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Articolo 1114 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Divisione in natura

Dispositivo dell'art. 1114 Codice Civile

La divisione ha luogo in natura, se la cosa può essere comodamente divisa(1) in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti [718 ss.].

Note

(1) L'espressione "comodamente divisa" non può riferirsi solo all'agilità con cui la cosa comune può essere divisa in più parti da attribuire ai singoli comunisti.
Il concetto di comoda divisibilità della cosa comune va rapportata al pregiudizio patrimoniale conseguente alla divisione di essa in diverse porzioni. È possibile, quindi, sostenere che la comoda divisibilità della cosa comune non abbia ragion d'essere, qualora essa implichi una rilevante diminuzione di valore delle singole cose divise rispetto alla cosa comune, oppure se i costi necessari all'adattamento all'uso delle singole porzioni siano esagerati.
In relazione ai beni immobili, che presentano le maggiori difficoltà di frazionamento, la comoda divisibilità si ha quando le quote che possono essere formate siano suscettibili di autonomo e libero godimento (non devono cioè essere gravate da pesi, servitù e limitazioni eccessivi).

Ratio Legis

La regola generale, per qualsiasi tipo di comunione, è la divisione in natura. Altrimenti, trova applicazione l'art. 720 del c.c..

Brocardi

Res quae sine interitu vel sine damno dividi possunt

Spiegazione dell'art. 1114 Codice Civile

Divisione in natura

Contemperando il diritto del singolo a diventare titolare esclusivo di una parte determinata della cosa comune e l'interesse comune a realizzare il valore economico unitario della cosa, l 'art. 1114 stabilisce espressamente, in conformità ai principi dettati anche in tema di divisione ereditaria, che la divisione ha luogo in natura, se la cosa può essere comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti: diversamente, si procederà alla vendita della cosa ed alla ripartizione del prezzo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1114 Codice Civile

Cass. civ. n. 7044/2015

In tema di scioglimento della comunione, per accertare la divisibilità di un'area comune destinata all'accesso a due fabbricati di diverso proprietario, il giudice deve tener conto della diminuzione del valore complessivo dell'area che sarebbe causata dalla divisione nonché degli effetti che essa produrrebbe sull'efficienza, funzionalità e comodità dell'accesso ai fabbricati.

Cass. civ. n. 2117/1995

In tema di divisione di cose comuni, il principio dell'art. 1114 c.c., per il quale la divisione ha luogo in natura se la cosa può essere comodamente divisa in porzioni corrispondenti alle quote dei partecipanti, non esclude la possibilità del ricorso al correttivo dei conguagli in denaro, previsto dall'art. 728 c.c.

Cass. civ. n. 937/1982

Al fine di stabilire la divisibilità o meno di un'area comune a due fabbricati appartenenti a diversi proprietari e destinata all'accesso ai fabbricati stessi in due porzioni distinte da attribuire in proprietà esclusiva a ciascuna delle parti, il giudice del merito deve tenere conto della diminuzione del valore complessivo dell'area a seguito della divisione, nonché degli effetti di tale divisione sull'efficienza, funzionalità e comodità dell'accesso ai fabbricati, mentre è irrilevante ai predetti fini la deduzione di frequenti dissidi fra le parti che rendevano impossibile l'uso comune dell'area. Il giudice, poi, al fine di rendere possibile la divisione non può mai imporre a carico di uno o di entrambi i condividenti l'obbligo di procedere a modifiche o variazioni della consistenza, ubicazione o conformazione dei fabbricati, trattandosi di beni non compresi (ed insuscettibili di essere attratti) nell'oggetto della divisione, circoscritta alla sola area comune, che non può incidere sulla struttura dei fabbricati né comportare l'imposizione di oneri o limitazioni al contenuto dei diritti precedentemente esercitati o comunque spettanti sui medesimi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1114 Codice Civile

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N. D. P. chiede
lunedì 04/04/2022 - Campania
“Immobile su 2 piani, acquistato da tre persone (A+B), di cui due sono coniugi (B) in comunione di beni. Valore dell’acquisto €190.000. Versamento della parte A di €100.000. Acceso mutuo con partecipazione delle due parti (A+B) di €90.000, dove la parte B sta pagando dalla prima rata e, che risiede al primo piano dell'immobile.
Il secondo piano è stato sottoposto a ristrutturazione con una spesa di circa €100.00, di cui circa €70.000 (documentabili) sono stati esborsati dalla parte B.
La Parte A ha chiesto tramite Avvocato di andare in Conciliazione, chiedendo di comprare la parte B. Alla presentazione delle spese documentate dalla parte B, la parte A ha rifiutato di comprare e la Parte B ha espresso il desiderio di comprare la parte A, con rifiuto della parte A, la quale in questo momento chiede di dividere giudizialmente le due parti. Interessa conoscere come avviene la divisione dal punto di vista economico, dato che dal punto di vista tecnico l’immobile si presta alla divisione con estrema facilità.
Nel ringraziare anticipatamente
Cordialmente”
Consulenza legale i 11/04/2022
La situazione che si sottopone ad esame integra a tutti gli effetti un’ipotesi di comunione ordinaria volontaria, la quale trova il suo titolo costitutivo nell’atto notarile di compravendita.
Dall’esame di tale atto, trasmesso in copia a questa Redazione, ne risulta che A e B (ove con B si indicano i coniugi in regime di comunione legale dei beni) hanno acquistato l’intero edificio, composto da due elevazioni fuori terra, in ragione di un mezzo indiviso ciascuno, e precisamente A per ½ e B per ½.
Pertanto, sarà nel rispetto di tali quote che andrà effettuata la stima e la successiva divisione del complesso immobiliare.

Trattandosi, come si è detto, di comunione ordinaria, non possono che trovare applicazione le norme che il codice civile detta al riguardo, e precisamente gli artt. 1101 e ss. c.c.
Tra queste la prima norma da prendere in considerazione è l’art. 1111 del c.c., secondo la quale ciascuno dei partecipanti alla comunione può in qualunque momento chiederne lo scioglimento.
Il successivo art. 1114 c.c. dispone che la divisione va fatta in natura quando il bene che ne costituisce l’oggetto può essere comodamente diviso in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti, mentre l’art. 1116 del c.c. rende applicabili, in via estensiva, alla divisione dei beni in comunione ordinaria le norme dettate in tema di divisione dell’eredità.

Nel caso di specie, dunque, è possibile procedere alla divisione in natura in quanto, come si dice nel quesito, l’immobile è comodamente divisibile; infatti, trattandosi di edificio su due piani, la divisione dovrebbe eseguirsi (almeno questa sembra l’intenzione manifestata nel quesito) con attribuzione a ciascuno dei comproprietari di un piano (un piano ad A ed un piano a B/coniugi).
Tuttavia, è necessario che la divisione (così come la si vuole effettuare) sia proporzionale al valore delle quote di ciascuno dei comunisti, sia da un punto di vista prettamente materiale (o quantitativo), che sotto il profilo economico (o qualitativo).

Per fare ciò occorre, dunque, procedere ad una stima delle due porzioni che si andranno a formare, in occasione della quale si dovrà anche tener conto dei miglioramenti nel frattempo apportati al bene comune, oltre che delle spese affrontate per tali miglioramenti e della misura in cui le stesse sono state sostenute da ciascun comunista.
Tale precisazione si rende necessaria in considerazione di quanto viene detto nel quesito con riferimento alla ristrutturazione eseguita sul solo secondo piano dell’edificio, la quale ha comportato una spesa di circa 100.000,00 euro, di cui la gran parte, circa 70.000,00 euro, sostenuti soltanto da B (ciò che, si dice, può essere provato).

Ebbene, facendo applicazione analogica delle norme dettate in tema di divisione ereditaria (richiamate, come si è detto prima, dall’art. 1116 c.c.), per poter giungere alla divisione del bene comune nel rispetto delle quote si dovrà:
a) provvedere alla stima dei beni da dividere (art. 726 del c.c.);
b) formare tante porzioni quanti sono i comunisti (ossia due), comprendendo in ciascuna porzione una quantità di beni di eguale natura e qualità, in proporzione dell’entità di ciascuna quota (art. 727 del c.c.);
c) compensare l’ineguaglianza in natura con un equivalente in denaro (art. 728 del c.c.).

Per quanto concerne i miglioramenti apportati al secondo piano dell’immobile a seguito di ristrutturazione, di essi se ne dovrà tener conto sotto un duplice profilo, e precisamente:
a) in sede di redazione della stima delle porzioni, nella misura in cui detti miglioramenti hanno apportato un incremento di valore di quella sola parte di immobile. In tal caso, se alla porzione di immobile ristrutturato verrà attribuito un valore maggiore di quello posto al primo piano, tale maggior valore dovrà essere compensato con un conguaglio in denaro ex art. 728 c.c.
b) ai fini del rimborso delle relative spese, considerato che su una spesa complessiva di circa 100.000 euro, la parte B ne ha approntati circa euro 70.000,00.

B, dunque, avrà diritto al rimborso della maggior somma spesa (quantificabile in circa euro 20.000) per effetto del combinato disposto di cui agli artt. 1104 e 1110 c.c.
In particolare, l’art. 1110 del c.c. garantisce il rimborso delle spese al compartecipe che si è fatto parte diligente e, sebbene la norma faccia riferimento alle sole spese necessarie alla conservazione della cosa comune, si ritiene che la ratio della norma ed il raccordo con il primo comma dell’art. 1104 c.c. ne giustifichino l’estensione anche alle spese necessarie per il godimento della cosa (le spese di ristrutturazione generalmente vanne fatte rientrare in tale categoria).
Peraltro, A non può opporre che si sia trattato di spesa da lui non autorizzata (invocando il disposto di cui all’art. 1108 del c.c.), in quanto la circostanza stessa di avervi partecipato, seppure in misura inferiore, varrebbe a dimostrare proprio il contrario.

In conclusione, dunque, se si raggiunge un accordo su come dividersi i due appartamenti (quello del primo piano e quello del secondo piano), la loro ineguaglianza di valore potrà essere compensata con un conguaglio in denaro, mentre la parte condividente che ha sostenuto maggiori spese per la ristrutturazione (ossia B) avrà diritto al rimborso delle somma spesa in più.
Dalla lettura dell’atto notarile di compravendita, invece, non risulta alcuna diseguaglianza tra le parti in sede di partecipazione alle spese di acquisto, in quanto all’art. 4 dello stesso è detto che l’intero prezzo viene corrisposto a mezzo di due assegni bancari, ciascuno dell’importo di euro 95.000, tratti su un conto corrente intestato agli acquirenti).

Vuole a questo punto darsi un ultimo suggerimento: se una delle due parti dovesse risultare debitrice, a titolo di conguaglio, di una somma che non è in grado di corrispondere subito, se ne potrà prevedere un pagamento dilazionato, garantito da iscrizione di ipoteca volontaria sulla porzione di immobile che gli verrà assegnata ed in favore dell’altro condividente creditore.

Rosario M. chiede
sabato 28/03/2020 - Puglia
“Gent.mo avvocato,
Le scrivo xké sono un uomo di 70 anni in pensione che dopo 33 anni di matrimonio subisco la richiesta di separazione, sin da subito orientata alla Giudiziale, giacché a fronte di una pensione di €1.200.00 mi viene richiesto €900.00 di mantenimento già
all'Udienza Presidenziale 29/7/2010 nella quale dichiaro di nn volermi separare, confermando invece la sua volontà. In detta udienza il Presidente nn si pronuncia in merito all'abitazione ed essendo intestata esclusivamente a me e sotto suggerimento del mio legale sostituisco le serrature d'ingresso mentre x il mantenimento viene quantificato in €500.00 che con un ricorso 700 viene ridotto a €350.00 dopo di ciò incardina un procedimento Patrimoniale dove la ex moglie presenta una scrittura privata senza data certa, senza registrazione e firma del notaio al quale ci rivolgemmo x informazioni e che ci rilascio dei prestampati che dava a chi ne faceva richiesta e che in corso di causa ho disconosciuto il contenuto, mentre avvalorato l'autenticità della firma e che il mio legale non presenta nessuna querela di falso, giustificandosi con una probabile consensuale, mai menzionata da entrambi gli avventori.
Inoltre a distanza di18 anni dove l'attrice era una casalinga, prospetta la volontà di lavorare, giacché i 2 figli sono già maggiorenni e lei si sente inutile.
Pertanto rileva un'attività commerciale con i soldi di una liquidazione di mia Invalidità Inail ,in un paese distante 4 km dalla residenza e dopo un anno e varie peripezie decidiamo x l'acquisto di una casa nello stesso comune dell'attività, però x evitare problemi fiscali e fornitori, il commercialista e lo stesso notaio ci consigliano di intestarla esclusivamente al sottoscritto essendo un lavoratore dipendente. Si stipula il rogito x l'acquisto del nuovo alloggio, dando in permuta dell'alloggio famigliare, in comunione dei beni in cui abitavamo, estinguo la residuo mutuo bancario + un 10% in contanti ed il rimanentein 12 cambiali firmate da me e come garanzia anche dalla ex moglie, dopodiché a distanza di tre mesi ci rechiamo dal notaio x informazioni, giacché l'ex moglie nn si sentiva tutelata in quanto la priorità era intestata solo a me al che il notaio dopo averci dato delle informazioni ci rilascia un prestampato x una scrittura privata che lei a tirato fuori quando, dopo l'avvio della separazione ha intrapreso in procedimento Patrimoniale che con la testimonianza del notaio che dichiarava di nn ricordare l'avvenuta stipula della scrittura privata, dichiarando che ricordava solo della richiesta d'informazioni, tenendo conto che predetta scrittura da me disconosciuto il contenuto, in corso di causa di 1* grado, ma che confermavo l'autenticità della firma, la stessa viene depositata in fotocopia, priva di data certa e di registrazione e firma del notaio.
Però nella sentenza di 1* grado gli viene riconosciuto il 50% non x la scrittura privata, ma x la testimonianza dei miei due figli e di mio fratello maggiore i quali dichiarano che grazie alle entrate dell'attività della ex moglie e all"evasione fiscale praticata dal commercialista si era potuto fare l'acquisto di predetta casa. Inoltre in tacita compensazione gli avevo acquistato l'impresa commerciale + una vecchia casa, demolita e ricostruita al rustico, intestato ESCLUSIVAMENTE alla signora, dallo stesso notaio senza ricambiare la scrittura privata da lei richiestomi, pagata con un finanziamento Findomestic a me intestato e che ha usufruito dei privilegi di 1^casa, dichiarando di nn avere ne alloggi e ne porzioni di alloggi in territorio nazionale.
Ora detto ciò concludo dicendo che ho fatto richiesta di scioglimento condiviso della mia proprietà, giacché con il 2* grado la sentenza è stata di "INAMMISSIBILITÀ" ma nn contenti alla richiesta di scioglimento bonario nn si sono presentati e presumo che vorranno procedere giudizialmente x togliermi il mio 50% x danni morali e x nn aver goduto del suo 50% sin da quando ho sostituito le serrature, anche se nn ne hanno mai fatto richiesta.
Detto ciò, tenuto conto della mia età e che di fatto io risiedo nell'immobile di comproprietà e che è facilmente divisibile. Oltre che è esplicita l'intenzione di avermi tolto ogni contatto con figli e nipoti, e riducendomi in povertà affettiva ed economica, creando i presupposti di istigazione al suicidio "legge del 2012" .
Certo di aver esposto in maniera esauriente, tenendo conto che ricordare questi 10 anni mi procura angoscia, ritenetemi a vs disposizione x eventuali ragguagli o documenti e saluto con cordialità
Rosario”
Consulenza legale i 29/04/2020
In materia di scioglimento della comunione, la regola generale è quella secondo cui la divisione della cosa comune va effettuata in natura, ove possibile: infatti l’art. 1114 del c.c. stabilisce che “la divisione ha luogo in natura, se la cosa può essere comodamente divisa in parti corrispondenti alle quote dei partecipanti”.
Ai sensi dell’art. 1116 del c.c., allo scioglimento della comunione si applicano le norme sulla divisione dell'eredità, sempre che non siano in contrasto con quelle sulla comunione non ereditaria.

Ora, anche in materia di divisione dell’eredità, l’art. 718 del c.c. ribadisce il principio del diritto alla divisione in natura, salve le previsioni degli articoli successivi.
Una delle disposizioni da tenere presenti, applicabile grazie al rinvio contenuto nell’art. 1116 c.c., è quella dell’art. 720 del c.c., che disciplina l’ipotesi della non comoda divisibilità dell’immobile.

In particolare, se occorre procedere a divisione di immobili non comodamente divisibili, o il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene, e la divisione dell'intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all'incanto.

Quanto al concetto di “non comoda divisibilità”, la giurisprudenza ha precisato (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 25888/2016) che essa ricorre anche quando, “pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero”.
Simili criteri sono stati espressi anche dalla recente giurisprudenza di merito: si veda ad esempio Tribunale Bergamo, Sez. IV, sent. 25/10/2019, secondo cui "in tema di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di cui all'art. 720 c.c. è ravvisabile nel caso di irrealizzabilità del frazionamento dell'immobile o di realizzabilità dello stesso a pena di notevole deprezzamento o, ancora, di impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, tenuto conto dell'usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso".

La valutazione della comoda divisibilità dell’immobile, chiaramente, va compiuta caso per caso dal giudice, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che normalmente viene espletata nel giudizio di divisione.

In questo caso, da quanto esposto nel quesito appare chiaro che non vi è, nella controparte, alcuna “buona volontà”, il che permetterebbe di giungere ad una divisione sulla base dell’accordo tra le parti, scelta che sarebbe sicuramente preferibile.

Pertanto l’unica strada è quella di agire per la divisione giudiziale dell’immobile, tenendo presente che la divisione rientra tra le materie per cui l’azione deve essere necessariamente preceduta, a pena di improcedibilità, da un tentativo di mediazione ex art. 5, comma 1bis, D. Lgs. n. 28/2010 (che, forse, stando alle indicazioni non chiarissime contenute nel quesito, nel nostro caso è stato già esperito).

Franca chiede
lunedì 14/10/2013 - Lazio
“Ho da poco divorziato da mio marito con il quale posseggo una casa al 50% ove abita ns. figlio con tanto di residenza. Mio marito durante la separazione ha abitato e abita tuttora in un" altra regione e per più sedici anni non si è mai interessato di questo appartamento, nè ha mai chiesto di abitarci o interessarsi ad esso. Ha pagato sempre e solo la quota ICI di sua pertinenza. Ora dopo due mesi dal divorzio chiede di usufruire della casa vantando diritti. Ma fino ad ora nessuno glielo aveva negato, anzi era lui che si era reso latitante in tutti i sensi.
Ora dopo tanti anni è duro accettare di dividere la casa con uno "sconosciuto" e lo stesso figlio con il quale non ha più contatti da così tanti anni lo sente come un estraneo. Posso chiedere lo scioglimento della comunione di questo immobile e allungare così i tempi ed arrivare poi alla vendita all asta? O c è un'altra via legale che ci permetta una via d uscita più favorevole.... Spero di essermi espressa con chiarezza e ringrazio fin d'ora per la gentile risposta che vorrete dare a questa mia. Cordiali saluti Franca”
Consulenza legale i 29/10/2013
Due coniugi posseggono ciascuno per la quota del 50% un bene immobile indiviso: si tratta pertanto di comunione ordinaria.
L'art. 1111 del c.c. sancisce il principio generale in forza del quale ciascun partecipante alla comunione ha il diritto di domandarne lo scioglimento. Se le parti non addivengono ad una divisione convenzionale, sarà necessario adire il giudice.
Per effetto del richiamo di cui all'art. 1116 del c.c., trova applicazione anche per le comunioni ordinarie (e non solo per quelle ereditarie) l'art. 720 del c.c., in base al quale la divisione ha luogo in natura esclusivamente nel caso in cui l’oggetto della stessa sia comodamente divisibile nel rispetto delle quote dei singoli comunisti; se il bene sia, invece, indivisibile, si dovrà procederà alla vendita del bene con relativa ripartizione del ricavato.
Purtroppo, nel caso di specie, non si ravvisano altre strade che quella sopra indicata di domanda di divisione (che dà luogo ad un giudizio ordinario e in base alla normativa attuale deve essere preceduta dall'esperimento della mediazione, v. art. 5, D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28). Difatti, non è trascorso neppure il termine ventennale per poter pensare di avanzare una richiesta di usucapione del bene.
Inoltre, il diritto del figlio a risiedere presso l'immobile può essere considerato scaturente, in base ai dati forniti nel quesito, da un contratto di comodato gratuito verbale con i genitori, a tempo indeterminato. E' bene ricordare che in base all'art. 1809, secondo comma, c.c., il comodante, se sopravviene un urgente e impreveduto bisogno, può esigere la restituzione immediata dell'immobile. Pertanto è possibile ipotizzare, sussistendone i presupposti di legge, che il padre possa chiedere addirittura il rilascio della casa al figlio. Sarà bene chiarire la posizione del padre su questo ultimo punto.

Severino N. chiede
venerdì 14/01/2011

“Possiedo una casa in comproprietà con la suocera: lei ha il 50%, io e mia moglie il 25% ciascuno.
La casa è disposta su due piani separati indipendenti, con due bilocali al piano terra e un unico appartamento al primo piano, più due garage nel cortile.
Vorrei dividerla, per dare la nostra parte a nostro figlio. Mia suocera ha 87 anni, ed è facilmente influenzabile dai miei cognati che sono ostili alla divisione.
Come potrei regolarmi?
Comunque ringrazio con cordiali saluti.”

Consulenza legale i 20/01/2011

In mancanza di un accordo tra i partecipanti alla comunione, lo scioglimento può essere ordinato dall'autorità giudiziaria, adita da colui che intenda dividere il bene (art. 1111 del c.c.). Ciascun partecipante alla comunione ha, infatti, il diritto di chiederne lo scioglimento. Se la cosa comune è comodamente divisibile, come sembra nel caso di specie, l'autorità giudiziaria ne ordinerà l'attribuzione ai comunisti in porzioni materiali corrispondenti alle loro quote.
Nel disporre la divisione, il giudice deve tenere in debito conto gli interessi in contrasto con quelli del comunista che richieda lo scioglimento della comunione: in tal caso, tuttavia, si limiterà a posticipare sino a cinque anni la divisione della cosa comune, non potendo in ogni caso impedirla.
L'art. 1116 del c.c. stabilisce che alla divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione dell'eredità, in quanto non siano in contrasto con quelle stabilite dagli articoli contenuti nel capo I, titolo VII, libro III del codice civile.


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