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Articolo 1117 bis Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Ambito di applicabilità

Dispositivo dell'art. 1117 bis Codice Civile

(1)Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117(2).

Note

(1) Articolo aggiunto con legge del 11 dicembre 2012, n. 220.
(2) L'articolo stabilisce qual è l’ambito di applicazione della disciplina condominiale, che spazia dall’edificio composto da più unità immobiliari, ai plessi con più edifici, fino ai veri e propri supercondomini. L'importante è che la struttura dei fabbricati imponga l’uso in comune di alcune delle parti elencate nell’art. 1117 del c.c..

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1117 bis Codice Civile

Cass. civ. n. 18344/2015

In tema di condominio, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell'edificio, elencate in via esemplificativa dall'art. 1117 c.c., alle proprietà singole, delle quali le prime rendono possibile l'esistenza stessa o l'uso, la condominialità di un seminterrato non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni sovrastanti siano realizzate, anziché come porzioni di piano l'una sull'altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti e degli impianti essenziali indicati dal citato art. 1117. (Rigetta, App. Napoli, 24/01/2012).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1117 bis Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

R. B. chiede
venerdì 01/12/2023
“Sono un proprietario di una unità immobiliare in un condominio di circa 900 unità abitative. Il condominio è stato presente sin dalla nascita del complesso residenziale circa 30 anni fa. Abbiamo un Amministratore un Consiglio Direttivo ecc. Tutto nella normale attività di gestione , il Complesso è diviso in blocchi che si integrano per le parti condominiali . Nell'ultima assemblea è stato chiesto da un condomino di creare un Supercondominio. L'Amministratore ha attivato assemblee blocco per blocco con tutte le formalità per creare un Supercondominio con tutti i 55 blocchi. Tutti i condomini aventi diritto di voto dei 54 blocchi hanno espresso parere negativo alla costituzione del Supercondomnio. Solo un blocco favorevole ma senza maggioranza per deliberare l'assenso. La mia richiesta: se nessuno dei 900 proprietari vuole creare questa struttura che automaticamente porterebbe ad un costo elevatissimo per non portare a nessun beneficio anzi ad incrementare le quote morose? Vi chiedo E' LEGALMENTE VALIDO IL DINIEGO DELLA TOTALITA' DEI PROPRIETARI ? Quali sono le azioni da intraprendere per mettere in regola cioè rigettare/rifiutare la creazione del Supercondominio?
In attesa vs risposta”
Consulenza legale i 05/12/2023
La giurisprudenza assolutamente dominante chiarisce come il supercondominio sia una situazione di fatto giuridicamente rilevante, che sorge indipendentemente dalla esistenza di una delibera assembleare costitutiva “ad hoc”, oppure al di là che vi sia o meno un codice fiscale riferibile al supercondominio medesimo.
In questo senso, tra le tante, è molto chiara la Cass. Civ., Sez.II, sentenza n. 1344 del 19.01.2018: "…al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. Cod.civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi".
Per dirla in altri termini, la creazione di un supercondominio non è una scelta che la legge rimette alla libera volontà dei singoli condomini: se quindi un determinato complesso edile è suddiviso in tanti corpi di fabbrica autonomi i quali abbiano tra di loro ai sensi dell’art. 1117 ter del c.c. delle parti o impianti comuni a tutti gli edifici (come paiono essere i 55 blocchi in cui è suddiviso il complesso descritto nel quesito) esiste un supercondominio e quindi scatta l’obbligo per l’amministratore e per gli altri operatori di settore di applicare la relativa disciplina: per esempio, vi è l’obbligo ai fini fiscali di dotare il supercondominio di un codice fiscale, il quale si affiancherà a quelli attribuiti agli altri condomini che vanno a comporre il super condominio nel suo complesso.

In definitiva, quindi, le delibere assembleari che vanno a “costituire il condominio” in realtà non costituiscono nulla: esse non fanno altro che prendere atto della situazione e dispongono solo misure organizzative conseguenti al fatto che il super condominio esiste.
Non vi è quindi alcun modo per rigettare la costituzione del supercondominio: anzi, se il blocco favorevole alla costituzione di tale figura è un corpo di fabbrica autonomo rispetto agli altri blocchi i suoi condomini, possono e devono costituire un loro condominio distinto dagli altri.

A parere di chi scrive vi è da dire che spesso i proprietari attribuiscono all’istituto del supercondominio un'importanza eccessiva e questo quesito ne è un chiaro esempio. Stante infatti la grandezza e l’importanza del complesso edile descritto (composto a quanto si è capito da ben 900 unità abitative suddivise in 55 blocchi separati), già il suo amministratore dovrebbe gestire il cespite come un supercondominio al di là del fatto che tale struttura sia formalmente costituita: questo è prima di tutto imposto dalle regole della buona amministrazione, le quali sono anche in gran parte recepite dalla riforma del condominio del 2012. Per fare un esempio il n.4) del co.12° dell’art. 1129 del c.c. ci dice che costituisce una grave irregolarità dell’amministratore il gestire il condominio secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini: la violazione di tale norma da parte del professionista potrebbe giustificarne la sua revoca per mezzo di provvedimento giudiziario e anche possibili richieste risarcitorie a suo carico.

Sempre l’art. 1129 del c.c., ma questa volta il suo comma 7°, dispone in maniera molto chiara come l'amministratore sia obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente intestato al condominio.
Se, quindi, l’amministratore nella gestione dello stabile descritto nel quesito, ha applicato in maniera corretta questi due fondamentali principi previsti dal nostro codice civile egli deve:
  • aver acceso tanti conti correnti quanti sono i blocchi in cui è composto lo stabile e acceso inoltre un conto corrente in cui far transitare le somme inerenti la manutenzione dei servizi super condominiali;
  • predisposto bilanci inerenti a ciascun blocco e un bilancio dei servizi e beni del supercondominio;
  • convocato assemblee di blocco e una assemblea del super condominio le quali andranno a decidere gli argomenti di loro rispettiva competenza.
Non si dubita in alcun modo della correttezza dell’operato dell’attuale amministratore in carica e il quesito non offre elementi per valutare la sua condotta, quindi è molto probabile che il supercondominio sia per la maggior parte già operativo al di là di un suo riconoscimento formale.



E. G. chiede
sabato 11/11/2023
“Supercondominio - possibile scioglimento
Due immobili contigui (civico 4/1 - 16 condomini; civico 4/2 - 21 condomini), con un'unica centrale termica, sono diventati "de iure" un supercondominio dotato di 3 codici fiscali. Di questa circostanza i condomini sono venuti a conoscenza soltanto ora (ottobre 2023) a seguito della mancata riconferma dell'Amministratore, il quale - per tutti gli esercizi (dal 2013 al 2022) - ha convocato sempre un'unica assemblea con la dicitura: "Convocazione di assemblea ordinaria del condominio di via xxxx 4/1 e 4/2". La richiesta dei condomini è se sia possibile - con delibera assembleare, approvata con la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell'edificio [4/1+4/2], procedere allo scioglimento del supercondominio al fine di semplificare gli adempimenti di fine esercizio (ad es. 3 distinte assemblee).”
Consulenza legale i 17/11/2023
In realtà sulla base di quanto descritto l’operato dell’amministratore è assolutamente corretto e rispettoso della normativa condominiale, a differenza di quello che vorrebbero fare una parte dei condomini.

Il supercondominio è un istituto giuridico che trova la sua origine prima della riforma del 2012 in prima battuta nelle pronunce della giurisprudenza sulla base della disciplina allora vigente, e viene recepito solo successivamente dal legislatore con l’introduzione dell’art. 1117 bis del c.c. Secondo tale norma si ha un supercondominio quando un determinato complesso edile è composto da più edifici autonomi che di per sé soli possono considerarsi distinti condomini, i quali però tra loro hanno in comune beni ed impianti in base al precedente art. 1117 del c.c.
La fattispecie astratta descritta dall’art. 1117 bis del c.c., a quanto pare trova concreta attuazione nel complesso edile descritto nel quesito, in quanto esso è composto da due distinti corpi di fabbrica, ciascuno con un proprio numero civico, i quali però hanno in comune l’impianto di produzione e distribuzione del riscaldamento, bene espressamente considerato condominiale dal n. 3) dell’art. 1117 del c.c.

La giurisprudenza, in maniera assolutamente costante, ha chiarito infatti che il supercondominio (così come il condominio in un singolo edificio) è un fenomeno giuridico che non richiede per la sua costituzione un espressa manifestazione di volontà da parte dei suoi componenti: il solo fatto che in un complesso edile vi siano più edifici che hanno in comune determinati impianti impone l’obbligo di applicare la normativa condominiale e quindi di costituire un super condominio. In altre parole il codice civile non prevede alcuna libertà di scelta per i proprietari in merito alla opportunità di costituirsi o meno in un supercondominio (in questo senso chiarissima Cass.Civ., Sez.II, n. 1344 del 19.01.2018). Nel caso specifico proprio la presenza di un impianto di riscaldamento comune ai due palazzi impedisce la possibilità di andare a deliberare ai sensi dell’art. 61 delle disp. att. c.c. lo scioglimento del supercondominio.

La presenza di un super condominio, chiamato a gestire l’impianto di riscaldamento comune ai due palazzi, tuttavia non è in alcun modo di ostacolo ad una gestione più snella ed efficiente del complesso edile descritto nel quesito.
Come si è già detto entrambi i due immobili contigui devono considerarsi tra di loro due condomini autonomi, come parimenti essi sono autonomi dal super condominio.
Ciascuno di questi tre enti condominiali, costituiti da tre assemblee giuridicamente autonome, andranno ad approvare dei rendiconti distinti. Del tutto legittimamente quindi le riunioni condominiali di tali enti potranno essere convocate in momenti differenti, ed altresì l’amministratore, per mere esigenze organizzative potrà convocarle nel medesimo luogo e nel medesimo momento. Entrambi i palazzi e il super condominio sono poi del tutto liberi nella scelta del loro amministratore, il quale potrà essere lo stesso professionista o invece figure assolutamente distinte.
Ovviamente ai sensi del 7° co. dell'art. 1129 del c.c. tutti questi enti dovranno essere dotati di conti correnti distinti.

G. T. chiede
venerdì 03/03/2023 - Trentino-Alto Adige
“Diaspore e litigi causa la dittatura imposta dall'amministratore e i suoi fedeli. Questo visto con i miei occhi perchè ultimo condomino che ha preso alloggio dopo una ristrutturazione e così, diciamo, vergine. Sembra che nessuno si accorga di questo giogo imposto. Così io ho cercato di impormi e non andando daccordo con l'amministratore e i suoi fedeli, ne è venuta una querela penale. Ma credo di aver centrato in buona parte il problema principale.
Un condominio che ha 53 anni ed è composto di tre palazzi. Condomini schiacciati dalla maggioranza, ai voti, di altri condomini, ed ecco il perchè: i millesimi sono divisi sui tre palazzi. Uno con 250/1000, un'altro con 250/1000 e il terzo con 500/1000. Nessuno ha notato il problema che si ripete annosamente: chi decide tutto nel condominio è il terzo palazzo che non si riesce mai a superare perchè esiste uno scompenso abnorme. E' l'arrabbiatura nera dei condomini dei due palazzi che non riescono ad imporsi. L'anarchia del terzo palazzo.
Ecco il quesito: vorrei rifare il conteggio dei millesimi generali in proporzione alla grandezza degli stabili. Come agire se trattato in giurisprudenza? La faccenda è diventata grave.”
Consulenza legale i 09/03/2023
A parere di chi scrive la vicenda va affrontata cambiando punto di vista. L’intero complesso edile descritto costituisce giuridicamente un super condominio: figura oggi normativamente prevista dall’art. 1117bis del c.c.
Tale super condominio è composto innanzitutto da tre condomini autonomi (A,B,C), ciascuno dei quali sarà chiamato ad amministrare i servizi e i beni che devono considerarsi comuni ai proprietari di ciascun palazzo ai sensi dell’art. 1117 del c.c.. Affianco a tali tre condomini autonomi vi è il super condominio il quale giuridicamente è chiamato ad amministrare solo ed esclusivamente quei beni e quei servizi che in forza del combinato disposto degli artt. 1117 e 1117 bis del c.c. devono considerarsi comuni ai tre corpi di fabbrica (D).

Ciascuno di queste quattro unità condominiali (i tre palazzi A, B, C oltre al super condominio D), avranno in primo luogo quattro assemblee condominiali autonome, le quali, quanto a quelle riferibili ai tre palazzi, saranno composte ciascuna solo dai proprietari che hanno i loro appartamenti nei singoli edifici autonomi, e quanto alla assemblea del super condominio D essa sarà composta dall’ insieme dei proprietari di ciascun palazzo (A+B+C).

Ora, bisogna tener presente che ciascuna di queste assemblee, potranno essere anche convocate tutte nel medesimo giorno e alla medesima ora, ma visto che ciascun condominio amministra beni e servizi distinti, esse saranno competenti a deliberare ai sensi dell’art. 1135 del c.c., solo relativamente alle questioni di quello specifico palazzo, come l’assemblea super condominiale sarà competente a deliberare solo per le questioni attinenti ai beni e servizi super condominiali.

Ora, fatta questa prima importante premessa, è necessario rivolgere all’autore del quesito una domanda: su quali argomenti e questioni gli abitanti del palazzo C esercitano la loro asserita dittatura millesimale? Perché, se si inizia a ragionare come un super condominio, non sarà possibile per gli abitanti del palazzo C, “ficcare il naso” nelle questioni che riguardano gli altri due palazzi: una delibera di questo tipo sarebbe infatti radicalmente nulla e impugnabile in ogni tempo, anche oltre i rigidi termini impugnatori previsti dall’art. 1137 del c.c..

Lo stesso discorso vale per l’amministratore di condominio: in teoria nel complesso edile vi dovrebbero essere quattro figure di amministratore distinte, ciascuna per ciascun ente condominiale. Nei complessi come quelli descritti nel quesito capita molto spesso, per un discorso di praticità, che vi sia un unico amministratore il quale amministra ciascun palazzo autonomo e amministra anche il supercondominio: questa prassi non è assolutamente vietata dalla legge, ma parimenti nulla vieta che uno dei tre palazzi convochi la propria assemblea e nomini un suo amministratore distinto da quello degli altri due edifici e distinto anche dall’amministratore del super condominio.

Veniamo ora a trattare il discorso delle tabelle millesimali, in quanto, se a suo tempo furono fatte le cose a regola d’arte, vi dovrebbero essere quantomeno quattro tabelle generali che si affiancano alle varie tabelle scale presenti negli stabili. Le prime tre tabelle generali riguardano ovviamente i tre palazzi (A,B e C), utilizzabili per determinare ai sensi dell’ art. 1136 del c.c. le maggioranze necessarie per il funzionamento delle assemblee dei singoli condomini e per ripartire tra i condomini del singolo edificio i beni e servizi presenti solo in quello stabile. Affianco a tali tabelle vi dovrebbe essere la tabella dei millesimi generali riferibili ai servizi super condominiali utilizzabile però solo per gestire l’assemblea del super condominio e per suddividere le spese relative ai beni e ai servizi comuni ai tre palazzi: è proprio tale ultima tabella che con molta probabilità ha dato origine ai problemi descritti.
Se però si inizia a gestire l’intero complesso come supercondominio è molto probabile che anche l’ambito di applicazione di questa quarta tabella venga radicalmente diminuito, facendo venir meno anche la necessità di modificarla, come vorrebbe l’autore del quesito.

E’ giusto anche sfatare l’importanza dei millesimi nella determinazione delle maggioranze assembleari, poiché ogni quorum deliberativo prescritto dalla normativa condominiale e necessario per approvare le singole delibere assembleari è sempre composto da una doppia maggioranza per teste e millesimi: affinché infatti una determinata delibera possa considerarsi approvata, prima di tutto è necessario verificare che vi sia la maggioranza per teste dei partecipanti alla riunione, e poi verificare se tale maggioranza per teste sia l’espressione di una determinata quota millesimale che varia a seconda del tipo di decisione che l’assemblea è chiamata ad adottare di volta in volta.

Questo sistema a doppia maggioranza teste e millesimi è stato pensato dal legislatore proprio per evitare che colui che possiede ad esempio quattro unità immobiliari possa imporre la propria forza millesimale in assemblea nei confronti degli altri condomini che possiedono magari il loro singolo appartamento. Applicando tale sistema al caso specifico nell’ambito della assemblea del super condominio è ben possibile ad esempio per i condomini dei palazzi A e B, unendosi magari a qualche dissidente del terzo palazzo di avere in alcune o tutte le decisioni una maggioranza per teste che possa impedire ai condomini del palazzo C di fare il bello e il cattivo tempo, seppur essi nel loro complesso abbiano un numero di millesimi maggiore.

Si è propensi in verità a pensare che i problemi e i litigi che sono nati nel complesso edile descritto siano dovuti non tanto ad una iniqua ripartizione dei millesimi tra i tre palazzi quanto piuttosto ad una amministrazione piuttosto carente che non ha gestito il complesso nella maniera corretta e soprattutto non ha fatto applicazione dei principi che si sono descritti fin qui.

Si tenga presente che la giurisprudenza della Corte di Cassazione è assolutamente costante nell’affermare come: "al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. Cod.civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi" (Cass.Civ.,Sez.II, n.1344 del 19.01.2018).

In forza di tale importante principio assolutamente costante e più volte ribadito dai giudici, il complesso edile descritto nel quesito avrebbe dovuto essere gestito come super condominio fin dal momento della sua edificazione nel 1953, e questo indipendentemente dal fatto che
  • non esista una delibera assembleare costitutiva del supercondominio
  • vi sia l’ostruzione di un gruppo di condomini
  • non fu richiesto a suo tempo all'amministrazione finanziaria un codice fiscale per ciascuno dei tre palazzi e per l’ente super condominiale.


Z. S. chiede
domenica 14/08/2022 - Valle d'Aosta
“Nel caso di un albergo categoria catastale D2 che ha in comune con un condominio di seconde case la strada di accesso e alcune servitù reciproche su spazi comuni, ma di proprietà alcuni dell'albergo e altri di proprietà del condominio, si applicano le disposizioni dell'art. 1117 cc, dell'art. 67 delle norme di attuazione del codice c.c. e dell'art. 1136 del c.c. riguardo alla validità di costituzione dell'assemblea e delle deliberazioni? Le difficoltà riguardano che anche su questioni di semplice amministrazione come il riscaldamento, la pulizia della neve, per non parlare di interventi più importanti come l'asfaltatura o la costruzioni di protezioni, il rappresentante dell'albergo, che ha la stragrande maggioranza della proprietà risultante dalla somma dei due edifici, rischia di subire il ricatto della minoranza che si formerebbe comunque a favore dei condòmini riguardo al numero dei partecipanti (1 contro 7, quanti sono i condòmini del fabbricato condominiale). Nel regolamento contrattuale l'assemblea è composta da un rappresentante per ognuno dei due edifici e decide a maggioranza. Probabilmente prevalgono le norme di legge, ma fino a che punto?”
Consulenza legale i 06/09/2022
La fattispecie descritta rientra in un classico caso di super condominio, in quanto il complesso è composto da due corpi di fabbrica di per se autonomi (di cui uno dei due è un vero e proprio condominio costituito da un diverso numero di proprietari), che hanno però in comune alcune aree servizi e servitù condominiali.
Il supercondominio inizialmente non era previsto dal codice civile: in realtà esso era stato elaborato dalla giurisprudenza per fare in modo che la normativa sul condominio venisse applicata anche ai manufatti e servizi che erano pertinenziali ai due edifici, applicabilità che anni fa non era assolutamente pacifica.

Dopo la riforma del 2012 il super condominio viene espressamente recepito nel codice civile con l’introduzione dell’art.1117 bis del c.c., il quale chiarisce: "Le disposizioni del presente capo (quindi le norme del condominio n.d.r.) si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117".

In forza della norma citata, nel complesso descritto nel quesito deve quindi trovare piena applicazione tutta la normativa del condominio e soprattutto le norme attinenti alla assemblea, in particolare quelle norme che disciplinano la convocazione dell’organo collegiale e i quorum costitutivi e deliberativi necessari per fa si che esso possa deliberare. Come è noto tali quorum sono caratterizzati da una doppia maggioranza per teste e millesimi: ciò fa sì che chi possiede più millesimi non possa fare il bello e il cattivo tempo durante le riunioni poiché per giungere ad una valida delibera dell’assemblea è necessario che essa venga prima approvata dalla maggioranza per teste dei presenti, la quale deve poi rappresentare una determinata quota millesimale.

Inoltre, le norme del regolamento dato in visione in merito al funzionamento della assemblea devono considerarsi superate dalla introduzione del nuovo art. 67 delle disp. att. c.c., norma che, come specifica chiaramente il successivo art. 72 delle disp. att. c.c. non può essere derogato da norme del regolamento di condominio di senso contrario.
In particolare il co. 3° dell’art. 67 disp.att. del c.c. prevede una particolare disciplina della assemblea del supercondominio, applicabile nel momento in cui i partecipanti ad esso sono più di sessanta.

La norma in commento prevede l’istituzione di una assemblea super condominiale competente a deliberare in merito alla gestione ordinaria delle parti comuni a più edifici e in merito alla nomina di un amministratore del super condominio. Tale organo collegiale è composto da un rappresentante di ciascun edificio di cui si compone il complesso; il rappresentante deve essere eletto in seno all’assemblea di ciascun condominio con le maggioranze di cui al 5° co. dell' art. 1136 del c.c.


C. M. chiede
giovedì 12/05/2022 - Emilia-Romagna
“Buongiorno vi espongo il mio quesito: la mia proprietà immobiliare è all'interno di un RESIDENCE composto da 2 palazzine con 4 appartamenti ciascuno, una villa abbinata e tre villette a schiera, il tutto con una entrata in comune, spese cancelli elettrici + luce del vialetto e del pozzo. Tutte le abitazioni tranne una delle palazzine sono gestiti da un amministratore che gestisce le parti in comune (compreso quelle della palazzina in questione), quest'ultima per malaugurate vicissitudini varie si staccò dal ns amministratore ed acquisi' un amministratore a se' che dovrebbe far pagare i costi della gestione in comune, di loro pertinenza, ai 4 proprietari. Purtroppo sono anni che 2 dei 4 proprietari non pagano nulla e pare che il loro amministratore sia da 3 anni che non convochi nemmeno l'assemblea ordinaria. Il debito maturato compreso il bilancio preventivo 2022/2023 è di 1.868,00 Euro. Dobbiamo sostituire il sistema videocitofonico di tutti che ovviamente è in comune ma non ci fidiamo ad intraprendere la spesa in quanto i 2 condomini non pagherebbero nemmeno questo. Premetto che la ns assemblea ordinaria è stata effettuata 2 gg fa nella quale l'amministratore è stato ancora una volta non incisivo nei confronti dell'altro "amministratore". Cosa ci permette di fare la legge per ottenere rapidamente e con certezza il ns credito? Grazie Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 14/05/2022
L’origine di questa situazione è da ricondursi, a parere di chi scrive, alla poca chiarezza in merito a chi effettivamente abbia il compito di amministrare i beni comuni a tutte le proprietà del complesso.

La fattispecie descritta, infatti, è un tipico esempio di super condominio ex art. 1117 bis del c.c. Si ha super condominio quando in un complesso edile vi sono più edifici tra loro autonomi, che di per sé potrebbero essere considerati condomini autonomi l’uno con l’altro, i quali però condividono beni e servizi comuni: come ad esempio nel caso specifico l’impianto citofonico che è comune a tutti gli edifici.

In un super condominio vi sono più enti condominiali tra di loro autonomi ciascuno con la propria assemblea e con il proprio amministratore. Tra questi enti condominiali vi è anche il super condominio, il quale ha una assemblea sua propria, composta da tutti i proprietari che hanno una unità immobiliare ricompresa nel complesso, e un suo amministratore, il quale può coincidere o meno con quello degli altri edifici. Gli organi del super condominio hanno il compito di gestire ciascuno con le proprie prerogative i beni e i servizi comuni a tutti i palazzi e villette.

Nello specifico è quindi necessario attivare gli organi del super condominio convocando la sua assemblea, la quale dovrà nominare chiaramente un amministratore del super condominio e deliberare eventuali lavori di intervento sulle parti comuni super condominiali (come il rifacimento dell’impianto citofonico).

Per determinare i quorum costitutivi e deliberativi ex art. 1136 del c.c. della assemblea del super condominio si dovrà fare riferimento alla tabella dei millesimi generali attinenti alle proprietà super condominiali, che visto, l’importanza del complesso si è sicuri sia presente tra i documenti amministrativi dei palazzi. Se l’amministratore è recalcitrante a procedere in tal senso, violando direi quasi tutte le norme del diritto condominiale che lui ben conosce o dovrebbe ben conoscere, si potrebbe arrivare anche ad autoconvocare l’assemblea ai sensi dell’art. 66disp.att del c.c.

Se vi sono degli insoluti attinenti alla manutenzione dei beni e servizi super condominiali sarà l’amministratore competente che dovrà attivarsi nell’esercizio delle prerogative che gli sono proprie promuovendo con l’ausilio di un legale tutte le azioni necessarie per il recupero del credito.

Ovviamente le procedure di recupero andranno incontro alle tempistiche e lungaggini a cui purtroppo è affetto il nostro sistema giudiziario, ma il primo passo è sicuramente quello di mettere ordine e fare chiarezza nella gestione dei servizi super condominiali: forse così facendo i condomini morosi potrebbero decidersi a pagare una somma che all’oggi è piuttosto irrisoria.


E. P. chiede
martedì 10/05/2022 - Lombardia
“Abito in una vecchia corte a ferro di cavallo il cui accesso avviene da un portone in comune ed un passaggio centrale (sempre in comune) nel mezzo di due cortili separati e di proprietari differenti. All'interno della corte ci sono circa 20 abitazioni suddivise in n. 5 palazzine unite tra loro ma di fatto separate. 4 delle succitate palazzine sono composte da 2/3 abitazioni e la 5 la mia da n.7 abitazioni e quindi nessuna è gestita da amministratore ma ognuno si è sempre gestito singolarmente (ogni palazzina provvedeva per se stessa). Da 30 anni ci sono discussioni tra i vari proprietari anche con l'intervento della volante dei Carabinieri perchè uno di questi asseriva di essere l'unico proprietario del portone di acceso.
Ora questo proprietario ci ha contattato asserendo che essendo il portone ed il passaggio di cui sopra in comunione con più di 8 abitazioni per legge siamo obbligati a costituire il condominio ed a nominare l'amministratore: volevo sapere se cio è vero.”
Consulenza legale i 18/05/2022
In linea di principio la pretesa di costituire il condominio parrebbe corretta. Il complesso edile descritto, infatti, è un tipico esempio di super condominio rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 bis del c.c. Si ha un super condominio quando in un complesso edile vi sono più i quali di per sè potrebbero essere considerati condomini autonomi l’uno con l’altro, che però condividono beni e servizi comuni. Riprendendo un orientamento molto consolidato in giurisprudenza già prima della riforma del 2012, l’art. 1117 bis del c.c. estende l’ambito di applicazione della disciplina del condominio a tutti quei beni e servizi comuni ai singoli edifici così come elencati dal precedente art.1117 del c.c.: nel caso specifico tali beni parrebbero essere proprio il portone, il passaggio centrale e con ogni probabilità il sedime che circonda i fabbricati.

Si tenga presente inoltre come la giurisprudenza, con un orientamento assolutamente granitico, abbia chiarito con più arresti come il condominio (e il super condominio) sia in realtà una situazione di fatto che si realizza nel momento in cui in un edificio o in un complesso super condominiale vi sia la coesistenza di parti in proprietà esclusiva e parti in proprietà comune la cui funzione e scopo è proprio quella di permettere e rendere più agevole il godimento e l’utilizzo delle singole unità abitative.

L’obbligo, quindi, di applicare la disciplina del condominio scatta nel momento in cui vi è questa coesistenza e non nel momento in cui i proprietari deliberano di costituire il condominio con una delibera assembleare, oppure quando chiedono alla Agenzia delle Entrate l’attribuzione di un codice fiscale al proprio condominio: questi sono tuttalpiù atti consequenziali alla naturale applicazione delle norme del codice civile.

Venendo al caso specifico, vi è da dire che se da un lato parrebbe sussistere l’obbligo per i proprietari di attivare gli organi condominiali o meglio del super condominio per le parti comuni ai singoli edifici del complesso, da un punto di vista pratico questa gestione avrebbe poco senso a meno che non si debbano affrontare per le parti comuni a tutti gli edifici della corte dei lavori di manutenzione straordinaria: per esempio, la sostituzione del portone di ingresso e la asfaltatura del passaggio centrale.

Infatti, i singoli edifici di cui è composta la corte rimarrebbero dei condomìni autonomi e distinti l’uno rispetto all’altro e anche rispetto al super condominio: quindi nei singoli edifici, se vi è armonia tra i proprietari, si potrebbe pacificamente continuare l’autogestione che si è finora portata avanti, anche perché per loro, a mente del 1° co. dell’art.1129 del c.c., non vi sarebbe l’obbligo di nominare un amministratore, cosa che invece sarebbe obbligatorio fare per il super condominio, il quale, con ogni probabilità, nel suo complesso è composto da più di otto proprietari.

Conviene nominare un (costoso) amministratore esterno per, a conti fatti, prendere in mano solo la gestione ordinaria di un portone di ingresso, un viottolo di accesso e forse un po’ di terreno comune?



E. C. chiede
lunedì 06/12/2021 - Trentino-Alto Adige
“Fattispecie:
due edifici in aderenza, separatamente accatastati, ognuno dei quali contiene diverse unità immobiliari alcune delle quali concesse in comodato. Gli edifici hanno tra loro numerose parti comuni (scale, ascensore, copertura, parcheggi, fognature, spazi comuni, muri perimetrali e fondamenta, ecc.) ed appartengono il primo a Caia ed il secondo a Caia e Tizio in comunione legale.
Si chiede se tra i due edifici può esistere un condominio ai sensi dell’art. 1117-bis del Codice civile.
Grazie.”
Consulenza legale i 10/12/2021
Il condominio è una situazione di fatto che si realizza quando in un medesimo edificio vi sono parti in proprietà esclusiva (le singole unità immobiliari) e parti in proprietà comune a tutti i partecipanti che il codice civile puntualmente elenca al suo art. 1117 del c.c.

Si ha invece il super condominio quando in un complesso edile composto da almeno due edifici, ciascuno dei quali deve considerarsi un condominio autonomo dall’altro, vi sono beni e servizi comuni legati da un rapporto di accessorietà con i singoli stabili che lo compongono. Tipicamente si può pensare ad un piccolo complesso composto da due edifici che hanno in comune il giardino, l’impianto di irrigazione e il cancello di ingresso.

Il supercondominio è un istituto che fu inizialmente teorizzato dalla giurisprudenza per fare in modo di estendere la disciplina del condominio agli impianti e servizi accessori e comuni ai diversi edifici e successivamente è stato recepito dal legislatore con la riforma del condominio del 2012 e l’introduzione dell’art. 1117 bis del c.c.

Nel caso specifico possiamo dire che il complesso descritto può tranquillamente essere considerato un super condominio: vi sono, infatti, due edifici strutturalmente autonomi che hanno tra loro in comune diversi elementi essenziali per la stessa esistenza degli stabili. La presenza poi di Tizio che è proprietario in comunione legale con Caia di uno dei due palazzi non è di ostacolo a quanto detto, anzi crea quella pluralità di partecipanti che è uno degli elementi necessari per l’esistenza delle fattispecie che si sono descritte. Chiaramente Caia avrà più peso millesimale rispetto a Tizio, ma questo è un aspetto che ha valore più teorico che pratico in quanto essendo il super condominio composto da soli due persone esso dovrà essere gestito quasi sempre con l’accordo unanime dei due partecipanti.


G. L. P. chiede
mercoledì 30/06/2021 - Lazio
“Sono un condomino di un condominio formato da due palazzi vicini. Uno il doppio dell'altro, il mio amministratore vuole fare lavori di manutenzione su uno dei due alla volta, tenendo separate le assemblee, mentre il regolamento di condominio recita che i lavori di manutenzione, normale o strordinaria devono essere pagati da tutti i condomini essendo questo condominio formato da quattro scale e non da tre più una (quella del palazzo piccolo) come pensa il mio amministratore.
Se l'assemblea formata solo dai chiamati delle tre scale del palazzo grande che pure può raggiungere la maggioranza, convalida questa scelta, l'assemblea priva delle convocazioni del palazzo piccolo può essere considerata nulla? Grazie.”
Consulenza legale i 06/07/2021
In assenza di un esame del regolamento condominiale si deve concludere che l’operato dell’amministratore sia assolutamente corretto.

Nel quesito indicato siamo di fronte ad un complesso edile composto da due edifici, i quali nel loro insieme vanno a formare un classico supercondominio.
Il supercondominio viene posto in essere quando in un complesso edile composto da più di un edificio tra loro contigui, che già di per sé costituiscono dei condomini autonomi, vi sono determinati servizi o manufatti comuni ai singoli palazzi; ad esempio: un parco privato posto al centro dei singoli edifici; il cancello automatico necessario per accedere all’ intero complesso edile; il servizio di riscaldamento comune a più civici ricompresi nel complesso ecc. ecc.
Nel supercondominio abbiamo quindi la convivenza di più enti condominiali: nel caso descritto, ad esempio, possiamo individuare ben 3 condomini: il palazzo grande (composto da tre scale), il palazzo più piccolo (composto da una sola scala), e il supercondominio composto dai proprietari di tutti i precedenti edifici, il quale sarà però competente ad amministrare solo i servizi e i beni ad essi comuni. Ciascuno di questi enti condominiali avrà la propriaassemblea, composta dai rispettivi proprietari, e un amministratoreil quale potrà essere lo stesso per tutti i condomini o essere una persona diversa per ciascun palazzo per il super condominio stesso

Tale istituto giuridico è stato teorizzato dalla giurisprudenza al fine di estendere ai manufatti comuni ai singoli palazzi la normativa del condominio, in luogo di quella prevista per la comunione ordinaria, istituto che viene poi recepito dalla riforma del condominio del 2012 con diverse norme, tra cui l’art. 1117 bis del c.c.

Si tenga presente che il supercondominio esiste, e si deve quindi applicare la disciplina conseguente, indipendentemente dal fatto che all’intero complesso sia stato attribuito un unico codice fiscale, oppure l’assemblea dei singoli palazzi o dell’intero complesso abbia deliberato di costituire un super condominio o di dividersi dall’ente super condominiale costituendo un condominio autonomo.
In merito al momento in cui sorge il supercondominio la Corte di Cassazione, Sez.II, con sentenza n. 1344 del 19.01.2018, ribadendo anche precedenti orientamenti, ha statuito che: "al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. Cod.civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi".

Posto il presente quadro giuridico, l’assemblea di condominio competente ad approvare i lavori di manutenzione straordinaria sarà solo quella dello specifico palazzo in cui tali lavori dovranno essere realizzati, mentre l’assemblea del supercondominio sarà competente a deliberare solo in merito ai lavori attinenti alle parti e servizi comuni ad entrambi gli edifici.
Sarebbe gravemente nulla la delibera condominiale adottata dalla assemblea del supercondominio che deliberasse l’esecuzione di lavori da eseguirsi sul singolo edificio.


Cataldo B. chiede
sabato 19/06/2021 - Campania
“Il complesso condominiale è costituito da tre edifici distinti (di piano terra + tre/quattro piani ciascuno) che hanno in comune il piazzale e la relativa illuminazione, due cancelli di ingresso. Al di sotto del piazzale (interrato) ci sono garages e negozi con ingresso da rampe autonome. Parte del piazzale è coperta dall’area di sedime dei singoli edifici.
Il contratto di acquisto dei singoli appartamenti fra l’altro recita: “ E’ escluso dalla vendita e dal condominio tutto il sottosuolo delle aree coperte e scoperte del complesso edilizio…. Resta in comune il diritto superficiario delle aree scoperte..”
Le tabelle millesimali a suo tempo redatte da un geometra, per conto del costruttore ma non citate negli atti di acquisto, comprendono varie altre tabelle per il riparto delle spese relative ad ogni singolo fabbricato (spese comuni del fabbricato, scala, luce scala, pulizia scala, ascensore, ecc) oltre ad una tabella per il riparto delle spese comuni a tutto il complesso (includendo anche i locali del sottosuolo!).
Il regolamento di condominio deliberato nel lontano 1985 prevede fra l’altro che “le delibere concernenti materia e spese relative ad un singolo fabbricato …possono essere prese da un’assemblea diversa da quella generale, costituita dai soli condomini interessati purché facenti parte dello stesso fabbricato” (fu denominata assemblea ristretta).
Alcuni condomini degli edifici B e C sostengono che la delibera per accedere ai benefici del superbonus 110% è di competenza esclusiva dell’assemblea generale relativa a tutti gli edifici, sottosuolo incluso. I condomini dell’edifico A rifiutano questa impostazione sostenendo che i condomini di B e C potrebbero decidere di non beneficiare del superbonus e ledere i diritti dell’edificio A. Per contro si potrebbe verificare l’assurdo che un edificio debba ristrutturare controvoglia per via di una delibera presa dai condomini di altri edifici o addirittura del sottosuolo.
Noi condomini dell’edificio A (piano terra con due negozi più tre piani con due appartamenti ciascuno) abbiamo convocato, tramite il comune amministratore di tutto il complesso, l’assemblea c.d. “ristretta” e deliberato la ristrutturazione dell’edificio col superbonus 110% con incarico ad un tecnico per la verifica della fattibilità. L’intervento dovrà essere fatto nel rispetto delle parti comuni e dell’estetica. Abbiamo chiesto all’amministratore di darne comunicazione a tutti i condomini. Abbiamo agito correttamente?
Qualora la conflittualità dovesse continuare vorremmo valutare la possibilità di costituire un condominio separato dell’edificio A ai sensi dell’art. 61 disp att c.c. evitando possibilmente il ricorso all’autorità giudiziaria. A tale scopo si chiede: la maggioranza richiesta ex art 1136 cc fa riferimento ai millesimi del singolo edificio o a quelli di tutto il complesso (A+B+C)? In altre parole per la separazione è necessario convocare l’assemblea del solo edificio A o l’assemblea di tutto il complesso?
Il vs parere è molto importante perché contribuirà ad evitare conflitti e lungaggini per pratica ecobonus. Gazie.

Consulenza legale i 23/06/2021
Nel quesito indicato siamo di fronte ad un classico esempio di complesso edile composto da tre edifici (A,B,C) i quali nel loro insieme vanno a formare un classico supercondominio.
Il supercondominio viene posto in essere quando in un complesso edile composto da più di un edificio tra loro contigui, che già di per sé costituiscono dei condomini autonomi, vi sono determinati servizi o manufatti comuni ai singoli palazzi; ad esempio: un parco privato posto al centro dei singoli edifici; il cancello automatico necessario per accedere all’ intero complesso edile; il servizio di riscaldamento comune a più civici ricompresi nel complesso ecc. ecc.

Nel supercondominio abbiamo quindi la convivenza di più enti condominiali: nel caso descritto, ad esempio, possiamo individuare ben 4 condomini: il palazzo A, il palazzo B, il palazzo C e il supercondominio composto dai proprietari di tutti e tre i precedenti edifici, il quale sarà però competente ad amministrare solo i servizi e i beni ad essi comuni. Ciascuno di questi enti condominiali (A,B,C e supercondominio) avrà la propria assemblea, composta dai rispettivi proprietari e un amministratoreil quale potrà essere lo stesso per tutti i condomini o differire in tutto o in parte.
Tale istituto giuridico è stato teorizzato dalla giurisprudenza al fine di estendere ai manufatti comuni ai singoli palazzi la normativa del condominio, in luogo di quella prevista per la comunione ordinaria, istituto che viene poi recepito dalla riforma del condominio del 2012 con diverse norme, tra cui l’art. 1117 bis del c.c.

Si tenga presente che il super condominio esiste, e si deve quindi applicare la disciplina conseguente, indipendentemente dal fatto che all’intero complesso sia stato attribuito un unico codice fiscale, oppure l’assemblea dei singoli palazzi o dell’intero complesso abbia deliberato di costituire un super condominio o di dividersi dall’ente super condominiale costituendo un condominio autonomo.
In merito al momento in cui sorge il supercondominio la Corte di Cassazione, Sez.II, con sentenza n. 1344 del 19.01.2018, ribadendo anche precedenti orientamenti, ha statuito che: "al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117e segg. Cod.civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’ approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi".

Per quanto ci è dato capire il regolamento di condominio vigente nel supercondominio descritto nel quesito, tiene ben conto di quanto si è detto finora: esso prevede diverse assemblee, quelle dei singoli edifici (che impropriamente vengono definite ristrette) e quelle del supercondominio. E’ chiaro che ognuno di questi organi collegiali ha il potere di deliberare solo ed esclusivamente sulla gestione dei servizi e beni comuni che sono propri del singolo palazzo (A,B,C), come l’assemblea super condominiale (o "allargata") avrà il potere di deliberare solo in merito alla gestione dei servizi e dei beni comuni a tutti e tre i palazzi (A+B+C).

Si deve pertanto concludere che è perfettamente inutile che l’edificio A proceda ad una separazione dal supercondominio, in quanto a livello di diritto condominiale egli è già un condominio autonomo, rimanendo legati al super condominio solo per i servizi e beni comuni a tutti e tre gli edifici; ciò rimarrebbe tale anche se si adottasse una “delibera di separazione” formale. Se i proprietari di tale palazzo vogliono procedere ad effettuare nel loro edificio degli interventi agevolabili essi possono sicuramente farlo, previa ovviamente convocazione della loro assemblea di condominio e adozioni delle delibere conseguenti con le maggioranze previste dall’art.1136del c.c. e normative speciali. Se gli interventi rimangono nell’ambito dell’edificio A e non vanno a ledere il decoro architettonico dell’intero complesso, le assemblee degli edifici B e C come anche quella del supercondominio non avranno alcuna voce in capitolo sul punto e nessun potere di veto. Ogni delibera di segno contrario deve pertanto considerarsi radicalmente nulla. Non vi è poi alcun obbligo che imponga al condominio A di rendere noto le sue decisioni agli altri proprietari degli edifici B e C e ogni comunicazione in tale senso è perfettamente inutile, rientrando tuttalpiù in un comportamento di buon vicinato e di correttezza, sicuramente apprezzabile ma normativamente non obbligatorio.

Il discorso fatto muta però radicalmente se gli interventi che si vogliono approvare coinvolgono i servizi e i beni propri del supercondominio: in questo caso, è chiaro che l’unica assise competente a deliberare sul punto sarà quella super condominiale e le maggioranze per la loro approvazione dovranno essere calcolate tenendo conto dell’insieme dei proprietari dei tre edifici (A+B+C).

SANTO G. chiede
sabato 05/05/2018 - Toscana
“In un complesso residenziale composto da sei edifici con circa 60 appartamenti ciascuno, due edifici composti da 11 villette ciascuno, un centro commerciale con 14 negozi, parti a comune 2 piscine, aree a verde e vialetti interni, si rendono necessari lavori di ristrutturazione di notevole entità per complessivamente 2 milioni di euro)
Il complesso è gestito da un unico amministratore, unico codice fiscale e regolamento contrattuale che riporta: le spese di esercizio particolari a singoli fabbricati o porzioni di fabbricati a norma del 3° comma dell'aart.1123 del c.c. verranno ripartite solo tra i condomini che ne traggono utilità;
si desidera sapere:
1) se tale conformazione è considerata a tutti gli effetti ""supercondominio" con applicazione dell'art.1117 bis c.c. e art.67 disp. att.c.c.
2) se per l'approvazione dei lavori ad ogni singolo fabbricato dovrà essere convocata una apposita assemblea dei proprietari del singolo fabbricato, o se invece i lavori relativi a tutti gli edifici e alle parti comuni comprese possono essere approvati in unica assemblea straordinaria con unica votazione complessiva e dalla maggioranza degli intervenuti e MENO del 50 % del valore millesimale complessivo.”
Consulenza legale i 15/05/2018
Il supercondominio viene posto in essere quando in un complesso edile composto da più edifici tra loro contigui, che già di per sé costituiscono dei condomini autonomi, vi sono determinati servizi o manufatti comuni ai singoli palazzi; ad esempio: un parco privato posto al centro dei singoli edifici; il cancello automatico necessario per accedere all’intero complesso edile; il servizio di riscaldamento comune a più civici ricompresi nel complesso, etc.

Tale istituto giuridico è stato introdotto dalla giurisprudenza anteriore alla riforma del condominio del 2012, al fine di estendere ai manufatti comuni ai singoli palazzi la normativa del condominio, in luogo di quella prevista per la comunione ordinaria.

Il supercondominio viene successivamente recepito dal legislatore con la riforma portata dalla l. n. 220 dell’11.12.2012, introducendo, nel corpus del codice civile, delle norme che vanno a disciplinare concretamente il funzionamento di tale tipologia di condominio.

Con l’art. 1117 bis del c.c. il legislatore va innanzitutto a riconoscere l’applicabilità della normativa del condominio a quei manufatti comuni, non solo a più condomìni tra loro autonomi, ma anche a più unità immobiliari o più edifici, estendendola di fatto anche a piccoli agglomerati urbani che di per sé non costituirebbero un condominio nel senso più classico del termine. In altre parole, anche in un complesso edile composto, ad esempio, da tante villette a schiera, il quale presenta manufatti realizzati per il miglior godimento delle singole unità abitative, troverà applicazione la normativa sul condominio nella amministrazione e gestione di tali opere comuni, con obbligo per i singoli proprietari di riunirsi in assemblea e, se del caso, nominare un amministratore. Sulla base di quanto sopra detto e in base a quanto riferito nel quesito, non si può che concludere che il complesso edile in esso descritto sia un supercondominio di notevoli dimensioni e complessità: pertanto rientra perfettamente nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 bis del c.c.

Si tiene a precisare che la norma citata trova applicazione nella fattispecie descritta, indipendentemente dal fatto che all’intero complesso sia stato attribuito un unico codice fiscale: l’attribuzione del codice fiscale al condominio, infatti, attiene agli aspetti tributari della amministrazione dello stabile, i quali nulla hanno a che vedere con il sorgere del condominio o, come in questo caso, del super condominio da un punto di vista civilistico.

In merito al momento in cui sorge il supercondominio la Corte di Cassazione, Sez.II, con sentenza n. 1344 del 19.01.2018, ribadendo anche precedenti orientamenti, ha statuito che:” al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. Cod.civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto (di fatto n.d.r), se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomìni, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi”.

Il supercondominio è giuridicamente e strutturalmente distinto rispetto ai singoli condomini che lo compongono: esso ha un proprio amministratore, il quale può coincidere o meno con l’amministratore di uno dei palazzi del super condominio, e ha una propria assemblea autonoma.
In merito all’ organo assembleare qualora i partecipanti al super condominio siano minori di sessanta, la riforma del 2012 non prevede normative speciali: pertanto i condomini del super condominio si dovranno riunire in assemblea e troverà applicazione, in merito alle attribuzioni e al funzionamento dell’organo assembleare, quanto disposto dagli artt. 1135 e 1136 del c.c.
Qualora, viceversa, i partecipanti al super condominio siano in numero maggiore di sessanta come nel complesso edile del quesito, la normativa del codice civile riguardante l’organo assembleare e il suo funzionamento deve essere integrata da quanto disposto dal comma 3° dell’art. 67 disp. att. del c.c.
Tale norma introduce una particolare tipologia di assemblea, definita dagli addetti ai lavori: "assemblea dei rappresentanti", che ha competenza sulla gestione ordinaria delle parti comuni del super condominio e sulla nomina del suo amministratore. Ciascun condominio, infatti, ricompreso nel complesso edile supercondominiale, deve eleggere in seno alla propria assemblea, con le maggioranze di cui all'art. 1136 5° co. del c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno i due terzi del valore dell’edificio), un proprio rappresentante, chiamato a far valere le ragioni del suo condominio e ad esercitare il suo diritto di voto in seno alla assemblea dei rappresentanti super condominiale. Qualora il singolo condominio non provveda a nominare un proprio rappresentante, lo stesso potrà essere nominato dalla autorità giudiziaria su ricorso di un singolo condomino. Qualora nessun condomino provveda ad adire l’autorità giudiziaria per la nomina di un rappresentante, la stessa potrà essere adita anche su ricorso di un singolo componente della assemblea dei rappresentanti super condominiale, previa diffida notificata all’amministratore del condominio inadempiente o alla generalità dei condomini di quel palazzo.

In merito alla assemblea dei rappresentanti super condominiale introdotta dall’art.67 disp. att. del c.c., è importante ribadire nuovamente come la stessa abbia competenza a pronunciarsi esclusivamente sulla nomina dell’amministratore e sulla gestione ordinaria delle parti comuni. E' pertanto affetta da nullità per violazione di legge la delibera adottata dalla assemblea dei rappresentanti che vada a pronunciarsi sulla realizzazione di lavori straordinari da eseguirsi sulle parti comuni dell’intero complesso edile (si veda in tal senso Trib. Milano n. 13360 del 02.12.2016).

Non può quindi che concludersi che per l’approvazione di lavori straordinari da effettuarsi sulle parti comuni supercondominiali sarà necessario convocare la totalità dei partecipanti al supercondominio in una assemblea ad hoc, secondo quanto disposto dall’art. 66 disp.att. del c.c., mettendo all’ordine del giorno l’approvazione di detti lavori straordinari.

Si può dare ora risposta alla seconda problematica posta dal quesito: quali assemblee dovranno approvare i lavori straordinari e con quali maggioranze.
Tra i lavori straordinari andranno primariamente scorporati gli interventi che vengono realizzati a vantaggio dei soli singoli edifici che compongono l’intero complesso edile: tali lavori dovranno essere approvati dalla assemblea di quel singolo edificio (o complesso di unità abitative), previa ordinaria convocazione dei soli condomini della parte del complesso interessato. Dando per scontato, visto gli importi citati nel quesito, che i lavori da approvare siano di notevole entità, essi dovranno essere approvati applicando le maggioranze previste per le delibere di cui al 4° comma dell’art. 1136 del c.c.: ovvero maggioranza degli intervenuti che rappresentano almeno la metà del valore dell’edificio. Ovviamente le spese dei lavori che vanno a vantaggio di una sola parte del complesso edile dovranno essere sostenute solo dai condomini interessati a quella parte del complesso; per il calcolo delle maggioranze in assemblea e per la suddivisione delle spese relative dovrà trovare applicazione la tabella millesimale che si riferisce a quella specifica porzione.
In merito ai lavori che vengono realizzati sulle parti comuni dell’intero supercondominio, come si è detto poco sopra, dovrà convocarsi la totalità dei partecipanti al super condominio in apposita assemblea, la quale dovrà approvare gli interventi sempre secondo le maggioranze di cui al 4° comma dell’art. 1136 del c.c. Ovviamente in questo caso le spese riguardanti i lavori straordinari dovranno essere sostenuti da tutti i partecipanti all’intero complesso edile; per il calcolo delle maggioranze in seno alla assemblea supercondominiale e per il riparto degli oneri relativi ai lavori approvati si dovrà applicare la tabella millesimale che riguardano le parti comuni all’intero complesso.
Visto la estensione del supercondominio descritto nel quesito, si immagina che l’amministratore dovrà provvedere a convocare diverse assemblee riguardanti vuoi le singole porzioni del complesso, vuoi il supercondominio nella sua interezza; nulla vieta, per comodità organizzativa, che le stesse siano convocate tutte alla medesima ora e al medesimo giorno, sia in prima che in seconda convocazione. Se questo dovesse avvenire, non si deve dimenticare che seppur convocate nel medesimo momento, le singole assemblee sono giuridicamente autonome; esse devono seguire gli ordini del giorno e le maggioranze costitutive e deliberative che sono proprie a ciascun consesso.


Luigi O. chiede
martedì 01/05/2018 - Lazio
“Un condominio è formato da sette abitazioni a schiera. Non c’è un amministratore (essendo il condominio con meno di nove condomini) né un condomino facente funzioni. Il motivo è dovuto al fatto che non ci sono spese riguardanti tutti i condomini tipo: luce, pulizia scale, manutenzione ascensore, etc. come nei palazzi. Ci sono solo due motivi per cui potrebbe essere necessario parlare con tutti: le facciate e il lastrico solare del fabbricato. Ciò premesso chiedo: È comunque obbligatorio presentare il 770 (dichiarazione redditi) anche se non ci sono spese? E visto che non c’è un facente funzioni: Chi? Penale? È già successo e tutto è stato risolto in pace ma se si dovesse ripetere una infiltrazione d’acqua dal lastrico solare in una abitazione come deve comportarsi il danneggiato in caso di non accordo fra i condomini?
Resto in attesa”
Consulenza legale i 11/05/2018
L’art. 1117 c.c. prevede che costituiscono “proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo: 1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, [omissi] i tetti e i lastrici solari”.

Sul punto si era registrato un contrasto circa la possibilità di parlare di condominio quando le unità immobiliari non fossero disposte verticalmente, ma orizzontalmente (classico l’esempio delle villette a schiera). In questi casi, le aree destinate all’uso dei più edifici venivano considerate, da una parte della giurisprudenza, beni in comunione e quindi assoggettati alla diversa disciplina prevista dagli artt. 1008cc e 1110cc c.c. .

Con la riforma del condominio del 2012, si è definitivamente cristallizzata la nozione di condominio orizzontale, e si è riportata la fattispecie nell’alveo della normativa sul condominio degli edifici.
L’art. 1117 bis c.c., introdotto con Legge n. 220/2012 prevede appunto che “Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117

Di recente la Cassazione è tornata a ribadire che in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti individuate dall’art. 1117 c.c. alle singole proprietà, la condominialità di una parte non può essere esclusa per il sol fatto che gli edifici cui essa è asservita siano realizzati in orizzontale, anziché in verticale su piani, poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, purché dotati delle strutture portanti in comune (Cass. 27360/2016).
Dunque se le villette a schiera hanno un unico tetto, e probabilmente hanno in comune anche altre parti quali fondamenta e facciata, si dovrà far riferimento comunque alle norme sul condominio negli edifici.

Eventuali spese per il rifacimento del tetto comune dovranno essere ripartite tra tutti i condomini in proporzione alla proprietà di ciascuno (art. 1123 c.c.), dunque in base ai millesimi, a prescindere dalla circostanza che sia stato nominato o meno un amministratore.

I condomini che dovessero dissentire rispetto alla suddivisione della spesa tra tutti, potrebbero sempre essere convenuti in giudizio per il pagamento di quanto dovuto in base alla legge, senza possibilità di sottrarsi.

Il fatto poi che la nomina di un amministratore non sia obbligatoria, non significa che un amministratore non sia necessario.

Quando il numero dei condomini è abbastanza elevato, come in questo caso, sarebbe più opportuno convocare un’assemblea e nominare un amministratore, nomina che sicuramente comporta aggravi di spesa e necessità della dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta (cd. modello 770), ma che potrebbe limitare parecchio il ricorso all’Autorità giudiziaria ogni volta che insorga una diatriba tra i condomini.

FRANCESCO M. chiede
giovedì 15/03/2018 - Lazio
“Articolo 1117 codice civile - Supercondominio
E' obbligatorio formare il supercondominio se ricorrono solo alcune cose (non strutturali) in comune con gli altri Condomini?
Se non è obbligatorio è possibile fare in Comunione, di volta in volta, manutenzioni ritenute utili per Condomini?
Grazie”
Consulenza legale i 21/03/2018
Con il termine "supercondominio" si fa riferimento ai quei complessi residenziali costituiti da più distinti condomini autonomi ma compresi in una più ampia organizzazione e tra loro legati da beni e servizi in comune ( es. le zone verdi, il parcheggio, i viali, la guardiola, il servizio di portineria ecc.), in rapporto di accessorietà di tipo sia materiale che funzionale .

Tale definizione, di origine giurisprudenziale ( cfr. Cass. n. 19939/2012), ha trovato una disciplina normativa a seguito del d.l. n. 145/2013 che ha introdotto l’art 117 bis c.c. che “individua i casi tipici di “ più unità immobiliari o più edifici, ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici che abbiano parti in comune”.
Riguardo la costituzione del supercondominio, la Giurisprudenza ormai consolidata ( Cass. n. 2305/2008; n. 13882/2010; n 17332/2011) ha affermato che “ai fini della costituzione di un supercondominio non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio essendo sufficiente che i singoli edifici abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art 1117 c.c., in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando, di conseguenza, a ciascun dei condomini dei singoli fabbricati, la titolarità 'pro quota' su tali parti comuni e l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione”.
Da ultimo la Cassazione ( sent. n. 19800/2014) ha ribadito che “ai fini della costituzione di un supercondominio non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere ipso iure et facto, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti”.

In sostanza, al pari del condominio negli edifici, anche il supercondominio viene in essere di fatto, spontaneamente, senza bisogno di specifiche manifestazioni di volontà o di approvazioni delle assemblee, salvo lo stesso non sia escluso dal regolamento condominiale o dal titolo.
E’ sufficiente che i condominii abbiano in comune alcuni servizi o impianti.
Pertanto, nel caso di specie, riteniamo che, anche in presenza di alcuni soli servizi in comune tra i condominii, possa parlarsi di supercondominio. Sarebbe stato comunque più opportuno che ci avesse elencato le “cose in comune” di cui parla.

Non vi è nessun obbligo di costituzione del supercondominio considerato che lo stesso si forma “ ipso iure et facto”, cioè nasce spontaneamente.
I condomini potrebbero tranquillamente gestirlo come un condominio normale, ma occorre comunque il consenso di tutti poiché la esistenza del supercondominio (che si ripete, sorge di fatto) potrebbe sempre essere fatta valere dai condomini dissenzienti.


Francesco B. chiede
venerdì 08/12/2017 - Liguria
“Sono proprietario di un appartamento sito in un edificio che ha in comune con altri due edifici oltre alla centrale termica, la strada etc. la condotta di distribuzione dell'acqua. In particolare dal punto di allaccio della nostra linea alla rete del distributore parte una condotta che serve tutti e tre i fabbricati. Da questa condotta, in corrispondenza di ogni singolo fabbricato, partono gli stacchi che alimentano i singoli fabbricati. È stato necessario eseguire lavori straordinari sul tratto a valle dello stacco che alimenta il fabbricato dove è sito il mio appartamento. Il dubbio e se anche io e i condomini del mio fabbricato devono sostenere gli oneri dei lavori eseguiti o se devono sostenerli esclusivamente i condomini degli altri due fabbricati serviti dal tratto oggetto dei lavori. Ho trovato una sentenza della cassazione la n° 13883 del 2010 che pare affermare che si considera la comunione fino al punto della diramazione. Successivamente cessa la comunione e pertanto anche l'applicazione dell'art. 1117 cc per il nostro fabbricato.


Grazie.”
Consulenza legale i 15/12/2017
La manutenzione degli impianti e la ripartizione delle spese relative alle parti comuni del supercondominio tra edifici sono effettivamente regolate dalla disciplina da lei individuata.

E’ bene preliminarmente sottolineare che negli anni si era sviluppata un’attenzione crescente della giurisprudenza con riferimento al fenomeno del “supercondominio”, da intendersi come quel fenomeno “orizzontale”, caratterizzato dal fatto che più edifici separati fisicamente tra loro siano serviti da taluni beni strumentali comuni (ex pluribus Cass. n. 9096/2000, Cass. n. 19939/2012, Cass. n. 19799/2014).
Con l’avvento della riforma del condominio - la Legge 11 Dicembre 2012 n°220 - il legislatore nel prendere atto degli arrivi delle Corti di merito e di legittimità, ha cristallizzato la giurisprudenza sul punto nel nuovo art. 1117 bis c.c., il quale senza offrire una definizione precisa di supercondominio ha però previsto che le disposizioni in materia di condominio debbano applicarsi anche al caso “in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117.”
Pertanto anche il condomino dell’edificio ricompreso in un più ampio supercondominio, dovrà contribuire alle riparazioni ed alle manutenzioni delle parti comuni in proporzione al valore dell’unità immobiliare che possiede (art. 1118 c.c.).

E certamente costituiscono parti comuni gli impianti idrici che, ai sensi dell’art 1117, “devono presumersi di proprietà comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”.

Dunque per comprendere se alle spese per il ripristino della tubazione debbano contribuire tutti ovvero solo alcuni dei condomini deve verificarsi se il punto di rottura è locato in una parte di tubazione che venga fruita da tutti ovvero solo da alcuni edifici.
Se la rottura è avvenuta nel tratto di prosecuzione per raggiungere gli altri due edifici, e non interessa il terzo condomino - tanto che se quella parte di conduttura danneggiata non esistesse tale edificio avrebbe comunque integro l’impianto - allora questi non sarà tenuto al pagamento delle relative spese di riparazione che spetteranno solamente ai proprietari degli altri due edifici.
Se invece la rottura è intervenuta in una parte della conduttura necessaria ad approvvigionare tutti e tre gli edifici, allora la spesa dovrà essere ripartita proporzionalmente tra i proprietari di tutti e tre edifici.

Stefano M. chiede
martedì 21/11/2017 - Lombardia
“Spettabile Brocardi,
si chiede di conoscere il Vostro parere in relazione alla seguente fattispecie.
Descrizione del condominio e dell’impianto di distribuzione dell’acqua potabile
Una residenza abitativa, costruita negli anni 90, e composta da 12 villette (principalmente “bifamiliari” ed alcune “mono”) e da una costruzione a corpo unico suddivisa in più porzioni, tutte dotate di (piccolo) giardino privato, e disposte sostanzialmente a ferro di cavallo, ha un sistema di distribuzione dell’acqua potabile così strutturato:
- Un unico punto di innesto alla rete pubblica (A) in prossimità del cancello di entrata al condominio, in suolo condominiale, con contatore ufficiale del fornitore ...omissis... per il conteggio dell’acqua complessivamente consumata da tutti gli utenti condominiali. La lettura di tale contatore comporta l’addebito da parte dell’unico fornitore dell’acqua al condominio;
- Da tale punto parte poi la condotta generale (B), sempre in suolo condominiale, che correndo lungo la disposizione a ferro di cavallo della residenza abitativa, consente di servire ciascuna villetta bifamiliare;
- In particolare, dalla condotta generale partono tante diramazioni secondarie quanto sono le unità abitative di cui è composta la residenza;
- Ogni villetta “bifamiliare”, ad esempio, è servita da due diramazioni secondarie distinte (C) (una per ciascuna unità abitativa) ognuna delle quali parte dalla condotta generale (e quindi dal corsello condominiale), attraversa il giardino privato a servizio della singola unità abitativa per poi entrare nel box privato della stessa;
- Ogni famiglia, in sostanza, è servita dalla propria diramazione secondaria che corre nel suo giardino privato ed entra nel suo box privato;
- Al fine di addivenire ad una più precisa ripartizione tra i condomini dei consumi dell’acqua potabile (rispetto ad un metodo basato sui millesimi di proprietà o sul numero di persone dimoranti in ogni unità abitativa) l’impresa costruttrice della residenza ha anche predisposto in ciascun box (D) un contatore dell’acqua (privato) che ogni condomino legge ogni anno (solitamente nel mese di luglio) per comunicare il proprio consumo d’acqua privato all’amministratore.
Per completezza di informazioni si evidenzia che il condominio non può vantare alcun diritto di accesso alle proprietà private delle singole unità abitative ed è quindi impossibilitato a porre in essere opere di manutenzione preventiva delle citate diramazioni secondarie od opere di riparazione delle stesse tramite i propri fornitori di servizi.
Fatti
Tanto premesso, già in anni passati e a causa di ammaloramento si è verificata la rottura di una diramazione secondaria (nella parte a monte del contatore privato) che, correndo nel giardino privato di ciascun condomino, lo serve in modo esclusivo. I condomini via via interessati da tali rotture hanno provveduto, a proprie spese, alla riparazione della diramazione secondaria al proprio servizio. Ciò all luce del disposto dell’articolo 1117 del c.c. che, ante modifiche previste dall’art. 1, comma 1, L. 11 dicembre 2012, n. 220, così prevedeva: «Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo:
1) il suolo su cui sorge l'edificio, (…);
2) i locali per la portineria (…);
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini».
Il quesito in oggetto si pone stanti le modifiche apportate al citato articolo 1117 del c.c. che, nella versione oggi in vigore, così dispone:
“Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo:
1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo (…);
2) le aree destinate a parcheggio (…);
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche”.
Quesito
Tanto premesso, si chiede in particolare se, ai sensi dell’art. 1117 del c.c., la diramazione secondaria, per tutto il tratto antecedente al contatore privato, debba considerarsi oggetto di proprietà comune del condominio o se di proprietà privata.
Ove la si ritenesse di proprietà comune del condominio, si chiede quindi se la spesa relativa alla sua riparazione per rottura intervenuta nel tratto antecedente al contatore privato debba essere posta a carico della collettività (e quindi dell’intero condominio) o se invece a carico del singolo condomino che ne beneficia a titolo esclusivo.
Il quesito si pone stante quanto previsto al riguardo dall'art. 1123 Codice civile (Ripartizione delle Spese) che:
? al principio generale previsto dal primo comma e secondo il quale “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”,
? prevede poi al secondo e al terzo comma due deroghe espresse sancendo rispettivamente che “Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne” e che “Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
Cordiali saluti

P.s. Invio via e-mail al Vostro sito sotto indicato anche un documento in word che, oltre al testo qui inserito, contiene anche due foto aeree (oltre a quella dell'esterno della mia abitazione) che meglio chiariscono la dislocazione della condotta generale, delle diramazioni private etc.”
Consulenza legale i 27/11/2017
Prima di affrontare il problema della natura condominiale o esclusiva della parte di impianto idrico oggetto del quesito, va precisato che tutte le norme dettate in materia di condominio inteso in senso tradizionale, ossia c.d. verticale, si applicano anche alla più recente fattispecie di c.d. condominio orizzontale o supercondominio.

A disporlo è l’art. 1117 bis c.c. secondo cui le disposizioni dettate in materia di condominio valgono, nei limiti della compatibilità, per tutti quei casi in cui più unità immobiliari ovvero più edifici o, ancora, più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ex art. 1117 c.c. (è questo proprio il caso dei complessi immobiliari costituiti da gruppi di villette a schiera).
Precisato ciò, vediamo in che misura quanto prevede l’art. 1117 c.c. possa applicarsi nel caso che ci occupa.

Nell’ambito degli impianti idraulici (acqua e fogna), quel raccordo biforcato, c.d. a "T", che mette in connessione le tubazioni verticali con quelle orizzontali, consentendo, quindi, che dal tratto principale se ne diparta uno derivato, relativo alla singola unità immobiliare, viene tecnicamente definito “braga”.

Abbastanza discusso risulta il suo regime di titolarità, essendosi la giurisprudenza occupata più volte di tale raccordo, con pronunce che però non hanno condotto a soluzioni univoche, adottando sentenze di volta in volta adattate al caso concreto.
In termini generali, come evidenziato nello stesso quesito, l’art. 1117 n. 3 c.c. dispone che gli impianti debbono considerarsi (e non presumersi) di proprietà comune fino al punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Ora, secondo un primo orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, la braga, in ragione della sua ubicazione materiale (dopo la diramazione) e della sua funzione (raccordo tra parte comune ed esclusiva dell’impianto), non poteva farsi rientrare nella proprietà comune condominiale, tale considerata perché serve all’uso ed al godimento di tutti i condomini; essa, infatti, qualunque sia il punto di rottura, serve soltanto a convogliare gli scarichi o l’afflusso di acqua da e verso il singolo appartamento, a differenza della colonna verticale, che serve all’uso di tutti i condomini (così Cass. 3 settembre 2010 n. 19045).

Successivamente, però, la stessa Suprema Corte si è espressa in termini opposti (Cass. 18 gennaio 2012 n. 778), concludendo per la natura condominiale della braga in ragione della prevalente funzione di raccordo e quindi di assorbimento di questo elemento nell’ambito della parte comune, precisandosi che senza la sua presenza il funzionamento della colonna verticale sarebbe venuto meno.

Questo secondo orientamento giurisprudenziale sembra ad una prima lettura in netto contrasto con le pronunce antecedenti (ma anche successive, cfr. Corte d'Appello di Milano n.2173/2014); in realtà, però, non si tratta di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale tra precedenti, in quanto il principio adottato per la risoluzione del caso è sempre la stesso, e consiste nell’affermazione secondo cui dalla funzione della parte (spesso accertata a mezzo di perizia tecnica) discende automaticamente l’attribuzione della titolarità a tutti o ad alcuni condòmini.

Quindi, si deve ritenere che la proprietà della c.d. braga dipende dalla sua funzione concreta, e gli stessi giudici nel loro iter logico non si discostano mai dal prendere in considerazione tale funzione.

Nella citata sentenza n.778/2012 la Suprema Corte, infatti, ha ritenuto di considerare condominiale la braga in questione in relazione alla sua prevalente funzione di "raccordo tra la colonna verticale di scarico e gli scarichi individuali dei singoli appartamenti"; in definitiva, quindi, la Corte ha fondato la sua decisione su un’argomentazione con la quale ha dato prevalenza alla specifica conformazione della colonna verticale di scarico, della quale fa parte proprio la braga di collegamento.

Applicando i suddetti principi al caso di specie, possiamo dunque dire che le diramazioni secondarie (denominate “C”), tecnicamente definite “braghe”, che collegano gli impianti idrici delle singole villette alla conduttura generale (denominata “B”), sono da considerare di proprietà privata e non condominiale per le seguenti ragioni:

a) l’art. 1117 n. 3 c.c. considera di proprietà comune gli impianti idrici e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini.
Assimilando le diramazioni secondarie “C” alle braghe orizzontali dei condomini tradizionali, non potrà farsi a meno di considerare le stesse oggetto di proprietà individuale dei proprietari delle villette a cui servizio sono poste, in quanto ricadenti come le colonne orizzontali in una parte di proprietà esclusiva, il giardino privato.

b) Anche a voler seguire l’orientamento espresso dalla sentenza n. 778/2012, che considera nel caso specifico sottoposto alla sua attenzione la braga oggetto di proprietà condominiale, deve nel nostro caso tenersi conto della funzione che le singole diramazioni o braghe svolgono, potendo la conduttura generale “B” funzionare anche senza il raccordo con le singole diramazioni (certo, un tecnico impiantista potrebbe meglio di chiunque altro accertare ciò);

c) In conseguenza di quanto detto al punto b) troverà applicazione l’art. 1123 comma 3 c.c., nella parte in cui dispone che qualora un edificio abbia più impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità (le colonne di diramazione servono soltanto alle singole villette.

d) Infine, non va dimenticato quanto detto in premessa, ossia che ex art. 1117 bis c.c. le norme sul condominio tradizionale sono applicabili alle nuove forme di condominio diffusesi nel corso del tempo, quali le c.d. villette a schiera, solo nei limiti della compatibilità; ciò comporta che anche nella individuazione di quelle che ex art. 1117 c.c. sono da considerare parti comuni, occorre tener conto del particolare stato dei luoghi e, senza dubbio, le singole colonne di diramazione, almeno per come vengono rappresentate e descritte e per il fatto di trovarsi all’interno della proprietà singola, non possono assumere natura condominiale.

Alla luce di tutto quanto sopra considerato può dunque concludersi ritenendo corretto l’operato finora posto in essere, ossia il provvedere singolarmente a sostenere le spese necessarie per le riparazioni delle singole diramazioni.

Nulla esclude, comunque, che possa, in sede di delibera assembleare, convenirsi che tutte le spese che si renderanno necessarie per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle suddette diramazioni vadano divise per millesimi di proprietà, ed in particolare secondo la tabella relativa alle proprietà generali.

Onofrio C. chiede
mercoledì 27/09/2017 - Puglia
“Amministro un condominio orizzontale composto da 15 villette a schiera, di cui 14 bifamiliari, per complessive 29 unità immobiliari. Fino a 20 anni fa circa il condominio era servito da 2 pozzi neri per la raccolta della fogna. Ogni anno i pozzi venivano ripuliti e le relative spese ripartite in ragione dei millesimi di proprietà generale fra tutti i condòmini. Con l'avvento della fogna nera comunale sono stati eseguiti dei lavori per allacciare i pozzi alla rete comunale. Uno dei due pozzi (che chiameremo "POZZO A") è stato bypassato. Pertanto i reflui che scaricavano nel POZZO A vengono convogliati in una tubazione che scarica direttamente nella fogna comunale per effetto della pendenza. Mentre l'altro pozzo (che chiameremo "POZZO B") era posizionato ad un livello più basso della fogna comunale. Pertanto i reflui che scaricavano nel POZZO B vengono ora convogliati in un nuovo pozzetto in cui sono state installate delle pompe sommerse che raccolgono i reflui e li "spingono" nella fogna comunale attraverso una nuova tubazione. Nel corso degli stessi lavori di ammodernamento si è "scoperto" che 10 unità scaricavano nel POZZO A e 19 unità scaricavano nel POZZO B. Questa scoperta ha indotto alcuni condòmini a ritenere che si trattasse di un condominio parziale e che pertanto i due gruppi di condòmini, serviti dalle due porzioni di impianto, dovessero farsi separatamente carico dei lavori di ammodernamento e successiva manutenzione di questi due tronchi (applicazione art. 1123 CC 2°-3° comma). Altri condòmini ritenevano invece che l'impianto di raccolta fogna e relativa immissione in fogna comunale, seppur separato in due tronchi, fosse comunque parte comune condominiale e le relative spese, sia di ammodernamento che di successiva manutenzione, dovessero essere ripartite in ragione dei millesimi di proprietà generale (applicazione art. 1117 CC). Si precisa che gli atti di acquisto nulla dicono in merito: non viene in essi esclusa la proprietà di un tronco ad alcune unità. Infatti prima della "scoperta" dei separati allacci tutte le spese erano suddivise fra tutte le unità. Stesso dicasi per il regolamento condominiale, di natura assembleare e non contrattuale. Recentemente, nel corso di altri lavori si è altresì "scoperto" che almeno una grondaia per la raccolta dell'acqua piovana scarica nel tronco A. Tralasciando le decisioni assunte in passato, la domanda è questa: alla luce della sentenza della corte di cassazione 13415/2015 è corretto ritenere che tutte le spese di entrambi i tronchi debbano essere ripartite tra tutti i condòmini in ragione dei millesimi di proprietà? Oppure bisogna considerare questa fattispecie come un condominio parziale, separando i capitoli di spesa e la loro relativa ripartizione? Grazie.”
Consulenza legale i 07/10/2017
Un corretto esame interpretativo della sentenza della Corte di Cassazione n. 13415/2015, citata nel testo del quesito, rende preliminarmente necessario soffermarsi sui concetti di condominio orizzontale e di condominio parziale.

Prima dell’entrata in vigore della riforma del condominio, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 8066 del 18 aprile 2005, aveva chiarito che la varietà delle tipologie costruttive diffusesi nel tempo era tale da non consentire di configurare aprioristicamente come condominio in senso proprio soltanto gli edifici che si estendono in verticale, e ciò sul rilievo che anche corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente (è il caso proprio delle c.d. villette a schiera) possono essere dotati di strutture portanti e di impianti essenziali comuni come quelli elencati nell’art. 1117 c.c.

L’introduzione nel codice civile dell’art. 1117 bis, a seguito della Legge n. 220/2012, ha chiarito definitivamente tale situazione, rendendosi così applicabili le disposizioni dettate in materia di condominio a tutti quegli altri casi in cui sussiste una comunione di beni, servizi ed impianti tra unità immobiliari che non si sviluppano in senso verticale, ma che sono tra di esse affiancate e non per forza materialmente aderenti, e che abbiano dunque parti comuni ai sensi dell’articolo 1117 c.c.

Da una attenta lettura dello stesso art. 1117 bis c.c., tuttavia, non si può fare a meno di rilevare che l’applicazione della normativa condominiale può intendersi estesa soltanto in via estensiva ed analogica ad ipotesi di edifici non sviluppantesi in senso verticale, il che si desume chiaramente dalla espressione “in quanto compatibili” in essa contenuta, ad evidenziare quasi che si tratta di una forzatura del sistema per consentirne l’applicabilità a soluzioni costruttive diverse diffusesi nel corso del tempo.

Accanto al concetto di condominio orizzontale, poi, è stato introdotto anche quello di condominio parziale, per tale intendendo quella particolare forma di comunione nella quale i beni, servizi e/o impianti elencati nell’art. 1117 c.c., o quelli comunque utili al godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, non sono in condominio tra tutti i condòmini, ma solamente ad un gruppo ristretto di essi.

Come per altre forme di condominio, per lungo tempo è stato dibattuto in dottrina e giurisprudenza se fosse configurabile l’esistenza del così detto condominio parziale, e la Corte di Cassazione ha risposto positivamente, affermando che l’esistenza del condominio parziale è ritenuta possibile sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza (cfr. ex plurimis: Cass. 27.2.1995 n. 7885; 2.2.1995 n. 1255; 29.10.1992 n. 11775; Sez. Un. 7.7.1993 n. 7449) allorché all’interno del cd. condominio allargato, quale può definirsi il condominio orizzontale, talune cose, qualificate come comuni ex art. 1117 c.c., siano, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, necessarie per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinate all’uso o al servizio, non di tutto l’edificio, ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso” (così Cass. 12 febbraio 2001 n. 1959 e in senso conf. Cass. 18 aprile 2005 n. 8066).

Privo di rilievo, poi, deve anche ritenersi la circostanza che il titolo costitutivo del condominio nulla dica sulla esclusione dalla comunione di determinati beni o impianti destinati a servire una sola parte del fabbricato condominiale (quale nel nostro caso l’impianto fognario), in quanto la stessa Corte di Cassazione, in diverse occasioni, ha tenuto a precisare che la norma dell’art. 1117 c.c., stabilendo quali beni, impianti o servizi siano oggetto di proprietà comune, non ha sancito una vera e propria presunzione legale di comunione degli stessi, poiché altrimenti si sarebbe ammessa la possibilità di provarne la proprietà esclusiva con l’uso di qualsiasi mezzo e non soltanto con il titolo.

In particolare, si è ritenuto in tali decisioni che “la destinazione particolare vince la presunzione legale di condominio alla stessa stregua di un titolo contrario”, e che, benché sia stato erroneamente richiamato il concetto di presunzione, del tutto estraneo alla norma dell’art. 1117 civ., è stato anche enunciato in relazione a tale norma il principio, indubbiamente corretto, secondo cui una cosa non può proprio rientrare nel novero di quelle comuni se serva per le sue caratteristiche strutturali soltanto all’uso e al godimento di una parte dell’immobile oggetto di un autonomo diritto di proprietà” (così Cass. SS.UU. 7 luglio 1993 n. 7449, in senso conf. Cass. 5 marzo 2015 n. 4501 e sulla richiesta d’intervento delle Sezioni Unite, ritenuta superflua, Cass. 16 gennaio 2014 n. 822).

Ora, dato per presupposto che sia la dottrina che la giurisprudenza hanno riconosciuto la giuridica possibilità della coesistenza di ipotesi di condominio parziale anche all’interno del condominio allargato, relativamente ad alcuni beni o servizi, nel caso in esame si ritiene più corretta la tesi secondo cui le spese di impianto fognario vadano divise tra i gruppi di condomini a servizio dei quali i diversi impianti sono destinati.
La presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c. sarebbe nella specie vinta dalle caratteristiche strutturali degli stessi impianti, ai quali risultano allacciati gruppi di condomini diversi, non essendo necessaria una loro espressa esclusione dalla comunione in forza del titolo di acquisto o di una eventuale delibera assembleare.

In considerazione di ciò ed in considerazione altresì del fatto che la sentenza citata nel testo del quesito (sentenza della Corte di Cassazione n. 13415/2015) fa chiaro riferimento ad una ipotesi tipica di condominio verticale, si ritiene che i principi in essa contenuti non possano trovare indiscriminata applicazione nel caso di condominio orizzontale, quale quello in esame, a cui la disciplina del condominio deve ritenersi applicabile in via estensiva e nei limiti della compatibilità (compatibilità che non sussiste se trattasi di impianti fognari separati per gruppi di villette, ciascuno posto a servizio di un determinato gruppo, anche sotto il profilo del soddisfacimento del diritto alla salubrità dell'intero condominio orizzontale).

Corretta, dunque, appare la suddivisione delle spese relative all’impianto fognario ex art. 1123 commi 3 e 4, norma su cui trova il proprio fondamento la fattispecie del c.d. condominio parziale, tenendosi pur sempre presente che la configurabilità del condominio parziale ha valore meramente interno ai rapporti tra condòmini (cfr. Cass. 17 giugno 2016 n. 12641).

Leonardo M. chiede
mercoledì 28/06/2017 - Lombardia
“Sigg. buon giorno volevo sottoporvi il seguente quesito:
Sono un condomino di un condominio costituito nel 2005 a seguito della vendita per cartolarizzazione di un Ente pubblico. Prima della vendita il proprietario ha stilato un regolamento di condominio che è stato allegato agli atti di vendita che assume valore contrattuale. Il condominio si compone di otto edifici (scale dalla A alla G). Le scale sono allineate e affacciano su di un cortile interno adibito a parcheggio (pertinenza dell’appartamento). Alle singole scale si accede da un portico o corridoio che affaccia sul cortile interno. In una delle scale centrali, al piano terra, ci sono dei locali occupati da Poste Italiane dove insiste un ufficio di tipo A (importante per i valori trattati). L’accesso al condominio ed alle abitazioni e locali avviene tramite una cancellata posta all’inizio del primo edificio. Il cortile interno è delimitato da due cancellate elettrocomandate e l’apertura a mezzo telecomando in uso ai condomini. L’art. 10 del regolamento condominiale così recita “le unità ad uso diverso dall’abitativo non possono essere destinate ad usi che possano risultare di pregiudizio alla tranquillità, alla sicurezza, al decoro, alla decenza ed alla moralità del condominio”. Lascio immaginare il via via di persone per accedere agli uffici postali, le persone che sostano e fumano, bevono e mangiano in attesa del proprio turno lungo il cortile e androne. Il cancello d’ingresso non può essere chiuso per rispettare l’orario delle poste (dalle 7.00 alle 19.00). L’accesso dei furgoni postali, delle guardie giurate, ed il continuo afflusso di persone incontrollabili. Il tutto a scapito della sicurezza dei residenti, della tranquillità, dell’uso limitato dei posti macchina che spesso sono occupati da estranei. Vorrei capire se sono possibili azioni giudiziali per far spostare un ufficio pubblico insito su e dentro un contesto privato.”
Consulenza legale i 06/07/2017
Il caso che viene proposto riguarda senza dubbio un’ipotesi di c.d. supercondominio, intendendosi con questa definizione un insieme di più edifici, strutturalmente divisi ed autonomi, che fruiscono di opere e servizi comuni, per i quali sono soggetti ad una comune regolamentazione ed amministrazione.

Trattasi di una fattispecie che ha trovato riconoscimento prima da parte della giurisprudenza (cfr. tra le altre sentenza n. 14791 del 3.10.2003, n. 9096 del 7.7.200, n. 7946 del 29.9.1994 e n. 65 del 5.1.1980) e successivamente, sia pur non con questa dizione, da parte dello stesso Legislatore (cfr. art. 1117 bis c.c., ove non si parla espressamente di supercondominio, ma di più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici che abbiano parti comuni).

Al supercondominio, dunque, si applicano le norme dettate dal codice civile in materia di condominio e, tra queste, proprio quelle relative al regolamento di condominio, intendendosi come tale quella sorta di statuto della compagine, obbligatorio quando vi partecipino più di dieci condòmini, che contiene norme finalizzate alla gestione e conservazione delle cose comuni e, in particolari casi, anche regole limitative dei diritti dei singoli sulle parti di proprietà comune e/o esclusiva, nonché sulla disciplina della ripartizione delle spese.

E’ sicuramente corretta la qualificazione giuridica che del regolamento condominiale viene data nel caso di specie, trattandosi di un regolamento di natura contrattuale, in quanto scaturente da un accordo sottoscritto da tutti i condomini al momento dell’acquisto delle unità immobiliari, attraverso adesione al regolamento predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio.
In quanto negozio giuridico tra tutti i condomini, il regolamento contrattuale può contenere clausole ben più stringenti di quelle inseribili in un regolamento assembleare.

In tal senso è stato affermato che “l’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitano il diritto dominicale di tutti o alcuni dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, nell’interesse di tutto il condominio o di una sua parte, e che vietano, in particolare, a tutti o ad alcuni dei condomini di dare alle singole unità immobiliari una o più destinazioni possibili, ovvero li obbligano a preservarne le originarie destinazioni per l’utilità generale dell’intero edificio, o di una sua parte” (Cass. 19 ottobre 1998 n. 10335).

La revisione del regolamento contrattuale, in ragione della natura delle clausole ivi contenute, necessita di consensi differenti rispetto alla revisione del regolamento assembleare (la quale avviene sempre con una deliberazione che deve riportare come minimo il voto favorevole della maggioranza dei presenti all’assemblea che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio); così, le clausole aventi natura contrattuale possono essere modificate solamente con il consenso scritto di tutti i condòmini.

Ciò comporta che, fin quando non vi sarà stata una revisione del regolamento contrattuale, resteranno pienamente valide ed efficaci le limitazioni legali alla proprietà da esso risultanti e, di conseguenza, si potrà agire in giudizio per il rispetto delle clausole in esso contenute.
Si tenga presente che i primi obbligati al rispetto del regolamento sono i condomini.
Altro soggetto tenuto ad osservare le disposizioni statutarie, per quanto di sua competenza, è l'amministratore di condominio, a cui il codice civile impone l'obbligo di curarne l'osservanza; risulta alquanto chiaro in tal senso l'art. 1130, primo comma n.1, a norma del quale il mandatario dei condomini deve, per l'appunto, vigilare sulla corretta applicazione del regolamento medesimo.

Nel caso in cui uno o più condomini trasgrediscano i divieti imposti dal regolamento di condominio, il legale rappresentante del condominio potrà certamente agire in via stragiudiziale per dissuadere il comproprietario dalla prosecuzione della violazione regolamentare.
Qualora poi i tentativi bonari non raggiungessero il risultato sperato, l'amministratore potrà adire l'Autorità Giudiziaria per ottenere un provvedimento di condanna del condomino inosservante.

E' chiaro in tal senso il primo comma dell'art. 1131 c.c., il quale conferisce all’amministratore, oltre che la rappresentanza dei partecipanti, il potere di agire in giudizio sia contro i condomini che contro i terzi, senza che occorra una deliberazione adottata con le maggioranze prescritte dalla legge (così Corte di Cassazione sentenza n. 21841 del 5 ottobre 2010).

Deve tuttavia sottolinearsi che, qualora si decidesse di rimettere la questione innanzi all’autorità giudiziaria, citando in giudizio i condomini proprietari degli immobili ad uso diverso dall’abitazione adibiti a sede di ufficio postale, ci si dovrà necessariamente affidare ad una valutazione per certi versi discrezionale del Giudice, tenuto conto che in realtà la clausola del regolamento di condominio contenuta nell’art. 10 sembra essere molto generica, facendo riferimento a criteri quali la tranquillità, la sicurezza, il decoro, la decenza e la moralità del condominio che il Giudice, investito della questione, potrebbe non ritenere violati nel caso di specie (un’ipotesi di sicura violazione della clausola potrebbe aversi, a titolo meramente esemplificativo, nel caso in cui detti locali siano destinati a discoteca, pub o altra attività similare).

Un ulteriore rischio di vedersi respingere la propria domanda potrebbe nascere anche dal fatto che, in materia di limitazioni legali alla proprietà (quale è quella in esame), pur contenute in un regolamento contrattuale, in giurisprudenza si rinviene attualmente un orientamento incerto, essendosi nel corso del tempo succedute diverse interpretazioni, e precisamente:
  • secondo alcune sentenze della Cassazione, le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, qualora impongano limitazioni alla proprietà privata, per essere opponibili ai terzi acquirenti, devono essere enunciate in modo chiaro ed esplicito, anche indipendentemente dalla trascrizione, atteso che le stesse devono ritenersi conosciute o accettate solo in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. n. 17886/09; Cass. 10523/03);
  • secondo altra tesi giurisprudenziale, invece, la clausola che impone il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva a determinate attività, deve essere approvata all'unanimità e per avere efficacia deve essere trascritta nei registri immobiliari oppure essere menzionata ed accettata espressamente nei singoli atti d'acquisto, non essendo sufficiente un generico richiamo al regolamento contrattuale nel suo insieme (Cass. 6100/93).

Da ultimo la Corte di Cassazione, con la sentenza del 18.10.2016, n. 20124, ha ritenuto di aderire a quella impostazione secondo cui, rappresentando le clausole limitative della proprietà privata una costituzione di servitù, per la loro opponibilità ai terzi acquirenti vigono le regole proprie di siffatto istituto e, pertanto, risulta necessaria per la loro opponibilità la trascrizione del relativo peso.
Tanto è vero che, a dire della medesima Corte, non è sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi degli arti. 2659, primo comma, n. 2, e 2665 c. e., occorre indicarne le specifiche clausole limitative (Cass. nn. 17493/14).

Quindi, volendo pervenire ad una conclusione sintetica delle considerazioni sopra svolte, va detto che dovrà innanzitutto invitarsi l’amministratore del condominio a far rispettare la clausola del regolamento contrattuale nell’esercizio del suo potere ex art. 1130 n. 1 c.c.
Quest’ultimo potrà certamente agire in via stragiudiziale per dissuadere il comproprietario dalla prosecuzione della violazione regolamentare.
Qualora poi i tentativi bonari non fossero sufficienti, lo stesso amministratore, sempre nell’esercizio dei suoi poteri e questa volta ex art. 1131 c.c., potrebbe adire l'Autorità Giudiziaria per ottenere un provvedimento di condanna del condomino inosservante, con tutti i rischi di giungere in tale ipotesi ad una pronuncia sfavorevole a causa della estrema genericità della clausola del regolamento contrattuale di cui si invoca il rispetto (si ricorda, comunque, che ex art. 71 quater disp. att. c.c. trattasi di controversia per la quale è previsto l’obbligo della mediazione).

Si ritiene anche utile sottolineare che il legislatore della riforma ha comunque messo a disposizione dell’amministratore un utile strumento coercitivo al fine di ottenere dai condomini il rispetto delle norme del regolamento condominiale, ed a cui si potrebbe pure pensare di fare ricorso.
L’art. 70 disp. att. c.c. prevede infatti la possibilità per l’assemblea di “stabilire a titolo di sanzione il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800”, nei confronti di coloro che violino i precetti del regolamento.

Mauro L. chiede
martedì 29/03/2016 - Umbria
“Abito in un edificio di cui siamo comproprietari la mia famiglia ed un'altra famiglia. Abbiamo ciascuna un appartamento: il mio sito al primo piano rialzato, l'altra famiglia abita al piano superiore. Non vi è alcun regolamento condominiale né ripartizione di proprietà millesimale. Il mio appartamento ha una superficie di metri quadri circa doppia rispetto all'appartamento dell'altra famiglia. Le superfici dei rispettivi: garage e cantine invece hanno rapporti di grandezza diversi, vi è in fine un giardino di circa 200 metri quadri.
Abbiamo nella mia famiglia la necessità di installare un montacarichi/ascensore esterno per una persona con invalidità civile del 100%, nell'ambito del superamento delle barriere architettoniche per disabili. Come vanno ripartite le spese in assenza di condominio fra i 2 comproprietari? In assenza di accordo possiamo installare l'ascensore per il nostro piano, autonomamente, in presenza di opposizione dell'altro proprietario, sostenendo da soli la spesa ed occupando un'area del giardino dedicata a prato?”
Consulenza legale i 04/04/2016
In via generale occorre osservare che, ai sensi dell'articolo 1117 n. 3 c.c. l'ascensore viene ricompreso tra le parti comuni dell’edificio ("Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell'edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo [...]: 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche").

Inoltre l'art 1120 c.c., in tema di innovazioni, stabilisce che "i condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’art. 1136 (maggioranza dei partecipanti al condominio e i 2/3 del valore dell’edificio), possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino".

Pertanto, l'installazione di un nuovo ascensore in un condominio che ne era sprovvisto costituisce, ai sensi della citata norma, una innovazione e quindi è soggetta alle maggioranze previste dallo stesso articolo.

Sul tema anche la giurisprudenza ha evidenziato che “la installazione in un edificio in condominio (o in una parte di esso) di un ascensore di cui prima esso era sprovvisto costituisce, ai sensi dell'art. 1120, primo comma, c.c., una innovazione, con la conseguenza che la relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c., secondo cui l'approvazione deve avvenire "con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio" (Cass. 9 luglio 1975, n. 2696).

Sebbene in linea generale sia necessaria una determinata maggioranza per approvare, in sede assembleare, l’installazione di un nuovo ascensore, la legge prevede però anche la possibilità che il singolo, di propria iniziativa, possa dare avvio all’installazione a sue spese.

Infatti “l'installazione di un ascensore in un edificio in condominio (o parte autonoma di esso) che ne sia sprovvisto, può essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera” (Cass. 9 luglio 1975, n. 2696).

Ciò ovviamente purché “l’uso della cosa comune, pur comportando innovazione, venga effettuato dal singolo condomino a sue spese e non risulti alterata la destinazione della cosa né ne sia impedito l'uso agli altri condomini, non è necessaria una preventiva delibera assembleare di approvazione” (Trib. Milano, sent. 325/1990).

Sussiste infatti, alla stregua dell'art. 1102 c.c., il diritto del condomino di installare, a proprie cure e spese, un impianto di ascensore nel vano delle scale in cui è ubicata la propria unità immobiliare, salva la facoltà di ogni altro condomino interessato di richiedere la partecipazione all'utilizzo dell'opera, previa corresponsione delle quote di spesa dovute secondo legge.

Tale spesa andrà ripartita fra tutti i condomini in base ai millesimi, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di spesa per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale di cui all'art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, e può apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa medesima (Cass. 12 febbraio 1993, n. 1781).

Quanto ad una eventuale contestazione da parte degli altri condomini, occorre evidenziare che essi non potranno opporsi né fare alcunché qualora l’iniziativa del singolo non leda i principi sanciti dall’art. 1102, e cioè non alteri la destinazione d’uso della cosa comune, non impedisca ad altri l’uso delle cose comuni oppure non vi sia espresso divieto nel regolamento di condominio. In altre parole, al di fuori dei divieti citati, l’installazione dell'ascensore sarà a tutti gli effetti lecita. Di conseguenza, gli altri condomini non saranno tenuti alla partecipazione della spesa di installazione, con conseguente impossibilità però di usare o trarre beneficio dall’uso della cosa (sembra ragionevole).

Gli altri condomini non potrebbero opporsi nemmeno contestando la perdita di un bene comune (ad esempio di parte delle scale - del vuoto d'aria delle scale - o del pianerottolo), in considerazione non solo del vantaggio che potrebbero ricavare utilizzando l’ascensore, ma anche poiché l’intero condominio con tale installazione vedrebbe accresciuto il proprio valore.

Anche la giurisprudenza aderisce aderisce a tale impostazione, affermando che “il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilità di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilità dell'originario godimento della cosa comune è offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto” (Cass. 29 aprile 1994, n. 4152).

Va ribadito che se i condomini in futuro vorranno utilizzare l'ascensore, dovranno contribuire non solo alle spese di manutenzione ma anche a quelle di installazione opportunamente rivalutate in base all’indice dei prezzi ISTAT.

Occorre altresì sottolineare che, ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c., "l'installazione di un impianto di ascensore rappresenta una innovazione vietata (e quindi deve essere approvata dalla unanimità dei condomini) solamente nel caso in cui, pur essendo voluta dalla maggioranza nell'interesse del condominio, compromette la facoltà di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto degli altri, mentre non lo è quella che compromette qualche facoltà di godimento per tutti i condomini. A meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, al posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente a pianterreno, si immette un impianto di ascensore, a cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nell'identico modo originario non contrasta con la norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c. perché, se pur resta eliminata la possibilità di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto migliore, onde la posizione dei dissenzienti è salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto. Tuttavia anche le innovazioni vietate possono ugualmente essere apportate alla cosa comune, a condizione che siano approvate all'unanimità da tutti i condomini” (Cass. 9 luglio 1975 n. 2696; Cass. 14 dicembre 1988 n. 6814).

Tutto ciò accade nell'ambito del normale condominio.
Il caso concreto sottoposto alla nostra redazione giuridica è peraltro relativo a una comunione di due sole unità immobiliari. Ci si trova pertanto in costanza del cosiddetto "condominio minimo". Subentra la nozione di c.d. “condominio minimo” nel caso in cui, così come coniato dalla giurisprudenza, il numero dei partecipanti all’edificio corrisponda a due. Inizialmente la tesi maggioritaria si era limitata a qualificare la fattispecie come una comunione ordinaria, in seguito però è stata riconosciuta la disciplina condominiale anche in riferimento alle ipotesi di due soli condomini, non ritenendo più un ostacolo l’impossibilità di applicare all’assemblea il principio maggioritario e bensì reggendo in queste circostanze la dissimile applicazione della regola dell’unanimità. Nel caso in cui poi i condomini non riescano a trovare un accordo si dovrà ricorrere all’autorità giudiziaria con la possibilità di nominare un amministratore “ad acta” dotato di potere autonomo.
Ora l'art. 1117 bis c.c., introdotto con la legge di riforma del condominio del 2012, ha sostanzialmente voluto spazzare via ogni dubbio circa l'applicabilità delle norme condominiali a tutti quei casi in cui più unità immobiliari (quindi anche solamente due) condividano le cose indicate dall'art. 1117 c.c.

Nel caso concreto quel che si vorrebbe fare è impegnare una parte dello scoperto comune per installare il montacarichi, il quale, presumibilmente, si adagerebbe poi su un prospetto dell'edificio ed entrerebbe nell'unità immobiliare per mezzo di una finestra opportunamente modificata o di una porta già esistente in qualche terrazza. Qui si possono prendere a prestito molte delle considerazioni svolte più sopra per il condominio, anche se è doveroso precisare però che l'opera non verrebbe realizzata internamente a una vano scale esistente, ma esternamente, andando in questo modo a modificare, almeno in parte, l'estetica dell'edificio. Si suppone che sia questo - oltre alla occupazione del suolo - l'aspetto che turba il proprietario dell'altra unità immobiliare.

Dando per scontato che l'opera riceverebbe tutte le autorizzazioni necessaria da parte del Comune la questione andrebbe risolta innanzitutto sulla scorta dell'art. 1102 c.c. che disciplina l'uso delle cose comuni. In questo caso la cosa comune è il giardino. Valgono tranquillamente le considerazioni già svolte più sopra, a cui si rimanda.

Riguardo il possibile nocumento per l'estetica complessiva dell'edificio andrebbe valutato in concreto se l'opera progettata rischia davvero di comprometterlo.
Può venirci qui in aiuto un'altra norma in materia di condominio, l'art. 1120 c.c., il quale all'ultimo comma vieta le innovazioni che, per quanto migliorative e accrescitive del valore del fabbricato, possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza dello stesso, alterarne il decoro architettonico o rendere talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.

Va infine precisato che l'invalidità civile al 100% e l'intento di abbattere le barriere architettoniche non è motivo sufficiente per imporre ad altro proprietario una limitazione al suo diritto dominicale.

Occorrerebbe valutare in concreto la tipologia di impianto che si intende realizzare e la tipologia di edificio sul quale verrebbe installato.

Dora chiede
lunedì 03/03/2014 - Lazio
“Buongiorno, abito in un condominio di 35 unità immobiliari, al 3 piano con affaccio fronte strada. Il quesito: Abbiamo i balconi anni 50, non murati, ma a ringhiere, i panni abitualmente vengono stesi allo stendino, che comunque dalla strada è visibile.Ho sempre saputo che la facciata all'interno dei balconi, ovvero il muro che circonda gli infissi e i motori dei climatizzatori sono di proprietà individuale, e senza abusarne se ne può fare uso volontario. Nel mio caso per poter asciugare meglio e prima le lenzuola mi è comodo stenderli tirati su una corda legata all'interno del balcone x un massimo di 3 ore pur consapevole che ne soffre l'estetica della facciata per qualche ora
2 volte a settimana. Sussiste anche il problema della battitura dei tappeti, 1 volta a settimana dalle ore 7 alle ore 9 del mattino, o qualche volta alle ore 23 di sera batto i tappeti. Premetto che abbiamo il terrazzo stenditoio, che non ne faccio uso, perché mi dà fastidio appoggiare la biancheria su fili usati da altri. Vorrei sapere quali sono le normative in merito con la revisione del regolamento condominiale 2012.”
Consulenza legale i 11/03/2014
Il quesito affronta due problematiche:
- lo stendere i panni su balcone che affaccia sulla pubblica via;
- lo sbattere i tappeti dal balcone, sempre affacciante sulla pubblica via.

Solo il primo problema riguarda il decoro del condominio; mentre entrambi attengono a comportamenti del condomino che ben possono essere vietati dal regolamento condominiale (cioè dall'insieme di regole che disciplina quello specifico condominio e che l'amministratore di condominio dovrebbe consegnare a tutti i condomini).

Quanto allo sciorinamento della biancheria (esposizione all'aria per farla asciugare), si tratta di attività consentita, a meno che non alteri il decoro architettonico dell'edificio e non sia vietato dal regolamento condominiale.

Il decoro dell'edificio è disciplinato dal codice civile.
La riforma del condominio ha modificato l'art. 1122 del c.c. che disciplina le opere su parti di proprietà o uso individuale, stabilendo che: "Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea
".

Nel caso in esame, la corda per il bucato potrebbe astrattamente considerarsi lesiva del decoro architettonico dell'edificio. La Cassazione, però, ha dichiarato che l’alterazione del decoro, per essere tale, deve tradursi in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese (così Cass. civ., 25 gennaio 2010, n. 1286). In altre parole, non può dirsi leso il decoro se ciò non comporta una danno economico di una certa entità.

Prima dell'entrata in vigore della riforma, qualche giudice si era pronunciato sui panni stesi in condominio, stabilendo ad esempio che un condizionatore posto all'esterno della facciata non crea un danno al decoro dell'immobile condominiale, "non più di quanto possa arrecare fastidio la vista di panni tesi alle finestre delle singole abitazioni o ai muri condominiali" (Giudice di Pace di Grosseto 19 agosto 2011 n. 1038). Si reputava quindi che lo sciorinamento dei panni non fosse tale da ledere il decoro condominiale.

Anche in epoca precedente, la giurisprudenza (Cassazione) si è pronunciata sul tema e ha stabilito che in riferimento alle parole "danno" e "opera", di cui all'art. 1122 c.c., siano tali solo le opere che comportino un deprezzamento del fabbricato e che arrechino un pregiudizio economicamente valutabile, e "non le opere di non grave ed apprezzabile entità. Ne consegue che nelle opere vietate non si possono di certo far rientrare gli stenditoi che i condomini usano per sciorinare i panni e che non sono in grado di turbare in maniera apprezzabile la facciata dello stabile. D'altra parte lo stendimento del bucato sui balconi non concreta un'opera condominiale, configurando un'attività comportamentale di carattere necessariamente saltuario che non può costituire un elemento di deturpamento dei decoro architettonico" (Corte di Cassazione, Sezione Civile II, Sentenza del 16 ottobre 1999 n. 11692).

Sul punto, la riforma del 2012 non intacca i principi già validi prima della sua entrata in vigore e quindi vale quanto sopra detto.

Se possiamo escludere che lo stendere il bucato leda il decoro architettonico, è possibile, però ,che nel regolamento dello specifico condominio sia previsto il divieto di sciorinare i panni su finestre e balconi: in tal caso il singolo condomino non potrebbe stendere la biancheria dove desidera, ma solo nelle aree opportunamente attrezzate.
Oppure è possibile che esista un regolamento di Polizia Municipale che vieti di sciorinare, appendere e distendere biancheria o panni fuori dalle finestre, sui terrazzi o sui poggioli prospicienti vie pubbliche e luoghi aperti al pubblico o qualora gli oggetti sciorinati, distesi o appesi siano visibili dal suolo pubblico (su questo punto ci si dovrà informare presso il comune di competenza).

Quanto ai tappeti, si dovrà innanzitutto vedere cosa stabilisce il regolamento del condominio: di solito, l'attività viene consentita in certi orari, ma si dovrà consultare lo specifico regolamento.
Se il regolamento tace, l'attività è consentita, in quanto, ai sensi dell'art. 1102 del c.c., i condomini possono servirsi della cosa comune a condizione che non ne alterino la destinazione.
Se, però, la battitura dei tappeti provoca la caduta di polvere o altro materiale, ad esempio, all'interno di finestre di altre abitazioni, è possibile sostenere che si tratti di una attività vietata se supera la normale tollerabilità (sarebbe, cioè, una "immissione" ai sensi dell'art. 844 del c.c.): se ne potrebbe quindi ordinare, tramite giudice, la cessazione o la limitazione.

Si consiglia, qualora il regolamento non preveda nulla, di far disciplinare all'assemblea condominiale le modalità di battitura dei tappeti, in modo che non possano sorgere controversie sul punto.

M. P. chiede
lunedì 05/02/2024
“Buongiorno,

fino all’aprile del 2023 sono stato proprietario di un appartamento afferente ad un condominio costituito da un corpo anteriore (rispetto alla pubblica strada) di sei unità abitative e da un corpo posteriore di due appartamenti (piano terra e primo piano), unito al precedente dall’utilizzo della stessa tromba di scale.
L’assemblea dei condomini aveva deliberato, nel novembre 2022, la manutenzione straordinaria della facciata del solo corpo anteriore in detrazione al 50 %, approvando la ripartizione delle spese secondo la tabella delle quote millesimali.
A tale data il mio appartamento, sito al primo piano del corpo posteriore, era già posto in vendita, tramite agenzia; presentatosi un compratore, al fine di predisporre il contratto di compravendita, ho provveduto a saldare le spese condominiali ancora in sospeso, come indicatomi dall’amministratore, inclusa l’importo relativo alla manutenzione straordinaria, calcolato dall’amministratore sulla base della semplice quota millesimale (nel mio caso 87/1000), pari ad euro 4442,60. Nell’atto notarile di vendita (avvenuta nell’aprile del 2023) è stata inserita la titolarità ad ottenere il rimborso in dieci anni del 50 per cento delle spese anticipate dal sottoscritto, prima dell’avvio dei lavori, effettuati nel corso dell’estate susseguente.
Tenendo conto che il corpo posteriore, dove è ubicato l’appartamento, non ha beneficiato del rifacimento della facciata, a differenza del corpo anteriore, a mio avviso ritengo ingiusta la ripartizione delle spese basata esclusivamente sulla tabella millesimale, mentre il mero utilizzo delle scale avrebbe dovuto comportare un calcolo proporzionalmente inferiore rispetto a quanto da me effettivamente versato. Tanto più che i garages, anch’essi collocati nella palazzina posteriore, non sono stati considerati nel computo millesimale (vedasi prospetto di ripartizione delle spese) in quanto non oggetto di intervento manutentivo.
L’urgenza correlata alla vendita dell’immobile non mi ha consentito di sollevare i miei dubbi nel corso dell’assemblea condominiale: nondimeno, nel caso questa mia opinione sia fondata, chiedo a codesto Studio di indicarmi le pezze d’appoggio giuridiche sulla cui base poter richiedere la rimodulazione delle spese già pagate, determinate sulla base di quello che reputo essere un errore a priori, ossia sproporzionato all’uso, come sembrerebbe lasciare intendere il II comma dell’art. 1123 CC.
Sarò grato di un vs. riscontro e porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 10/02/2024
Per poter dare una risposta precisa al quesito sarebbe necessario capire se le facciate dei due corpi di fabbrica possano considerarsi un bene comune ex art. 1117 del c.c. all’intero complesso edile descritto, e quindi alla totalità dei condomini che lo compongono; oppure, se la singola facciata deve considerarsi come un bene comune a solo quei condomini che abitano nel corpo di fabbrica a cui la facciata si riferisce.
La risposta a tale domanda dipende dalle caratteristiche costruttive del complesso edile e può essere data solo da un geometra o un architetto: se fossimo in presenza del primo caso descritto i due corpi di fabbrica dovrebbero considerarsi come un unico condominio al cui interno vi sono però ai sensi dell’ultimo comma dell’art 1123 del c.c. più cortili, scale o comunque impianti destinati a servire una sola parte dell'intero fabbricato; se fossimo invece in presenza del secondo caso descritto, saremmo davanti ad un super condominio previsto dall’ art. 1117 bis del c.c., e i due corpi di fabbrica potrebbero considerarsi due condomini di per sé autonomi, i quali hanno però in comune alcuni beni e servizi (per esempio la tromba delle scale).

Da come sono state suddivise le spese di rifacimento della facciata relativa al corpo di fabbrica anteriore è molto probabile che l’amministratore consideri il complesso edile come un unico edificio e quindi come un unico condominio. Se così fosse, la ripartizione effettuata apparirebbe corretta: l’unico criterio giuridicamente legittimo per poter ripartire le spese condominiali è la suddivisione per mezzo delle tabelle millesimali e, nel caso specifico, la tabella da utilizzare per ripartire i lavori di rifacimento della facciata è quella dei millesimi generali di cui all’ art. 1123 del c.c. e non certamente la tabella scale prevista dal successivo art. 1124 del c.c..

Per la verità leggendo il quesito si ha la sensazione che l’amministratore sia nel giusto, ma non sarebbe la prima volta che un tecnico competente vada a sconfessare l’operato di un amministratore di condominio. Se il tecnico confermasse che i due corpi di fabbrica anteriore e posteriore sono in realtà due condomini autonomi le conclusioni a cui si è giunti prima muterebbero radicalmente. Come già si è detto, in questo secondo caso la facciata dovrebbe considerarsi un bene comune solo a quei condomini che abitano il corpo di fabbrica anteriore: gli altri proprietari, ricompresi nel corpo di fabbrica posteriore, non dovrebbero in alcun modo partecipare alle sue spese di ristrutturazione e manutenzione. Questo per il semplice motivo che questo secondo gruppo di condomini non sono in alcun modo comproprietari della facciata del condominio anteriore e quindi non possono deliberare sui suoi lavori di ristrutturazione e manutenzione, e non devono quindi sobbarcarsi i relativi costi.
Se così fosse, la delibera che ha approvato a suo tempo il riparto di spesa dei lavori di manutenzione della facciata sarebbe gravemente nulla ed impugnabile in ogni tempo anche eventualmente da un ex condomino. La conferma di queste argomentazioni può essere però data solo da un tecnico.

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