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Articolo 1069 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Opere sul fondo servente

Dispositivo dell'art. 1069 Codice Civile

Il proprietario del fondo dominante, nel fare le opere necessarie per conservare la servitù(1), deve scegliere il tempo e il modo che siano per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente(2).

Egli deve fare le opere a sue spese, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo(3) o dalla legge [1030].

Se però le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.

Note

(1) Si reputa che necessarie siano altresì le opere deputate all'attuazione del diritto in oggetto.
(2) Il parametro del minimo incomodo è applicabile entro i limiti in cui sia indispensabile garantire l'esercizio della servitù.
(3) La clausola con la quale viene stabilito che il costo delle opere descritte è a carico del fondo servente va stipulata in forma scritta e trascritta ex art. 2643, n. 4.

Brocardi

In omnibus servitutibus refectio ad eum pertinet, qui sibi servitutem adserit, non ad eum, cuius res servit
Refectionis gratia accedendi ad ea loca quae non serviant facultas tributa est his quibus servitus debetur
Reficere est quod corruptum est in pristinum statum restaurare

Spiegazione dell'art. 1069 Codice Civile

Tempo e modo per la costruzione di opere nel fondo servente

Il primo comma dell'art. 1069 è un ulteriore sviluppo del principio fondamentale per cui l'esercizio della servitù deve essere fatto, fermo il pieno soddisfacimento dei bisogni del fondo dominante, col minore aggravio possibile del fondo servente. È il medesimo principio, la cui applicazione viene estesa dall'attività di esercizio immediato e diretto della servitù al compimento delle opere necessarie perché quell'esercizio e la servitù medesima possano essere conservati. Per fare questo il proprietario del fondo dominante deve scegliere il tempo e il modo che arrechino minore incomodo al proprietario del fondo servente.

Ciò, peraltro, non vuol dire che il primo sia costretto a compiere le opere in ore non destinate, normalmente, al lavoro che quelle richiedono, per es. di notte, se cosi torna meno incomodo al proprietario del fondo servente. Questo sarebbe un aggravare eccessivamente la posizione del dominus servitutis, che, nello spirito della legge, deve piuttosto perseguire il proprio bisogno col minore aggravio dell'altro, ma senza che sia tenuto dal canto proprio a subire un incomodo oltre quello che può comportare l'esecuzione delle opere nel tempo riservato ad esse normalmente, secondo la loro natura.

Quel che si può dire della scelta del tempo durante la giornata va ripetuto analogamente della sua scelta in un periodo più lungo, quali possono essere la stagione e l'annata. Il proprietario del fondo servente non potrebbe pretendere che l'esecuzione delle opere venga rinviata, anche senza che sia imminente il pericolo per la servitù, ad una stagione che non è quella in cui normalmente le opere necessarie vengono compiute. Il suo minore incomodo s'intende in quanto sia realizzabile con la più opportuna distribuzione dei lavori, sempre però durante il periodo ad essi normalmente destinato. Lo stesso dicasi del modo.


Onere delle spese delle opere necessarie alla conservazione delle servitù

Il secondo comma dispone che il proprietario del fondo dominante deve fare le opere a sue spese: è uno sviluppo e una conseguenza mediata del principio che servitus in faciendo consistere nequit. Se il proprietario del fondo servente non deve altro che permettere e tollerare il godimento dell'altro, è ovvio che a questo incombe l'onere di tutto ciò che occorre all'esercizio della servitù.

Ma è noto che il principio suddetto incontrò fin dall'antico una deviazione (di cui non si è completamente d'accordo nel definire o spiegare la natura) nella c. d. servitus oneris ferendi, nella quale il dovere di reficere parietem, quando il muro del fondo servente fosse pericolante e mettesse in pericolo anche la stabilità dell'edificio appoggiato, incombeva al proprietario del fondo servente. Tale deviazione, se cosi può chiamarsi attribuendo al termine la significazione più generica, esiste anche oggi e può ritenersi adombrata nelle parole del secondo comma « salvo che sia diversamente stabilito dalla legge ». E a questo proposito giova segnalare sin da ora un'altra deviazione dal principio generale contenuta nella legge: quella dell' art. 1091 del c.c., su cui si ritornerà, nel quale, in materia di servitù di acqua, l'onere di fare e conservare le opere necessarie alla derivazione e alla condotta delle acque fino al punto di consegna agli utenti, è posto per regola a carico del proprietario del fondo servente quando il titolo non contenga particolari convenzioni.

Ma la possibilità di riversare sul proprietario del fondo servente l'onere delle opere necessarie per conservare la servitù, anche dalla nuova legge è poi ancora generalizzata mediante il riconoscersi efficacia ad ogni pattuizione in tal senso contenuta nel titolo (art. 1069, comma 3).


Natura dell'onere delle spese quando sia eccezionalmente a carico del proprietario del fondo dominante

Sulla natura nettamente reale di questa deviazione dal principio generale, derivi essa dalla legge o abbia fondamento nel titolo, non sembra ormai che possano levarsi fondate ragioni di dubbio: e, per la verità, non se ne è dubitato granché nemmeno in passato. Pertanto ogni proprietario che subentri nella titolarità del fondo servente resterà soggetto all'onere delle spese quando ciò derivi o dal titolo o dalla legge. Ma non è nemmeno escluso, naturalmente, che l'accollo delle medesime spese possa essere pattuito fra due proprietari in via di rapporto meramente obbligatorio: in questo caso non è da parlare di deviazione (reale) contenuta nel titolo, ma di obbligazione (personale) accessoria al contenuto del titolo, con efficacia assai più limitata e governata dalle regole sulle obbligazioni.


Ripartizione delle spese fra i due proprietari quando le opere giovino ad ambedue i fondi

L'ultimo comma dell'art. 1069 contiene l'applicazione di un principio caratteristico della materia della comunione. Ciò era ancora più evidente nell'art. 641 del codice abrogato, che al suo capoverso disponeva: « qualora però l'uso della cosa nella parte soggetta a servitù sia comune » fra i due proprietari le opere saranno fatte in comune, ma certo qui non si tratta di comunione in senso proprio o, dire forse meglio, di comunione reale. Il principio è esteso ad una partecipazione al giovamento che le opere fatte principalmente nell'interesse del fondo dominante, possono portare anche al fondo servente. Le spese, anche se l'iniziativa e il compimento delle opere sono del dominus servitutis, animato a compierle dal proprio interesse, devono essere condivise per la parte di utile che ne riceve anche dal proprietario del fondo servente.

Anche qui è possibile naturalmente un accordo fra i due proprietari mirante a caricarle per intero sull'uno o sull'altro, e certo tale accordo, quando si richiami il capoverso precedente e l' art. 1063 del c.c., può avere carattere reale come clausola integrativa del contenuto del titolo. Non sembra infatti che la disposizione riguardi una materia di ordine pubblico sottratta alla disponibilità delle parti, e abbia perciò carattere imperativo, solo perché si tratta di una partecipazione all'utile dell'opera altrui, quando le spese di tale opera possono essere addossate interamente alla parte che non ne gode affatto il vantaggio.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1069 Codice Civile

Cass. civ. n. 16953/2022

In tema di condominio, le deliberazioni assunte dall'assemblea, aventi natura di atti negoziali espressione della maggioranza e non della volontà assembleare, devono avere ad oggetto le sole materie ad essa attribuite, le quali afferiscono alla gestione dei beni e dei servizi comuni, ma non anche ai beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, come, nella specie, i muri perimetrali di proprietà esclusiva, quand'anche attraversati da tubazioni, canali e altro necessario al servizio degli alloggi soprastanti, rispetto ai quali operano semmai, in assenza di diversa, specifica pattuizione avente forma scritta, i criteri di cui all'art. 1069 c.c., sicché la deliberazione assembleare che approvi e ripartisca una spesa priva di inerenza alla gestione condominiale è affetta da nullità.

Cass. civ. n. 24124/2020

Agli effetti dell'art. 1069 c.c., comma 3, allorché il proprietario del fondo servente abbia costruito sullo stesso, sia pure nel proprio interesse, un muro di contenimento a margine della strada gravata da servitù di passaggio ha diritto al rimborso parziale della spesa sostenuta da parte del proprietario del fondo dominante.

Cass. civ. n. 6653/2017

Le spese inerenti le opere necessarie alla conservazione della servitù, eseguite - sia pure nel proprio interesse - dal proprietario del fondo servente, vanno sostenute sia da quest'ultimo che dal proprietario del fondo dominante, proporzionalmente ai rispettivi vantaggi, in applicazione estensiva dell'art. 1069, comma 3, c.c..

Cass. civ. n. 3634/2007

Ai sensi dell'art. 1069 c.c. le opere necessarie alla conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante che ha, perciò, facoltà di accedere al fondo servente per realizzarle, riconducendosi tale facoltà, di natura accessoria, al contenuto stesso del diritto di servitù, al cui normale esercizio è, quindi, strumentale. Pertanto, poiché nel nostro ordinamento il godimento del diritto di proprietà — ai sensi dell'art. 832 c.c. — viene esercitato entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge, nell'ambito dei limiti di natura privatistica rientra anche il divieto di impedire l'accesso al proprio fondo al proprietario del fondo dominante che intenda eseguire le opere previste dal citato art. 1069 c.c.

Cass. civ. n. 1631/1984

Il titolare del fondo dominante deve eseguire a proprie cure e spese le opere necessarie per conservare la servita, salvo che la situazione dei luoghi sia stata alterata da manomissioni con innovazioni compiute dal proprietario del fondo servente.

Cass. civ. n. 949/1982

In base all'art. 1069, commi secondo e terzo c.c., ove il proprietario del fondo servente abbia eseguito su quest'ultimo — sia pure nel proprio interesse — opere necessarie alla conservazione della servita, le relative spese debbono essere sostenute dai soggetti interessati, e cioè dal proprietario del fondo dominante e da quello del fondo servente, in proporzione ai rispettivi vantaggi.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1069 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G.D. chiede
martedì 08/08/2023
“Il quesito si pone come segue e riguarda le servitù costituite per scrittura privata autenticata e registrata.

È valido a tutti gli effetti il titolo di servitù di transito costituito a favore di 10 fondi dominanti contigui e del medesimo proprietario, a danno di 2 fondi serventi di un unico proprietario, di cui un fondo identificato catastalmente (nel titolo costitutivo) in maniera sbagliata, quindi nell'identificarlo in maniera scritta nel contratto contiene un errore nel dato catastale (foglio catastale sbagliato mentre particella corretta), fermo restando che l'altro fondo servente è correttamente identificato e il titolo trascritto in Conservatoria solo su questo (e non anche nelle informazioni dall'ispezione ipotecaria sull'altro fondo ), preso atto però che nell'allegato grafico facente parte della scrittura autenticata vi è l'estratto di mappa catastale e il tracciato del transito è su di questi disegnato, quindi si evince inequivocabilmente la servitù e la strada cementata da parte del proprietario del fondo dominante (a sue spese) come da accordi nel titolo?

È possibile tentare la liberazione (anche staordinariamente in via giudiziale) dalla servitù in ragione di tale vizio di forma e sostanza (assenza della trascrizione della servitù nella Conservatoria di una particella delle due (pubblicità immobiliare) stante l'errata indicazione scritta della particella identificata)? O si tratta di errore lieve trascurabile ai fini dell'opponibilità a terzi?

La servitù è costituita da oltre 20 anni ma non più esercitata con l'effettivo transito di autocarri da 10 anni e tutt'ora da 10 anni non se ne usa, vorrei sanare la situazione risolvendo la servitù di diritto o di accordo oppure, in ultima istanza, regolarizzare il titolo e la relativa trascrizione (il Notaio è deceduto) per pretendere tuttavia che si seguano le condizioni prescritte nella scrittura privata autenticata.

Non vorrei quindi, in sede di richiesta (per tramite di raccomandata o Legale) di eseguire quanto pattuito (manutenzione ordinaria della strada che negli anni si è danneggiata a causa degli eventi meteorici) che il proprietario dei fondi dominante si appellasse ai vizi descritti per non eseguire quanto da lui dovuto in forza del titolo costituito ma non debitamente trascritto ad entrambe le particelle catastali.

Preciso inoltre che:

Le volontà emerse nel titolo di costituzione si sono realizzate ed in concreto la servitù non può negarsi poiché vi sono opere stabili (strada cementata e ghiaiata sul fondo servente per accedere al fondo dominante).

Le parti non sono in reciproci e pacifici contatti, anzi ogni azione o tentativo di mediazione posto in maniera superficiale (errore nell'individuare la particella in maniera catastale nel titolo, omessa trascrizione su una particella del titolo in Conservatoria) può essere ottima iniziativa per avviare cause civili da parte del proprietario del fondo dominante seppur su presupposti assolutamente illogici o sproporzionati al caso, ciò pur di non eseguire la manutenzione prescritta dal titolo a carico del fondo servente.

Le opere di manutenzione e nuova cementazione della strada che si rendono necessarie giovano anche al proprietario del fondo servente e si chiede se in forza dell'indicazione nel predetto titolo di costituzione ("le manutenzioni e le eventuali bitumazioni o cementazioni saranno a carico del proprietario del fondo dominante") il proprietario del fondo servente deve concorrere nelle spese di manutenzione della strada oggetto della servitù?

Si chiede cortesemente un parere legale circa la validità del titolo di servitù in presenza di errori e vizi evidenziati al fine di chiedere al proprietario del fondo dominante di eseguire la manutenzione.

Si chiede anche un parere legale circa i presupposti (mancata manutenzione della strada, errori e omessa parziale trascrizione) per intentare un tentativo di mediazione (dinanzi a che Giudice/figura?) o in estremis la costituzione in giudizio (a norma di quale articolo del c.p.c.?) al fine di liberare il fondo servente dalla servitù di transito di autocarri o in ultima istanza pretendere il rispetto dei vincoli imposti dal titolo (manutenzione della strada a carico del fondo dominante) e mantenerlo attivo.

Grazie dell'attenzione.
Saluti.”
Consulenza legale i 17/08/2023
Per rispondere alla domanda principale che qui viene posta si ritiene possa essere decisivo richiamare quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, con sentenza n. 5208 del 16.03.2016.
In particolare, con tale sentenza la S.C. ha contribuito a chiarire un importante principio in tema di servitù prediali fornendo, con l’occasione, anche utili delucidazioni su alcuni concetti generali in materia di interpretazione del contratto.
Analogamente al caso in esame, quello di cui si è occupata la Corte di Cassazione riguardava la controversia tra due proprietari confinanti avente ad oggetto la costituzione di un servitù di passaggio a favore di uno dei due, controversia derivante dalla dedotta nullità da parte del proprietario del fondo servente del contratto costitutivo di servitù per inesistenza della particella catastale indicata nel medesimo contratto.

La Suprema Corte giunge alla conclusione secondo cui deve ritenersi ammissibile la regolare costituzione di una servitù prediale anche senza l’indicazione della particella catastale interessata, e ciò perchè gli elementi riportati nel contratto contestato consentono di individuare i fondi oggetto delle pattuizioni, per cui non può sussistere alcuna nullità in ordine all'oggetto del contratto, che risulta determinato.
D’altro canto, viene anche precisato, l'indicazione dei dati catastali non assume carattere necessario neppure nell'individuazione dell'immobile oggetto di una compravendita immobiliare, in quanto valore decisivo e prevalente è attribuito dalla giurisprudenza di legittimità all'indicazione dei confini, i quali, concernendo punti oggettivi di riferimento esterni, consentono la massima precisione (Cass. 24 aprile 2007 n. 9857).
Di contro, i dati catastali, avendo tra l'altro finalità di natura tributaria, hanno carattere meramente sussidiario.

Ebbene, una semplice lettura del contratto costitutivo di servitù (avente la forma della scrittura privata con sottoscrizione autenticata) e dei suoi allegati consente di individuare con estrema precisione le particelle sulle quali grava la servitù, e ciò per le seguenti ragioni:
a) viene esattamente descritta ed individuata, anche mediante indicazione dei confini, la fascia di terreno gravata da servitù;
b) le parti hanno allegato sub lettera “A” l’estratto di mappa ove risulta evidenziata quella medesima fascia di terreno.

A tutto ciò si aggiunga che, a prescindere da ogni possibile difetto nella costituzione della servitù, risulta ormai perfino trascorso il periodo di tempo richiesto dalla legge (artt. 1168 e ss. c.c.) per poterne vantare il venire ad esistenza per antico possesso, sussistendo opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio.
Pertanto, rispondendo alle prime domande che vengono poste, può dirsi che non si ravvisa alcun valido presupposto per pretendere, nè in via giudiziale né in via stragiudiziale, la dichiarazione di estinzione e/o inesistenza della servitù su quella particella indicata come facente parte di un erroneo foglio di mappa.
A ciò si aggiunga che, trattandosi di servitù volontariamente costituita, la stessa, a differenza di quella coattiva, non può dirsi cessata per impossibilità di fatto di farne uso o per il venir meno della sua utilità.
In tal senso è orientata la giurisprudenza sia di legittimità che di merito, secondo cui le servitù volontarie possono venir meno soltanto per confusione, prescrizione o quando siano stipulate nuove pattuizioni, consacrate in atto scritto, che ne modifichino l’estensione o le sopprimano.
Proprio per tale ragione è sempre auspicabile che tra i patti negoziali, in forza dei quali la servitù viene costituita, sia previsto, accanto all’indicazione degli obblighi e diritti ed alla descrizione del fondo servente e di quello dominante, anche un termine finale, al raggiungimento del quale la servitù dovrà intendersi immediatamente ed automaticamente estinta (ciò che qui non è stato fatto).

La valida costituzione ed esistenza della servitù di cui si discute induce a poter ammettere che deve intendersi come attualmente valido e vincolante l’intero regolamento contrattuale che le parti hanno di comune accordo deliberato con la scrittura privata del 14.02.2001, ed in particolare quella clausola in forza della quale le parti convengono che “la realizzazione della strada, la sua eventuale bitumazione o pavimentazione in calcestruzzo, manutenzione…sono a totale carico del proprietario del fondo dominante…”.
Ovviamente, al fine di non incorrere in un abuso del diritto, il proprietario del fondo servente potrà pretendere soltanto quei lavori che risultino necessari e/o utili per rendere possibile il corretto esercizio della servitù, risultando peraltro tale pretesa conforme al disposto normativo ed, in particolare, al contenuto degli artt. 1030 e 1069 c.c.

La prima di tali norme prevede che, salvo che il titolo non disponga diversamente, il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l'esercizio della servitù (così Cass. 7655/2004), e ciò in conformità al principio di carattere generale secondo cui servitus in faciendo consistere nequit (la servitù può sostanziarsi soltanto in un pati o in un non facere).
Ovviamente non possono farsi rientrare tra le prestazioni accessorie a cui tale norma fa riferimento i comportamenti indispensabili per l’esercizio della servitù, come nel caso in cui si richiede al proprietario del fondo servente di aprire il cancello per consentire il passaggio oppure nell'ipotesi di una servitù di presa d'acqua in cui il deflusso dell'acqua dal fondo servente dipenda dal fatto che il proprietario di questo azioni una pompa elettrica e proceda all'apertura di una saracinesca ( cfr. Cass.15101/2014; Cass. 4011/1981; contra Cass. 1131/1981).

L’art. 1069 c.c., invece, fa proprio riferimento al caso in cui debbano essere eseguite opere necessarie per conservare la servitù, ponendo l’obbligo di sostenere le relative spese in capo al proprietario del fondo dominante, ma precisando all’ultimo comma che se le opere giovano anche al fondo servente, le spese dovranno essere sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
In particolare è stato osservato che l’obbligo di contribuzione, previsto da quest’ultimo comma, sussiste non solo nell’ipotesi in cui il proprietario del fondo servente utilizza lo stesso apparato che rappresenta il mezzo per l’esercizio della servitù, ma in ogni altro caso in cui dai lavori eseguiti il proprietario del fondo servente tragga giovamento, il quale non può consistere in un semplice aumento di valore, ma in un vantaggio concreto.

Le predette regole, tuttavia, valgono “salvo che sia diversamente stabilito dal titolo”, ciò che le parti hanno in effetti convenuto nel caso di specie in forza della clausola a cui sopra si è fatto riferimento ed in conformità, peraltro, al principio di libertà ed autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 del c.c. ed a cui si ispira l’ordinamento giuridico italiano.

Sulla scorta di quanto fin qui detto, dunque, e fermo restando, come si è prima accennato, che il proprietario del fondo dominante può avanzare pretesa all’esecuzione delle opere a cui si fa riferimento nel contratto avendo riguardo al parametro della indispensabilità di dette opere per la conservazione della servitù (dovendosi, invece, ritenere esclusi gli interventi non strettamente necessari al godimento della servitù, come si legge in Cass. n. 492/1995), può rispondersi a quanto chiesto nell’ultima parte della consulenza nel seguente modo:
il proprietario del fondo servente può agire in giudizio per far dichiarare l’estinzione della servitù soltanto se riesce a dimostrare che per venti anni (termine generale di prescrizione per l’esercizio di ogni diritto) non si è fatto uso della stessa.
In difetto di ciò, l’estinzione della servitù potrà derivare soltanto da un successivo accordo negoziale raggiunto tra le medesime parti.

Dovendosi la servitù ritenere regolarmente e validamente costituita, il proprietario del fondo servente potrà pretendere che il proprietario del fondo dominante assolva all’obbligo assunto per contratto di sostenere per intero le spese necessarie per la manutenzione della stradella sulla quale la stessa servitù viene esercitata, purchè si rispetti il parametro della indispensabilità di tali opere.
In caso di inadempimento da parte del proprietario del fondo dominante, e dopo una prima diffida stragiudiziale, sarà necessario ricorrere all’autorità giudiziaria (Tribunale, competente ex art. 9 del c.p.c.), al fine di ottenere una sentenza di condanna per violazione di obbligo di fare, da poter mettere in esecuzione ex artt. 612 e ss. c.p.c. (la scrittura privata con sottoscrizione autenticata, purtroppo, non può farsi valere quale titolo esecutivo per obbligazioni di fare o di non fare, come si può evincere dal testo dell’art. 474 del c.p.c.).

R. R. chiede
lunedì 22/05/2023
“Buongiorno,
ho un fondo dominante agricolo di circa un ettaro con ulivi secolari ereditato dai miei genitori, a loro volta aquistato negli anni cinquanta.
Raggiungibile solo con mezzi cingolati a causa della strada scoscesa con una pendenza elevata, forse poteva andare bene in quegli anni quando i miei genitori scendevano a piedi non negli anni 2000.
Devo dire che con il proprietario del fondo servente non riesco ad avere un dialogo si comporta come proprietario assoluto anche della stradina di tre metri sulla quale dovrei passare per accedere al fondo e addirittura controlla coloro che autorizzati da me passano con trattori o altri mezzi.
Ad ogni passaggio puntualmente mi fa notare che i mezzi potrebbero provocare danni al terreno ma senza nessun fondamento perchè li il terreno a mio avviso è roccioso e stabile.
Vorrei sistemare ovviamente a mie spese la strada per potervi accedere senza rischiare ogni volta di farmi male, qualche volta ho provato ad accennare il discorso al proprietario e ovviamente lui non accetta forse la interpreta come un'imposizione.
Voglio capire come devo comportarmi, cosa posso fare e quali sono i miei diritti dal punto di vista legislativo.

Anticipatamente ringrazio”
Consulenza legale i 29/05/2023
In tema di servitù il principio che vige è quello per cui il titolare del diritto può usarlo solo a norma del suo titolo o del suo possesso (art. 1065 del c.c.).
Nella fattispecie in esame, quindi, il proprietario del fondo dominante deve preliminarmente esaminare il contenuto del proprio diritto e verificare che gli eventuali lavori che vuole eseguire non mutino il possesso del diritto.

Controllato questo aspetto, il titolare del diritto di servitù può eseguire le opere necessarie per conservare la servitù scegliendo però il modo e il tempo che rechino il minor incomodo per il proprietario del fondo servente ai sensi dell’art. 1069 c.c.
Normalmente le spese sono a carico del fondo dominante ma in caso le opere giovino anche al fondo servente i costi sono da sostenere in proporzione dei rispettivi vantaggi.

La legge non prevede altri oneri per il proprietario del fondo dominante che deve solo stare attento a recare il minor incomodo al fondo servente, oltre al rispetto dei limiti del contenuto del proprio diritto.

La giurisprudenza ha stabilito, inoltre, che la facoltà di accedere per eseguire le opere è strumentale all’esercizio del proprio diritto di servitù e il proprietario del fondo servente non può impedire l’ingresso (Cass. civ. n 3634/2007).

Nel caso in oggetto, quindi, il titolare del diritto di servitù può accedere al terreno senza dover chiedere il consenso del proprietario del fondo servente e iniziare le opere necessarie ponendo però attenzione ai limiti già esposti.

Trattandosi di rapporti delicati, si consiglia di predisporre e mostrare un progetto di lavoro chiaro e dettagliato che non arrechi danno al terreno servente, così da accordarsi con l’altro proprietario sul momento migliore in cui eseguire le opere.

Qualora questo non fosse possibile e il proprietario del fondo servente dovesse impedire l’accesso per i lavori, ci si dovrà rivolgere ad un legale che, in base a quelli che sono stati i comportamenti turbativi, deciderà se intraprendere un’azione possessoria o una mediazione stragiudiziale per trovare un accordo sulle modalità di eseguire le opere.

G. B. chiede
domenica 02/10/2022 - Emilia-Romagna
“Buongiorno . Sono propietario dal 2007 di un magazzino / deposito di 85 Mq altezza 3,30 Mt posto al piano terra di un condominio con 17 unita immobiliari su cui grava una servitù di passaggio legata alle condutture pricipali in ferro del riscaldamento che sono posizionate all'jnterno su 3 lati e poste ad una altezza di 3 metri . nell'arco di circa 10 anni ho posizionato sotto e sopra alle condutture per sfruttare al meglio gli spazi a disposizione scaffalature , ripiani, materiali e masserizie private e legate alla mia attivita' artigianale al solo scopo di deposito ( la sede legale della mia attivita' è a un altro indirizzo). In data 28-04-2022 l'assenblea condominiale ha deliberato con la maggioranza dei presenti e il mio no, di porre in atto gli inerventi legati al 110 % . Nel capitolato e progetto di fattibilità è previsto di coibentare gli intradossi dei box auto e dei magazzini esistenti (NON OBBLIGATORIO SI VEDA DELIBERA ASSENBLEARE PRECEDENTE) compreso il mio con 12 cm di isolante essendo ambienti non riscaldati e di sostituire le condutture legate alla servitù di passaggio.Questo intervento porterà un notevole onere economico e temporale per lo smontaggio e spostamento di scaffalature e materiali che inciderà negativamente anche sulla mia attività professionale.
In data 05-05-2022 in un incontro presso il magazzino alla presenza mia, di architetto progettista, geometra impresa esecutrice, amministratore condominio, altro responsabile ditta esecutrice, mi viene proposto verbalmente a titolo di risarcimento,da parte dell'architetto la sostituzione dei serramenti e la posa di un cappotto di soli 7 cm per limitare la perdita di volumetria, a carico della ditta esecutrice .Premesso che: in data 20-07-2022 la banca ha autorizzato la cessione del credito alla ditta esecutrice la quale ha iniziato in data 05-09-2022 i lavori per la posa del ponteggio e altre attività inerenti i lavori ed il cantiere, alla data 02-10-2022 il mio magazzino risulta ancora pieno al 98% per motivi personali nonostante i solleciti da parte dell'amministratore a vuotarlo, i lavori per la sostituzione delle condutture avverranno il prossimo anno per evidenti motivi stagionali, questi lavori comportano una notevole perdita di volumetria al mio locale dovuta alla posa del materiale isolante
DOMANDO QUANTO SEGUE :
-- Nel caso che la ditta esecutrice non ottemperi ( molto probabile visto l'andamento della cosa) alla proposta dell' architetto esistono i pressuposti per una istanza di risarcimento o indennizzo da effettuare a carico del condominio per i costi e i disagi eventualmente da me sostenuti per liberare i locali ?
-- Spetta al condominio farsi carico dello smontaggio e spostamento di scaffalature e materiali vista la presenza della servitù di passaggio legata alle condutture del riscaldamento che vanno sostituite ?
-- Posso chiedere un contributo al propietario dell'appartamento sopra al magazzino visto che a lui vanno tutti i vantaggi e a me tutti gli oneri ?
-- Posso rifiutarmi di far posare l'isolante ,considerando che nella delibera assenbleare precedente è stato scritto che non è obbligatoria la posa di isolante nei sottotetti ,box auto e magazzini . l'architetto ha detto che senza l'autorizzazione dei propietari non possono accedere ai box privati e sottotetti ?
Grato per una esaustiva risposta porgo Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 07/10/2022
E’ fuori di dubbio che il magazzino di cui è proprietario l’autore del quesito è gravato di una servitù a favore delle altre proprietà del condominio di cui le tubature costituiscono l’evidente mezzo di esercizio.
Posto l’esistenza di tale peso, tecnicamente possiamo considerare il magazzino come il fondo servente di tale rapporto di servitù, laddove le unità immobiliari che si avvantaggiano e beneficiano del passaggio delle acque necessarie al loro riscaldamento sono da considerarsi fondi dominanti.

Dato questo per assodato, l’art. 1069 del c.c. ci dice che è il proprietario del fondo dominante il soggetto tenuto ad eseguire sul fondo servente tutte le opere necessarie alla conservazione della servitù: di contro, ovviamente, il proprietario del fondo servente è obbligato ad acconsentire l’accesso al suo fondo affinché dette opere necessarie vengano eseguite.

In questo senso quindi l’art.1069 del c.c. costituisce una limitazione al diritto di proprietà del proprietario del fondo servente, il quale se non vi fosse la servitù potrebbe del tutto legittimamente impedire l’accesso al suo fondo a chicchessia.

Proprio per tale motivo la giurisprudenza ha precisato che il proprietario del fondo servente è obbligato ad acconsentire l’accesso alla sua proprietà da parte del proprietario del fondo dominante solo quando quest’ultimo ha la necessità di realizzare opere indispensabili alla conservazione della servitù, e non quando le opere che si vogliono realizzare sono prive di tale indispensabile requisito (Cass.Civ.,Sez.II n.492 del 17.01.1995).

Ora nel caso specifico non pare proprio che le opere che intendono fare gli altri condomini sulle tubature rivestano quel carattere di indispensabilità e necessarietà richiesto dalla giurisprudenza: le tubature infatti, per quanto si è capito, funzionano benissimo anche senza la necessità dell’intervento che il condominio si prefigge di realizzare.

Diverso sarebbe il caso se le tubature, ad esempio, fossero rotte e si verificassero delle perdite di liquido: in questo caso l’intervento riveste il carattere di necessarietà e il proprietario del magazzino avrebbe l’obbligo di far accedere al suo interno l’impresa incaricata di porre rimedio al guasto.

Sotto questo aspetto quindi la richiesta di sgombero dei locali avanzata dall’amministratore di condominio è del tutto illegittima: al contrario, vi sarebbero tutti i presupposti da parte dell’autore del quesito per negare l’accesso alla impresa che dovrà eseguire i lavori sui tubi adducendo la non indispensabilità dell’intervento.

Più o meno alle medesime conclusioni si giunge in merito all’altra questione posta nel quesito: ovvero se sussiste un obbligo di far accedere gli addetti della impresa edile per procedere alla posa dell’isolante nelle aree private del magazzino.

L’assemblea di condominio ex art. 1135 n.4) del c.c. ha il potere di deliberare a maggioranza la realizzazione di lavori ed interventi solo nelle parti comuni dell’edificio, non certo nelle parti in proprietà individuali, come ad esempio il magazzino dell’autore del quesito: questo è un principio assolutamente granitico del diritto condominiale. Per eseguire dei lavori all’interno delle singole unità immobiliari in proprietà esclusiva è necessario il consenso del singolo condomino al di là di qualsiasi decisione assunta durante una riunione di condominio. Per tale motivo è assolutamente possibile rifiutare la posa dell’isolante all’interno dei locali del magazzino.

Si può quindi concludere dicendo che vi sono tutti i presupposti per contestare legittimamente le richieste avanzante dal condominio e spingersi fino a negare l’accesso ai locali per l’esecuzione di lavori coinvolgenti sia le tubature che la copertura dei muri.
Ovviamente le argomentazioni illustrate potrebbero essere anche validamente utilizzate nell’ambito di un ipotetico contenzioso giudiziario coltivato dal condominio.

Poi, in una trattativa stragiudiziale vi potrebbero essere dei margini per subordinare la concessione di accedere ai locali al pagamento da parte del condominio di una somma di denaro che tenga conto delle spese sostenute per sgomberare i locali e del mancato guadagno della impresa artigiana. È molto improbabile però che l’impresa costruttrice dei lavori possa essere coinvolta nel contenzioso descritto fino a spingerla a vincolarsi espressamente con l’autore del quesito per la realizzazione di una qualche tipologia di intervento.

Ovviamente è altamente consigliabile che il contenzioso descritto sia affrontato non in solitudine ma con l’ausilio di un legale fin dalle battute iniziali.



N. C. chiede
martedì 05/04/2022 - Sicilia
“Buongiorno. Sono comproprietario per 1/4 di una strada privata per accedere in giardino, larga 5 metri e lunga 20,40. Strada che sbocca su strada del Comune. In questa strada possono accedere con le auto per entrare in giardino soltanto i proprietari dei fondi serventi,mentre proprietari dei fondi dominanti anche se comproprietari della strada, a fine strada hanno una servitù di passaggio a piedi larga 80 centimetri. Ora, uno dei proprietari di un fondo servente vorrebbe asfaltare tutta la strada ma facendo pagare la stessa somma anche ai comproprietari che non possono usufruire del passaggio con l'auto per accedere ai loro fondi. Visto che il passaggio con le auto influisce sulla maggiore usura dell'asfalto e sul costo della realizzazione della gettata dell'asfalto/ o calcestruzzo con rete elettrosaldata, come vanno ripartite le spese tra chi ne usufruisce con l'uso dell'auto e chi solo a piedi?Grazie”
Consulenza legale i 11/04/2022
Nel caso specifico trovano applicazione le norme sulla comunione e quelle sull’esercizio del diritto di servitù. I lavori di asfaltatura, infatti, nel loro complesso rientrano in quelle attività necessarie al mantenimento del bene comune, e quindi tutti i comproprietari della stradina ai sensi dell’art.1104 del c.c. devono partecipare alle spese, in proporzione alle rispettive quote di comproprietà, indipendentemente dal fatto che essi siano proprietari dei fondi dominanti o serventi.
Per quella parte dei lavori che specificatamente interessano la striscia di 80 cm gravata da servitù di passaggio pedonale e solo per quella parte, devono trovare applicazione, come già detto, le norme sulla servitù ed in particolare l’art. 1069 del c.c.
Tale norma come regola generale, pone a carico del proprietario del fondo dominante le opere necessarie per la conservazione della servitù. Il co. 3° del medesimo articolo pone una eccezione alla regola generale appena dettata nel caso in cui le opere da realizzarsi giovano anche ai proprietari del fondo servente: in questo caso, la spesa deve essere ripartita in proporzione ai rispettivi vantaggi.
Purtroppo quindi il codice civile come regola generale pone gli oneri riconducibili ai lavori che interessano la striscia di terreno di 80 cm, totalmente a carico dei proprietari dei fondi dominanti e non di quelli serventi. Nel caso specifico, però, potrebbe trovare applicazione il 3° co. dell’art. 1069 del c.c. che chiama a concorrere nelle spese di manutenzione ed esercizio della servitù, anche i proprietari dei fondi serventi, quando i lavori arrecano vantaggio anche al loro fondo. Secondo Cass. Civ. n.72 del 12.01.1976, quando il diritto di servitù si esercita solo per mezzo del fondo servente e senza l’ausilio di opere autonome (come in questo caso) ci è l’obbligo sì dei proprietari del fondo dominante di concorrere alle spese di manutenzione del fondo servente, ma solo in proporzione all’ uso che ne fanno.
In altri termini, attraverso tale principio dettato dalla suprema corte si potrebbe far accollare gli oneri di manutenzione della striscia di terreno di 80 cm quasi per intero ai proprietari dei fondi serventi, ma per la restante parte della strada opererebbe la regola generale di cui all’art.1104 del c.c. L’unico modo per non concorrere alle spese di manutenzione della stradina, sarebbe quella di rinunciare alle quote di comproprietà vantate su di essa, per mezzo di un rogito notarile.

Si precisa che si è reso il parere senza avere in visione il titolo che ha costituito la servitù di passaggio oggetto del quesito. Le norme che si sono descritte possono essere validamente derogate da clausole presenti nei rogiti di acquisto delle singole unità abitative-autorimesse oppure da un regolamento di condominio. Se, nel caso specifico, esistesse quindi un qualche rogito o regolamento che contenesse disposizioni in tutto o in parte derogatorie a quelle indicate, sarebbero tali clausole che prevarrebbero su quanto dispone il codice civile.


P. L. chiede
lunedì 28/02/2022 - Emilia-Romagna
“Buongiorno Avvocato: Mia figlia acquistò un alloggio con giardino sul quale si trovano interrate condotte, una decina di pozzetti di proprietà comune e un albero di alto fusto già presente in loco molti anni prima che il condominio fosse costruito. Le radici dell'albero causano continue rotture delle condotte per cui si è deciso di abbatterlo. A tale riguardo si vorrebbe sapere se:
- l'albero si può considerare bene comune del condominio e compreso tra quelli di cui all'art 1117 c.c.richiamato nel regolamento contrattuale;
- se è necessaria l'unanimità dei condomini;
- chi pagherà le spese di abbattimento (mia figlia a già pagato quelle per la potatura)
- chi deve fare la domanda al Comune per ottenere l'autorizzazione (l'Amministratore non vuole farla);
Grazie”
Consulenza legale i 04/03/2022
Con ogni probabilità nel caso specifico siamo di fronte ad una tipica servitù di acquedotto di chiara natura condominiale che trova il suo titolo o in un regolamento contrattuale di condominio o nei rogiti di acquisto. In forza di tale vincolo tra fondi vicini il giardino, pertinenziale ad una unità immobiliare in proprietà esclusiva e quindi non condominiale, deve sopportare il passaggio di tubi di scolo delle acque relativi ad impianti condominiali.

In una servitù di questo tipo il giardino è chiaramente il fondo servente, in quanto è il fondo che deve sopportare il passaggio dei manufatti, mentre il condominio e quindi le altre unità immobiliari, sono il fondo dominante, in quanto la servitù di scolo è stata costituita per la loro utilità: senza tale vincolo, infatti, con ogni probabilità gli altri appartamenti non avrebbero accesso agli impianti fognari pubblici.

In forza dell’art. 1069 del c.c. il proprietario del fondo dominante (quindi il condominio) è tenuto a compiere sul fondo servente tutte le opere necessarie alla conservazione della servitù, scegliendo tempi e modi per recare meno incomodi al proprietario del fondo servente (il giardino di proprietà esclusiva di un condomino). Se però l’opera giova anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.

L’abbattimento dell’albero di alto fusto è chiaramente un’opera necessaria per garantire la conservazione della servitù; il quesito non offre elementi per ritenere che l’abbattimento della pianta possa giovare anche al giardino: anzi, il suo proprietario magari avrebbe tutto l’interesse a mantenerla, in quanto sicuramente arricchisce la sua proprietà donando ombra e prestigio estetico.

Applicando la normativa sulla servitù ed in particolare l’art. 1069 del c.c. il proprietario del giardino (fondo servente) è chiamato però a sopportare l’abbattimento della pianta che è opera necessaria alla conservazione della servitù, mentre il condominio (fondo dominante) è chiamato a sopportarne le spese di abbattimento: tali spese dovranno poi essere suddivise pro quota tra tutti i condomini utilizzando la tabella generale di proprietà.

In proporzione alla sua quota millesimale anche il proprietario del fondo servente dovrà comunque partecipare alla spesa relativa all’abbattimento dell’albero, ma questo avviene non in quanto egli è proprietario del fondo servente, ma in quanto condomino chiamato come gli altri proprietari a far fronte alle spese necessarie alla conservazione dei beni comuni condominiali (le tubature che passano per il suo giardino).


In merito ai permessi amministrativi da richiedere per procedere all’abbattimento è opportuno rivolgersi al Comune di competenza, ma con ogni probabilità l’istanza dovrà essere presentata dal proprietario del giardino.


F.P. chiede
domenica 03/10/2021 - Lazio
“Ho acquistato un terreno agricolo ove insiste, per l'accesso, una servitù di passaggio costituita con atto notarile nel 1995 dai vecchi proprietari. Tale servitù è adiacente al confine del fondo del vicino (servente) che ha già escluso dalla sua proprietà la striscia di terreno oggetto di servitù realizzando un muro divisorio, per cui di fatto la recinzione attuale che divide le due proprietà include nel mio fondo anche la striscia della servitù in quanto a suo dire "oramai quello spicchio non poteva più essere da lui utilizzato".
Tutto pacifico, ma al momento in cui ho iniziato la manutenzione dell'ingresso con l'intenzione di consolidare il suolo del passaggio per non affondare e sostituire il vecchio fatiscente esistente cancello con uno nuovo, mi ha bloccato asserendo che la proprietà della servitù è sua anche se di fatto sono il dominante e con la recinzione eseguita anche se ricade nel mio fondo non devo modificare nulla in quanto devo solo transitare e basta. In conclusione devo affondare nel terreno quando è bagnato e tenere la mia proprietà aperta poiché il vecchio cancello è oramai inservibile non manutenibile poichè arrugginito e altro (sono costretto a legare il mio cane perchè esce sulla strada con le responsabilà penali di omessa custodia che ne conseguono).
Inoltre il vicino, poiché il mio terreno non è intercluso, ha un'estensione lineare di circa 20 metri adiacente alla strada comunale, asserisce che devo realizzare un ingresso nuovo spostandomi nella mia effettiva proprietà.
Il confine con la strada è delineato da una macera, per installare un nuovo cancello ne dovrei abbattere una parte, permessi, autorizzazioni spese di realizzazione (peraltro la zona è sottoposta a svariati vincoli: paesaggistici, parco Castelli Romani, le macere sono tutelate per cui per l'istruttoria della pratica va coinvolto il Ministero, Regione, Comune, e altri).
Per informazione: in tempi remoti circa 100 mq di suolo che ricadevano nella proprità del vicino erano del mio vecchio proprietario e per eliminare lo sconcio furono scam biati queste due porzioni ma evidentemente forse per questioni di frazionamento la parte assegnata al mio terreno fu denominata "servitù di passaggio". Non si può risalire a formali atti parlima di 2/3 generazioni addietro e come dicevo l'atto di servitù è stato formalizzato dagli eredi solo nel 1995.
Gentili Avvocati come mi devo muovere? Cordialmente”
Consulenza legale i 29/10/2021
Le pretese del vicino, nonché proprietario del fondo servente, non appaiono fondate.
Infatti l’art. 1069 c.c. stabilisce che il proprietario del fondo dominante, nell'eseguire le “opere necessarie per conservare la servitù”, deve scegliere il tempo e il modo tali da arrecare “minore incomodo” al proprietario del fondo servente.
Da ciò si desume, appunto, che il proprietario del fondo dominante ha il diritto di realizzare tali opere, come ha chiarito Cass. Civ., Sez. VI - 2, ordinanza 15/03/2017, n. 6653.
Le relative spese, sempre ai sensi dell’art. 1069 c.c., sono a carico del proprietario del fondo dominante, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge; se si tratta, però, di opere utili anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
Quanto alla pretesa del vicino di trasferire in un altro punto l’ingresso al fondo dominante, nel nostro caso non ha rilevanza la eventuale non interclusione del medesimo: non siamo in presenza, infatti, di una servitù coattiva, costituita o da costituire, ma di una servitù volontaria. Si potrebbe, tutt’al più, discutere se la servitù in questione sia stata acquistata per usucapione o per contratto, dal momento che l’atto notarile sembra avere valore di semplice ricognizione di una servitù già esistente: tuttavia, sembrerebbe comunque essere trascorso il periodo di tempo necessario ad un acquisto per usucapione (si tratta comunque di un aspetto da approfondire).

STEFANO P. chiede
lunedì 07/06/2021 - Lombardia
“Buon giorno, la mia domanda è relativa ad una servitù di passaggio che grava su un terreno di proprietà di mio padre.
Il terreno su cui è edificata l'abitazione dei miei genitori originariamente era un terreno unico successivamente frazionato in 4 lotti di uguale dimensione (2 lotti anteriori con accesso alla strada pubblica e 2 lotti posteriori che si trovavano a non avere accesso alla strada pubblica).
Per creare un accesso ai lotti posteriori è stato posto in carico a ciascuno dei lotti anteriori l'onere di lasciare ciascuno una striscia di terreno larga 3 metri in modo da formare una strada larga 6 metri. La striscia lasciata da ciascun proprietario è restata di proprietà esclusiva ma gravata dall'onere della servitù in favore dei lotti di terreno posteriori.
Il problema è che in questa strada abbiamo creato l'accesso carraio per l'accesso al cortile e ai box, ma ultimamente questo accesso viene reso difficoltoso dalle auto dei proprietari dei fondi dominanti che invece di accedere alle rispettive proprietà lasciano i propri veicoli e quelli degli amici sulla strada "comune" anche se chiamarla comune non è del tutto corretto visto che la proprietà resta per metà mia e per metà del mio vicino.
La presenza delle auto mi impedisce di poter accedere al box che non essendo parallelo al cancello carraio impone la necessità di dover fare manovra ed entrare in retromarcia ed essendo l'auto di grandi dimensioni la cosa spesse volte risulta difficoltosa o non fattibile costringendomi a poter solo accedere al cortile per poi attendere che le auto se ne vadano per poter fare manovra.
I vicini del fondo dominante (con cui siamo in lite per motivi di vecchia data) fanno questa cosa volutamente e asseriscono che lo spazio necessario per accedere al mio cortile lo lasciano e che non è un loro problema se non riesco ad accedere al box.
Le mie domande al riguardo sono:
1( La servitù di passaggio da anche diritto alla sosta oppure si deve limitare al solo passaggio
2) Essendo questo un terreno privato posso in qualche modo agire su chi mi impedisce di poter accedere al mio box con la mia auto (posso chiamare eventuali Carabinieri per fare rilevare la situazione)
3) L'onere della manutenzione di questa strada privata gravatà di servitù deve essere totalmente a carico dei due proprietari o deve essere suddivisa anche tra i proprietari dei fondi dominanti
In sintesi la situazione che è banale e che potrebbe essere risolta con un po di buon senso si sta trasformando in una lite quotidiana fatta di dispetti quindi volevo capire se c'era qualche modo per agire in piena legalità o se mi devo "obbligare" a subire questi dispetti infantili.
Fino ad ora non ci sono stati reali problemi solo disagio ma se per assurdo dovesse accadere un evento straordinario (es. una grandinata) che mi danneggia l'auto che non ho potuto ricoverare nel box perché l'accesso mi è stato impedito, per questo volevo agire e capire se potevo fare qualche cosa al riguardo.
Ringrazio anticipatamente

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 18/06/2021
Prima di rispondere alle domande contenute nel quesito, occorre puntualizzare che nell’atto notarile del 1971, in effetti, non è menzionata alcuna servitù.
Tuttavia, nel medesimo documento al punto 2 con riguardo ad ogni “diritto, onere, servitù attiva e passiva” si richiama il rogito notarile del 1966. Potrebbe quindi essere che proprio in quest'ultimo atto sia stata costituita la servitù.
Ad ogni modo, a prescindere dall’esistenza o meno di una costituzione formale, è pacifico che una servitù di passaggio di fatto esista da circa 50 anni.

Chiarito ciò, con riguardo la prima domanda si osserva quanto segue.

In linea generale, un diritto di servitù di passaggio comporta soltanto la mera facoltà di transito e non anche di parcheggio o deposito di oggetti, altrimenti si avrebbe un illegittimo ampliamento della servitù.
Come aveva osservato la Suprema Corte con la sentenza n.23708/2014il parcheggio di autovetture costituisce manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, del quale difetta la realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità, così come al fondo servente del peso (sent. 7 marzo 2013 n. 5760), mentre la mera commoditas di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari”.
Tuttavia, ciò non toglie che non possa essere costituita una servitù in tal senso.
Come infatti puntualizzato dalla Corte di Cassazione in una successiva pronuncia: “In tema di servitù, lo schema previsto dall’art. 1027 c.c. non preclude in assoluto la costituzione di servitù avente ad oggetto il parcheggio di un’autovettura su fondo altrui, a condizione che, in base all’esame del titolo e ad una verifica in concreto della situazione di fatto, tale facoltà risulti essere stata attribuita come vantaggio in favore di altro fondo per la sua migliore utilizzazione” (sentenza n.16698/2017).

In risposta alla prima domanda, possiamo dunque affermare questo.
In linea di principio, la servitù di passaggio comporta un mero diritto di transito.
Tuttavia, se è previsto dal titolo costitutivo (v. atto notarile del 1966 da verificare) ed è comunque fattibile nella situazione in concreto, può aversi anche un diritto di parcheggio.
Nella presente vicenda, per quanto sappiamo, in mancanza del titolo formale costitutivo e per come è descritto lo stato dei luoghi, riteniamo che non sia legittimo il parcheggio di autovetture che limiti il passaggio di altri per accedere al box, come nel Suo caso.

Con riguardo la seconda domanda, si osserva invece quanto segue.
Sicuramente, si può chiedere tutela in via giudiziale (se qualsiasi tentativo bonario continua a non sortire effetto) per l’arbitrario parcheggio di autovetture sulla strada di cui Lei è comproprietario.
Ciò può avvenire sia in sede civile che penale.
Da quest’ultimo punto di vista, si potrebbe sporgere una denuncia solo laddove il parcheggio impedisca del tutto l’accesso al box integrando in tal caso il reato di violenza privata (art. 610 c.p.).
Sul punto, la Cassazione con sentenza n.1912/2018 aveva evidenziato che: “la mera difficoltà, in capo alla parte offesa, ad eseguire la manovra, pur causata da una condotta volontaria e certamente censurabile da parte del ricorrente, non costituisce violenza privata se non ha determinato un impedimento assoluto alla libertà di movimento” e che “integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l'accesso alla parte lesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione".
Nella presente vicenda, leggiamo che il parcheggio rende “soltanto” più difficoltosa la manovra.
Riteniamo dunque si debba escludere la tutela penale.

Sotto il profilo civile, invece, riteniamo che sia azionabile la tutela possessoria prevista dall’art. 1170 del codice civile trattandosi di molestie nel possesso della strada.
Come aveva evidenziato la Cassazione nella sentenza n. 12080/2000: “Ad integrare una molestia suscettibile di legittimare l'esercizio dell'azione possessoria di manutenzione è sufficiente un'attività materiale o giuridica, consapevolmente posta dall'agente, direttamente o indirettamente e con un apprezzabile contenuto di disturbo che comporti un diverso modo di essere del possesso o del suo esercizio, senza che occorra che detta attività si sustanzi in una specifica violazione di legge.“
A questa forma di tutela dello stato di fatto, si aggiunge l’eventuale tutela dello stato di diritto in merito al contenuto della servitù tramite l’azione prevista dall’art. 949 c.c. considerato che appunto quanto posto in essere dalla controparte, per quanto allo stato è dato sapere, costituisce un illegittimo ampliamento del diritto di servitù.

Infine, in risposta all’ultima domanda contenuta nel quesito si evidenzia quanto segue.
L’art.1069 del codice civile stabilisce che le spese per la manutenzione e conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante salvo che sia diversamente stabilito dal titolo di costituzione della servitù (al quale, nel caso che ci occupa, non possiamo fare riferimento). La medesima norma stabilisce altresì che se le opere “giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi”.

Come ha evidenziato la Suprema Corte con la sentenza n.6653/2017Le spese inerenti le opere necessarie alla conservazione della servitù, eseguite - sia pure nel proprio interesse - dal proprietario del fondo servente, vanno sostenute sia da quest'ultimo che dal proprietario del fondo dominante, proporzionalmente ai rispettivi vantaggi, in applicazione estensiva dell'art. 1069, comma 3, c.c.. “
Nella presente vicenda, per come è stato descritto lo stato dei luoghi ed il loro utilizzo, riteniamo che le spese per la manutenzione della strada debbano intendersi a carico di entrambe le parti e cioè sia dei proprietari del fondo servente che di quello dominante.

Paolo L. M. R. chiede
lunedì 18/09/2017 - Lombardia
“Posseggo un box in un Condominio autobox - lo chiamo D - (90 box), l'accesso ai box dalla viabilità pubblica avviene tramite uno stradello di pertinenza di un SuperCondomino - lo chiamo S - 350appartamenti- su cui, stradello, grava a favore del Condominio D una servitù perpetua e gratuita di passaggio e transito.
Sullo stesso stradello gode di servitù perpetua e gratuita di passo e transito un altro Condominio autobox ( che chiamo X - 90 autobox).
Il Condominio S ha avanzato richiesta al Condominio D di partecipare alle spese per la manutenzione ordinaria (verde, pulizia ecc - su aree non asservite) e straordinaria nell'eventualità di rifacimento del manto stradale (stradello) e dei collettori fognari sottostanti la pavimentazione stradale. E' legittima la richiesta del condominio S (fondo servente)? se sì in quale misura l'eventuale contributo.”
Consulenza legale i 22/09/2017
Per rispondere al quesito si ritiene estremamente utile richiamare in premessa la sentenza n. 11684/2000 della Corte di Cassazione, ove è detto che l’art. 1027 c.c., nel disciplinare la categoria generale delle servitù, stabilisce la funzione del diritto di servitù, consistente nel peso imposto su un immobile per l'utilità di un altro immobile, ed avente l’effetto di costituire un rapporto tra i rispettivi proprietari.

In quanto tale si distingue dall'onere reale, il quale invece si identifica in una qualità giuridica dell'immobile, da esso inseparabile, avente come effetto quello di obbligare il proprietario ad eseguire prestazioni positive e periodiche, di dare o facere, a favore del proprietario di altro immobile o di altro soggetto.

Sulla base di tale distinzione si può dunque affermare che, quando si è in presenza di una servitù, si pone a carico del proprietario del fondo servente un onere di compartecipazione alle spese soltanto per quelle opere qualificabili come essenziali per la conservazione della servitù, che siano di giovamento anche al proprietario del fondo servente stesso.

Precisa anche il terzo comma dell’art. 1069 c.c. che, se le opere necessarie per conservare la servitù giovano a entrambi i fondi, servente e dominante, le relative spese debbano essere ripartite in proporzione dei rispettivi vantaggi.
Trattasi di una norma costituente l’applicazione di un generale principio di equità, scaturente dall’esigenza di evitare indebiti arricchimenti, il quale sarà applicabile anche nel caso inverso, e non specificamente contemplato, in cui sia il proprietario del fondo servente ad eseguire su quest’ultimo, sia pure nel proprio interesse, opere necessarie alla conservazione della servitù (Cass. Sez. 2, 05/07/1975, n. 2637; Cass. 15/02/1982, n. 949).

Qualora poi i titolari di servitù di passaggio siano più d’uno, dovrà ritenersi che tutti siano tenuti al diretto e fattivo mantenimento del bene ex art. 1069 c.c., così come non potrà che esservi tenuto il medesimo titolare del fondo servente, che di tale fondo compia l’identico uso effettuato dal titolare del fondo dominate.

Di tale problematica si è di recente occupata la Corte di Cassazione, Sezione sesta civile, nella sentenza n. 6653 del marzo 15 marzo 2017, statuendo il principio secondo cui “allorché il proprietario del fondo servente abbia eseguito su quest’ultimo, sia pure nel proprio interesse, opere necessarie alla conservazione della servitù, le relative spese devono essere sostenute sia dal proprietario del fondo dominante che da quello del fondo servente in proporzione dei rispettivi vantaggi”.

Traslando dunque i principi appena espressi al caso di specie, può concludersi dicendo che il Condominio D (fondo dominante) sarà tenuto a contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria sostenute o da sostenere dal condominio S (fondo servente) soltanto nella misura in cui tali spese si rendano necessarie per la conservazione della servitù.
Saranno tali sicuramente le spese di rifacimento del manto stradale e dei collettori fognari, allorché questi ultimi servano a far defluire l’acqua della stradella di passaggio, mentre non si avrà alcun obbligo di contribuire alle spese di manutenzione di verde, pulizia, ecc, su aree non asservite al passaggio, dovendo queste restare ad esclusivo carico del fondo servente.

Sembra ovvio precisare che a tali spese sarà tenuto a contribuire anche il condominio X nella sua qualità di fondo dominante, sempre in virtù del principio espresso dall’art. 1069 c.c., e che per una precisa determinazione della misura della partecipazione sarebbe opportuno avvalersi dell’ausilio di un tecnico di comune fiducia.

Altra soluzione sarebbe quella di affidare agli amministratori dei singoli condomini la quantificazione delle spese e la conseguente attribuzione in misura percentuale delle stesse sulla base di una realistica analisi dei vantaggi/benefici in gioco; fatto ciò, ciascun amministratore prospetterà alla propria assemblea la quantificazione per la decisione in merito (ed il riparto tra i rispettivi condòmini); in mancanza, solo il Giudice potrà definire il tutto.

Va detto infine che tali conclusioni possono valere nei limiti in cui su tale porzione di terreno destinata a stradella gravi di fatto una servitù di passaggio, poiché se le tre strutture condominiali fanno parte di un unico complesso immobiliare, costituente nel loro insieme un supercondominio, allora si avrà una diversa disciplina.

In quest’ultima ipotesi, infatti, troveranno applicazione espressa le norme sul condominio negli edifici e, pertanto, tutti i condomini, ciascuno in proporzione alla rispettiva quota di proprietà, saranno tenuti a contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria che verranno deliberate dalla maggioranza dei condomini del supercondominio, anche relativamente ad opere non riguardanti la sola stradella, ma l’intera area esterna condominiale.

Alessia M. chiede
giovedì 19/05/2016 - Friuli-Venezia
“Buonasera. Ho un immobile su un lotto intercluso e godo di servitù di transito volontaria sia pedonale sia con ogni mezzo meccanico sulla proprietà del vicino. Il suddetto vicino sta facendo crescere da una decina d anni delle palme a 2 metri dal mio confine non rispettando i 3 metri di larghezza della servitù previsti dalle planimetrie. Queste palme hanno tutte le foglie ad altezza occhi che invadono il passaggio. Posso tagliare le foglie ai sensi dell art 1069 ? Il vicino dice che mi denuncia per violazione di proprietà privata e atti di vandalismo. Grazie”
Consulenza legale i 27/05/2016
L'art. 1069 del c.c., nel disciplinare le cd. opere sul fondo servente, stabilisce che:
"[I]. Il proprietario del fondo dominante, nel fare le opere necessarie per conservare la servitù, deve scegliere il tempo e il modo che siano per recare minore incomodo al proprietario del fondo servente.
[II]. Egli deve fare le opere a sue spese, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge.
[III]. Se però le opere giovano anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi".
In generale, "la servitù può comportare per il proprietario del fondo servente l'obbligo di un facere, purché esso costituisca solo un'obbligazione accessoria che non esaurisce l'intero contenuto della servitù, in quanto volto solo a consentirne il completo esercizio. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto compatibile con il contenuto di una servitù di passaggio l'obbligo di tagliare i rami ovvero di potare gli alberi che ne ostacolavano l'esercizio)" (cfr. Cassazione Civile, Sez. II, 17 giugno 2010, n. 14622).
Occorre precisare immediatamente che, l'obbligo in capo al proprietario del fondo servente di potare i rami (o le foglie) degli alberi che si trovano sul proprio fondo, si configura laddove tale intervento sia necessario per il completo esercizio della servitù del proprietario del fondo dominante.
Infatti, la Giurisprudenza ha evidenziato che "Presupposto per l'applicazione dell'art. 1069 c.c. (in tema di opere sul fondo servente eseguite dal proprietario del fondo dominante) è che le opere medesime siano necessarie per conservare la servitù.
Pertanto, più precisamente, nel caso di specie, difficilmente potrebbe dimostrarsi che le palme piantate "in mezzo" alla servitù di transito (come riportato nella integrazione al quesito formulato), costituiscano un impedimento totale all'esercizio completo della servitù, poiché se così fosse, certamente il proprietario del fondo dominante non avrebbe atteso venti anni prima di richiederne la rimozione.
Al contrario, si ritiene che, per quanto riguarda il taglio delle foglie delle palme in questione, in virtù dell'art. 1069 del c.c. ed alla luce della Giurisprudenza richiamata, il proprietario del fondo servente debba contribuire alle spese sostenute per il taglio, in proporzione del vantaggio conseguito che comunque ne deriverebbe (a titolo meramente esemplificativo: "In tema di servitù, gli oneri manutentivi previsti dal comma 1 dell’art. 1069 c.c. (relativi, nel caso di specie, alle opere di rifacimento necessarie per rendere fruibile una strada investita da una servitù di passaggio) devono essere imputati, in proporzione ai rispettivi vantaggi, per effetto del disposto di cui all’art. 1069 comma 3 c.c., a tutti i soggetti interessati titolari di servitù di passaggio ed anche al proprietario del fondo servente che della strada faccia il medesimo uso del proprietario del fondo dominante: e ciò in virtù di un’interpretazione estensiva degli obblighi riconducibili, ex art. 1069 comma 1 c.c., al proprietario del fondo dominante, dal momento che nel caso in questione si è in presenza di un’obbligazione inerente la spesa per il mantenimento della servitù, strumentale all’esercizio della stessa" (cfr. Tribunale Teramo, 1 ottobre 2013, n. 870).

Roberto B. chiede
sabato 01/08/2015 - Toscana
“su una strada privata, non di proprietà, lunga ml.2.000 usufruita da più proprietari di terreni o fabbricati con terreni,(di valore differente) disposti lungo tutta la strada a distanza differente dall'inizio della stessa, senza un fondo dominante ma dove tutti hanno per il diritto di passo per contratto notarile; con quale criterio devono essere suddivise le spese di ordinaria e straordinaria manutenzione ?”
Consulenza legale i 24/08/2015
Nel caso esposto esiste una servitù di passaggio su una strada privata a favore di più proprietari il cui fondo si affaccia lungo il percorso, a distanze diverse dall'imbocco della strada.
E' legittimo chiedersi, quindi, come si suddividono le spese per il mantenimento e conservazione delle opere mediante le quali si esercita la servitù.
Il codice civile non pone una regola precisa e diretta, ma parziale risposta alla domanda si può comunque ricavare dall'art. 1069 del c.c.
Questo stabilisce che il proprietario del fondo dominante deve fare a sue spese le opere necessarie per conservare la servitù, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge. La giurisprudenza ha ritenuto applicabile l'art. 1069 anche alle opere straordinarie e non solo a quelle ordinarie (per la conservazione della cosa) contemplate nel dispositivo.

Nel caso di specie, si dovrà, quindi, innanzitutto leggere con attenzione gli atti notarili con cui è stata costituita la servitù, per comprendere se siano state poste regole precise per la suddivisione delle spese.
Se il "titolo" non dice nulla, né esistono norme speciali di legge che regolano l'uso di quella strada, si torna alla disciplina generale.

Il caso in esame non può farsi rientrare nella disciplina della comunione ordinaria, regolamentata dal codice civile agli artt. 1100 e seguenti: difatti - secondo la dottrina maggioritaria - la comunione sorge solo se il fondo "dominante" è il medesimo per tutti i titolari della servitù, mentre nel caso di specie esistono fondi diversi di proprietà di diversi soggetti, anche se la servitù ha contenuto identico per tutti, visto che insiste sulla stessa stradina.

Ciascuno dei proprietari dei fondi che confinano con la stradina su cui hanno il passaggio sarà, quindi tenuto a partecipare alle spese di conservazione in proporzione al vantaggio che ne ricava, potendosi applicare analogicamente il terzo comma dell'art. 1069 c.c., laddove stabilisce il criterio della "proporzionalità dei rispettivi vantaggi" nella suddivisione delle spese tra proprietario del fondo dominante e proprietario del fondo servente: chi abita a pochi metri dall'imbocco della strada, e non ne fruisce per l'intera lunghezza (si presuppone che si tratti di strada chiusa, perché se essa fosse accessibile da ambo i lati, non potrebbe più applicarsi tale ragionamento) dovrà pagare proporzionalmente meno rispetto a chi ha il proprio fondo situato al termine del viale.

Come anticipato, non ci sono regole precise per la suddivisione, se i contratti che costituiscono le servitù non hanno stabilito qualcosa di specifico (percentuali, quote predeterminate, etc.), ma saranno le parti a doversi accordare.
Se i soggetti in gioco non trovano un accordo, resta purtroppo quale unica alternativa il ricorso all'autorità giurisdizionale - gli interessati potranno ottenere un provvedimento che stabilisca le quote contributive proporzionali di spettanza di ciascun proprietario -, preceduto dall'esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione (d.lgs. n. 28/2010).

O. S. chiede
venerdì 01/07/2022 - Lombardia
“Buongiorno,

giorni fa sono stato minacciato in maniera arrogante e perentoria dal mio vicino, se non provvederò entro una settimana dal 28/06, della chiusura degli scarichi delle acque della mia terrazza che scaricano sulla sua sottostante soletta di copertura del suo locale contiguo.

Premesso che la casa dei miei genitori, quasi centenaria, è almeno dal 1945, anno di acquisto della mia famiglia, con gli scarichi tale e quali a quelli di oggi e che fino ad una quarantina di anni fa scaricavano nel retrostante giardino dei genitori degli attuali eredi. Rapporti ottimi tra genitori tant’è che mio padre acconsenti che costruissero questo locale, credo si tratti di una abitazione accessoria alla villa originaria, contro il nostro muro e accettò che si alzassero le nostre finestre, con riduzione della luce, in modo che loro avessero un’altezza adeguata nel locale dalla soletta.

Tutto liscio fino al 1993 anno di morte di mio padre e fino al decesso, non so quando, dei genitori degli attuali eredi. Ricordo un anno in particolare, il 1996, durante l’estate di quell’anno ben 5 bambini rallegrarono per una settimana questa casa e la terrazza e mai una protesta per i giochi con l’acqua dei bambini. Ma in anni successivi le poche volte che io o miei famigliari siamo passati nella nostra casa è iniziato il mantra delle lamentele degli eredi.

Dalla morte di mio padre questa casa, praticamente, è stata sempre chiusa e disabitata eccetto nel periodo estivo durante il quale mia sorella trascorreva le sue vacanze. Dal 2018 è stata quasi totalmente chiusa, prima per un incidente a mia sorella e specialmente tra il 2020 e 2021 per il Covid. Ultimamente, solo saltuariamente occupata da me, per brevi periodi, per disbrigo di pratiche amministrative e burocrate in loco della mia famiglia a seguito del decesso di mia sorella.

Sono arrivato a XXX il 26/06 per l’ennesimo impegno amministrativo burocratico. Ho lavato la terrazza e dato i quasi 40° mi sono innaffiato con qualche litro di acqua con una “cannata”, una specie di boccale da 1 – 1,5 lt. Il risultato è stato quanto sopra.

Il vicino oltre a minacciarmi e a dimenticare che non ci siamo quasi mai. Dimentica che ha tanti alberi ad alto fusto nel giardino della villa e che in alcuni periodi dell’anno quella soletta è un ricettacolo di foglie che ostruiscono i suoi scarichi. Cosa di cui si deve essere reso conto mettendo delle reti metalliche, a circa 40 cm, attorno ai suoi scarichi.

Io gli ho fatto presente che la mia casa è precedente alla sua costruzione e che avrebbe dovuto lui provvedere a risolvere questo problema caso mai fosse realmente la fonte della infiltrazione che lamentava. Io da quanto posso vedere l’acqua dalla mia terrazza non ristagna sulla soletta e si incanala tranquillamente verso gli scarichi sottostanti. Si vedono chiaramente le tracce nelle piastrelle di copertura della soletta fino agli scarichi. Ovviamente se liberi da depositi di foglie. Mentre lui pretenderebbe che io facessi tutto un lavoro gravoso, rompendo pavimenti e muri per installare delle linee di scarico all’interno della casa per raggiungere il fronte opposto della casa. Al che ha aggiunto che è stato in comune e che gli hanno confermato che io non posso scaricare nella sua terrazza. Probabilmente ha omesso che la casa è precedente alla sua costruzione e che per quanto ne sappia io la stessa ha acquisito un diritto di servitù prediale più che decennale.

Non essendo un avvocato gradirei un vostro parere.

Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 08/07/2022
Dal racconto che è stato fornito è possibile che lei possa aver usucapito una servitù di scarico delle acque a favore della sua proprietà (fondo dominante) e a carico della proprietà del suo vicino (fondo servente).

La servitù di scarico è un diritto reale di godimento che consente al titolare di un fondo di liberarsi delle acque sovrabbondanti del proprio fondo passando attraverso la proprietà del vicino. Essa è un tipico caso di servitù che può definirsi apparente argomentando ex art. 1061 del c.c., in quanto si caratterizza per avere delle opere che sono stabilmente destinate al suo esercizio.

La servitù di scarico in quanto apparente è usucapibile con l’esercizio della medesima per un tempo non inferiore a venti anni. Ai fini del computo di tale periodo si deve aggiungere oltre al possesso esercitato in epoca attuale anche quello esercitato dai vari aventi causa, cioè i precedenti proprietari del complesso.

Vi è però da tener conto del fatto che se anche si volesse eccepire al vicino l’intervenuta usucapione di una qualche servitù di scarico il possesso ventennale dovrebbe comunque essere provato in giudizio: in ogni caso, poi, in quanto proprietario del fondo dominante sarebbe comunque a suo carico l’onere di mantenere in buono stato manutentivo le opere necessarie ad un efficiente scolo delle acque.

L’art. 1069 del c.c., infatti, pone in capo al proprietario del fondo dominante l’obbligo di provvedere alla manutenzione delle opere necessarie alla conservazione della servitù, opere che devono realizzarsi non solo sul fondo dominante (quindi la proprietà dell’autore del quesito), ma anche sul fondo servente (quindi la proprietà del vicino maleducato).
Si consiglia quindi di trovare col proprio vicino un accomodamento, verificare per mezzo di un tecnico le origini delle infiltrazioni e magari accordarsi per una equa suddivisione delle spese da sostenere.

Massimo R. chiede
giovedì 18/03/2021 - Friuli-Venezia
“Buongiorno.
Desidero avere un parere sulla servitù come esposta negli allegati.
Rimango a disposizione per ulteriori chiarimenti se necessari.
Oggetto: servitù, richiesta chiarimenti.
Spettabili Avvocati.
Desidero sottoporre alla Vostra disamina il contratto costituente la servitù in oggetto.
Nel 1966 con una divisione testamentaria, nella quale mia madre mi rappresentava in quanto minore, veniva costituita una servitù, come descritta negli allegati “Servitù Costituzione.pdf” e “Servitù Planimetria.pdf, i cui firmatari erano parenti stretti.
Essendo proprietario della maggior parte del fondo servente vorrei verificare, prendendo spunto dalla sentenza della Cassazione Civile sezione II n°5434/2010 anche se non è questo il caso, se esiste la possibilità riformulare la servitù in maniera meno onerosa e meno generica per il fondo servente.
Quello che mi disturba di più è la dicitura “servitù di transito carraia nel senso più lato”, è evidente che il minor danno per il fondo servente non è stato preso in considerazione, per cui si fa transitare qualsiasi cosa di qualsiasi dimensione per un numero innumerevole di volte, anche arrecando danni mai riconosciuti o comunque grande disturbo al fondo servente, i solai sono in legno. Io tenderei ad interpretare la dicitura nel senso che è concesso il transito genericamente, senza nessuna priorità, a pedoni, cicli, motocicli, autoveicoli tenendo conto, però, del minor onere possibile e quindi non qualsiasi cosa di qualsiasi grandezza. Stesso principio dicasi per il resto.
Il portone di accesso è largo 2,4 mt. e alto 2.5mt. vedi allegato “Androne.jpg”.
Vorrei stabilire a chi e in quale misura spetta la manutenzione del luogo della servitù: cortile, androne, portone.
In poche parole vorrei riscrivere totalmente la servitù in modo tale che siano perfettamente individuati i veicoli a cui è consentito il transito i cui proprietari dovrebbero essere solo i residenti del fondo dominante, otre che il passaggio pedonale. Inoltre indicare esattamente dove posare condotte e tubi, specificandone caratteristiche dimensioni e quantità.
In attesa di un Vs. riscontro distintamente saluto.”
Consulenza legale i 29/03/2021
Per rispondere al presente quesito possiamo prendere le mosse proprio dalla pronuncia della Cassazione in esso citata, vale a dire la n. 5434 del 05/03/2010 (Sez. II Civ.).
Tale sentenza ha ribadito, innanzitutto, che “il contenuto ed i limiti della servitù di passaggio vanno desunti dal titolo costitutivo interpretato, ove occorra, anche in rapporto alla situazione dei luoghi senza che questa possa assumere rilievo autonomo e preponderante”.
In secondo luogo, in tema di servitù prediali, l'art. 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell'estensione e dell'esercizio delle servitù, tra le quali il ruolo di fonte primaria è attribuito al titolo costitutivo del diritto.
Invece, le regole dettate dai successivi artt. 1064 e 1065 c.c. rivestono carattere meramente sussidiario: ciò significa che “tali precetti [...] possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l'impiego di adeguati criteri ermeneutici; ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento, senza possibilità di ricorrere al criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente”.
Anche in Cass. Civ., Sez. II, n. 15046 del 11/06/2018, si afferma che “gli artt. 1063, 1064 e 1065 c.c. contemplano una graduatoria delle fonti regolatrici dell'estensione e dell'esercizio delle servitù, nel senso che il riferimento primario è costituito dal titolo, da interpretarsi secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre i precetti dettati dai successivi art. 1064 e 1065 c.c. rivestono carattere meramente sussidiario e possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti lacune o imprecisioni non superabili mediante l'impiego dei generali criteri ermeneutici”.
In quest’ottica, il giudice è tenuto a ricorrere al criterio sussidiario del contemperamento delle esigenze del fondo dominante con il minore aggravio del fondo servente, “tenendo conto, con riferimento all'epoca della convenzione, dello stato dei luoghi, della naturale destinazione dei fondi e di tutti gli elementi mediante i quali è possibile individuare le esigenze del fondo dominante e quindi l'utilitas che le parti hanno inteso soddisfare con l'asservimento”, solo laddove “non risultino indicazioni risolutive dai titoli costitutivi della servitù”: al riguardo la Corte porta ad esempio l’ipotesi in cui, nel costituire una servitù di passaggio, sia previsto soltanto il diritto di transito senza altre specificazioni.
Possiamo dunque concludere che l’applicazione dei citati criteri sussidiari presuppone una genericità dell’atto di costituzione della servitù, un “vuoto” tale da non poter essere colmato mediante il ricorso ai normali criteri interpretativi.
Nel nostro caso, l’atto con cui è stata costituita la servitù è piuttosto chiaro nel delimitare l'oggetto e l’estensione della stessa. In particolare, ivi si legge: “attraverso il sottoportico ed il cortile [...] viene costituita una servitù di transito carraio nel senso più lato, nonché di condutture sotterranee attinenti agli impianti idrici, igienici, elettrici, telefonici e simili a favore degli immobili [...]”.
Come si vede, dunque, quanto alla possibilità di transito dei veicoli, la formulazione dell’atto è sufficientemente chiara e difficilmente equivocabile nel prevedere una servitù di passaggio carrabile “nel senso più lato”, con conseguente impossibilità di invocare il criterio sussidiario del minor aggravio di cui all’art. 1065 c.c.
Considerazioni analoghe possono farsi con riferimento al passaggio delle condutture.
Quanto alla configurabilità di una limitazione del transito ai soli residenti, come prospettato nel quesito, essa è stata esclusa sempre dalla Cassazione, Sez. II Civ., da ultimo con la recente sentenza 19/02/2019, n. 4821: “in tema di servitù prediali di passaggio, il contenuto del relativo diritto comprende tutte le concrete e varie modalità del suo esercizio, inteso quale "utilitas" che il proprietario del fondo dominante riceve non soltanto in via diretta, ossia mediante l'esercizio del diritto proprio o dei familiari o di coloro che detengano il fondo in suo nome, ma anche in via indiretta, attraverso le visite di terzi, riferibili alle normali esigenze della vita di relazione”.
Pertanto, la possibilità di “riscrivere” il contenuto della servitù, come richiesto nel quesito, presuppone che vi sia un accordo tra le parti (che probabilmente nel nostro caso manca).
Quanto alla manutenzione del luogo su cui si esercita la servitù, dobbiamo fare riferimento all’art. 1069 c.c., ai sensi del quale:
  • è il proprietario del fondo dominante ad eseguire le opere necessarie per conservare la servitù: deve tuttavia scegliere tempi e modi che rechino il minore incomodo al proprietario del fondo servente;
  • tali opere vanno eseguite a spese del proprietario del fondo dominante, salvo che sia diversamente stabilito dal titolo o dalla legge;
  • se, però, le opere arrecano vantaggio anche al fondo servente, le spese sono sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
Riguardo all’art. 1069 c.c. la giurisprudenza ha precisato che “le opere necessarie alla conservazione della servitù sono a carico del proprietario del fondo dominante che ha, perciò, facoltà di accedere al fondo servente per realizzarle, riconducendosi tale facoltà, di natura accessoria, al contenuto stesso del diritto di servitù, al cui normale esercizio è, quindi, strumentale. Pertanto, poiché nel nostro ordinamento il godimento del diritto di proprietà - ai sensi dell'art. 832 cod. civ. - viene esercitato entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge, nell'ambito dei limiti di natura privatistica rientra anche il divieto di impedire l'accesso al proprio fondo al proprietario del fondo dominante che intenda eseguire le opere previste dal citato art. 1069 cod. civ.” (Cass. Civ., Sez. II, 16/02/2007, n. 3634).

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