possibile, quindi, che una determinata controversia non arrivi mai ad essere discussa innanzi alla Corte di Cassazione. Per tale motivo prima che una novità legislativa possa essere esaminata e interpretata dai giudici di Cassazione possono anche passare anni.
In merito al cambio di destinazione d’uso tutta la giurisprudenza che si può rintracciare è antecedente alla entrata in vigore dell’art. 1117 ter del c.c. ed è comunque inconferente rispetto al caso descritto, e quindi si ritiene inutile citarla per evitare di appesantire inutilmente il presente parere.

Ora, non ci è dato sapere i motivi che hanno portato il condomino ad opporsi al cambio di destinazione d’uso né le modalità con cui questa opposizione si è manifestata (si è instaurato una causa giudiziaria, oppure il condomino si è limitato a manifestare il suo disappunto durante la riunione di condominio?), ma se sono state rispettate tutte le prescrizioni previste dall’art. 11117 ter del c.c., e soprattutto sono decorsi i termini per impugnare la delibera previsti dall'art.1137 del c.c., è obbligatorio ai sensi del n. 1) dell'art.1130 del c.c. per l'amministratore dare esecuzione alla delibera. Si ritiene che il professionista, spaventato dalla novità legislativa, abbia tentato di glissare il problema sfuggendo un po’ dai suoi doveri professionali.

Venendo a trattare la seconda parte del quesito, posto che l’area comune stenditoio è posta a copertura dei 7 garage descritti alla lettera A), si ritiene che per ripartire i lavori di rifacimento di tale parte dell'edificio e della copertura dei box, debba trovare applicazione l’art. 1125 del c.c.
In forza di tale norma la metà dei lavori di rifacimento dovranno essere suddivisi tra tutti i condomini (esclusi i proprietari dei box), l’altra metà dovrà essere sopportata per l’intero dai proprietari delle autorimesse descritte dalla lettera A del quesito, restando ad esclusivo carico di questi ultimi le spese di rifacimento dei soffitti dei singoli garage in proprietà esclusiva, e ad esclusivo carico del condominio il rifacimento della pavimentazione dell’area comune stenditoio.

È importante sottolineare come per costante giurisprudenza, l’art.1125 del c.c. trovi applicazione non solo quando vi sia da rifare la copertura o il solaio posto tra due unità abitative in proprietà esclusiva, ma anche quando una parte dell’edificio condominiale (es. un’area cortiliva o l’area stenditoio di cui al quesito), sia posta a copertura di parti di edificio in proprietà esclusiva.

In merito ai lavori di rifacimento dello stradello terrapieno, posto che per quanto ci è dato capire lo stesso è utilizzato per accedere all’intero complesso condominiale, le spese dovranno essere ripartiti tra tutti i condomini siano essi proprietari o meno di una unità abitativa, quindi anche dai proprietari dei box di cui alla lettera B) del quesito.

Giuliana M. chiede
martedì 19/02/2019 - Toscana
“Buonasera, ho partecipato alla riunione condominiale il giorno 16/02/2019, era stato richiesto dalla sottoscritta di destinare un'area giardino di circa mq.20 a parcheggio motociclette. L'area condominiale a giardino è di circa mq.8000.
Le unità condominiali sono 12 e tutti hanno partecipato all'assemblea.
N. 3 condomini contrari e 9 a favore. L'amministratore ha applicato la regola dei 4/5 per la maggioranza considerando che è innovazione con cambio di destinazione d'uso.
Ho letto più articoli e sentenze di cassazione dove destinare una parziale e limitata area condominiale per parcheggio moto non è considerata neanche innovazione e sicuramente migliorativa per i condomini, pertanto da applicare la maggioranza semplice con i 500 millesimi del valore dell'immobile.
Vorrei la Vs. consulenza prima di impugnare il verbale di assemblea.
Ringrazio
Cordiali saluti

Consulenza legale i 23/02/2019
Tra le novità più rilevanti apportate dalla L. n. 220/2012 vi è l’art 1117ter del c.c., il quale introduce una specifica disciplina nel caso in cui si voglia modificare la destinazione d’uso di determinate parti comuni dell’edificio.
Tale articolo dispone che qualora per interesse di natura condominiale si voglia modificare la destinazione di una parte comune dello stabile, tale modifica deve essere approvata dalla assemblea di condominio con una maggioranza pari a 4/5 dei partecipanti al condominio che rappresentano a loro volta i 4/5 del valore dell’edificio (800 millesimi).
Il legislatore, quindi, condiziona la modifica della destinazione d’uso ad una doppia maggioranza per teste e millesimi elevatissima, che non trova uguali in tutta la normativa condominiale.
Le differenze rispetto alla disciplina ordinaria non terminano qui, in quanto i commi 2°,3° e 4° dell’art 1117ter del c.c. introducono una disciplina speciale anche in merito alle modalità di convocazione della assemblea, e sulle modalità di redazione della delibera assembleare di approvazione della modifica.
La convocazione della riunione assembleare deve essere affissa per almeno trenta giorni nei locali di uso comune o negli spazi a ciò destinati e deve essere recapitata dall’amministratore ai singoli proprietari a mezzo raccomandata o altri equipollenti mezzi elettronici almeno 20 giorni prima del giorno fissato per la riunione condominiale.
Il 3° comma dell’art 1117ter del c.c. dispone inoltre che a pena di nullità della convocazione la stessa deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso.
E’ interessante notare come la disciplina ordinaria in merito alle modalità di convocazione della assemblea, prevista dal comma 3° dell’art, 66 disp.att. del c.c., prevede che la convocazione possa essere recapitata anche a mano ai singoli condomini almeno 5 giorni prima della data fissata per l’adunanza, e non prevede alcun requisito la cui mancanza comporti la totale nullità dell’atto di convocazione. Il legislatore, quindi, in merito al cambio di destinazione d’uso ha previsto una modalità di convocazione rafforzata della assemblea condominiale, che aumenta gli adempimenti richiesti all’amministratore rispetto a quelli previsti dalla normativa ordinaria.
Proseguendo in questo senso, il comma 4° dell’art 1117ter del c.c., dispone che la delibera adottata dalla assemblea convocata nella modalità di cui ai precedenti commi, deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di convocazione previsti dalla normativa speciale in commento.

Da tempo oramai la giurisprudenza si è posta il problema di determinare i confini del concetto di cambio di destinazione d’uso, aspetto oggi reso ancora più rilevante dal fatto che il legislatore del 2012 ha normato espressamente la fattispecie.
Uno degli scontri più accesi tra i giudici riguarda proprio il cambio di destinazione d’uso di una parte del giardino condominiale in area di parcheggio. Un primo orientamento della giurisprudenza più risalente nel tempo (Cass. Civ., Sez. II, n.4922 del 14.11.1977) riteneva che, al di là della estensione del giardino condominiale, il mutamento di una parte anche minima di esso in area parcheggio veicoli comportava un cambio di destinazione d’uso: applicando tale principio alla attuale normativa troverebbe, quindi, applicazione il nuovo art. 1117ter del c.c.
La giurisprudenza più recente (si veda l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 21342 del 29.08.2018) sembra aver cambiato parere sul punto. Quando l’area destinata a parcheggio è solo una minima parte dell’intero giardino condominiale e non risulta occupata da alberi non si rientra nella fattispecie del cambio di destinazione d’uso, e quindi non troverebbe applicazione l’art 1117ter del c.c. con le sue altissime maggioranze e i suoi rigidi formalismi.
Anche se oramai la giurisprudenza della Corte di Cassazione sembra orientata ad accogliere l’interpretazione più recente, il contrasto tra pronunciati che si è appena descritto non pare essere stato ancora risolto dalle sezioni unite, comunque, esaminando le più recenti sentenze che sono intervenute sull’argomento, parrebbe che oramai l’interpretazione dei giudici si sia cristallizzata secondo l’ultimo orientamento riferito.

Alla luce di quanto detto, crediamo che una impugnazione della delibera assembleare sia assolutamente coltivabile in giudizio, da parte di chi, favorevole alla trasformazione di parte del giardino in area parcheggio moto, si sia visto respingere la richiesta da parte della assemblea. Il motivo cardine su cui si reggerà tutto l’impianto difensivo sarà quello di sostenere, applicando i più recenti orientamenti giurisprudenziali, che la trasformazione di una minima parte del giardino in area di parcheggio non comporta un cambio di destinazione d’uso ex art 1117ter del c.c., ma al contrario costituisce una innovazione di cui al 2° comma dell’art 1120 del c.c. In conseguenza di ciò, per approvare il cambio di destinazione d’uso di una parte del cortile sarebbe sufficiente solo le maggioranze di cui al 2°comma del 1136 del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore degli edifici: 500 millesimi), in luogo di quelle più gravose previste dall’art 1117ter del c.c.
Vi è da sottolineare, però, che anche il condominio convenuto in giudizio avrà un buon argomento difensivo in quanto vi sono pronunce non superate dalle Sezioni Unite, che per quanto risalenti nel tempo, ritengono che la trasformazione del giardino in parcheggio comporti sempre e comunque un cambio di destinazione d’uso, riconducibile alla luce della attuale normativa nell’ambito di applicazione dell’art 1117ter del c.c.

Si tenga presente che ai sensi dell’art 1137 del c.c. la delibera assembleare dovrà essere impugnata entro 30 giorni che decorreranno dal giorno della riunione condominiale, in quanto tutti i condomini erano presenti. Rientrando la controversia nella materia condominiale, essa dovrà essere preceduta dal tentativo obbligatorio di conciliazione di cui al D.Lgs. n.28/2010.


Renato C. chiede
martedì 25/04/2017 - Lombardia
“Buongiorno,
Riferendomi al contenuto della Vs. risposta al quesito n. Q201617036 posto martedì 04/10/2016 - Lombardia, che per comodità vi riporto qui di seguito, avrei bisogno che mi chiariste se è corretto che l'intero condominio e l'amministratore ritengano il cortile ancora come parte comune o se comunque possano deliberare sull'uso di questo?
Dalla vostra risposta capisco che sul cortile, datomi in uso esclusivo, ha pretese solo l'unico dei concedenti rimasto. Vorrei capire se quest'ultimo può fare aggregare alla scrittura (essendo stata prima comune a tutti) gli altri condomini che nulla centrano, al suo diritto?
Vi chiedo questi chiarimenti perché mi trovo in mediazione a causa di una delibera relativa alla costruzione di un locale rifiuti condominiale sul cortile, per la quale chiedo la nullità in quanto mancante il quorum dei 4/5 (art. 1117 ter cc). Il mio legale dice che, se anche il giudice annulla la delibera, il condominio farà domanda riconvenzionale per decidere dove costruire il locale e il giudice potrebbe riconsiderare il cortile che non ha raggiunto il quorum di legge.
Per me è un controsenso, ma potrebbe decidere così?


--Domanda:
Buongiorno,
Abito in uno stabile che la mia famiglia originaria ha costruito. Ho stipulato una scrittura privata nel 1987, mai registrata, con due dei miei fratelli e mio Padre, pertanto stipulata con i costruttori e proprietari dello stabile. Con questa scrittura mi concedevano l'uso esclusivo di un cortile a titolo personale per qualunque attività volessi intraprendere. Oggi di questi proprietari, fratelli e Padre, come controparte firmataria rimane solo un mio fratello. L'altro fratello ha venduto tutte le sue proprietà, mio Padre è mancato nel 1989. Siccome nessuno dei due ha fatto menzione di questa scrittura privata negli atti di compravendita e/o successione, vorrei capire se questa scrittura privata oggi mi impegna verso chi ha acquistato le proprietà che avevano i due proprietari firmatari. Vi chiedo questo perché a parere dell'amministratore e dei nuovi proprietari, che hanno voluto inserire a verbale la scrittura privata, le obbligazioni di questa si trasferiscono anche a loro favore.
Vi allego la copia della scrittura inserita a verbale che "sbadatamente" è riportata senza una firma, quella di mio Padre. Anche di questa furbizia vorrei capire se domani potrà essermi in qualche modo sfavorevole, sapendo comunque che potrò esibire il mio originale, che Vi allego.

--Una Parte della Risposta:
La scrittura si potrebbe comunque ritenere superata in quanto non è stata mai registrata (o meglio, trascritta), e nemmeno si è dato cenno della sua esistenza negli atti di compravendita del cortile medesimo. In altre parole, nessun cenno da parte degli originari concedenti – proprietari è stato fatto in occasione delle successive alienazioni del cortile stesso. Non si vede peraltro quali “obbligazioni” in favore degli attuali proprietari possano essere a Suo carico, posto che lei – in ogni caso – era beneficiario dell’uso del cortile (insieme a Suo fratello).
Infine, per ciò che riguarda la mancanza della sottoscrizione di Suo padre nella scrittura allegata al “verbale”, si precisa che Lei potrà in ogni caso disconoscere la scrittura stessa semplicemente opponendo il Suo originale.

Cordiali Saluti,

R. C..”
Consulenza legale i 04/05/2017
La giurisprudenza di legittimità, di merito e la dottrina, controvertono sulla possibilità di cedere una parte condominiale in uso esclusivo ad uno solo dei condomini e sulla natura del diritto/facoltà.
Il problema non è meramente teorico perché dal corretto inquadramento dei termini della questione, e della natura del potere di uso esclusivo, dipende anche la questione di quali siano gli effetti della scrittura privata o del regolamento nei confronti dei terzi.

Brevemente e per quel che qui interessa, una parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione riconduce la limitazione all’uso del bene condominiale tra le obbligazioni propter rem.
Le obbligazioni propter rem consistono in obblighi che gravano su un soggetto individuato in base alla titolarità del bene (obbligazioni cosiddette ambulatorie).
Secondo questo orientamento, il diritto di usare in via esclusiva il bene condominiale vincola anche i successivi aventi causa del proprietario stipulante ed, ai fini dell’opponibilità, è sufficiente la mera indicazione del regolamento condominiale nell’atto di acquisto (Corte di Cassazione del 28 settembre 2016 n. 19212).

Secondo altra parte della giurisprudenza, siamo invece di fronte ad una servitù, ovverosia ad un peso imposto ad un fondo (servente) per il vantaggio o l’utilità di un altro fondo (dominante) (Tribunale Milano 02/04/2008, n° 4826).
Oppure, se la previsione dell'uso esclusivo di una parte dell'edificio comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, è stato previsto contrattualmente dall'originario unico proprietario dell'edificio, potrebbe avrebbe natura pertinenziale ai sensi degli artt. 817 ( Cass. n. 6892/1992).
In questi ultimi due casi, ai fini dell’opponibilità agli aventi causa, è necessario trascrivere nei registri immobiliari la scrittura privata.

Infine la scrittura privata potrebbe configurare un regolamento contrattuale condominiale con la conseguenza che esso sarà vincolante e dunque opponibile a tutti gli acquirenti, qualora lo stesso risulti nell’atto d’acquisto (cfr. Cass. 17886/2009).

Al di là del corretto inquadramento dell’istituto, però, bisogna dire che sia l'una che l'altra teoria comunque richiedono degli adempimenti per l'opponibilità ai terzi aventi causa: che il contratto venga riportato nei singoli atti di compravendita dei terzi acquirenti, oppure che venga trascritto.
Dal momento che tale contratto non è stato né trascritto né riportato nei rispettivi contratti di compravendita, allora non potrà avere alcuna efficacia rispetto ai terzi aventi causa.
La scrittura privata continuerà a produrre i suoi effetti solamente tra le parti, e cioè nei confronti dell'unico proprietario contraente rimasto.

Non potendo dirsi ancora sussistente un’efficace cessione del diritto d’uso esclusivo del cortile, correttamente l’amministratore ha ritenuto di poter deliberare con riferimento al posizionamento proprio in detta area del locale rifiuti.

Nel giudizio di impugnazione della delibera da lei promosso, sebbene lei abbia sostenuto che la costruzione di un locale rifiuti necessiti dell’assenso dei 4/5 dei partecipanti al condominio e dei 4/5 del valore di tutti i condomini in base all’art. 1117 ter ter c.c., l’avvocato della controparte potrà sempre sostenere che non di modifica della destinazione d’uso si tratta, bensì di un’innovazione.

Detto altrimenti, l'avvocato di controparte potrebbe spiegare domanda riconvenzionale volta ad accertare che la costruzione di un locale rifiuti si configura non come una modificazione della destinazione d'uso, ma come una innovazione ai sensi dell'art. 1120 c.c. 2° comma, facendo leva su quella parte della giurisprudenza che sancisce che per «innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni, ma solamente quelle modifiche che, determinando l’alterazione dell’entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all’attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti» (Cass. civ., 26 maggio 2006, n. 12654).

L’art. 1120 c.c. prevede che i condomini, “con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
  1. le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti"
E l'art. 1136 c.c. al 2° comma prevede che "sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio".
Dunque se, ad esempio, la delibera che ha impugnato aveva una maggioranza più risicata, ma che rappresenta comunque la metà del valore dell’edificio a maggioranza degli intervenuti, allora la domanda riconvenzionale sarà volta all’accertamento della validità della delibera in quanto la costruzione del locale rifiuti nel cortile costituirebbe, secondo parte avversaria, è un'innovazione ex art. 1120.

Resta poi da sottolineare che se la normativa locale impone che i condominii si dotino di spazi per facilitare la raccolta e lo stoccaggio di rifiuti, allora, non l'autorità giudiziaria, bensì l’Autorità amministrativa ha il potere di imporre la realizzazione, ad esempio nel cortile condominiale, per il perseguimento di superiori ragioni di igiene e sanità pubbliche (cfr. Tar Lombardia n. 399 del 4 febbraio 2015).

Luca T. chiede
sabato 01/02/2014 - Sicilia
“Nel dicembre del 2012 divento proprietario di un immobile sito al terzo ed ultimo piano di una palazzina del 1938. Oltre ad avere acquistato l'immobile ho anche acquistato l'area libera soprastante. L'accesso all'area è dal mio appartamento. Il tetto è a falde, una che da sul prospetto principale e l'altra sull'interno. L'immobile necessita di un ingente opera di ristrutturazione, solai da rifare ex novo, lo stesso dicasi per gli impianti, inoltre bisogna intervenire anche sul tetto, infatti ci sono vistose macchie di umidità, una trave è visibilmente ammalorata e mi terrorizza l'idea di abitare in un appartamento la cui copertura mi desta parecchie preoccupazioni. Da qui l'idea di trasformare la falda interna del tetto in una terrazza a livello, il tutto a mie spese con l'obiettivo principale di migliorare la solidità dell'immobile e di non perdere tempo dietro a lungaggini condominiali. Nonostante tutta la mia buona volontà e solerzia sono riuscito ad avere l'assemblea di condominio con le modalità previste dal nuovo disposto dell'art 1117ter solamente nel gennaio del 2014!!
In quell'occasione non c'era il numero legale per deliberare ed inoltre qualche condomino ha espresso parecchie perplessità sulla mia proposta. Ho preferito rinunciare all'idea ed ho invitato l'amministratore, visto che sto per cominciare i lavori, a visionare l'immobile. Sono stato 'bidonato' già due volte. Ora mi chiedo, è possibile che il disinteresse di tutti, condomini che non partecipano all'assemblea, amministratore che non viene a visionare l'immobile, possa ledere un diritto fondamentale come quello di vivere nella mia casa? E' davvero necessario il consenso degli altri condomini per trasformare parte del tetto in terrazzo visto che ho acquistato l'area libera soprastante e che l'accesso è dal mio appartamento e che, soprattutto, il miglioramento strutturale che si andrebbe ad avere è indiscusso (una copertura fatiscente del 38 sostituita con una nuova!)? Tra l'altro il mio vicino di appartamento ha fatto la stessa cosa che ho proposto io, però qualche anno fa; mi pare di capire che non chiese niente a nessuno, forse a quei tempi c'erano ancora i condoni; in ogni caso c'è disparità di trattamento.
L'ingegnere che ha seguito il progetto mi ha detto che il Comune non crea alcun tipo di problema visto l'evidenza del miglioramento, però chiede l'approvazione degli altri condomini.
Infine volevo chiedervi, se rinuncio all'idea del terrazzo, visto che si devono fare lavori sul tetto in ogni caso, posso avvalermi della stessa ditta che effettua i lavori di ristrutturazione del mio appartamento o deve essere un'altra ditta scelta dal condominio? Stante l'indifferenza dell'amministratore dovrei anticipare io le spese e poi rivalermi sul condominio? In caso invece di un insperato interesse dell'amministratore posso pretendere che sia la mia ditta ad effettuare anche i lavori sul tetto onde evitare l'ovvio disagio di perdere ulteriore tempo prima di avere la possibilità di andare a vivere a casa mia?
Ho letto diverse sentenze in contraddizione tra di loro, una dell'agosto del 2012 sembrerebbe dare ragione a me, le successive no, con l'entrata in vigore della riforma sul condominio il discorso si complica ulteriormente.
Spero in un vostro aiuto
Grazie”
Consulenza legale i 13/02/2014
Nella vicenda esposta il proprietario dell'appartamento posto all'ultimo piano di una palazzina vorrebbe trasformare parte del tetto in terrazzo ad uso esclusivo.
E' precisato che l'area sottostante il tetto è di sua esclusiva proprietà in base al titolo negoziale di acquisto e che l'accesso a tale area può avvenire esclusivamente attraverso il suo appartamento.
Appurato, quindi, che il sottotetto non è bene comune, va però precisato che, ai sensi dell'art. 1117 del c.c., riformulato con L. 11 dicembre 2012 n. 220, il tetto è una parte comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio.
La sua trasformazione parziale in terrazza pone, quindi, qualche dubbio circa la necessità di ottenere il consenso degli altri condomini.

Prima di tutto va stabilito se tale opera costituisca una innovazione relativa al bene comune, cambiandone o meno di destinazione d'uso.

Ai sensi dell'art. 1120 del c.c. costituisce innovazione non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente "quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere".
La giurisprudenza ha precisato che "Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 cod. civ.” (Cass. n. 240 del 1997).

Pertanto, nel caso in cui un'opera sul bene comune sia tale da comportare una innovazione che sfocia nella modifica della destinazione d'uso della cosa, troverà applicazione il nuovo art. 1117 ter del c.c., il quale stabilisce che la destinazione d'uso delle parti comuni può essere modificata "per soddisfare esigenze di interesse condominiale" con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio.

Tuttavia, è anche possibile ipotizzare che la trasformazione del sottotetto in terrazza, con parziale demolizione del tetto, non costituisca un cambio di destinazione d'uso: di conseguenza, nessun consenso sarebbe necessario da parte degli altri condomini, ma dovrebbero essere solo rispettati i limiti previsti dall'art. 1102 del c.c..

Proprio a tale conclusione è giunta la nota sentenza della Cassazione del 3 agosto 2012, n. 14107.

L'orientamento giurisprudenziale precedente, piuttosto consolidato, sosteneva che la eliminazione del tetto dell'edificio trasformato dal proprietario dell'ultimo piano in terrazza ad uso esclusivo fosse illegittima in quanto avrebbe impedito agli altri condomini di poterlo utilizzare per quella finalità (Cass. 24414/06), oppure perché avrebbe mutato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, avuto riguardo all'uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (Cass. 1737/2005). In altre parole, si affermava che un siffatto intervento non si sarebbe potuto considerare alla stregua di una mera modifica finalizzata al migliore godimento della cosa comune, bensì come una appropriazione di una parte di questa, sottratta ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri, essendo peraltro irrilevante il fatto che la parte di tetto sostituita continui a svolgere una funzione di copertura dell'immobile (Cass. 1737/2005).

Con la sentenza di agosto 2012, la Suprema Corte ha invertito la rotta, statuendo che "ll condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune, può effettuare la trasformazione di una parte del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo proprio, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene".

La Corte ha ricordato, richiamando una pronuncia del 2003, che il concetto di "pari uso" della cosa comune che emerge dall'art. 1102 c.c. va inteso "nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri" (Cass., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8808). Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima.

Insomma: lo scopo dichiarato della Cassazione è quello di interpretare l'art. 1102 c.c. in senso favorevole allo sviluppo delle esigenze abitative.
I giudici della Suprema Corte attaccano duramente le frequenti vicende condominiali in cui, in nome del "pari uso della cosa comune", anche se tale uso sia solo ipotetico, astratto o velleitario, viene impedito al singolo di estrinsecare le sue potenzialità a proprio vantaggio, seppur senza intaccare il godimento altrui.

Ecco quindi che la Cassazione dà il via libera alla realizzazione di "piccole terrazze che sostituiscano efficacemente il tetto spiovente nella funzione di copertura dell’edificio", negando che una tale opera possa costituire alterazione della destinazione d'uso ("Pertanto la soppressione di una piccola parte del tetto, se viene salvaguardata diversamente la funzione di copertura e si realizza nel contempo un uso più intenso da parte del condomino, non può esser intesa come alterazione della destinazione, comunque assolta dal bene nel suo complesso").

Nonostante da più parti si sia accolto con entusiasmo questo approdo giurisprudenziale, non va mai dimenticato che ogni caso è a sé, e che va valutato sulla base di precisi dati di fatto.

La stessa Corte di cassazione dichiara espressamente che il giudizio sul rispetto o meno dell'art. 1102 c.c. va formulato caso per caso, in relazione alle circostanze peculiari proprie di ciascuna fattispecie concreta.
Proprio in virtù di tale fatto, ci sono state pronunce successive che hanno invece escluso la possibilità di trasformare il tetto in terrazza (v. Cass civ., sez. II, 9 gennaio – 28 febbraio 2013, n. 5039).
Non è quindi possibile prevedere l'esito di un eventuale giudizio intentato dai condomini che non abbiano prestato il consenso alle opere, laddove queste iniziate in via autonoma dal condominio proprietario del sottotetto.
Si può però dare atto dell'apertura positiva della giurisprudenza sul punto, rimandando ogni valutazione in fatto al giudice del merito che concretamente dovrà valutare il singolo caso (ad esempio, per stabilire se la porzione di falda eliminata sia troppo grande, etc.).

La riforma del condominio non appare intaccare i principi sopra esposti, se non in tema di maggioranze per la deliberazione della modifica di destinazione d'uso (ove una tale modifica si possa ravvisare).

Quanto alla seconda questione, il rifacimento del tetto, in quanto opera di manutenzione straordinaria, richiede l'approvazione dell'assemblea con le maggioranze stabilite dall'art. 1136, I II e III comma, c.c., (in prima convocazione con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio; in seconda convocazione con la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio).
L'assemblea è altresì deputata alla scelta della ditta da incaricare, sempre attraverso votazione. E' consigliabile contattare l'amministratore chiedendo allo stesso che venga proposto in una assemblea condominiale il preventivo della ditta di fiducia del singolo condomino, per sottoporlo all'approvazione degli altri comproprietari.
In caso di inerzia dell'amministratore o di disinteresse dei condomini, il singolo proprietario non può avviare lavori di rifacimento sul tetto senza esporsi al pericolo di richieste di messe in pristino dei luoghi o di risarcimento.
Egli dovrà necessariamente adire la competente autorità giudiziaria al fine di far pronunciare una condanna nei confronti del condominio che gli imponga di effettuare quanto necessario.
E' poi concesso al singolo condomino, il quale abbia assunto la gestione delle parti comuni senza autorizzazione dell'amministratore o dell'assemblea, di chiedere il rimborso di quanto speso, ma solo se possa dimostrare che si sia trattato di spesa urgente (art. 1134 del c.c.).

FABIO R. chiede
domenica 21/02/2021 - Sicilia
“oggetto: eventuale dissidio sul mantenimento cavedio
gen.mi avv.ti redazione giuridica
desidererei questa volta una delucidazione consulenza legale il cui oggetto è uno dei 2 cavedi realizzati in origine fra i tramezzi quindi all'interno della superficie planimetrica di unità immobiliare (parte di un edificio ad uso residenziale in condominio).
l'adibizione di detto cavedio è lo smaltimento vapori e fumi piano cottura.
sono anni almeno da prima che acquistassi nel giugno 1999 la citata unità immobiliare che però il bene comune trovasi in stato di disuso (probabilmente nell'intrinseco concetto di edilizia economica e popolare, a ben vedere scarsamente lungimirante, con cui è nato il complesso immobiliare intorno all'anno 1956) ma in sostanza per motivi funzionalità costituendo un ostacolo oggettivo a migliore distribuzione spazi specie per il vano cucina a renderla più abitabile possibile (cosa di rilevante importanza in ambienti moderni).
a)_
ci sono condomini che hanno già dismesso la parte di detto cavedio relativa al proprio appartamento come me.
b)_
ci sono condomini che mantenendo la parte di detto cavedio relativa al proprio appartamento probabilmente avrebbero in animo rivendicare miserabilmente chissà' cosa per un cavedio che neanche loro usano.
in occasione dei sopralluoghi alle unità immobiliari per le verifiche conformità urbanistiche e studio fattibilità propedeutici agli interventi efficientamento energetico con agevolazione fiscale del 110%,
e
posto che interventi interni al perimetro planimetrico unita' immobiliare nella disposizione interni e non interessanti elementi strutturali non dovrebbero richiedere autorizzazioni di pubblica amministrazione urbanistica
chiederei:
1_
i riferimenti legge che possono supportare ciascuna delle due posizioni dei condomini cui alla lettera a oppure b decorsi tanti anni di disuso del bene comune, quindi la soluzione più realistica e consigliabile
2_
quali disposti legge o sentenze di peso potrebbero favorire e permettere con risolutezza la volontà di sostituire con idonea alternativa la funzione canne fumarie e relativo cavedio di manutenzione più complicata (ad es. con una "presa aria tubolare con aspirazione elettrica" autonoma per ciascun appartamento nel muro esterno lato veranda) ma che in compenso permetterebbe rendere in un appartamentino abitabile la cucina).
3_
se e quale maggioranza condomini interessati fosse sufficiente a dirimere l' eventuale dissidio deliberando caso mai a favore di una delle 2 posizioni condomini alla lettera a oppure b cui sopra ossia:
- ipotesi col supporto di un riferimento di legge a difesa di fondato motivo di riqualificazione logistico organizzativa a promozione di miglior clima abitativo di socialità e convivialità creando idonea alternativa con dismissione e sostituzione canne fumarie e relativo detto cavedio;
- ipotesi obbligo o meno di ripristino struttura e/o uso cavedio come in origine ma che non risolverebbe il problema della cucina non abitabile.”
Consulenza legale i 12/03/2021
Il quesito purtroppo non è chiaro: per quanto ci è dato capire, parrebbe che il suo autore voglia sostituire il sistema degli scarichi dei fumi del palazzo con uno maggiormente efficiente.
Sulla base di quanto riferito e rappresentato il cavedio nulla centra: in realtà si vuole realizzare nel palazzo una innovazione apportando un radicale mutamento al sistema dello scarico dei fumi.
Tale tipo di innovazione rientra tra quelle indicate dal n.1) del 2° co. dell’art. 1120 del c.c. in quanto tesa ad apportare un miglioramento per la sicurezza e la salubrità dell’edificio e dei suoi impianti. Tali tipologie di innovazioni devono essere ovviamente deliberate dalla assemblea di condominio con le maggioranze indicate dal 2° co. dell’art. 1136 del c.c.: maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio (500 millesimi).

Se dopo aver realizzato i lavori nel sistema di scarico dei fumi del palazzo, si vorrà addivenire ad una modifica della destinazione d’uso del cavedio, ciò è possibile farlo seguendo l’iter descritto dall’art. 1117 ter del c.c. Tale norma innanzitutto richiede delle maggioranze particolarmente elevate affinché si possa deliberare su tale argomento: per addivenire al cambio di destinazione del cavedio è necessaria la maggioranza dei 4/5 dei partecipanti al condominio, rappresentanti almeno i 4/5 del valore dell’’edificio (circa 800 millesimi).
Ma questo non è l’unico ostacolo da superare in quanto la norma in esame richiede, inoltre, una convocazione rafforzata della assemblea che dovrà deliberare il cambio di destinazione d’uso.
La convocazione della riunione deve essere affissa per almeno trenta giorni nei locali di uso comune o negli spazi a ciò destinati e deve essere recapitata dall’amministratore ai singoli proprietari a mezzo raccomandata o altri equipollenti mezzi elettronici almeno 20 giorni prima del giorno fissato per la riunione condominiale.
Il 3° comma dell’art 1117 ter del c.c. dispone inoltre che a pena di nullità della convocazione la stessa deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso.
E’ interessante notare come il comma 3° dell’art. 66 disp. att. del c.c. disciplinante la convocazione ordinaria della assemblea, prevede che la convocazione possa essere recapitata anche a mano ai singoli condomini almeno 5 giorni prima della data fissata per l’adunanza, e non prevede alcun requisito la cui mancanza comporti la totale nullità dell’atto di convocazione. Il legislatore, quindi, in merito al cambio di destinazione d’uso ha previsto una modalità di convocazione rafforzata della assemblea condominiale, che aumenta gli adempimenti richiesti all’amministratore rispetto a quelli previsti dalla normativa ordinaria.

Proseguendo in questo senso, il comma 4° dell’art 1117 ter del c.c., dispone che la delibera adottata dalla assemblea convocata nella modalità di cui ai precedenti commi, deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di convocazione previsti dalla normativa speciale in commento.
Infine è giusto precisare che l’art. 1118 del c.c. dispone che il condomino non può rinunziare al diritto sulle parti comuni e non può sottrarsi al pagamento delle spese necessarie per la conservazione dei beni condominiali.
In ragione di ciò, nessun condomino può rinunciare all’utilizzo del cavedio e una rinunzia di tale tenore sarebbe radicalmente nulla; inoltre, tutti i condomini sono tenuti a partecipare alle spese di conservazione del cavedio e dell’impianto dei fumi del palazzo. Per tale motivo, le maggioranze indicate dagli artt. 1120 e 1117 ter del c.c. devono essere conteggiate tenendo conto della totalità dei condomini al di là delle intenzioni che ciascuno nutre nei confronti del cavedio e dell’impianto di gestione dei fumi.

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