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Articolo 2902 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Effetti

Dispositivo dell'art. 2902 Codice Civile

Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato(1).

Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto [71 l. fall.].

Note

(1) Il creditore può scegliere di porre in essere un'azione esecutiva oppure un'azione conservativa e tale decisione è naturalmente condizionata dalla tipologia di credito che si trova concretamente dinnanzi (ad esempio, se il credito non è esigibile in quanto condizionato ex art. 1353 risulta chiaro che il creditore preferirà adottare delle misure conservative, anziché imbarcarsi in un'inutile procedura di esecuzione).

Ratio Legis

La disposizione in commento completa la disciplina inerente all'azione revocatoria ex art. 2901, confermandone la funzione strumentale e rinviando l'esercizio delle azioni esecutive o conservative ad un momento successivo ed ipotetico, potendo il debitore comunque adempiere sua sponte, sino al naturale termine di scadenza dell'obbligazione.

Spiegazione dell'art. 2902 Codice Civile

Funzione dell'azione. Cenni generali

Agli effetti dell'azione si è già qua e là accennato nel corso della trattazione e specialmente a proposito della indagine sulla qualificazione giuridica. In quest'occasione già fu messo in rilievo il carattere prepa­ratorio dell'azione e la sua direzione specifica a tutela di un dato interesse, che ne pone anche oggettivamente i confini.

Trattasi cioè di provocare, in sede cognitoria, una dichiarazione giu­diziale di inefficacia dell'atto .di disposizione che rimuova l'impedi­mento ad eventuali procedure realizzate sui beni alienati, in favore del creditore procedente e contro il terzo acquirente. Dichiarazione di inefficacia che agisce in funzione e proporzione esclusiva dell'interesse del detto creditore, come ambito patrimoniale di operatività, come estensione utile soggettiva e come oggettivazione su determinati beni. Per cui, da una parte, l'azione non può profittare ad altri creditori che non prendano parte al giudizio, e dall'altra non può giovarsene neppure il debitore, agendo il creditore procedente in base ad un diritto proprio e non in via surrogatoria, ed a tutela esclusiva della propria ragione cre­ditoria, la quale risulta appagata quando sui beni perseguiti possa comunque trovare realizzazione. Gli altri creditori che vogliano profittare dell'azione debbono processualmente associarvisi, o nel momento ini­ziale, o mediante tempestivo intervento, con che si precostituiranno ancor essi la declaratoria indispensabile a partecipare all'azione esecutiva sui beni. E quanto al debitore, se egli deve essere citato nel giudizio, ciò è solo in funzione della sua posizione giuridica, essenziale nella perpe­trazione dell'illecito contrattuale, e quindi per la legittimità del contradditorio, in un giudizio che deve operare anche nei suoi confronti, mentre d'altro canto, la sua presenza in causa permette l'utile spiegamento, nello stesso processo, di eventuali domande di rivalsa da parte del terzo convenuto in giudizio, contro il proprio autore. Ma, considerata l'azione nei rapporti del creditore procedente, come questi nulla di concreto può al debitore domandare, a prescindere dai cennati effetti astratti della declaratoria anche nei suoi confronti, cosi, a sua volta, nulla il debitore può chiedergli nè derivare di profittevole dalla sua azione, la quale resta operativa come tale, solo contro il terzo ed a vantaggio del credito per cui si procede.

Deve pertanto escludersi che l’azione operi l’attrazione nel patrimonio del debitore dei beni che ne furono distratti, laddove il rapporto si pone direttamente, sul piano cognitorio ed esecutivo, tra il creditore procedente e il terzo, mentre il debitore non potrebbe beneficiarne neanche per il residuo, dopo aver soddisfatto il creditore. E neppure vi è questa attrazione quale presupposto giuridico per l’esecuzione, quasi che questa avvenga contro il debitore. Laddove si provveda semplicemente a rendere i beni, a mani del terzo e attribuiti alla sua titolarità, suscettibili come tali di azione esecutiva o conservativa del creditore.



Dichiarazione di ineffi­cacia dell'atto traslativo ai fini di una futura eventuale esecuzione

Ora, questa concezione, già espressa dall'elaborazione della giurisprudenza e dalla dottrina, a appare messa anche in luce dal nuovo codice, nell'articolo in esame.

Si pone anzitutto in risalto il distacco concettuale e cro­nologico fra l'azione cognitoria di revocazione — che si conclude con la declaratoria di inefficacia – e il procedimenti di realizzazione può estrinsecarsi direttamente — ormai — attuare sui beni distratti la propria pretesa creditoria. E questa fase di verso quale, rimosso l'impedimento dell'atto revocato, il creditore può attuare sui beni distratti la propria pretesa creditoria. E questa fase di esecuzione (mobiliare od immobiliare, non distinguendo la legge circa la natura dei beni alienati, sebbene praticamente l'azione si ri­volga piuttosto contro le alienazioni immobiliari), ovvero può limitarsi intanto a quegli specifici atti conservativi con i quali i beni ven­gono staggiti nelle mani del possessore od affidati ad un terzo, ai fini (successivi) della esecuzione. Tale essenzialmente il sequestro con­servativo, come contemplato - nei suoi elementi sostanziali - agli ar­ticoli 2905 e seguenti del presente capo, e come particolarmente rego­lato, sotto l'aspetto processuale, negli articoli 671 e seguenti del codice di rito. Sequestro il quale ha bensì la- funzione propria di assicurare al creditore la conservazione. delle garanzie (patrimoniali) del proprio credito, come rappresentate in effetti da determinati beni, ma che può convertirsi di poi in pignoramento al momento in cui il creditore, a con­clusione del giudizio di merito (rappresentante a sua volta una fase di sviluppo di quello di convalida : art. 680 cod. proc. civ.) ottenga sentenza di condanna esecutiva ; onde, il provvedimento cautelare si innesta senza altro ed assume funzione nel processo esecutivo per la realizzazione vera e propria delle ragioni del creditore.

Ma specialmente è importante la formulazione dell'articolo in esame laddove, nell'ultimo inciso del primo comma, precisa che nell'esperimento degli atti di realizzazione dovranno osservarsi le forme prescritte per la esecuzione a danno dei terzi acquirenti. Sono queste le forme indicate negli articoli 602 e seguenti del codice di rito, caratterizzate dal fatto che soggetto passivo della procedura non è, come al solito, lo stesso debitore, ma un terzo : in quanto possessore di beni di cui abbia acquistato la proprietà, ma assoggettati da vincolo reale (pegno od ipo­teca) che li persegue anche in mani aliene, — od in quanto proprietario e per beni non vincolati, ma in base ad. un atto di alienazione che sia stato revocato, negli effetti, per frode. È questo ultimo appunto il caso della revocatoria, ora contemplato — anche ai fini esecutivi — in modo espresso dalla legge. Il che, se chiarisce agli effetti pratici del rito la pro­cedura da seguirsi, basta parimenti per confermare, sotto t'aspetto so­stanziale, i principii che abbiamo indicati più sopra. Nel senso che l'ef­ficacia della revocatoria si proietta tutta sul terzo acquirente ad. esclu­sivo vantaggio del creditore che vi procede, e quindi con rigoroso misuramento, sul piano esecutivo, all’entità del credito ; mentre il debitore — sebbene parte in causa nel processo cognitorio per i fini già più volte indicati, e sebbene soggetto processuale anche del processo ese­cutivo in tale suo speciale atteggiamento -- vi assume una posizione che può dirsi integrativa, e soprattutto è messo in condizione dalla legge di non potersene in alcun modo avvantaggiare.



Limiti di operatività rispetto al debitore ed ai terzi

Posto che infatti il creditore procedente passi alla fase dell'ese­cuzione, questa opera limitatamente ai fini del soddisfacimento del credito. Il creditore non vi ha altro diritto ed altro interesse ; e per suo conto il debitore, essendosi a suo tempo definitivamente spogliato dei beni in attuazione di una facoltà di disposizione che la legge personal­mente non gli ha tolto, non può pretendere di rientrarne in possesso, anche in parte, approfittando di una situazione che altri ha provocata solo a suo vantaggio particolare.

È pertanto pacifico, come si è già sopra accennato — e più che mai aderente al sistema del nuovo codice — che il superamento eventuale dell'ese­cuzione, dopo aver soddisfatto il creditore, od i creditori procedenti, non deve essere restituito al debitore a sensi dell'art. 510 ultimo comma primo inciso cod. proc. civ., ma al terzo acquirente il cui acquisto viene così, negli effetti pratici, ad essere revocato solo entro il limite dell'interesse del credito.

E parimenti viene generalmente ammesso – in funzione dello stesso principio di interesse— che il terzo acquirente possa evitare l’esecuzione provvedendo in proprio al soddisfacimento delle ragioni del creditore mediante pagamento della somma capitale del credito e degli interessi, oltre alle spese del procedimento. Manca infatti nel creditore alcun diritto specifico sui beni, né alcuna ragione mediante pagamento della somma capitale del credito e degli alcun diritto specifico sui beni, né alcuna ragione che vada oltre gli elementi economici sopra indicati, tutti suscettibili di soddisfacimento in denaro. Onde, provvedendosi a questo soddisfacimento mediante quel mezzo essenzialmente fungibile che è la moneta, manca qualsivoglia interesse per il creditore a esercitare o proseguire l’azione.

D’altro canto, poiché la pretesa creditoria dell’attore, per effetto della revocabilità dell’atto di alienazione, viene a individuarsi direttamente nei confronti del terzo acquirente, e in virtù di azione personale che ha fondamento su una sua specifica responsabilità – e per partecipazione alla frode, o per indebita locupletazione – ne deriva che, ove il terzo si sia a sua volta spossessato del bene e questo non possa essere recuperato presso il successivo acquirente, sia tenuto il detto terzo a rispondere in proprio delle conseguenze del suo sposses­samento e cioè a soddisfare il creditore procedente in proporzione delle somme che avrebbe potuto altrimenti recuperare mediante l'esecuzione sui beni. Certo — poiché la legge ammette sotto determinate condi­zioni già infra illustrate la direzione della revocatoria e l'esplicazione degli effetti realizzativi anche nei confronti dei terzi mediati, aventi causa o titolo particolare del primo acquirente — ove ricorrano tali casi ed i terzi mediati siano tuttora in possesso dei beni, la procedura esecu­tiva, come già l'azione, piuttosto che verso il primo acquirente per la rivalsa in denaro, deve essere rivolta contro di loro ; nel qual caso la procedura sarà ancora la stessa di cui ai citati articoli del codice di rito. Ma quando l'acquisto del terzo mediato sia inattaccabile, per l'onerosità del titolo e per la buona fede, o trattisi di atto comunque anteriore alla trascrizione della domanda di revocazione (non ricorrendo la quale ultima condizione anche la buona fede non gioverebbe), allora alla im­possibilità di realizzazione sui beni deve supplire la restauratoria di­retta personale da parte dell'acquirente.

Questa soluzione può offrire qualche elemento di perplessità per il caso che l'acquisto da parte del terzo ed il successivo trasferimento siano esenti da colpa : come nel caso che l'acquisto sia avvenuto in buona fede ma a titolo gratuito e pure in buona fede sia avvenuto il successivo trasferimento a titolo oneroso (onde la sua irrevocabilità presso il terzo mediato). Ma la soluzione resiste, come principio, tenuto conto che comunque si sarebbe verificata a favore del terzo una locupletazione da considerarsi ormai senza causa. Laddove, attraverso la successiva alienazione onerosa (se fosse gratuita l'esecuzione potrebbe rivolgersi verso il terzo mediato), il corrispettivo del bene alienato ebbe ad incrementare il suo patrimonio e ciò sempre in conseguenza di un titolo ormai posto nel nulla con l'azione di revocazione. Onde dovrebbe applicarsi, quanto meno, l’ art. 1990 del c.c., nel senso della obbligatorietà di un indennizzo nei limiti dell’arricchimento.

E naturalmente il principio, ricorrendone le condizioni, vale anche per i successivi trapassi, a carico degli acquirenti che si siano poi spossessati dei beni.


Effetti consequenziali. Frutti

Attuandosi l'azione esecutiva in natura sui beni alienati, questi vi devono essere sottomessi cum omni causa, cosi come si trovavano nel patrimonio del debitore fraudator. L'acquirente deve rispondere delle diminuzioni che vi abbia cagionato dopo l’acquisto, e dei frutti. In tal senso già si esprimeva il diritto romano, nell’evoluzione del quale deve notarsi una divergenza a proposito della misura dei frutti a restituirsi ; laddove, mentre per effetto dell'astio la re­sponsabilità si estendeva anche ai frutti percipiendi, nel caso dell'inter­detto bastava la restituzione dei percetti, post iudicium incohatum. In quest'ultimo senso la questione venne poi composta in diritto giustinianeo.

E tale più equitativa soluzione è quella che dovrebbe seguirsi anche nel diritto vigente, quanto meno in ordine alla decorrenza dell'obbligo di restituzione. Non viene qui in campo l'elemento della buona fede, in quanto la relativa nozione in subiecta materia non coincide con quella tipica inerente al possesso, alla quale specificamente si riferisce la nota distinzione a proposito dei frutti. Ma piuttosto ha valore la considera­zione che l'effetto revocatorio deriva direttamente dall'azione, in senso costitutivo e non dichiarativo, rispetto ad un trasferimento che sarebbe intrinsecamente perfetto e valido ; onde, pur ammesso che la pronuncia di revoca retroagisca al momento della domanda giudiziale, questo momento non potrebbe comunque essere superato, come quello che solo può segnare l'inizio di una posizione illegittima di godimento da parte del terzo acquirente.

Quanto alla misura dei frutti, peraltro, l'obbligo dovrebbe oggi estendersi anche a quelli percipiendi, posto che in tale senso si esprime l'art. 1148, conforme all'obbligo di diligenza, di operosità che incombe, in regime corporativo, ad ogni proprietario o possessore di beni produttivi, nell'interesse dell'economia nazionale. E frutti percipiendi sono appunto, secondo la dizione dell'articolo, « quelli che il possessore (acquirente) avrebbe potuto percepire usando la diligenza di un buon padre di famiglia ».



Ragioni creditorie del terzo acquirente

Il capoverso dell'articolo in esame ha voluto disciplinare normativamente una situazione (apparente) di conflitto, o di concorso, che potrebbe verificarsi fra creditore procedente e terzo acquirente dopo l'esecuzione sui beni, per la collocazione delle rispettive pretese sul ricavato della vendita. Laddove, in dipendenza della revoca, possono sorgere a favore del terzo espropriato delle ragioni creditorie verso il debitore suo dante causa, in quanto tenuto all'evizione, od altrimenti vincolatosi, per esplicito patto contrattuale, a rivalerlo del pregi inerente ad una eventuale revocazione. Ora, nel concorso fra le due ra­gioni, se pure entrambe di fondamento obbligatorio, non reale, non poteva dubitarsi che la prevalenza dovesse essere attribuita a quella del creditore. A parte l'anteriorità del titolo almeno in via generale salvo l'ipotesi della preordinazione a sensi del 2 ° comma dell’art. 2901, tutta l'economia dell'istituto che opera a favore del creditore, in quanto vittima di una frode e portatore di una legittima aspettativa che investe tutto il patrimonio del debitore, con un sostanziale diritto di se­guito anche in caso di alienazioni ordite a suo danno. Diritto che ver­rebbe ad essere frustrato nel momento stesso in cui dovrebbe realizzarsi ove si ammettesse al concorso quello stesso terzo contro quale, e pe; una sua partecipazione di responsabilità, è stata diretta l'azione. D'altra parte, già si é visto come l'azione sia in funzione soltanto dell'interesse del creditore e non operi che in suo confronto, restando esclusi da un pos­sibile concorso sia il debitore che gli altri creditori i quali non abbiano partecipato all'azione. Non vi era ragione pertanto di creare una posi­zione diversa per il terzo acquirente in quanto creditore verso il debi­tore fraudator, trattandosi anzi di un creditore meno degno di tutela, per la partecipazione che ha avuto — in ipotesi, anche solo obbiettiva, di approfittamento — ad un negozio illecito.

D'altra parte, non si trova in contraddizione con tali principii la di­sposizione dell'ultimo inciso del comma, che ammette il terzo acquirente al concorso sul residuo, dopo che il creditore sia stato soddisfatto. In realtà, più che di un'azione sul residuo trattasi qui di una restituzione, o meglio la collocazione funziona come mezzo per pervenire a tale dove­rosa restituzione. Laddove già si è visto come l'azione revocatoria operi solo in funzione ed in misura dell'interesse del creditore procedente, senza poter profittare nè al debitore nè a terzi. Onde dovrebbe essere oggettivata solo su quel tanto di beni che basti a soddisfarne l'interesse, restando il supero in legittima pertinenza del terzo. Ma se, per ragioni di opportunità processuale, l'azione venga rivolta sopra un complesso di beni di valore superiore al credito, logico è che almeno il residuo del ricavato ritorni, dopo soddisfacimento del creditore, al terzo, come a ripristino di quella situazione che avrebbe dovuto essere rispettata — limite quantitativo — dalla esecuzione. Ora qui la disposizione in esame interviene appunto, in sostanza, a questo fine, lasciando tuttavia in facoltà del terzo di profittarne laddove egli potrebbe rinunziarvi, perseguendo altrimenti il proprio interesse nei confronti del proprio debitore.

Data tale impostazione la disposizione potrebbe dunque ritenersi pleonastica. Tuttavia non è sembrata inopportuna al legislatore una precisa affermazione, a chiarimento definitivo di dibattiti che si erano prima profilati sull'argomento.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

111 Si è precisato che l'effetto della impugnativa dell'atto è la dichiarazione di inefficacia nei confronti del creditore che la domandi. Con questo si è voluto sciogliere, risolvendo una serie di controversie, la formula generica "impugnare" dell'art. 1235 cod. civ. che la Commissione reale ha ritenuto di far propria, e si è sostituita una formula che nega alla revocazione, così un effetto semplicemente riparatorio a favore del creditore, come un effetto di nullità dell'atto anche nei confronti tra terzo e debitore.
Ho, ancora, affermato che la dichiarazione di inefficacia dell'atto riguarda soltanto il creditore che la domanda, per escluderne la diffusione degli effetti nella sfera di quei creditori che rimasero inattivi: ciò corrisponde, del resto, al carattere individuale dell'esecuzione forzata contro il debitore non commerciante.
114 Gli effetti della revocazione in confronto ai terzi mediati sono stati regolati nell'art. 127.
Sono noti i dubbi ai quali dà luogo l'interpretazione dell'ultimo comma dell'art. 1235. Si discute particolarmente se la disciplina di detto comma riguarda i soli atti a titolo oneroso o altresì quelli a titolo gratuito; ed è sembrato che fosse preferibile risolvere la disputa nel senso che gli atti a titolo gratuito seguono la sorte della revoca pronunciata nei confronti del terzo contraente, e devono quindi dichiararsi inefficaci per effetto della sola conoscenza del pregiudizio da parte del debitore. II principio non è espressamente dichiarato, ma risulta a contrario dal fatto che l'efficacia della revoca trova il suo limite solo nel carattere oneroso del titolo dei subacquirenti.
Si è evitato anche di accennare al presupposto di una partecipazione alla frode da parte dei terzi mediati, essendosi bandito il richiamo della frode come estremo della revocatoria: perché i subacquirenti non subiscano l'effetto della dichiarazione di inefficacia occorre che siano di buona fede, e, cioè, ignorino che l'atto compiuto dal loro dante causa abbia potuto recare pregiudizio al creditore istante.
115 Quanto alle conseguenze che la revocazione produce a favore del creditore che l'ha chiesta, l'art. 128 dichiara che essa lo abilita a promuovere le azioni esecutive o conservative sui beni che furono oggetto dell'atto impugnato, osservando le norme prescritte per l'esecuzione a danno di terzi possessori.
La disposizione va illustrata solamente per quel che concerne la soluzione data al problema delle forme di esecuzione per il rilascio della cosa oggetto dell'alienazione revocata.
Osservare le forme dell'esecuzione contro il terzo possessore non vuole significare parificare sostanzialmente al terzo possessore il terzo acquirente di mala fede. Tuttavia si esige un'unità di trattamento processuale tra le due situazioni, perché la revoca dell'atto di alienazione non riconduce di fatto il bene nella sfera patrimoniale del debitore, ma lo considera come se ancora fosse a garanzia del creditore.
L'opinione che io ho accolto è quella stessa che è prevalsa nella pratica della giurisprudenza, la quale vuole pure che il terzo acquirente sia presente nel processo esecutivo a tutela del diritto al residuo. Da ciò, e a maggior ragione, l'applicazione delle forme concernenti la espropriazione contro il terzo.
116 Soggiunge l'art. 128 che il terzo contraente, il quale abbia ragione di credito verso il debitore in conseguenza dell'esercizio della revocatoria, non può concorrere a danno del creditore sul ricavato dei beni che furono oggetto del fatto dichiarato inefficace, salvo che si tratti di revocatoria fallimentare.
Devo subito avvertire che l'articolo non intende risolvere la questione circa l'esistenza e i limiti di un diritto del terzo contraente ai regresso verso il debitore; la natura e i limiti di questo diritto dipenderanno dal carattere dell'atto dichiarato inefficace. L'articolo vuole affermare che solo in materia fallimentare il terzo contraente concorre sul prezzo del bene in posizione di parità con i creditori.
La ragione di codesta norma sta nel rilievo che, ove il valore del bene fosse tale da non coprire l'importo complessivo del credito di chi ha ottenuto la revoca e della pretesa di rimborso cui possa aver diritto il terzo contraente, in base ai principi generali dovrebbe farsi luogo a concorso sul prezzo del bene tra creditore e terzo. Questo concorso limiterebbe, però, la realizzazione del credito di colui che agì per la revocatoria, e non rimuoverebbe completamente il pregiudizio da lui sofferto; il che può evitarsi soltanto se al terzo si attribuisce un diritto sul prezzo, nei soli confini in cui la sua partecipazione al riparto non rechi pregiudizio al creditore istante.
Questa ridotta tutela del terzo contraente non può essere mantenuta nell'esecuzione fallimentare perché, dato il carattere generale di essa, ogni pretesa, e quindi anche quella dell'acquirente in mala fede, deve trovare realizzazione nell'unico processo. Peraltro, la revocatoria fallimentare opera attraverso presunzioni di frode che non danno risultati certi sulla concreta conoscenza, da parte del terzo, del pregiudizio recato ai creditori dall'atto compiuto; sicché al terzo contraente non può assegnarsi, allora, la stessa posizione che gli può competere quando, attraverso il libero apprezzamento delle prove svoltesi nel corso dell ordinaria azione revocatoria, risulta più sicura l'affermazione della sua mala fede.

Massime relative all'art. 2902 Codice Civile

Cass. civ. n. 5649/2023

In tema di azione revocatoria, qualora la parte attrice ceda il proprio credito durante la controversia, il cessionario può intervenire nel processo ai sensi dell'art. 111 c.p.c. quale successore nel diritto affermato in giudizio, poiché con la domanda ex art. 2901 c.c. si esplica la facoltà del creditore - che costituisce contenuto proprio del suo diritto di credito (presupposto e riferimento ultimo dell'azione esercitata) - di soddisfarsi su un determinato bene nel patrimonio del debitore.

Cass. civ. n. 20315/2022

Il cessionario beneficia "ope legis" degli effetti dell'azione revocatoria vittoriosamente esperita dal cedente a tutela del credito oggetto della cessione e, quindi, acquista il diritto - ex art. 2902 c.c., non concepibile come scisso dal credito ceduto - di agire "in executivis" nei confronti del terzo acquirente, come confermano, sul piano sistematico, il trasferimento al cessionario di tutti i privilegi (ex art. 1263 c.c.) e degli effetti del pignoramento eseguito dal cedente e la considerazione che l'atto in frode alle ragioni creditorie è egualmente pregiudizievole per il creditore cessionario, indipendentemente dalla circolazione del credito "e latere creditoris".

Cass. civ. n. 16614/2021

L'accoglimento dell'azione revocatoria, ai sensi degli artt. 2901 e 2902 c.c., non comporta l'invalidità dell'atto di disposizione sui beni e il rientro di questi nel patrimonio del debitore alienante, bensì l'inefficacia dell'atto soltanto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla; pertanto, l'acquisto del bene da parte del terzo, avente causa dal debitore alienante che ha subìto l'azione revocatoria, in quanto pur sempre valido ed efficace, giustifica la perdurante conservazione, da parte del dante causa, del prezzo conseguito in seguito al trasferimento, atteso il carattere meramente ipotetico, futuro ed eventuale del fruttuoso esercizio dell'azione esecutiva da parte del creditore che abbia vittoriosamente esperito l'azione revocatoria, da cui dipende la legittimazione del terzo acquirente ad agire in restituzione.

Cass. civ. n. 7408/2021

In tema di azione revocatoria ordinaria, quando essa sia proposta dalla curatela del fallimento di una società per far dichiarare inefficace nei suoi confronti l'atto con cui la fallita, allorché era "in bonis", aveva concesso ipoteca volontaria su un immobile di sua proprietà promesso in vendita, a garanzia del finanziamento ottenuto dal promittente acquirente per poter stipulare il contratto definitivo, poi effettivamente concluso, non integra "mutatio libelli" in appello l'individuazione dell'"eventus damni" non più nella costituzione del vincolo ipotecario sul patrimonio immobiliare della società ma nella perdita, da parte del fallimento e della massa creditoria, del residuo credito, meramente chirografario, derivante dall'intervenuta vendita, atteso che lo scopo della azione revocatoria non è quello, meramente fittizio, di "recuperare" al patrimonio del debitore i beni alienati ma quello di assoggettarli alle azioni (genericamente intese) del creditore danneggiato, sicché la revocatoria dell'atto di costituzione di ipoteca, nella suddetta ipotesi, assicura la "fruttuosità" dell'azione eventualmente esperibile verso la controparte contrattuale della società fallita, una volta rimossa la ragione di preferenza del terzo garantito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 24/04/2018).

Cass. civ. n. 3676/2011

L'accoglimento dell'azione revocatoria, ai sensi degli artt. 2901 e 2902 c.c., non comporta l'invalidità dell'atto di disposizione sui beni e il rientro di questi nel patrimonio del debitore alienante, bensì l'inefficacia dell'atto soltanto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla, con conseguente possibilità per quest'ultimo, e solo per lui, di promuovere azioni esecutive o conservative su quei beni contro i terzi acquirenti, pur divenuti validamente proprietari.

Cass. civ. n. 1941/1993

Con riguardo agli effetti dell'azione revocatoria la inefficacia dell'atto stipulato, in frode ai creditori, tra debitore e primo acquirente, mentre estende i suoi effetti al subacquirente che ha acquistato a titolo gratuito, non pregiudica il diritto del subacquirente che, in buona fede, ha acquistato a titolo oneroso; in tal caso resta salvo il diritto del creditore verso il primo acquirente per la restituzione del corrispettivo che egli ha ricevuto dal subacquirente, atteso che il creditore non può senza venir meno la stessa funzione dell'azione revocatoria essere definitivamente privato della garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore, ai sensi dell'art. 2740 c.c., escludendosi anche il suo diritto verso il primo acquirente alla restituzione del corrispettivo da questo ricevuto dal subacquirente.

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Daniele B. chiede
martedì 04/12/2018 - Toscana
“Vi chiedo gentilmente un parere ed un consiglio sulle azioni da poter intraprendere dal punto di vista giuridico in relazione ai fatti che vi descrivo sommariamente:
esiste una causa civile da me vinta in primo grado (sentenza a febbraio 2018) per la quale una persona “ x” è stata condannata a risarcirmi Eur. 134.000 ca.
dopo due settimane dalla sentenza la stessa persona “x” ha firmato due distinte cambiali da 10.000 e da 50.000 Eur a favore del fratello con scadenza a 10 gg. Le stesse non sono state pagate e il fratello ha pignorato al fratello “x” parte dello stipendio e quota futura del fondo pensione in modo da escludermi dal pignoramento che avevo messo in atto a seguito della sentenza e che è avvenuto in coda a questo ca 2 mesi dopo.
A mio avviso, ma penso non solo mio, è una simulazione per “distrarre” (non so se il termine è esatto) o mettere al riparo i denari contro un ns pignoramento. Le cifre delle cambiali sono proprio pari ad 1/5 del fdo pensione e impegnano lo stipendio pe 1/5 penso fino ad età pensionabile
Segnalo che l’avvocato del fratello pignorante ha lo studio nello stesso numero civico dell’avvocato che difende il pignorato.
La cambiale è stata compilata appena uscita la sentenza.
Nella causa di primo grado il fratello pignorato aveva chiesto la testimonianza a favore del fratello pignorante per cercare di far valere le sue ragione in opposizione alle ns richieste (testimonianza non accettata perché ritenuta non rilevante).
Alla luce di tutto ciò è ovvio dal mio punto di vista che tutto ciò è stato fatto in accordo tra i due fratelli con la restituzione poi delle somme pignorate dalla busta paga in modo solo da escludere le mie ragioni.
Vi chiedo quale azione posso mettere in atto per annullare i pignoramenti o renderli inefficaci e se questo comporterebbe una nuova causa (visto che l’attuale in primo grado è durata 5 anni) o se vi sono dei provvedimenti più celeri ed efficaci per tutelare le mie ragioni.
Spero di aver chiaramente esposto la mia situazione e rimango a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento anche telefonicamente.
Cordialmente.

Consulenza legale i 12/12/2018
Va in primo luogo precisato che l’azione esecutiva promossa da un solo creditore, di per sé, non “esclude” gli altri: questi ultimi, infatti, hanno diritto di intervenire nell’esecuzione già intrapresa dal primo e di soddisfarsi sul ricavato della vendita forzata dei beni/crediti espropriati.
Chiariamo meglio.

Esiste nel nostro ordinamento il principio della par condicio creditorum, per il quale ciascun creditore, in forza della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. (il debitore, cioè, risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri), ha facoltà di partecipare alle procedure liquidative (individuali o concorsuali) dei beni del proprio debitore onde soddisfarsi sul ricavato.
Il concorso tra creditori è sancito dall’articolo 2741 c.c., in base al quale “i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione” (costituite da privilegi, pegno e ipoteca).
In sede distributiva, poi, la par condicio si traduce nel diritto di ciascun creditore di essere soddisfatto in proporzione all’ammontare complessivo dei crediti azionati, fatte salve come si diceva le cause legittime di prelazione.

Ebbene, la legge (art. 499, comma 1, c.p.c.), stabilisce poi che “Possono intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo (…)”.
Quindi, come già detto poc’anzi, il creditore che sia munito di un titolo esecutivo (e la sentenza lo è) può intervenire nell’esecuzione già promossa da un altro creditore (nel caso di specie, il fratello pignorante in forza di cambiali). L'effetto dell'intervento è quello di acquisire il diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata, nonché a partecipare all'espropriazione del bene pignorato ed altresì a provocare i singoli atti della procedura mediante apposite istanze presentate al Giudice dell'esecuzione.

L’unica condizione affinché ciò sia possibile è, tuttavia, il rispetto di un determinato termine, perché – sempre in base all’art. 499 c.p.c.. - “Il ricorso deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569”.
La domanda di intervento dev’essere, quindi, proposta prima che il Giudice abbia disposto la vendita o l’assegnazione del bene o dei crediti espropriati.
Tuttavia, anche se l'intervento è tardivo (ovvero il relativo atto è depositato dopo la predetta udienza) vi è comunque la possibilità per il creditore di partecipare alla divisione del ricavato. A tal fine è però necessario che l'intervento sia quanto meno antecedente all'emissione del provvedimento di distribuzione, nel caso dell'espropriazione mobiliare, o all'udienza per l'approvazione del progetto di distribuzione, nel caso dell'espropriazione immobiliare. Inoltre, in tale ipotesi la partecipazione alla divisione avviene solo dopo che tutti gli altri creditori sono stati soddisfatti e sempre che resti qualcosa da distribuire.

Tornando al quesito che ci occupa, non risultano da quest’ultimo ben chiare la dinamica né la tempistica dei due procedimenti esecutivi: viene detto, infatti, che il pignoramento originato dalle cambiali è stato richiesto dopo che l’altro era già stato effettuato. Non si comprende bene allora come il secondo pignoramento abbia potuto “escludere” o danneggiare il primo creditore pignorante.
Se si è trattato, infatti, di un intervento nel primo procedimento esecutivo, entrambi i creditori procedenti godranno degli effetti dell’esecuzione, senza che l’uno escluda l’altro.
Se invece – come pare di capire – il fratello del debitore è riuscito ad aggredire i beni (crediti) di quest’ultimo prima del creditore munito di sentenza, allora sarà onere di questi agire rapidamente intervenendo nell’altra esecuzione, ovviamente prima che questa sia giunta alla fase della vendita.

Tutto ciò premesso, il creditore munito di sentenza correttamente si è posto il dubbio di essere stato frodato ed ha senz’altro, ad avviso di chi scrive, la possibilità di farlo accertare.
L’operazione, in effetti, parrebbe proprio essere stata architettata ad arte dai due fratelli, ed al fine di vanificarne gli effetti il creditore frodato potrebbe agire in revocatoria.

Si tratta di un’azione prevista e disciplinata dall’art. 2901 c.c. con la quale si può chiedere al Giudice che vengano dichiarati inefficaci, solo – si noti bene – nei confronti del creditore che agisce in tal senso, gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore abbia recato pregiudizio alle sue ragioni.
Gli atti in questione, dunque, se revocati, rimangono pienamente efficaci per i terzi, mentre non hanno effetto per coloro che hanno ottenuto la revoca, il che – concretamente ed in buona sostanza - significa che questi ultimi possono liberamente aggredire i beni del loro debitore, ovvero farli vendere coattivamente per soddisfarsi sul ricavato.

I presupposti dell’azione revocatoria sono due:
- che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore;
- che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio.

Ebbene, la norma, prosegue specificando che: “Non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto
Nel caso che ci occupa, pertanto, parrebbe non esserci via d’uscita, dal momento che il rilascio della cambiale (così come il successivo pignoramento posto in essere) è preordinato precisamente all’adempimento di un debito scaduto (nel quesito non è descritto alcun antefatto, ma si presume ragionevolmente che la cambiale sia stata rilasciata dal debitore ai fini del pagamento di, o a titolo di garanzia per, il soddisfacimento di un credito del fratello, anche se fittizio).

In realtà, la Cassazione, così come gli studiosi del diritto, fanno salva l’ipotesi in cui si provi il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore abbia assunto l’obbligo poi inadempiuto.
Gli atti come il rilascio di una cambiale, in effetti, ovvero i cosiddetti “atti dovuti” non possono integrare né il presupposto del consilium fraudis (ovvero della preordinata e dolosa frode al creditore, di cui è consapevole anche il terzo) né quello dell’eventus damni (ovvero il pregiudizio alle ragioni del creditore), ma quando l’obbligazione dalla quale deriva il debito abbia carattere fraudolento, l’adempimento di essa cesserà per tale ragione di essere irrevocabile, perché i due presupposti anzidetti devono sussistere anche con riguardo all’atto di assunzione dell’obbligo.
Un’importante pronuncia di riferimento in materia recita a tal proposito: “Non sono soggetti a revoca a norma del 3° comma art. 2901 c.c., che è letteralmente riferito ai debiti pecuniari, gli atti compiuti in adempimento di un'obbligazione (cosiddetti atti dovuti) e di conseguenza anche i contratti conclusi in esecuzione di un contratto preliminare o di un negozio fiduciario, non essendosi in tali casi in presenza di una decisione dell'agente caratterizzata da arbitrarietà, salvo che sia provato il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore abbia assunto l'obbligo poi adempiuto. (Cass. civ. Sez. II, 18/10/1991, n. 11025).

In conclusione, tornando al quesito, il creditore che per primo ha agito in esecuzione in forza della sentenza avrà il diritto di agire in revocatoria nei confronti dell’altro creditore, eccependo il carattere fraudolento del negozio giuridico che i due fratelli, a monte, hanno dolosamente concluso e preordinato al fine di creare un’obbligazione, lasciarla successivamente inadempiuta per poi, infine, determinarne un adempimento tardivo mediante rilascio di cambiale.
Purtroppo si tratta di una nuova causa, perché non esistono mezzi più celeri nell’ordinamento per tutelare le ragioni del creditore frodato: anche il rimedio processuale “snello” di cui all’art. 700 c.p.c., infatti – che comunque richiede la prova dell’ urgenza – può essere utilizzato solo in via residuale, ovvero quando nell’ordinamento non esista un altro rimedio processuale specifico per quel determinato problema.
Tuttavia, va anche detto che l’esperimento dell’azione revocatoria – che apre un giudizio di cognizione ordinario – consente di richiedere al Giudice (articoli 623 e seguenti c.p.c.) la sospensione del processo esecutivo in corso fino a definizione del giudizio di merito. Questa, dunque, può essere una soluzione al problema dell’urgenza e dell’allungamento dei tempi legato all’avvio di un nuovo procedimento.