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Articolo 985 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Miglioramenti

Dispositivo dell'art. 985 Codice Civile

L'usufruttuario ha diritto a un'indennità per i miglioramenti(1) che sussistono al momento della restituzione della cosa [157].

L'indennità si deve corrispondere nella minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti(2).

L'autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento dell'indennità prevista dai commi precedenti sia fatto ratealmente, imponendo in questo caso idonea garanzia [1151, 1179](3).

Note

(1) Se l'usufrutto viene in essere per atto tra vivi, compreso il caso della donazione, può essere deciso, contrariamente a quanto affermato dalla disposizione in oggetto, che l'usufruttuario non possa essere compensato in alcun modo per le migliorie operato sul fondo.
(2) Quanto versato dall'usufruttuario per effettuare le migliorie non deve essere conteggiato (allo scopo di comparare costo e risultato) in forza del principio nominalistico, dal momento che si deve tenere conto anche della svalutazione monetaria esistente dal momento del pagamento e quello in cui la somma deve essere restituita.
(3) Se il proprietario si rifiuta di prestare la garanzia prevista dalla disposizione in esame, ne deriva a suo scapito l' impossibilità di rateizzare, senza, peraltro, che l'usufruttuario acquisti il diritto di rifiutare la restituzione della cosa.

Ratio Legis

Sottointeso della norma è che l'usufruttuario non debba mutare la destinazione economica del bene.

Spiegazione dell'art. 985 Codice Civile

Il problema dell'indennità per miglioramenti

L'art. 495 del codice del 1865, partendo dal presupposto che l'usufruttuario non può rendere più onerosa la posizione del proprietario, escludeva qualunque indennità per i miglioramenti apportati dall'usufruttuario anche se avessero aumentato il valore della cosa e ammetteva soltanto che l'aumento di valore potesse compensarsi coi deterioramenti che fossero seguiti senza colpa grave dell'usufruttuario, stabiliva inoltre che, rispetto alle addizioni separabili, usufruttuario avesse un ius tollendi che però il proprietario poteva paralizzare pagando all'usufruttuario una somma corrispondente al prezzo che questi ne poteva ritrarre staccandole.

Sono note le controversie che si sono avute sulla interpretazione dell'art. 495, ritenendo alcuni che l'esclusione del diritto alla indennità riguardasse i miglioramenti in senso stretto e non le addizioni, ritenendo altri che la lettera e lo spirito della disposizione non autorizzava alcuna distinzione fra miglioramenti e addizioni, salvo, per le addizioni separabili senza nocumento della cosa, l'esercizio dello ius tollendi da parte dell'usufruttuario. Quasi tutti gli scrittori erano però d'accordo nel rilevare che l'esclusione di ogni diritto a indennità per i miglioramenti era eccessivamente rigorosa e finiva col pregiudicare l'interesse sociale all'incremento della produttività delle cose, interesse particolarmente notevole per i fondi rustici per i quali il problema dell'indennità per i miglioramenti richiedeva con sempre maggiore urgenza una soluzione che di quell'interesse tenesse conto.

Il Progetto preliminare (art. 136) aveva attenuato il rigore della norma del codice ammettendo l'indennità per i miglioramenti quando questi fossero stati fatti a scienza e senza opposizione del proprietario. Ma questa soluzione intermedia alla fine non apparve sufficiente, si che l'art. 984 riconosce incondizionatamente il diritto dell'usufruttuario all'indennità per i miglioramenti che sussistono al momento in cui, estinto l'usufrutto, la cosa e restituita al proprietario.

La legge, a proposito dell'usufrutto (come del resto a proposito dell'enfiteusi l' art. 975, del possesso l' art. 1150 della locazione l'art. 1592), distingue tra miglioramenti e addizioni e detta una diversa disciplina quasi sempre impostata sul riconoscimento di una diritto all' indennità per i miglioramenti, e sul riconoscimento di uno ius tollendi per le addizioni che può essere neutralizzato dalla volontà del proprietario di ritenerle mediante il pagamento di un compenso.


Concetto di miglioramento

La differenza concettuale fra miglioramenti e addizioni, che il legislatore ha voluto riaffermare anche a fini pratici, consiste principalmente nel fatto che i miglioramenti non danno luogo ad una nuova entità, sia pure unita o incorporata alla cosa, ma risultano o da una disposizione nuova degli elementi che costituiscono la cosa o dall'aggiunta di elementi nuovi che però si compenetrano e si confondono cogli elementi originari, mentre le addizioni importano la creazione di una nuova entità che conserva o può riacquistare una propria individualità. Il miglioramento, in quanto rappresenta un potenziamento qualitativo della cosa (ad es. bonifica, prosciugamento, dissodamento etc.) è intrinseco a questa e non e suscettibile di essere rimosso o separato perché non può essere individuato negli elementi originari attraverso il cui impiego è stato posto in essere, invece l'addizione, in quanto importa una estensione quantitativa della cosa (es. costruzioni, piantagioni) può essere individuata nei suoi elementi costitutivi e quindi e suscettibile di essere rimossa o separata, anche se la rimozione fa perdere all'addizione il carattere e la struttura che aveva acquistato attraverso l'unione o l'incorporazione alla cosa principale (come nel caso di rimozione di una costruzione che trasforma questa in un complesso di materiali).

I miglioramenti per i quali l'usufruttuario ha diritto a indennità sono naturalmente quelli che non solo rispettano la destinazione economica della cosa, ma che sono fatti nell'ambito della destinazione medesima. Se il codice non ripete per i miglioramenti dell'usufruttuario il limite del rispetto della destinazione economica della cosa che invece espressamente ricorda per le addizioni, ciò è perchè il legislatore non ha considerato miglioramenti quelli fatti al di fuori e indipendentemente dalla destinazione della cosa o che possono produrre un'alterazione di essa. Se l'usufruttuario pone in essere opere utili che modificano o possono modificare la destinazione economica che alla cosa ha dato il proprietario, egli sarà responsabile verso di questo secondo i principi generali, del pari non avrà diritto a indennità per miglioramenti che non hanno per oggetto la cosa in quella destinazione, perchè in tal caso mancherà il risultato utile che deve essere appunto valutato in funzione di quel limite generale del godimento dell'usufruttuario che è la conservazione della destinazione economica della cosa.


L'indennità dovuta all'usufruttuario

n diritto dell'usufruttuario all'indennità sorge solo se il risultato utile dei miglioramenti sussiste al momento in cui la cosa è restituita al proprietario. Veramente il testo dell'articolo si riferisce al momento della cessazione dell'usufrutto, ma è evidente che questo riferimento è stato fatto avendo riguardo alla normalità dei casi in cui i due momenti coincidono e che perciò, se l'usufruttuario o i suoi eredi sono in mora a restituire la cosa, non possono pretendere indennità per i miglioramenti che esistevano al momento della cessazione dell'usufrutto ma non in quello in cui la cosa viene effettivamente restituita (arg. ex art.1150 che per il possessore considera appunto il momento della restituzione).

La misura dell'indennità è determinata con gli stessi criteri adottati dalla legge per il possessore di mala fede. Mentre infatti per il possessore di buona fede (art. 1150 del c.c.) e per l'enfiteuta nel caso di devoluzione (art. 975 del c.c.) il proprietario deve corrispondere un'indennità equivalente all'aumento di valore, invece per il possessore di mala fede, per l'usufruttuario e per il conduttore l'indennità, dovuta corrisponde alla somma minore fra lo speso e il migliorato. L'assimilazione, sotto il profilo considerato dell'usufruttuario al possessore di mala fede e giustificata dall'esigenza di non aggravare la posizione del proprietario oltre i limiti in cui appare legittima la tutela delle ragioni dell'usufruttuario.

Si potrebbe discutere se a garanzia della indennità per i miglioramenti l'usufruttuario abbia il diritto di ritenzione l pari del possessore di buona fede (art. 1152 del c.c.) e dell'enfiteuta (art. 985 del c.c.). Ma è indubbio che la legge abbia voluto escludere per l'usufruttuario tale garanzia: ciò si rileva non solo per il fatto che l'usufruttuario non può essere considerato alla stregua del possessore di buona fede, ma dal fatto che per l'enfiteuta la legge, risolvendo una questione sorta sotto il codice del 1865, ha ritenuto di ammettere espressamente la ritenzione, mentre per l'usufruttuario l'ha ammessa solo in alcune ipotesi determinate (art. 1011 del c.c.) e non a garanzia dell'indennità per I miglioramenti. E non è pensabile un'estensione analogica delle disposizioni relative al possessore di buona fede e all'enfiteuta perchè, a parte la natura eccezionale o meno del diritto di ritenzione, vi è intrinseca diversità tra la posizione di questi e quella dell'usufruttuario, e inoltre per l'enfiteuta e il possessore di buona fede la ritenzione è ammessa solo quando nel giudizio di devoluzione o di rivendicazione sia stata data la prova almeno generica dell'esistenza delle migliorie, situazione questa che, com'è ovvio, non si può verificare per l'usufruttuario.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

473 La disciplina dei miglioramenti fatti dall'usufruttuario differisce notevolmente da quella del codice anteriore. Mi è sembrato eccessivamente rigoroso il criterio seguito dall'art. 495 del codice del 1865, che negava ogni indennità per i miglioramenti, salvo il diritto di compensare l'aumento di valore apportato alla cosa con i deterioramenti seguiti senza grave colpa dell'usufruttuario. Ho invece riconosciuto sempre (art. 985 del c.c., primo comma) il diritto dell'usufruttuario a un'indennità, purché, s'intende, i miglioramenti sussistano al momento della restituzione della cosa. Non ho dato rilievo a eventuali opposizioni da parte del proprietario, perché l'interesse generale dell'incremento della produzione esige che non siano posti limiti alla facoltà dell'usufruttuario di migliorare le colture e di accrescere la fertilità dei fondi. Circa la misura dell'indennità, ho stabilito (art. 985, secondo comma) che essa debba essere corrisposta nella minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti, conferendo all'autorità giudiziaria il potere di disporre, avuto riguardo alle circostanze del caso, che il pagamento dell'indennità sia fatto ratealmente, salvo prestazione d'idonea garanzia.

Massime relative all'art. 985 Codice Civile

Cass. civ. n. 10065/2018

In tema di diritto di abitazione, il credito derivante dalle migliorie e dalle addizioni apportate č inesigibile prima della restituzione del bene al nudo proprietario, in quanto, in applicazione del principio del divieto di arricchimento ingiustificato, solo al momento della riconsegna č possibile verificare se sia residuata una differenza tra lo speso e il migliorato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 18/09/2013).

Cass. civ. n. 8765/2010

In caso di donazione della nuda proprietā di un immobile con riserva di usufrutto, attesa la natura di diritto reale di quest'ultimo, il nudo proprietario non č tenuto al pagamento di alcuna indennitā in favore dell'usufruttuario, salva la sussistenza di titoli diversi o ulteriori, quali la locazione o il possesso di mala fede.

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A.F. chiede
mercoledė 13/10/2021 - Campania
“Vorrei impugnare il verbale di assemblea condominiale datato 8 ottobre 2021 relativo ad una palazzina in Napoli alla Via (omissis), in quanto io quale usufruttuaria dell'appartamento al primo piano, ove ho anche la residenza, non sono stata mai convocata, precisando che non ho mai comunicato all'Amministratore del condominio di essere usufruttuaria dell'appartamento, mentre nuda proprietaria è mia sorella con la quale non convivo, la quale è stata sempre convocata via PEC. Inoltre, ho appreso per caso che anche i due figli di altro condomino sono nudi proprietari e non sono stati mai convocati, mentre è stato convocato sempre il di loro padre titolare di diritto di abitazione, sulla sua email personale.”
Consulenza legale i 19/10/2021
Gli errori che attengono alla convocazione dei condomini alla riunione condominiale possono essere messi a fondamento di una eventuale impugnazione della delibera assembleare. Ai sensi del 2° co. dell’art. 1137 del c.c. l’impugnazione deve essere proposta entro il termine perentorio e obbligatorio di 30 gg., che per i condomini non presenti alla riunione decorrono dal giorno in cui viene loro comunicato il verbale della assemblea.

Visto che la riunione di condominio ha avuto luogo il giorno 8 ottobre scorso, si è ancora nei termini per avanzare una qualche contestazione a ciò che l’assise ha deciso. Tale probabilità è resa ancora più reale dal fatto che il termine indicato dall’art. 1137 del c.c. può ritenersi rispettato nel momento in cui si propone davanti ad un organismo abilitato un'istanza di mediazione: atto che può sicuramente redigersi anche in tempi molto brevi e ristretti rispetto ad un atto di citazione nei confronti del condominio, che dovrà essere poi notificato all’amministratore e iscritto successivamente a ruolo.

Si ricorda che ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs n.28/2010, nelle cause condominiali l’instaurazione del procedimento di mediazione diviene un passaggio obbligatorio e condizione necessaria per proporre poi opposizione innanzi al giudice.

Se da un punto di vista processuale si è nei termini per proporre opposizione, non è però detto che poi la stessa possa essere considerata fondata nel merito. I commi 6°e 7° dell’art. 67 disp.att. del c.c. ci dicono che l’usufruttuario ha diritto di voto in assemblea, e quindi vi è l’obbligo di convocarlo, solo se l’assise è chiamata a discutere affari di ordinaria amministrazione, salvo che egli non intenda avvalersi del diritto di cui all’art. 1006 del c.c. ovvero si tratti di opere o lavori ai sensi degli art.985 e 986 del c.c. In tutti gli altri casi, il diritto di voto, e quindi l’obbligo di convocazione, spetta al nudo proprietario.

Per capire quindi se una ipotetica contestazione possa trovare accoglimento è necessario sapere gli argomenti che sono stati trattati durante la riunione dell’8.10 us.
Se tale riunione era la classica riunione condominiale annuale è molto probabile che tra i suoi argomenti all’ordine del giorno siano stati trattati affari attinenti alla ordinaria amministrazione dello stabile, come approvazione del bilancio, nomina revoca amministratore, incarico ad impresa di giardinaggio, etc. In questo caso vi era sicuramente l’obbligo di convocare l’usufruttuario.
Se la riunione, invece, aveva ad oggetto la discussione circa lavori straordinari da eseguirsi nel palazzo, allora il diritto di voto spettava senz'altro al nudo proprietario, salvo che quest’ultimo si rifiuti di partecipare alla spesa: in questo caso l’usufruttuario può sopportare lui i costi d'intervento invocando la facoltà di cui all’ art. 1006 del c.c., avendo quindi diritto di voto nell'assemblea condominiale che tratta detti interventi.

Lo stesso discorso può dirsi nel caso in cui l’assemblea discuta sulla realizzazione di determinate innovazioni sulla cosa comune ai sensi degli artt. 1120e ss. del c.c. e l’usufruttuario voglia esercitare le facoltà di cui agli art. 985 e 986 del c.c.