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Articolo 1072 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Estinzione per confusione

Dispositivo dell'art. 1072 Codice Civile

La servitù si estingue quando in una sola persona si riunisce la proprietà del fondo dominante con quella del fondo servente [1014 n. 2, 2862].

Ratio Legis

La confusione estingue la servitù in quanto diventa impossibile conservare separatamente una facoltà che compete già al proprietario.

Brocardi

Nemini res sua servit

Spiegazione dell'art. 1072 Codice Civile

Estinzione della servitù per confusione

Viene qui disposta la c. d. estinzione per confusione. Le servitù, come in genere i diritti reali a contenuto tipicamente più limitato della proprietà, presuppongono essenzialmente se non proprio la res aliena (sarebbe configurabile astrattamente l'ipotesi della servitus in re nullius, se ora non vi ostasse praticamente il principio sancito nell' art. 827 del c.c.) almeno la res non propria, la mancanza insomma del diritto di proprietà di quello stesso che deve essere il titolare della servitù, sull'oggetto di questa, che è il fondo servente. Il principio che nemini res sua servit esplica qui tutta la sua efficacia.

Questo naturalmente non impedisce che, materialmente, fra due fondi di uno stesso proprietario possa esistere e continuare la prestazione di un servizio o di una utilità permanente quale potrebbe formare il contenuto di una servitù, ma tale possibilità scaturisce dal libero esercizio della proprietà su ambedue quei fondi, e come la servitù non sorge, pur trovandosi i fondi medesimi in rapporto di fatto di servitù, se non vengano ad appartenere a proprietari diversi (costituzione per destinazione del padre di famiglia, v. retro), cosi se due fondi già di proprietari diversi vengono in mano di uno solo, si estingue.

L' estinzione è effettiva e definitiva, senza possibilità di reviviscenza, anche se la proprietà dei fondi ritorni a separarsi. Giustamente si osservò nella Relazione al Re sull'articolo in questione (n. 106), che se dovesse risolversi l'acquisto, e con esso la confusione, con efficacia retroattiva (ad es. per l'avverarsi della condizione risolutiva), la servitù non tanto risorgerebbe, quanto nel nostro sistema tradizionale, dovrebbe ritenersi come non mai caduta in estinzione. Pertanto il secondo comma dell'art. 1072 del progetto preliminare potè essere e fu opportunamente eliminato, in quanto, sotto nome di ripristino della servitù per cessazione della confusione dovuta ad una causa inerente all'acquisto, induceva una confusione fra ripristino e non estinzione, che sarebbe stata una disarmonia nel sistema della legge. In ogni caso, pertanto, in cui la confusione cessi per un fatto nuovo che non tolga di mezzo in se e per se il titolo che precedentemente la opera, la servitù non rinasce senza un nuovo fatto costitutivo e in questa nuova ipotesi, non occorre nemmeno dirlo, non e la stessa servitù di prima riportata alla vita, ma una servitù nuova che incomincia una vita nuova.

Un solo caso potrebbe lasciare adito a dubbi: ed è l' art. 2812 del c.c., il quale dispone che i diritti reali, e fra questi le servitù, già gravanti sul fondo ipotecato a favore del terzo acquirente prima dell'acquisto, riprendono efficacia dopo il rilascio dell'immobile da parte di lui o l'espropriazione a suo danno. Ma, in questa ipotesi, che un autorevole scrittore ha interpretato addirittura come una eccezione al principio del « nemini res sua servit », ritenendo che in questo caso la servitù e gli altri diritti reali persistano a favore del terzo acquirente (proprietario) dell'immobile come diritti sulla cosa propria distinti dalla proprietà, sembra che non si possa scorgere se non una reviviscenza in senso improprio: reviviscenza cioè del medesimo contenuto della vecchia servitù o del vecchio diritto, non senza escludere però che la servitù o l'altro diritto ricominci una nuova vita, e sia insomma ontologicamente un novum, che ha titolo di essere nel fatto giuridico del rilascio o dell'espropriazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

510 Per ciò che concerne l'estinzione delle servitù per confusione, l'art. 1072 del c.c. non apporta che una lieve modificazione formale alla norma dell'art. 664 del codice del 1865. Quanto all'estinzione delle servitù per prescrizione, l'art. 1073 del c.c. integra l'incompleta disciplina del codice anteriore (art. 666). Mentre infatti il primo comma pone la norma che la servitù si estingue per prescrizione quando non se ne usa per venti anni, il secondo comma distingue l'ipotesi che si tratti di servitù affermativa per il cui esercizio sia necessario il fatto dell'uomo, dall'ipotesi che si tratti di servitù negativa, ovvero di servitù affermativa per il cui esercizio non sia necessario il fatto dell'uomo. Nella prima ipotesi, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui si è cessato di esercitare la servitù; nella seconda ipotesi decorre dal giorno in cui, si è verificato un fatto che ne ha impedito l'esercizio. Tale fatto, da intendersi come fatto materiale, potrà essere opera così del proprietario del fondo dominante, come del proprietario del fondo servente o di un terzo, poiché per la norma è rilevante il semplice dato concreto e obiettivo della protratta interruzione dell'esercizio della servitù per il tempo su indicato. Riappare, in tal modo, la distinzione tra servitù continue e discontinue, per quanto le due espressioni non siano adoperate nel testo; ma la distinzione, come ho già notato, se è ingiustificata ai fini dell'usucapione, è insopprimibile in tema di prescrizione. E' evidente, infatti, che, quando per l'esercizio della servitù non è necessario il fatto dell'uomo, esula la possibilità di assumere l'inazione del titolare quale criterio per determinare l'inizio del non uso. Prevede pure l'articolo in esame (terzo comma) che la servitù si eserciti ad intervalli e, per le così dette servitù intermittenti, stabilisce che il termine prescrizionale decorre dal giorno in cui la servitù si sarebbe potuta esercitare e non ne fu ripreso l'esercizio. Non si ha quindi negligenza se non quando il titolare della servitù abbia fatto decorrere il tempo utile per conservare il diritto che era nella possibilità di esercitare. All'accessio temporis si richiama il quarto comma dell'articolo, disponendo che all'effetto dell'estinzione della servitù si computa anche il tempo per il quale la servitù non fu esercitata dai precedenti titolari. E' tradotto così in formula legislativa un principio già enunciato nelle fonti romane: tempus, quo non est usus praecedens fundi dominus, cui servitus debetur, imputatur ei, qui in eius loco successit (fr. 18 § 1 Dig. VIII, 6). Il principio, benché non espressamente formulato, era, del resto, insito nel sistema del codice anteriore. A differenza dei menzionati commi secondo, terzo e quarto, non sono di nuova formulazione gli ultimi due commi (quinto e sesto) dell'articolo, che riproducono gli articoli 671 e 672 del codice del 1865, per i quali, se il fondo dominante appartiene a più persone in comune, l'uso della servitù fatto da alcune di esse impedisce, per il principio dell'indivisibilità della servitù, la prescrizione riguardo a tutte, e la sospensione o l'interruzione della prescrizione a vantaggio di uno dei comproprietari giova anche agli altri.

Massime relative all'art. 1072 Codice Civile

Cass. civ. n. 25364/2014

In mancanza di titoli che dispongano un diverso regolamento, la "communio incidens" di una strada agraria privata sorge per il solo fatto che essa sia stata costituita con il conferimento di sedime dei fondi latistanti, sicché, in tal caso, il diritto di proprietà "pro indiviso" dell'intera strada e la facoltà di utilizzarla per tutto il percorso e in tutte le direzioni spetta a tutti i comunisti, senza che rilevi la circostanza, che una porzione di detta strada (nella specie, quella finale) sia divenuta, per ambedue i lati che vi si affacciano, di proprietà di un unico frontista, non trovando applicazione l'istituto dell'estinzione per confusione ex art. 1072 cod. civ., che ha ad oggetto solo il diritto di servitù.

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Consulenze legali
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Paola M. C. chiede
giovedì 28/01/2021 - Lombardia
“Buongiorno.
Nel 2017 ho richiesto una consulenza legale (Q201718670) relativa a una servitù prediale contro la quale avrei potuto procedere richiedendone al giudice la soppressione per confusione.
L'incognita era rappresentata proprio dal giudice che avrebbe potuto decidere per la soppressione oppure no.
Vi chiedo se, da allora, ci sono state delle novità in giurisprudenza.
Cordialmente,
Paola”
Consulenza legale i 03/02/2021
Gentile cliente, purtroppo dalla data della consulenza che le abbiamo fornito nel 2017 ad oggi non si rinvengono mutamenti di rilievo nella giurisprudenza relativa alla materia di suo interesse.
Procedendo ad un riesame della copiosa e completa documentazione che in occasione della precedente consulenza è stata inviata a questa Redazione, non possiamo che confermarle quanto già le è stato a suo tempo suggerito.

In particolare, il principio chiave che vogliamo sottoporre alla sua attenzione, e per il quale possono sussistere delle incertezze sul buon esito di un’eventuale azione giudiziaria, è quello secondo cui in tema di servitù volontaria (tale è quella che la riguarda) non può valere la regola propria delle servitù di tipo coattivo, ossia quella secondo cui, se il passaggio cessa di essere necessario (ossia se viene meno l’utilitas di cui all’art. 1027 del c.c.), può essere soppresso in qualunque tempo ad istanza del proprietario del fondo dominante o del fondo servente.

Da tale principio ne consegue che, in mancanza di una volontaria rinuncia alla servitù, ipotesi qui certamente da escludere, l’estinzione della stessa potrà conseguire soltanto a seguito di un ordinario giudizio di cognizione, per mezzo del quale farne accertare la sopravvenuta confusione tra fondo dominante e fondo servente o la prescrizione per non uso ventennale.
C’è un aspetto della vicenda che la riguarda che riteniamo possa assumere valenza decisiva ai fini di una eventuale pronuncia giudiziale, ossia il fatto che la servitù di cui si discute, oltre ad essere una servitù di tipo volontario, presenta il carattere della reciprocità.
Ciò si desume agevolmente dalla lettura dell’atto costitutivo di essa del 18/06/1909, concluso tra C.G. e T. R., in cui viene espressamente pattuito che la servitù è costituita essenzialmente nell’interesse di C.G., ed in particolare per consentire a quest’ultimo di raggiungere l’allora fienile posto sulla proprietà di T.R.
Il riconoscimento in favore di T.R. del reciproco diritto di attraversare il fondo di C.G. può configurarsi come una sorta di compenso per il diritto di passaggio concesso a C.G,, il quale, peraltro, a titolo di ulteriore corrispettivo versò a C.G. anche una somma di denaro.

Sembra evidente che il vero interesse da soddisfare sia stato quello di C.G., in quanto solo C.G. non poteva godere di altro passaggio per raggiungere il fienile di sua proprietà, del tutto intercluso.
Una volta che C.G. ha, con successivo atto di compravendita del 26.11.1961, alienato quel fienile, di fatto è venuta meno la vera finalità per cui quella servitù fu costituita, dovendosi ritenere verificato il presupposto della estinzione della servitù per confusione, come previsto dall’art. 1072 c.c.
Per quanto concerne il reciproco diritto di servitù riconosciuto in favore del fondo allora di proprietà di T.R., si ribadisce l’opportunità, nell’eventuale giudizio che si vorrà instaurare, di far valere la sua configurazione quale forma di indennizzo e corrispettivo per il peso derivante dall’esercizio della servitù sulla particella 191, con conseguente interesse a farne dichiarare l’estinzione per mancanza di concreta utilità e per impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle parti ex art. 1463 del c.c..
Sulla mancanza di utilitas non dovrebbe sussistere alcun dubbio, considerato che è ampiamente documentabile che chi continua ad utilizzare quel passaggio di fatto gode di altro accesso alla pubblica via e, peraltro, di un accesso anche più comodo e più breve.

La natura puramente di corrispettivo della attuale servitù (desumibile dall'atto costitutivo) potrebbe, forse, indurre il giudice a non applicare nel caso di specie il principio a cui si è fatto riferimento all’inizio di questa consulenza, ossia quello secondo cui, in tema di servitù costituite volontariamente, se il passaggio cessa di essere necessario (ossia se viene meno l’utilitas di cui all’art. 1027 c.c.), non può essere soppresso in qualunque tempo come avviene nel caso di servitù coattiva.

Purtroppo, è ancora questo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza sia di legittimità che di merito.
In tal senso, oltre alle sentenze di legittimità a cui si è fatto riferimento nelle consulenze già rese, si vuole qui richiamare la sentenza di merito del Tribunale di Trento, sezione civile, n. 929 del 30.09.2016, in cui è detto che “le servitù volontarie, a differenza di quelle coattive che si estinguono con il venir meno della necessità per cui sono state imposte, non si estinguono con il cessare della utilitas per la quale sono state costituite, ma vengono meno soltanto per confusione, prescrizione o quando siano stipulate nuove pattuizioni, consacrate in atto scritto, che ne modifichino l’estensione o le sopprimano. Ne consegue che la costruzione della strada comunale idonea a far venir meno lo stato di interclusione del fondo non poteva essere considerata circostanza idonea a determinare l’estinzione della servitù; il concetto di utilitas infatti è tanto ampio da comprendere ogni vantaggio, anche non proprio economico, del fondo dominante, come quello di assicurargli una maggiore amenità”.