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Articolo 719 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari

Dispositivo dell'art. 719 Codice Civile

Se i coeredi aventi diritto a più della metà dell'asse concordano nella necessità della vendita [1470 c.c.] per il pagamento dei debiti [530 c.c.] e pesi ereditari [752 ss. c.c.], si procede alla vendita all'incanto dei beni mobili [747 c.p.c.] e, se occorre, di quei beni immobili la cui alienazione rechi minor pregiudizio agli interessi dei condividenti [2646 c.c., 747, 787, 788 c.p.c.](1).

Quando concorre il consenso di tutte le parti, la vendita può seguire tra i soli condividenti e senza pubblicità, salvo che vi sia opposizione dei legatari o dei creditori(2).

Note

(1) Ove nell'asse ereditario non vi sia denaro sufficiente per pagare i pesi e i debiti ereditari, è consentito agli eredi che rappresentano più della metà dell'asse vendere i beni ereditari, mobili prima e immobili poi.
Diversamente gli eredi dovrebbero pagare i debiti del de cuius con denaro proprio.
(2) L'espressione "tra i soli condividenti" non ha il significato di escludere la vendita del bene a terzi ma di evitare la procedura dell'incanto ove vi sia l'accordo di tutti gli eredi.

Spiegazione dell'art. 719 Codice Civile

Il principio informatore dell’articolo era già sancito nella seconda parte dell’art. #987# del vecchio codice. Le attuali disposizioni di questo articolo e dei due seguenti sono più precise nella dizione e molto più ampie nel contenuto; inoltre esse stabiliscono un maggiore parallelismo fra il trattamento dei mobili e degli immobili.
L’ipotesi prevista dalla norma in esame è che occorra alienare i beni mobili dell’eredità per pagare i debiti ed i pesi ereditari (compresi i legati di somme). Il verificarsi di tale ipotesi va riconosciuto dalla maggioranza di valore del patrimonio, cioè da tanti condividenti quanti rappresentano oltre la metà dell’asse (mentre il vecchio codice parlava, inesattamente, di “maggior numero”).
La norma ha esteso ai legatari il diritto di opposizione agli incanti in forma amichevole, che l’art. #987# del vecchio codice del 1865 limitava ai creditori. L'opposizione va notificata a tutti gli eredi, con atto di ufficiale giudiziario.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

346 Giustamente è stato proposto di formare un articolo a sè con il secondo comma dell'art. 257 del progetto, poiché questo trattava della vendita dei beni mobili per il pagamento dei debiti, argomento che è del tutto distinto da quello del diritto dei coeredi ad avere i beni in natura. Non ho invece accolto la proposta di chiarire che la vendita è subordinata alla mancanza di danaro nel patrimonio ereditario, poiché ciò è implicito nel fatto che vi sia necessità della vendita per il pagamento dei debiti. Quanto alla proposta di sopprimere la disposizione dell'ultimo periodo del secondo comma del'art. 257 del progetto, che prevedeva l'opposizione dei creditori e dei legatari alla vendita dei beni mobili in forma privata fra i soli condividenti, non mi sono sembrati convincenti i motivi addotti a sostegno di essa. E' vero che ai creditori è aperto il rimedio della revocatoria; ma deve ammettersi che, indipendentemente da questa, essi possano impedire una vendita in forma privata, senza le garanzie dei pubblici incanti, che può riuscire pregiudizievole ai loro diritti. Tale criterio era seguito anche dal codice del 1865 che, nell'art. 680, concedeva ai creditori dei singoli condomini la facoltà di opporsi alla divisione, salva restando la revocatoria quando la divisione fosse stata già effettuata. Ho pertanto mantenuto la disposizione.
348 L'art. 267 del testo precedente, che avrebbe dovuto dettare le norme relative al trattamento degl'immobili non divisibili, considerava, in realtà, due ipotesi ben differenti: quella che nell'eredità fossero compresi immobili non comodamente divisibili; e l'altra, che, per pagare i debiti ereditari, i condividenti concordassero nella vendita d'immobili. All'una e all'altra si applicava la disposizione, dettata nell'articolo 266 per la vendita di mobili, che prescriveva di procedere all'incanto o, secondo i casi, a vendita fra i condividenti senza pubblicità. Nel primo e nell'ultimo comma dell'art. 274, poi, si contemplava l'ipotesi di fabbricati o fondi rustici, considerati non divisibili perché il loro frazionamento sarebbe riuscito pregiudizievole alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene: in questo caso era disposto che tali beni dovessero preferibilmente esser compresi per intero nella quota di uno dei condividenti o attribuiti congiuntamente a più condividenti, se insieme ne avessero richiesta l'attribuzione. In mancanza, si sarebbe proceduto a vendita secondo l'art. 267. Riesaminata in sede di coordinamento la materia, mi è sembrato opportuno darle una sistemazione più armonica, raggruppando insieme le ipotesi identiche o affini e unificandone, dove era diverso, il regolamento. Ho, pertanto, fuse nell'art. 719 del c.c. le disposizioni concernenti la vendita degli immobili e dei mobili fatte per pagare i debiti dell'eredità e disciplinato in un solo articolo, estendendo la norma dell'art. 274, gl'immobili non divisibili, sia che la non divisibilità derivi da difficoltà del frazionamento, sia che essa derivi dall'esigenza di non recar pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell'igiene.

Massime relative all'art. 719 Codice Civile

Cass. civ. n. 3732/1985

Ai sensi dell'art. 719 c.c. (vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari) e nell'ipotesi di mancanza o insufficienza di beni mobili, l'indivisibilità di un immobile non è di per sé sufficiente per giustificarne la vendita, qualora del compendio ereditario faccia parte un immobile di valore minore ma pur sempre atto ad estinguere le passività ereditarie.

Ai sensi dell'art. 719 c.c., il debito o peso ereditario, alla cui estinzione mediante la vendita di un cespite dell'eredità il coerede condividente ha interesse, è soltanto quello ancora gravante nel momento in cui i coeredi stessi devono stabilire se e quale bene vendere. Qualora, invece, la passività sia stata anteriormente estinta ad opera di altro coerede, l'interesse del primo viene meno, sia che trattasi di passività divisibile pro quota anche nei rapporti esterni (in base al principio generale nomina et debita ereditaria ipso iure dividuntur codificato nel primo comma dell'art. 754 c.c.) sia, ed a maggior ragione, nel caso di peso ereditario per il quale non opera nei rapporti esterni il beneficium divisionis (ad es., imposta di successione, il cui onere è posto dalla legge tributaria solidalmente a carico di tutti i coeredi), con la conseguenza che i condividenti, la cui quota di debito o peso ereditario sia stata pagata da altro coerede, non possono pretendere che sia incluso nelle passività da estinguere mediante la vendita predetta quanto da loro dovuto nei confronti del coerede che agisce per regresso nei limiti di cui al primo comma dell'art. 754 cit.

La «necessità della vendita», sulla quale, secondo l'espressione del primo comma dell'art. 719 c.c. (vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari), debbono concordare i coeredi aventi diritto a più della metà dell'asse, ricorre allorché nel compendio ereditario manchi o sia insufficiente il denaro liquido, con la constatazione dell'obiettiva impossibilità di provvedere in tale modo. II potere della maggioranza di vendere un immobile è, inoltre, condizionato dall'insufficienza dei beni mobili, mentre la scelta dell'immobile da vendere postula la comparazione tra i vari immobili, al fine di stabilire per quale di essi sussista il «minor pregiudizio».

La disciplina sulla commutabilità dell'usufrutto uxorio, prevista dall'art. 547 c.c. (il quale è applicabile alle successioni apertesi prima dell'entrata in vigore della L. 19 maggio 1975, n. 151, che lo ha abrogato), non è estensibile all'ipotesi di usufrutto testamentario (anziché [i]]ex lege[/i), restando in ogni caso esclusa, ai sensi dell'art. 719 c.c. (vendita dei beni per il pagamento dei debiti ereditari), la possibilità di considerare la somma occorrente per la commutazione dell'usufrutto come passività ereditaria, sia pure futura ed eventuale, giustificante la vendita di un immobile di valore maggiore di altro, la cui vendita sarebbe sufficiente in mancanza di tale passività.

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Consulenze legali
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DONATELLA P. chiede
venerdì 21/02/2020 - Lombardia
“Quesito: Ho accettato l’eredità con beneficio di inventario di mio padre morto nel 2018, così mio fratello maggiorenne e così due nipoti minorenni.
Questa eredità ha un consistente patrimonio immobiliare ma scarsissime liquidità, ci sono alcuni affitti che non sono nemmeno sufficienti a pagare le imposte su questo patrimonio. Ora le controparti vogliono fare dei lavori di manutenzione di questo patrimonio, messa in sicurezza di alcuni balconi e allacciamento alla fognatura di alcuni appartamenti.
So che sarebbero necessari questi lavori, ma essendo una dipendente part-time non ho le disponibilità economiche per far fronte a queste spese.
Ho chiesto più volte di vendere questi immobili che sono ancora in comunione ereditaria, ma le controparti non sono d’accordo e pretendono che io paghi comunque di tasca mia le spese, ma non sono in grado di farvi fronte.
Cosa posso fare?”
Consulenza legale i 27/02/2020
La situazione in cui attualmente ci si trova con gli altri coeredi è indubbiamente quella di una vera e propria comunione, caratterizzantesi per il fatto che la sua origine non è volontaria, ma forzosa, in quanto discende dalla morte del comune genitore.
Ciò induce a dover fare applicazione in primo luogo delle norme dettate dal codice civile in materia di successione, ed in particolare di eredità accettata con beneficio di inventario, ed in secondo luogo, ove se ne presenti la necessità, delle norme dettate dallo stesso codice civile in materia di comunione in generale.

Si ritiene sia il caso di cominciare dall’esame di queste ultime, per cercare di inquadrare meglio il tipo di spesa che le parti devono sostenere e stabilire in che misura ciascuno dei comunisti può ritenersi obbligato a partecipare a tali spese.
Dalla descrizione che ne viene fatta, sembra evidente che trattasi di spese volte ad effettuare interventi necessari e di una certa urgenza sui beni caduti in successione, dovendosi conseguentemente escludere che possa trattarsi di opere qualificabili come innovazioni gravose o voluttuarie.
In quanto tali, non può che richiamarsi quanto disposto dall’art. 1110 del c.c. in materia di comunione in genarale, dalla cui lettura si evince che qualora siano state sostenute spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ciascun partecipante ha diritto di essere rimborsato dagli altri delle spese che è stato costretto a sostenere anche nel loro interesse.

Accertato, dunque, che si tratta di spesa alla quale tutti i comunisti sono obbligati a partecipare, occorre a questo punto raccordare il principio dettato da tale norma con ciò che il codice dispone in materia di accettazione di eredità con beneficio di inventario.
A tal proposito viene innanzitutto in rilievo il primo comma dell’art. 490 del c.c., il quale dispone che l’effetto principale del beneficio di inventario è quello di tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede, con conseguente limitazione della responsabilità dell’erede intra vires hereditatis.
Tale norma, a sua volta, deve essere coordinata con quanto previsto dall’art. 511 del c.c. e dal n. 4 dell’art. 1203 del c.c..
L’art. 511 c.c. disciplina le spese proprio nel caso della accettazione con beneficio di inventario, disponendo che devono porsi a carico dell’eredità le spese di ogni altro atto dipendente dall’accettazione con beneficio di inventario.
Nell’espressione “ogni altro atto” devono ritenersi comprese tutte le spese che gli eredi, nella loro qualità di amministratori dell’eredità beneficiata, sono tenute a sostenere nell’interesse della stessa, purché, ovviamente, ogni spesa sia dagli eredi giustificata nel rendiconto della loro amministrazione, come impone l’art. 496 del c.c..

A tutela poi del principio della separazione dei patrimoni, il n. 4) dell’art. 1203 c.c., prima citato, dispone la surrogazione legale a vantaggio dell’erede con beneficio di inventario che paga con denaro proprio i debiti ereditari.
Ciò fa sì che l’erede beneficiato, proprio perché non è tenuto a soddisfare con beni propri i debiti ereditari (tra i quali vanno certamente ricompresi quelli sostenuti per l’amministrazione della massa ereditaria), qualora ciò nonostante lo faccia, ha diritto a surrogarsi nella posizione del creditore o dei diversi creditori soddisfatti.

Inoltre, il fatto che le suddette spese siano a carico dell’eredità significa che esse devono essere soddisfatte prima dei creditori ereditari e degli eventuali legatari, comportando, di conseguenza, una riduzione dell’attivo ereditario; solo se l’attivo ereditario non dovesse essere sufficiente, l’erede beneficiato sarà tenuto a risponderne in proprio, in quanto egli aveva comunque l’onere di limitare le spese nei limiti dell’attivo stesso e perché, comunque, queste non sono obbligazioni ereditarie, la cui responsabilità è limitata.

Passando adesso a fare applicazione di tali principi sul piano prettamente pratico, può dirsi che, in mancanza della necessaria liquidità e data la situazione di attuale comunione ereditaria, non resta altra soluzione che quella di procedere al più presto alla chiusura della procedura di accettazione beneficiata e così potersi avvalere della facoltà di cui all’art. 713 del c.c., norma che consente ai coeredi di domandare in qualunque momento la divisione dei beni ereditari.
Qualora gli altri eredi non prestino il loro consenso alla divisione, sarebbe possibile evitare la divisione giudiziale, indubbiamente onerosa, effettuando, sempre di comune accordo, uno stralcio di quota divisionale, avvalendosi della facoltà che l’art. 718 del c.c. riconosce a ciascun erede di chiedere la sua parte in natura dei beni mobili e immobili dell’eredità.

Purtroppo non si può imporre agli altri eredi la vendita degli immobili per affrontare le spese di amministrazione necessarie.
Ciò lo si deduce chiaramente dal disposto dell’art. 719 c.c., il cui secondo comma consente, ma solo con il consenso di tutti i coeredi, ed in assenza di opposizione da parte di creditori e legatari, di alienare uno o più beni ereditari per il pagamento dei debiti e dei pesi ereditari.
Nel caso di specie, essendo in corso la procedura di accettazione beneficiata, tale norma dovrebbe anche raccordarsi con l’art. 493 del c.c., il quale richiede per gli atti di alienazione la previa autorizzazione giudiziale, ancor più che tra i coeredi vi sono dei minori (competente ex artt. 747 e 748 c.p.c. sarà il Tribunale del luogo di apertura della successione).
E’ anche prevista al primo comma l’ipotesi in cui non vi sia il consenso da parte di tutti i coeredi, ammettendosi la possibilità di ricorrere ad una vendita all’incanto, ma anche in questo caso il legislatore ha voluto porre il limite che a richiederla siano i coeredi aventi diritto a più della metà dell’asse ereditario (condizione, anche questa, che sembra mancare).


Giancarlo chiede
venerdì 15/04/2011 - Lombardia
“Buongiorno,
domanda: la vendita all'incanto, indicata nella nota del "Dispositivo dell'art. 719 c.c.", per estensione, può essere intrapresa senza il presupposto dell'esistenza di debiti? Ovvero se i coeredi aventi diritto a più della metà dell'asse possono ricorrere al giudice per imporre la vendita alla minoranza dissenziente?
Ringraziando porgo distini saluti.”