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Articolo 557 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Soggetti che possono chiedere la riduzione

Dispositivo dell'art. 557 Codice Civile

La riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima non può essere domandata [2652 n. 8, 2690 n. 5 c.c.] che dai legittimari [536 c.c.] e dai loro eredi o aventi causa(1).

Essi non possono rinunziare a questo diritto, finché vive il donante(2), né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione [458 c.c.].

I donatari e i legatari non possono chiedere la riduzione, né approfittarne(3). Non possono chiederla né approfittarne nemmeno i creditori del defunto, se il legittimario avente diritto alla riduzione ha accettato con il beneficio d'inventario(4) [484 ss., 564, 2652 n. 8, 2690 n. 5 c.c.].

Note

(1) Legittimati attivi alla proposizione dell'azione di riduzione sono:
- i legittimari, lesi o pretermessi;
- gli eredi dei legittimari, siano essi legittimi, testamentari o legittimari. Questi, infatti, succedono al loro de cuius in tutti i rapporti patrimoniali e nelle relative tutele;
- gli aventi causa dei legittimari (es. acquirente dell'eredità di cui all'art. 1542 del c.c.);
- i creditori del legittimario attraverso l'azione surrogatoria (v. art. 2900 del c.c.).
(2) Il legittimario non può rinunciare al diritto di chiedere la riduzione delle disposizioni lesive finché il donante è in vita, in quanto ciò sarebbe in contrasto con il divieto di cui all' art. 458 del c.c..
E' valida la rinuncia, espressa o tacita, all'azione fatta dopo l'apertura della successione.
(3) Legittimati passivi sono i destinatari delle disposizioni lesive, quindi:
- gli eredi testamentari;
- i legatari;
- i donatari;
- i loro eredi.
(4) I creditori del defunto possono agire surrogandosi al legittimario che ometta di esperire l'azione di riduzione, solo se quest'ultimo abbia accettato puramente e semplicemente. In caso di accettazione beneficiata, infatti, i creditori del de cuius non possono soddisfarsi sul patrimonio dell'erede, esercitando il diritto di chiedere la riduzione delle disposizioni lesive.

Ratio Legis

L'azione di riduzione rende prive di effetto le disposizioni ereditarie lesive dei diritti dei legittimari, lesi o pretermessi nella loro quota di legittima.

Spiegazione dell'art. 557 Codice Civile

Sono legittimati all’azione di riduzione, oltre i legittimari, i loro eredi o aventi causa, e soltanto rispetto ad essi opera la riduzione.
Deve ritenersi che la legittimazione dei soggetti diversi dai legittimari implichi che questi ultimi, o i loro eredi, abbiano personalmente, com’è necessario, dichiarato la loro volontà di conseguire la quota legittima. Così si capisce come si è potuto considerare patrimoniale l’azione di riduzione, per tutelare interessi dipendenti dall’acquisto dei legittimario, fra i quali deve ritenersi compreso, per applicazione della surrogatoria, anche quello dei creditori dell’erede. Lo conferma ora il terzo comma, nel quale, con una disposizione del resto superflua e non felicemente formulata, sembra si voglia stabilire un'eccezione alla regola che prevede che i creditori del defunto non possano chiedere la riduzione, né profittarne, quando il legittimario abbia accettato la quota legittima senza beneficio d’inventario. Non si tratta di un'eccezione, perché, quando si verifichi quest’ipotesi, i creditori del defunto diventano creditori personali dell’erede: la disposizione serve così soltanto a chiarire la portata del primo comma per la determinazione dei soggetti legittimati alla riduzione e che possono profittare della stessa. Quando invece il legittimario abbia accettato col beneficio d’inventario, i creditori del defunto non possono chiedere la riduzione né profittarne, perché, esclusa la confusione dei patrimoni, e quindi una vera successione dell'erede nei debiti, "l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari oltre il valore dei beni (ereditari) a lui pervenuti" (art. 490).

Stante la necessità, in principio, dell’accettazione col beneficio d'inventario per la legittimazione all’azione di riduzione, i casi in cui ai creditori del defunto può giovare la riduzione sono i seguenti: che le liberalità siano state fatte a coeredi del legittimario, perché in questa ipotesi non è necessaria per la riduzione l’accettazione col beneficio d’inventario (art. 564); che, trattandosi di liberalità fatte a non coeredi, l’erede sia decaduto dal beneficio d’inventario, perché la decadenza dal beneficio, mentre non preclude l’azione di riduzione, determina, d’altra parte, la confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede.

Il secondo comma stabilisce espressamente che alla riduzione delle donazioni non si può rinunziare durante la vita del donante, né espressamente, né tacitamente, mediante prestazione di assenso alla donazione. Si tratta di un’applicazione particolare del divieto dei patti successori rinunciativi, secondo il quale è nullo, fra l’altro, ogni atto col quale taluno rinuncia ai diritti che gli possono eventualmente spettare su una successione non ancora aperta. Si ritiene tuttavia che il divieto particolare trovi anche una specifica ragione nel carattere familiare del diritto alla legittima.
Nel terzo comma è detto ancora, come nell'art. #1092# del codice precedente, che non possono chiedere la riduzione, né profittarne, i donatari e i legatari. Disposizione, più che superflua, senza senso nel nostro sistema rispetto ai donatari e rispetto ai legatari di cosa determinata, mentre i legatari di quantità, come creditori dell’erede, devono ritenersi compresi fra quegli aventi causa anche considerati nel primo comma, cui la riduzione giova indirettamente, perché ne risulta aumentato il patrimonio dell’erede loro debitore. La disposizione è stata trasferita senza valutazione critica nell'attuale codice, come il codice precedente l’aveva mutuata da quello francese.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 557 Codice Civile

Cass. civ. n. 36990/2022

Il legittimario che agisca in riduzione ha l'onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata. L'onere di allegazione è soddisfatto una volta che, richiamata la quota di legittima prevista per legge, il legittimario assuma che, per effetto delle disposizioni testamentarie ovvero in conseguenza delle donazioni poste in essere in vita in favore di altri soggetti, ed al netto di quanto ricevuto dall’erede, residui una lesione. Non può, invece, imporsi anche la quantificazione in termini di valore dei vari elementi destinati ad essere presi in considerazione ai fini della precisazione del relictum e del donatum, né che l'individuazione della lesione debba avvenire in termini aritmetici con una sua precisa indicazione numerica, essendo viceversa sufficiente che si sostenga che, proprio alla luce del complesso assetto patrimoniale del defunto, quale scaturente dalle vicende successorie, il valore attivo pervenuto al legittimario sia inferiore a quanto gli compete per legge. Il giudice deve procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione sulla base delle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l'attività di allegazione e di prova. Deve ritenersi, dunque, irritualmente proposta la domanda di riduzione ove difetti l’indicazione della massa e del valore e dell’entità della lesione.

Cass. civ. n. 16535/2020

Quando la successione legittima si apre su un "relictum" insufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari alla quota di riserva, avendo il "de cuius" fatto in vita donazioni che eccedono la disponibile, la riduzione delle donazioni pronunciata su istanza del legittimario ha funzione integrativa del contenuto economico della quota ereditaria di cui il legittimario stesso è già investito "ex lege", determinando il concorso della successione legittima con la successione necessaria. Pertanto, la circostanza che il legittimario, nel chiedere l'accertamento della simulazione di atti compiuti dal "de cuius", abbia fatto riferimento alla quota di successione "ab intestato" non implica che egli abbia inteso far valere i suoi diritti di erede piuttosto che quelli di legittimario, qualora dall'esame complessivo della domanda risulti che l'accertamento sia stato comunque richiesto per il recupero o la reintegrazione della quota di legittima lesa.

Cass. civ. n. 4694/2020

L'azione di riduzione proposta contro un soggetto che è legittimario al pari del legittimario attore implica che il convenuto abbia ricevuto una donazione o debba beneficiare di una disposizione testamentaria per la quale venga ad ottenere, oltre la rispettiva legittima, che è anche a suo favore intangibile, qualcosa di più, che contribuisce a privare, in tutto o in parte, della legittima il legittimario attore. In tal caso, il convenuto con l'azione di riduzione non deve proporre alcuna domanda o eccezione per contenere la riduzione nei limiti di quanto eventualmente sopravanzi a ciò che gli compete come legittimario, conseguendo tale risultato dall'applicazione delle norme di legge, senza che rilevi minimamente che la riduzione, così operata, non sia sufficiente a reintegrare la legittima dell'attore. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MESSINA, 20/08/2018).

Cass. civ. n. 3389/2016

La rinuncia all'azione di riduzione da parte del legittimario totalmente pretermesso diverge, sul piano funzionale e strutturale, dalla rinuncia all'eredità, non potendo il riservatario essere qualificato chiamato all'eredità prima dell'accoglimento dell'azione di riduzione volta a rimuovere l'efficacia delle disposizioni testamentarie lesive dei suoi diritti, sicché il creditore del legittimario totalmente pretermesso che intenda esperire l'azione ex art. 524 c.c., deve previamente impugnare la rinunzia di costui all'azione di riduzione. (Cassa con rinvio, App. Roma, 27/10/2010).

Cass. civ. n. 13407/2015

In tema di successione necessaria, qualora la lesione della legittima derivi da donazioni, il termine decennale di prescrizione dell'azione di riduzione decorre dalla data di apertura della successione non essendo sufficiente il "relictum" a garantire al legittimario il soddisfacimento della quota di riserva, senza che rilevi, a tal fine, che la riduzione sia domandata, ai sensi dell'art. 557, primo comma, cod. civ., dall'erede del legittimario, a cui non spetta un diritto autonomo rispetto al suo dante causa, sicché, ove al momento dell'apertura della successione del legittimario risulti già maturata la prescrizione dell'azione di riduzione, resta preclusa all'erede la possibilità di domandare utilmente la stessa, non potendo la morte del legittimario comportare la reviviscenza di un diritto che quest'ultimo aveva già perduto. (Rigetta, App. Milano, 08/03/2012).

Cass. civ. n. 20143/2013

Il legittimario leso può rinunciare all'azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, anche tacitamente, purché in base ad un comportamento inequivoco e concludente, dovendosi tuttavia escludere che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, promosso da altro coerede, esprima di per sé la volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge.

Cass. civ. n. 8001/2012

In tema di successione necessaria, l'esecuzione volontaria delle disposizioni testamentarie lesive della legittima non preclude al legittimario l'azione di riduzione, salvo che egli non abbia manifestato in modo non equivoco la volontà di rinunciare a far valere la lesione. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che l'adesione della legittimaria ad un accordo transattivo intercorso fra le parti del procedimento di divisione giudiziale del bene in contesa esprimesse inequivocamente la sua volontà di rinunciare a far valere il diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge). (Rigetta, App. Bolzano, 20/11/2009).

Cass. civ. n. 24450/2009

Configurano un patto successorio - per definizione non suscettibile di conversione in un testamento, ai sensi dell'art. 144 c.c., in quanto in contrasto col principio del nostro ordinamento secondo cui il testatore è libero di disporre dei
propri beni fino al momento della morte - sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un "vinculum iuris" di cui la disposizione ereditaria rappresenti l'adempimento. (Nella specie, la S.C. ha riconosciuto la natura di patto successorio e non di transazione - come erroneamente ritenuto dal giudice di merito - alla scrittura privata con la quale una sorella aveva consentito al trasferimento in favore dei fratelli della proprietà di immobili appartenenti al padre, a fronte dell'impegno, assunto dai medesimi, di versarle una somma di denaro, da considerare, in relazione allo specifico contesto, come una tacitazione dei suoi diritti di erede legittimario).

Cass. civ. n. 26254/2008

A norma dell'art. 557, primo comma, c.c., l'azione di riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima, avendo natura patrimoniale, può essere proposta non solo dai legittimari ma anche dai loro eredi o aventi causa dal momento che il carattere personale dell'azione non incide sulla trasmissibilità del diritto ma esclusivamente sull'accertamento della lesione che deve essere limitata alla quota di colui che agisce.

Cass. civ. n. 1373/2000

In materia di successione necessaria, il diritto, patrimoniale (e perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della sua quota di riserva, dopo l'apertura della successione, è rinunciabile anche tacitamente, sempre che detta rinuncia sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento concludente del soggetto interessato che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in relazione a donazioni compiute da una madre in favore del proprio figlio, aveva ritenuto che il padre, passato a nuove nozze dopo la morte della prima moglie, avesse rinunciato tacitamente al proprio diritto di agire in riduzione di tali donazioni per il solo fatto di non aver agito in vita in tal senso, mentre l'azione di riduzione era stata poi promossa dalla seconda moglie, dopo la morte del medesimo). (Cassa con rinvio, App. Napoli, 2 luglio 2004).

Cass. civ. n. 4358/1985

La disciplina del terzo comma dell'art. 557 c.c., secondo cui i donatari non possono chiedere la riduzione né approfittarne, riguarda solo i donatari ed i legatari non legittimari; pertanto, l'azione di riduzione è esperibile anche dal donatario legittimario, il quale, ai sensi del secondo comma dell'art. 564 c.c., è obbligato (salva espressa dispensa) ad imputare alla propria porzione di legittima le donazioni e i legati ricevuti, con la conseguente impossibilità di richiedere la riduzione di alcuna donazione (o disposizione testamentaria) ove l'importo di quanto ricevuto per i titoli predetti superi quello della quota di legittima spettantegli.

Cass. civ. n. 6270/1984

La clausola, con la quale il testatore preveda la «caducazione» delle proprie disposizioni in caso d'impugnazione del testamento da parte dell'erede, non vale a privare quest'ultimo del diritto di agire per la riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di riserva, essendo essa fissata direttamente dalla legge quale limite alla volontà del testatore medesimo, né può impedirgli di chiedere l'accertamento della simulazione della vendita di determinati beni, al fine della loro inclusione nel patrimonio relitto e della loro successiva divisione.

Cass. civ. n. 1114/1982

Il creditore del de cuius è privo dell'interesse idoneo a legittimare il suo intervento ex art. 105 c.p.c. nel processo per azione di riduzione esperita dal legittimario, ove questi abbia accettato l'eredità con il beneficio dell'inventario, poiché in tale ipotesi, quegli, a norma dell'art. 557 c.c., non può proporre in via surrogatoria l'indicata azione o approfittarne. Né detto interesse è ravvisabile in previsione di una eventuale decadenza dell'erede dal beneficio, giacché in tal caso l'estensione della responsabilità dello stesso coinvolgerebbe tutto il suo patrimonio e non soltanto i beni ottenuti mediante l'azione di riduzione, né in relazione ai vantaggi derivanti al creditore del de cuius dall'esperimento vittorioso dell'azione in questione da parte dell'erede beneficiato, trattandosi di
vantaggi postulanti l'insufficienza del patrimonio personale del medesimo a sopportare i pesi riflettentisi su di esso in alcune evenienze relative all'eredità beneficiata (art. 492 c.c.) e comunque connessi ad un incremento del patrimonio del debitore, configurante di per sé un interesse del creditore generico e di mero fatto.

Cass. civ. n. 905/1978

L'accettazione dell'istituzione di erede universale non estingue o preclude nell'accettante legittimario il diritto avente a oggetto la quota di riserva né il suo esercizio, a meno che l'accettazione della chiamata più ampia abbia assunto, per le circostanze in cui è fatto o per le modalità da cui scaturisce, il valore di rinuncia alla situazione soggettiva collegata alla qualità di legittimatario. Pertanto — fuori dell'indicata ipotesi di rinuncia — il legittimatario, che ha accettato l'istituzione di erede universale, può, al fine di conseguite la quota di riserva, provare in giudizio con testimoni o mediante presunzioni, senza limiti, la simulazione assoluta del negozio dispositivo, lesivo di detta quota, posto in essere dal de cuius.

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Consulenze legali
relative all'articolo 557 Codice Civile

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C C. chiede
domenica 19/03/2023 - Sicilia
“A seguito di morte prematura di mia madre si apriva la successione materna. Eredi mio padre, marito della de cuius, mio fratello ed io. In via teorica il patrimonio includeva: 1) un immobile in italia cointestato col marito (costituito da due appartamenti congiunti, con separati ingressi, bagni e balconi) di residenza di mio padre e me; 2) un immobile all'estero cointestato col marito; 3) un conto corrente in Italia cointestato col marito.
Dopo il decesso, il marito/mio padre ha venduto un immobile all'estero di proprietà di entrambi i genitori ed i proventi sono confluiti su conto estero cointestato a lui ed all'altro coerede. Contestualmente ho riscontrato numerosi prelievi dal conto bancario italiano cointestato ai genitori ad opera dell'altro coerede/mio fratello. Pertanto, ho avviato procedimento per lesione di legittima, chiedendo la divisione dell'immobile italiano in 2 porzioni per ricavare una piccola abitazione per me. La controparte mio padre/mio fratello ha chiesto la divisione in 3 porzioni.
Il procedimento in primo appello, pur riconoscendo che l'immobile estero rientrasse nel patrimonio, non ha accolto la mia istanza, dato che la raccolta della documentazione inerente ai fatti sopramenzionati è stata estremamente difficoltosa, sia all'estero che in Italia, in quanto deliberatamente occultata dagli altri coeredi, e la presentazione della stessa documentazione al tribunale è stata tardiva.
Ho presentato ricorso in appello per lesione di legittima. Ancora una volta l'istanza non è stata accolta. E' stato ignorato l'immobile all'estero ed il passaggio dei proventi della vendita sul conto estero cointestato agli altri due coeredi. Durante il procedimento mio padre è deceduto: suoi eredi mio fratello e me. La controparte ha chiesto la divisione dell'immobile italiano in 3 parti. Io ho chiesto la divisione in due parti e tre quote (dato il decesso di mio padre e l'apertura di un contenzioso nella successione paterna avviato da mio fratello, ora in giudizio di primo grado). Dopo avere riscontrato l'indisponibilità dei coeredi ad acquisire le rimanenti quote, la corte d'appello ha stabilito la vendita all'asta dell'immobile italiano per intero (quindi anche della metà di sola proprietà paterna).
Io abito in detto immobile e sono contraria alla vendita. Ritengo ingiusto che l'immobile estero non sia stato considerato facente parte del patrimonio materno, con riduzione delle quote dei coeredi. Ritengo inspiegabile parlare di non comoda divisibilità dell'immobile italiano allorquando si tratta di due appartamenti congiunti facilmente divisibili in due tra gli unici coeredi esistenti e del tutto ingiustificabile la pretesa della corte di dividere fisicamente in 3 parti l'immobile, dato che mio padre è deceduto (inoltre, avendo riscontrato la scomparsa di ingenti somme dal conto corrente paterno ad opera dell'altro coerede/mio fratello ho chiesto la collazione di dette somme nella successione paterna e ciò potrebbe ipoteticamente determinare un aumento della mia quota sull'immobile italiano). Ritengo ingiusto che lo scioglimento giudiziale della comunione per la successione materna incida sulla successione paterna.
Intenderei procedere con ricorso in Cassazione. Sono a chiedere la fattibilità di tale percorso, nonché un parere sulla fondatezza delle mie posizioni circa la successione materna. Il ricorso dovrebbe opporsi: a) all'esclusione dal patrimonio materno dell'immobile estero ed all'impossibilità di collarne i proventi pervenuti solo agli altri coeredi; b) all'indivisibilità dell'immobile italiano a cui si perviene considerando tre porzioni di immobile, non già due, allorquando uno degli eredi è deceduto e gli altri due sono i suoi unici eredi; c) allo scioglimento della comunione con vendita all'asta dell'intero immobile italiano che sottrae, di fatto, la porzione d'immobile paterna al procedimento in corso in primo grado per successione paterna, che potrebbe in realtà ribaltare completamente la distribuzione delle quote tra gli unici eredi esistenti (di entrambi i genitori).
Gradirei altresì sapere: 1) se il ricorso in Cassazione interromperebbe la vendita all'asta; 2) qual'è la probabilità effettiva che l'immobile italiano sia acquistato da terzi pur essendovi un inquilino ed un ricorso in cassazione.”
Consulenza legale i 30/03/2023
L’esame dell’iter processuale che ha condotto alla sentenza di secondo grado ha consentito di chiarire con maggiore precisione come si sono svolti i fatti e come si è potuti giungere al provvedimento che si vorrebbe contestare.
Ciò che nel quesito si lamenta, in realtà, è qualcosa di ben diverso da ciò che ha costituito oggetto dei due gradi di giudizio.
Infatti, mentre nel quesito ci si duole sostanzialmente di una lesione della propria quota di riserva, la quale avrebbe potuto legittimare l’esperimento dell’azione di riduzione ex art. 557 c.c., oggetto del giudizio civile, invece, è stato esclusivamente lo scioglimento della comunione ereditaria che si è venuta a creare a seguito della morte della propria genitrice.

Ora, innanzitutto non convince un aspetto di questa vicenda, in quanto ci si chiede come abbia potuto il padre autonomamente procedere all’alienazione dell’immobile in Inghilterra senza il consenso degli altri comproprietari.
Tale dubbio nasce dalla seguente considerazione: nel momento in cui si è verificato il decesso della madre (comproprietaria con l’altro coniuge di detto immobile), una quota pari alla metà indivisa dello stesso è per forza di cose caduta in successione, con la conseguenza che si sarebbero dovuto formare le seguenti quote:
- il coniuge 80/120, di cui 60/120 iure proprio e 20/120 iure successionis
- i figli 20/120 ciascuno.
Avendo i figli diritto ad una quota complessiva di 40/120 indivisi, gli stessi avrebbero dovuto necessariamente prestare il loro consenso alla vendita dell’immobile in Inghilterra, ciò che non sembra essere stato fatto, affermandosi nel quesito che il solo padre ha venduto tale immobile e fatto confluire tutti i proventi su un conto estero.
Pertanto, per prima cosa sarebbe opportuno verificare secondo quali modalità il padre ha alienato da solo l’immobile in Inghilterra, in quanto se così fosse la vendita è senza alcun dubbio invalida per assenza del consenso di tutti i comproprietari.

Precisato ciò, come si è accennato all’inizio, sebbene nel quesito si dica di aver avviato un procedimento per lesione di legittima (scelta che sarebbe stata del tutto corretta, poiché fondamentalmente è di questo che ci si duole), in realtà il tipo di procedimento avviato e ormai concluso è stato soltanto volto allo scioglimento della comunione ereditaria.
Corrette ed incensurabili si ritiene siano le osservazioni fatte proprie dal giudice nel provvedimento che si vorrebbe contestare, ed in particolare nella parte in cui si osserva che “gli eredi del compartecipe deceduto subentrano nella titolarità della quota indivisa dei beni oggetto della comunione alla quale concorreva il loro dante causa, che diventano contemporaneamente oggetto di una duplice comunione: quella originaria e quella sorta in conseguenza della morte del condividente fra gli eredi di lui, che comprenderà la quota indivisa di quei beni e le altre cose eventualmente presenti nell’asse. Le due comunioni, derivando da titoli diversi, sono autonome l’una all’altra e implicano in linea di principio separate operazioni divisionali. Solo il consenso unanime dei partecipanti, debitamente manifestato per iscritto se nelle comunioni ci sono beni immobili, può consentire la divisione cumulativa, che riunisca cioè la totalità dei beni sottoposti a divisione in una massa unica…Questo principio di autonomia delle comunioni derivanti da titoli diversi è applicabile anche quando le comunioni riguardano i medesimi beni e intercorrono tra le stesse persone”.

Ciò che il giudice vuol dire, e che appare incontestabile, è che il giudizio di divisione, iniziato relativamente alla massa ereditaria della madre, non può poi estendersi in corso di causa ad altra massa ereditaria, quella del padre, trattandosi di due titoli di provenienza del tutto autonomi e distinti tra loro.
Corretta, dunque, appare la soluzione del giudice, in aderenza ovviamente a quelle che sono le risultanze della CTU (contrastanti con quelle della CTP) di disporre la vendita coattiva dell’immobile, stante l’impossibilità di procedere ad un frazionamento dell’immobile per la sua non comoda divisibilità.

Corretta, ancora, è l’osservazione del giudice che la divisione non può avere ad oggetto beni non facenti parte della massa da dividere (ovvero l’immobile in Inghilterra venduto dal coniuge e le somme di denaro prelevate dal conto cointestato estero), considerato che tali beni erano fuoriusciti dal patrimonio ereditario ancor prima che ne venisse chiesta la divisione.
L’unico modo, invece, per far sì che questi, o quantomeno il loro corrispondente valore monetario, potesse essere ricompreso nella massa da dividere e calcolato ai fini della formazione delle tre quote, sarebbe stato quello, come si è accennato all’inizio, di agire in riduzione.
L’esercizio di tale azione, infatti, ha come presupposto la formazione, ex art. 556 del c.c., di una massa di tutti i beni che appartenevano alla defunta al tempo dell’apertura della successione, riunendovi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, sia diretta che indiretta.

Anche sotto questo profilo, tuttavia, la situazione non si presenta favorevole per chi pone il quesito, in quanto il prelievo delle somme dal conto estero cointestato è stato effettuato dopo la morte della madre, e ciò preclude la possibilità di lamentare l’intento della defunta di voler avvantaggiare uno solo dei figli con trasferimento in suo favore di somme di denaro.
A ciò si aggiunga anche un’altra considerazione: dal corpo della sentenza trasmessa risulta che non è stata offerta alcuna prova sulla circostanza che il corrispettivo ricavato dalla vendita dell’immobile in Inghilterra fosse confluito nella sfera patrimoniale dell’altro fratello, e ciò, ovviamente, costituisce un ostacolo di non scarso rilievo al fine di poter fondatamente lamentare una eventuale lesione della propria quota di riserva, anche con riferimento al patrimonio dell’altro genitore successivamente deceduto.

Stando così le cose, dunque, si ritiene che si abbiano scarsissime possibilità di esperire con esito positivo un eventuale ricorso in Cassazione, e ciò per le seguenti ragioni:
a) oggetto del procedimento conclusosi in appello era lo scioglimento della comunione ereditaria, nella quale non possono in alcun modo farsi rientrare beni che già ne erano fuoriusciti, quale l’immobile situato all’estero;
b) con riferimento alle somme ricavate da tale vendita, del tutto corretto è quanto osservato dal giudice di secondo grado, ovvero che sarebbe stato necessario esperire nei confronti di colui che le ha incamerate azione di rendiconto/restitutoria, ormai non più proponibile in via diretta atteso l’intervenuto decesso;
c) incontestabile è anche la parte della sentenza ove è detto che la divisione della massa ereditaria, relitta dalla propria genitrice, non poteva essere divisa in due quote, ma in tre, considerato peraltro che il giudizio divisorio, interrotto per sopravvenuto decesso di uno dei condividenti, risulta poi essere stato regolarmente riassunto, ma sempre per la formazione di tre quote come in origine richiesto;
d) l’accertata indivisibilità dell’immobile e l’assenza di manifestazione di volontà da parte di uno dei condividenti di voler comprendere quell’immobile per intero nella propria quota, con addebito dell’eccedenza (ipotesi questa espressamente prevista dall’art. 720 c.c.), non può avere altra conseguenza che quella di imporre al giudice di disporre la vendita all’incanto dello stesso immobile, per la quale dovranno seguirsi le norme dettate dal codice di procedura civile in tema di vendita forzata degli immobili;
e) in ogni caso il ricorso in cassazione non potrebbe valere ad interrompere la vendita forzata dell’immobile, potendo essere utile a tal fine soltanto la richiesta da parte di uno degli eredi di voler comprendere quell’immobile per intero nella propria quota, versando all’altro coerede la differenza in denaro.
Neppure la circostanza che l’immobile da vendere sia attualmente occupato può ostacolare la vendita, risultando del resto questa l’ipotesi generalmente ricorrente nei casi di vendita di immobili all’asta.

Unica soluzione, giunti a questo punto, e soprattutto a seguito della successiva morte del padre, si ritiene sia quella più volte indirettamente suggerita dal giudice nella sentenza trasmessa (si veda in particolare pag. 4), ovvero il raggiungimento di un accordo tra le parti per la divisione in due quote (e non più tre) dei beni facenti parte di entrambe le masse ereditarie.
Qualora, invece, si ritenga di essere stati in qualche modo lesi nella propria quota di riserva, sarebbe opportuno esperire azione di riduzione, l’unica che consente di ricostruire il patrimonio ereditario, facendovi confluire anche ciò che ha potuto costituire oggetto di donazioni indirette o liberalità in genere (per l’esercizio di tale azione, però, occorre disporre di prove concrete e certe).

M.D.A. chiede
martedì 17/08/2021 - Lazio
“Spett. Le Brocardi.it sono a porVi un quesito nell'ambito ereditario e della successione.

Siamo 4 eredi, 2 figli dalla prima moglie, un altro figlio da seconda moglie, e la seconda moglie.

Per comodità chiameremo il sottoscritto "erede1" il secondo figlio "erede2" il terzo, figlio della seconda moglie "erede3" e la seconda moglie "erede4"

Il de cuius è deceduto a marzo del 2016, e la successione non è mai stata fatta, ma l'eredità è stata accettata da tutti con beneficio di inventario. I beni sono ancora intestati al de cuius, di cui un immobile abitato da EREDE2, un altro immobile abitato da EREDE3 e EREDE4, tale immobile è stato ricevuto da EREDE3 per donazione.

In inventario è presente solo l'immobile abitato da EREDE2.

Il sottoscritto (EREDE1) invece, ha già venduto un immobile ricevuto per consolidamento di usufrutto.


La situazione che sembrerebbe andare a definirsi è la seguente :

EREDE2 vorrebbe richiedere la totale proprietà dell'immobile dove risiede, confidando nell'accettazione del sottoscritto EREDE1, e di EREDI 3 e 4 che si presume accettino, onde evitare azione di riduzione su immobile dove risiedono (immobile donato).

Il sottoscritto EREDE1 è d'accordo con tale soluzione, ma prima di rinunciare alla riduzione del bene abitato da EREDI 3 e 4 (immobile donato a EREDE3), e all'immobile abitato da EREDE2 (intestato ancora al de cuius) vorrebbe sapere come poter conformare, all'atto della distribuzione dei beni sopra descritta, una rinuncia a qualsiasi azione da parte di EREDE2 e EREDI 3 e 4, nei confronti del sottoscritto EREDE1.

Alla luce di quanto descritto, lo scrivente pone le seguenti questioni :

-È possibile, in sede di distribuzione di tali beni una sorta di "nulla a pretendere" nei confronti del sottoscritto EREDE1 da far sottoscrivere a EREDE 2, 3 e 4, dato che per ufficializzare quanto sopra descritto, il sottoscritto EREDE1 dovrà sicuramente sottoscrivere la rinuncia all'immobile abitato da EREDE2 e la rinuncia all'azione di riduzione dell'immobile donato a EREDE3 abitato dallo stesso e da EREDE 4, rimanedo così sprovvisto di elementi per avanzare richieste in caso di eventuali azioni contro il sottoscritto EREDE1?

-come posso far valere eventuali diritti e quali "contromosse" posso utilizzare se la trattativa dovesse saltare? L'immobile occupato da EREDE2 già da molti anni precedenti al decesso del de cuius, può essere contestato per tutti gli anni di possesso senza averne diritto? Inoltre L'immobile occupato da EREDE 3 e 4 può essere agito in riduzione in quanto donato. Tenendo conto che ogni erede ha esigenza a restare nella propria abitazione, difficilmente vorrà rischiare in tal senso, Ma vorrei assicurarmi una posizione agevolata in caso di controversia.

Certo di Vs pregevole risposta, porgo i miei migliori saluti.”
Consulenza legale i 23/08/2021
Il documento che si ha intenzione di sottoscrivere e sui cui possibili effetti si chiedono delucidazioni trova espresso riconoscimento giuridico all’art. 557 c.c.

Leggendo il quesito, seppure viene riportata in modo abbastanza chiara e completa la vicenda successoria, non si riesce con certezza ad intuire di quali beni si compone il patrimonio ereditario, in quanto l’unico bene a cui si fa riferimento e su cui sembra concentrarsi l’attenzione è l’immobile abitato dall’ erede 2 (si dice, infatti, che “…In inventario è presente solo l’immobile abitato da erede 2…”).
Per quanto concerne le quote ereditarie degli altri eredi, invece, sembrerebbe che le stesse siano state soddisfatte per effetto di donazioni ricevute in vita dal de cuius.

Ora, per stabilire con esattezza se qualcuno dei legittimari abbia concretamente subito una lesione della quota di riserva che gli spetta per legge (si precisa che qui tutti i chiamati alla successione si trovano nella posizione di legittimari), sarebbe indispensabile procedere ad una valutazione della massa ereditaria, composta da relictum (immobile presente in inventario) e donatum (immobili ricevuti in vita dai donatari), in conformità a quanto disposto dall’art. 556 del c.c..
Nel caso di specie, tuttavia, non sembra che gli eredi abbiano intenzione di accertare la sussistenza di eventuali lesioni di legittima, avendo il solo interesse di mantenere per sé gli immobili di cui fino a questo momento hanno goduto in via esclusiva (sia quelli oggetto di donazione che quello caduto in successione).

A questo punto, dunque, ciò che si rende necessario è formalizzare, trasfondendola in un atto giuridico, la situazione di fatto esistente, il che è ben possibile ricorrendo al disposto dell’art. 557 c.c., citato in apertura di questa consulenza.
Tale norma, dopo aver individuato quali sono i soggetti a cui spetta la legittimazione ad esperire in giudizio l’azione di riduzione (ossia i legittimari nonché i loro eredi o aventi causa), prevede implicitamente al secondo comma in quali casi si estingue il diritto di esercitarla, ricollegando tale estinzione alla rinuncia (espressa o tacita) da parte del legittimario che ne ha interesse.
Viene in particolare precisato che la rinunzia all'azione di riduzione può essere validamente effettuata solo dopo la morte del de cuius , in quanto, qualora dovesse essere fatta prima di tale momento, sarebbe affetta da nullità per violazione del divieto dei patti successori sancito dall’art. 458 del c.c. (così Cass. n. 2327/1963 e Cass. n. 24450/2009).

E’ stato più volte affermato in giurisprudenza che la rinunzia all'azione di riduzione va tenuta distinta dalla rinunzia all’eredità (disciplinata dall’art. 519 del c.c.), in quanto ha ad oggetto il diritto potestativo del legittimario di esperire l’azione di riduzione e non è, per tale ragione, soggetta ad alcun requisito di forma, potendo realizzarsi sia espressamente (mediante atto recettizio diretto a coloro che ne sono i beneficiari) sia per fatti concludenti.
Ciò che si richiede è soltanto che l'intenzione di rinunciare sia inequivocabile, occorrendo a tal fine un comportamento incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione.
Ad esempio, è stato escluso che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, promosso da altro coerede, possa esprimere, di per sé, la volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge (così Cass. civ., Sez. II, Sentenza, 03/09/2013, n. 20143).

Un altro aspetto peculiare della rinuncia ad esercitare l’azione di riduzione, e che qui interessa particolarmente, è quello della sua irrevocabilità, ritenendosi che ad essa non possa applicarsi l’art. 525 del c.c., in quanto trattasi di norma eccezionale, riferita soltanto alla rinunzia all’eredità.
Per quanto concerne i suoi effetti, va detto che l'effetto fondamentale della rinunzia è quello di rendere definitive ed intangibili le situazioni giuridiche già determinate dal de cuius (così Cass. civ. Sez. II, 28.03.1997 n. 2773), avendo la stessa giurisprudenza di legittimità precisato che la conferma o l'esecuzione volontaria, da parte del legittimario, di una disposizione lesiva non preclude di per sé l'esercizio dell'azione di riduzione, salvo che il legittimario non abbia manifestato in modo non equivoco la volontà di rinunciare a far valere la lesione (così Cass. civ. Sez. II, 04.08.1995 n. 8611).

In considerazione di quanto sopra detto, pertanto, può dirsi che quanto voluto dai coeredi (ossia, mantenere tra di loro la situazione immobiliare che si è venuta a creare nel corso del tempo) è senza dubbio possibile, mentre per garantirsi che nessuno dei legittimari possa un giorno (sempre entro il termine di prescrizione decennale dall’apertura della successione) decidersi ad agire in riduzione, si consiglia di procedere alla stipula di un atto notarile di c.d. “transazione divisoria”.
Mediante tale atto le parti dovrebbero procedere allo scioglimento della comunione ereditaria che tra di esse si è venuta a creare a seguito dell’apertura della successione relativamente all’unico immobile inventariato, scioglimento che si realizzerà con assegnazione per intero dell’immobile in favore dell’erede 2 (che lo abita) e rinuncia reciproca, da parte di tutti gli eredi, ad esperire l’azione di riduzione relativamente a qualunque atto di disposizione sia stato posto in essere dal de cuius durante la sua vita.
In questo modo la rinuncia verrà manifestata in modo espresso (quindi non vi potranno essere dubbi sulla sua esatta portata) e sarà, come è stato detto prima, irrevocabile, per inapplicabilità alla medesima del disposto di cui all’art. 525 c.c.

Qualora la trattativa dovesse saltare (ovvero qualora gli altri eredi non dovessero prestare il proprio consenso ad un atto di transazione divisoria), l’unica soluzione che rimane, prima di procedere allo scioglimento della comunione relativamente all’immobile caduto in successione, è quella di determinare ex art. 556 c.c. se qualcuno dei coeredi abbia subito o meno una lesione di legittima.
Soltanto quando si avrà certezza di ciò, sarà possibile decidere quale potrà essere la soluzione migliore da attuare per conciliare al meglio i contrapposti interessi di tutti gli eredi.

Per quanto concerne il timore che l’erede 2 possa rivendicare il possesso esclusivo dell’immobile ereditario da lui occupato per tutti questi anni, va detto che si tratta di timore infondato, in quanto in favore degli altri eredi soccorre il disposto dell’art. 714 del c.c., norma che disciplina appunto l’ipotesi in cui uno o più eredi abbiano goduto separatamente di parte dei beni ereditari, disponendo che tale circostanza non può costituire causa di impedimento alla divisione ereditaria (nel caso di specie alla transazione divisoria).
E’ vero che la stessa norma fa salvi gli effetti di una eventuale usucapione, ma si tratta di istituto giuridico che nel caso di specie non può essere in alcun modo invocato, essendo trascorsi appena cinque anni dalla morte del de cuius.


ROBERTO C. chiede
domenica 20/06/2021 - Lombardia
“Buongiorno
Agosto 2020 è deceduto mio fratello, celibe e senza figli, in possesso solo di beni mobili (titoli, conto corrente, fondi, polizze vita con revoca beneficiari ecc), ascendente mia mamma ed erede universale mia sorella. Ha lasciato un legato a me, e legati a 3 amiche, tutto il resto a mia sorella (la somma dei legati non arriva a 1/5 dell'intero patrimonio). Il testamento olografo non menzionava la mamma in nessun modo, che però è legittimaria in quanto ascendente, ma non ha contestato il testamento e ha rinunciato a essere coerede (non sono al corrente in che modo), posso chiedere che la quota di 1/3 che la mamma ha rinunciato sia divisa tra me e mia sorella, cioè con successione legale come sembra dire l'art 523 cc, pur essendoci un testamento olografo che mi lascia solo una somma precisa, molto più bassa? Ho presenziato alla lettura del testamento e ho sottoscritto un verbale, è già stata presentata la dichiarazione di successione che per me contempla solo la piccola somma di legato, sono in tempo se avessi dei diritti da vantare? Preciso che non ho ancora ricevuto nulla dalla banca di mio fratello defunto. Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 24/06/2021
La lettura del testamento e del relativo verbale di pubblicazione pone immediatamente in risalto un apparente ostacolo a ciò che si ha intenzione di realizzare.
Ci si intende riferire alla chiara ed espressa manifestazione di volontà contenuta prima della chiusura del verbale di pubblicazione (intestato “Verbale di pubblicazione e acquiescenza a disposizioni testamentarie”), nella parte in cui è detto:
I comparenti alla presenza dei testimoni dichiarano di prestare, come prestano, piena adesione ed acquiescenza al testamento pubblicato con il presente atto, dichiarando di essere a conoscenza del relativo contenuto e rinunciando ad ogni eccezione e/o riserva.
Dichiarano in particolare di rinunciare irrevocabilmente ad ogni impugnativa od azione che eventualmente potesse loro competere in conseguenza di quanto disposto in forza del più volte citato testamento, anche per i casi e gli effetti previsti dall’art. 554 cod. civ.”.

Comparenti sono la madre, il fratello e la sorella del de cuius ed una tale manifestazione di volontà esplica i suoi effetti immediatamente nei confronti della madre, unico soggetto a cui la legge riserva una quota di eredità, e precisamente un terzo ex artt. 536 e 538 c.c.
In particolare, prestando acquiescenza alle disposizioni testamentarie e rinunciando espressamente ad ogni azione, la madre legittimaria si è irrevocabilmente preclusa la legittimazione ad agire in riduzione.
Si ricorda che tale azione compete al legittimario in quanto tale e non in quanto erede e gli è attribuita non dalla successione, bensì dalla legge; ciò significa che il suo esercizio è consentito anche al legittimario pretermesso (in tale posizione si trova la madre), il quale, per effetto della sentenza che accoglie la domanda di riduzione, diventerebbe erede senza bisogno di accettazione.

Ma, oltre che esplicare effetti diretti ed immediati nei confronti della madre legittimaria pretermessa, è purtroppo destinata a produrre effetti indiretti anche nei confronti dei suoi eredi e dei suoi aventi causa.
Sembra evidente che tra gli eredi del legittimario vi rientrino i figli, tra i quali colui che pone il quesito, i quali hanno pure volontariamente e consapevolmente dichiarato in atto pubblico di voler prestare acquiescenza alla volontà del testatore e di voler rinunciare all’esercizio di qualunque azione potesse spettare loro ex art. 554 del c.c..

A ciò si aggiunga, come si è prima accennato, che la rinuncia all’azione di riduzione, se validamente posta in essere è, almeno secondo la tesi che si ritiene preferibile, irrevocabile, non potendo per essa valere neppure la disposizione di cui all’art. 525 del c.c., trattandosi di norma eccezionale, riferita solo alla rinuncia all’eredità.

Fatte queste precisazioni, si tratta adesso di individuare se, esclusa ogni possibilità di agire in riduzione, sia possibile redigere un atto che tenga luogo di una sentenza di riduzione e che sia in grado di produrre gli stessi effetti.
Ebbene, nonostante qualche opinione contraria, si ritiene in genere ammissibile che la reintegrazione della legittima possa avvenire anche in forma stragiudiziale, mediante un accordo tra i legittimari ed i soggetti beneficiati dal testatore, siano essi eredi o legatari (in tal senso si sono espressi in dottrina due autorevoli autori, Ferri e Mengoni).
A sostegno di questa tesi è stato peraltro addotto che la legittimità di tali accordi trova riscontro anche nella legislazione tributaria, ed in particolare nel testo dell’art. 43 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), nella parte in cui è detto che “…l’imposta si applica in base ….agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari, risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata.”.
Un accordo di tale tipo, il quale presuppone chiaramente la concorde volontà di tutti i soggetti interessati (e soprattutto della madre, diretta interessata), viene definito “atto di riconoscimento di legittima” e consiste in un negozio giuridico per mezzo del quale è possibile riconoscere l’inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni testamentarie e delle eventuali donazioni che eccedano la quota di cui il defunto poteva disporre.
Non è un atto con cui si riconosce la nullità delle disposizioni lesive, poiché queste restano valide ed efficaci, né determina la rescissione o la risoluzione di tali disposizioni, ma si limita a renderle inoperanti nei confronti del legittimario leso.

Per mezzo di tale negozio giuridico si potrà:
  1. accertare l’esistenza della lesione di legittima e delle altre condizioni per l’esperimento dell’azione di riduzione, con conseguente modificazione giuridica del contenuto del diritto del legittimario;
  2. considerare come non avvenuto nei confronti del legittimario il trasferimento posto in essere dal defunto con le disposizioni lesive.

Una volta riconosciuto da parte del beneficiario che la disposizione a suo favore è lesiva della legittima, ne consegue l’inefficacia ipso iure di quella disposizione, con operatività della delazione necessaria a favore del legittimario.
Pertanto, nello stesso momento in cui l’erede testamentario riconosce la lesione di legittima, il legittimario pretermesso diventa partecipe della comunione ereditaria con effetto dall’apertura della successione, acquistando i beni non in forza dell’atto di riconoscimento in sé, ma in forza della vocazione necessaria, la quale costituisce titolo legale a succedere.

Se la denuncia di successione è stata già presentata, come accaduto nel caso di specie, occorrerà presentare una successione in rettifica, con l’indicazione dei nuovi eredi, mentre se non fosse stata presentata, sarebbe stato necessario allegare alla stessa la copia del testamento e l’atto di reintegrazione (come disposto dalla norma tributaria prima richiamata).

Qualora, poi, la madre continuasse a non volere nulla per sé, si potrebbe chiedere alla stessa di intervenire ugualmente in tale atto e convenire che gli effetti dello stesso si producano in favore del figlio (nella sua qualità di erede del legittimario pretermesso) e nella misura che le parti di comune accordo decideranno (sempre sulla base di tale accordo andrà redatta la denuncia di successione in rettifica).

Certo, deve riconoscersi che non si tratta di un atto usuale, ma si ritiene che il notaio a cui ci si dovrà necessariamente rivolgere (è richiesta la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata) non dovrebbe porre ostacoli nella sua ricezione.



Luciano S. chiede
lunedì 19/02/2018 - Lombardia
“Buon giorno, questo è il quesito:
mia madre nel 1984 mi donò la nuda proprietà dell'appartamento in cui viveva, mantenendo l'usufrutto per se stessa. Nel 2012 mia madre muore e da quella data ho la piena proprietà dell'appartamento. Nella dichiarazione di successione viene riportato l'intero patrimonio che consiste in terreni e di una casa di campagna. Negli anni 2014 2015 gli eredi ( io e due figli di mio fratello ) decidono di comune accordo di vendere i terreni e la casa di campagna e il ricavo delle vendite viene diviso, il 50% a me il 25% ai due miei nipoti. Nulla viene richiesto per quanto riguarda la donazione. Alla fine del 2017 i due nipoti chiedono la quota della legittima relativa alla donazione e mi chiamano a mediare prima di ricorre al giudice. Vorrei sapere se visto che l'ordine seguito non è in linea con quanto previsto dalla legge si può prefigurare una rinuncia tacita all'azione di riduzione? Grazie”
Consulenza legale i 26/02/2018
L’azione di riduzione (art. 554 e 555 c.c.) è lo strumento per mezzo del quale l’erede legittimario tutela il proprio diritto alla quota del patrimonio ereditario riservatogli dalla legge contro disposizioni testamentarie o atti di liberalità posti in essere dal de cuius eccedendo i limiti della disponibile.

L’azione mira a far accertare la lesione della quota di legittima e a far dichiarare inefficaci, nei limiti di quanto necessario a reintegrare la riserva, le disposizioni lesive.

L’azione di riduzione si estingue per rinuncia e per prescrizione.

La rinuncia è l’atto unilaterale con cui il legittimario si priva del potere di far valere la lesione della legittima.

Può essere espressa o tacita.

Nel caso di rinuncia tacita, la Giurisprudenza ha stabilito che il diritto, patrimoniale (e perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, dopo l’apertura della successione, è rinunciabile, anche tacitamente, ma sempre che detta rinuncia sia inequivocabile (Cass. 2773/97).

A questo scopo, la rinuncia tacita deve concretizzarsi in un comportamento inequivoco e concludente del soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione (Cass.n. 4230/87; Cass. n. 20143/2013).

Da ultimo la Cassazione ha affermato che “ il godimento del legittimario leso di beni assegnati per testamento (o per donazione) non può in alcun modo essere ritenuto una condotta idonea a concretare una rinuncia tacita alla tutela della ragioni successorie o all’azione di riduzione, ove il comportamento non si accompagni ad una manifestazione di volontà espressa o per facta concludentia" (Cass. n. 168 del 5.01.2018).

Alla luce di quanto espresso è evidente che stabilire quando vi sia un comportamento inequivoco di rinuncia all’azione di riduzione non è operazione semplice in mancanza di comportamenti tipizzati dal legislatore.

Viene, pertanto, lasciata alla discrezionalità del Giudice valutare se un determinato comportamento del legittimario leso nella propria quota di legittima possa essere interpretato come rinuncia tacita all’azione di riduzione.

Ora, premesso che all’azione di riduzione non si può rinunciare finché vive il donante (art. 557, 2° comma c.c.), nel caso in esame occorre valutare il comportamento dei figli di Suo fratello (eredi legittimi) a partire dal 2012, data di morte di Sua mamma.

Orbene, a nostro parere, riteniamo che il non aver richiesto, al momento della vendita dei beni caduti in successione, anche la loro quota di legittima eventualmente spettante sulla donazione, laddove lesiva della loro quota di legittima, non può essere considerato come comportamento inequivoco (richiesto dalla Giurisprudenza per aversi rinuncia tacita) a concretizzare una rinuncia tacita a far valer il loro diritto di reintegrazione.

Ne consegue che, come previsto dall’art. 557 c.c., i figli di Suo fratello possono legittimamente chiedere la riduzione della donazione del 1984, con buone probabilità di successo.

Appare auspicabile trovare un accordo stragiudiziale onde evitare di incorrere in inutili spese legali.


Giulia D. chiede
martedì 12/09/2017 - Abruzzo
“Buongiorno,
nel 2012 mio nonno paterno, dopo aver venduto una casa al mare, ha donato ai suoi tre figli la somma di 90.000,00€ ciascuno a titolo di anticipata successione.
Quest'anno -2017- mio nonno è deceduto.
Egli era in comunione dei beni con sua moglie. A noi risulta che possedessero solo un'altra casa, situata nel centro di Roma, del valore attuale - a seguito della crisi immobiliare - di circa 600.000€.
Contemporaneamente alle suddette donazioni egli aveva donato alla moglie anche l'altra metà della casa di Roma, facendo firmare a mio padre, invalido e indigente, un documento di cui ignoriamo il contenuto. E' molto probabile che fosse la rinuncia alla collazione, o il consenso a quest'ultima donazione.
L'attuale vedova non è la madre di mio padre bensì di una sola dei tre fratelli, già donataria dei 90.000,00€ , la quale alla morte di mia nonna sarà erede dell'intera casa.
Vorrei sapere se è possibile impugnare la donazione in quanto mio padre ritiene che la legittima sia stata violata; ribadisco che al momento della donazione versava in forte stato di bisogno economico documentabile, oltre ad essere affetto da gravi patologie psichiatriche e atrofia cerebrale (demenza da alcolismo) per le quali gli è riconosciuta l'invalidità da molti anni, ma con aggravamento del 100% solo nel 2014.
Grazie.”
Consulenza legale i 25/09/2017
Dal quesito si evince che il patrimonio ereditario del nonno, incluse le donazioni fatte in vita che la legge considera parte integrante del patrimonio del de cuius, ammonti a circa Euro 870.000, considerando che egli avesse nel suo patrimonio solo i due immobili citati.

L'articolo 542 del Codice Civile dispone che quando chi muore lascia il coniuge e più di un figlio, il coniuge ha diritto a un terzo del patrimonio ereditario, ed i figli hanno diritto complessivamente alla metà del totale; ciò anche contro la volontà espressa dal de cuius con testamento o con donazioni fatte in vita, che, infatti, anticipano la successione: è questa la successione necessaria, che costituisce un limite alla libertà testamentaria ed alla stessa libertà di donare. Il restante quarto del patrimonio, invece, è la cosiddetta parte "disponibile", cioè quella parte del patrimonio di cui il testatore può disporre liberamente, lasciandola a chi desidera.

Il legittimario (coniuge, figlio o ascendente) dimenticato o leso nella propria quota di legittima potrà agire in giudizio con la cosiddetta azione di riduzione delle donazioni o delle disposizioni testamentarie che ledono la sua quota di legittima, per ottenere la quota riservata.

Nel caso in analisi, quindi, la quota di legittima riservata alla moglie del nonno è pari a un quarto del patrimonio, corrispondente a Euro 217.500, mentre ai figli è riservata complessivamente una quota pari ad Euro 435.000, ossia Euro 145.000 ciascuno, essendo i figli in tre, un sesto dell'intero patrimonio per figlio.

Considerate le donazioni fatte in vita, ciascun figlio è diventato titolare solo di Euro 90.000; se nel patrimonio ereditario non si trovano altri beni per poter integrare la quota di legittima, ciascun figlio potrà esperire l'azione giudiziale di riduzione delle donazioni ai sensi degli artt. 553 e seguenti c.c.. Tale azione si propone dinanzi al giudice del luogo in cui si è aperta la successione, ossia il luogo di ultima dimora del defunto.

Bisogna precisare che i soggetti legittimati a proporre l’azione di riduzione non possono rinunciare al diritto di proporla, finché colui della cui eredità si tratta è ancora in vita, né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione.
Pertanto, qualsiasi atto sottoscritto da uno dei figli, pienamente capace o invalido che fosse, che potesse implicare una rinuncia a far valere i propri diritti di legittimario è da considerarsi nullo, in quanto è la legge che stessa che prevede tale regola ai sensi degli articoli 557 comma secondo c.c., il quale prevede che i potenziali legittimari non possono rinunciare al diritto di chiedere la riduzione finché il donante è in vita, e 458 c.c., che dispone la nullità di ogni atto col quale taluno rinuncia ai diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta.

Per rispondere al quesito, dunque, ciascun figlio può senz'altro agire per ottenere la reintegra della propria quota di legittima. Si rammenta per completezza che per la legge ciascun legittimario che intende agire in riduzione deve accettare l'eredità con beneficio d'inventario, seguendo la procedura di legge, e non puramente e semplicemente, come disposto dall'art. 564.

Maria G. chiede
venerdì 26/05/2017 - Piemonte
“Con riferimento alla vostra recente consulenza n. Q201718822 con la quale è stata fornita ampia ed esaustiva risposta al quesito da me avanzato, pongo al riguardo una nuova domanda.
Nel mio precedente quesito ho omesso, purtroppo, di indicare che mio padre non ha formalmente rinunciato all’eredità di mia madre.
Mi è stato riferito che tale mia omissione vi ha portati a fornirmi indicazioni errate in ordine alla quota di legittima che mio fratello potrebbe ottenere agendo in giudizio e che, quindi, in caso di ricorso al giudice non gli verrebbe riconosciuta la percentuale del 29,1%, come indicato nella Vostra consulenza, ma quella a lui più favorevole del 33,33%.
In particolare mi è stato riferito che in conseguenza della mancata rinuncia all’eredità, mio padre avrebbe acquisito automaticamente la quota di eredità (legittima) di cui per legge ha diritto il coniuge del de cuius, che nel caso di specie è di 1/8, pari a 12,5% dell’intero valore dell’immobile.
Sommando 1/8 del valore dell’abitazione al 50% già da egli posseduto, mio padre sarebbe divenuto proprietario del 62,5% dell’immobile. Quindi, la suddivisione di tale percentuale porterebbe a riconoscere in capo a mio fratello il 33,3% della proprietà (1/8 di mia madre pari a 12,5% e 1/3 di mio padre pari a 20,83%).
Ciò premesso, vi prego di comunicarmi se la mancata rinuncia all’eredità da parte di mio padre incida effettivamente sulla ripartizione dell’immobile o se, invece, tale circostanza è ininfluente e, quindi, non determina alcuna variazione rispetto alle quote di cui al Vostro precedente parere.
Rappresento che il capoverso 8 del Vostro anzidetto parere recita testualmente “Suo padre, pur avendo diritto ad ¼ dell’eredità, non ha reclamato alcunché, confermando la successiva disposizione testamentaria con la quale la voleva erede in toto dell’immobile”. Forse è solo una mia errata interpretazione, ma mi pare di comprendere che tale assunto indichi che non avendo mio padre chiesto di ottenere la parte di legittima che la legge gli riconosceva disponeva solo della sua parte dell’immobile e cioè del 50% e non del 62,5%.
Mio padre non ha rinunciato all’eredità perché non sapeva di doverlo fare altrimenti lo avrebbe fatto in quanto era sua intenzione, come peraltro mia madre, lasciarmi unica ere
Un cordiale saluto.
M. G.”
Consulenza legale i 01/06/2017
Il quesito attiene alla legittimazione ad agire con l’azione di riduzione e reintegrazione della legittima del fratello pretermesso, che vorrebbe far valere i suoi diritti quale legittimario della quota a sé riservata sulla successione della madre, i diritti quale legittimario della quota a sé riservata sulla successione del padre, volendo peraltro altresì agire quale successore del padre per la reintegrazione della quota di legittima spettante a quest'ultimo in forza dell’apertura della successione della coniuge (madre).

Effettivamente in forza dell’art.557 c.c., al legittimario (fratello pretermesso) è concesso il potere di chiedere la riduzione delle disposizioni lesive dei diritti spettanti al de cuius, chiedere cioè la reintegrazione della quota di legittima del padre-coniuge sulla successione della madre-coniuge.
Il padre, anch’esso pretermesso dalla successione della moglie, aveva diritto ad una quota di riserva, pari ad ¼ della parte di abitazione di proprietà della moglie, pari al 12,5 %.

Dunque qualora il figlio, fratello dell’erede testamentario, volesse agire in giudizio per ripristinare il patrimonio del padre, a cadere nella seconda successione sarebbe il 62,5% dell’abitazione (50% + 12,5%).
E dunque il fratello pretermesso potrebbe far valere i propri diritti di legittimario su 1/3 del 62,5%, pari al 20,83% della casa, che unitamente al 12,50% sulla successione della madre gli consentono, nonostante il testamento, di riavere il 33,33% dell’immobile.

Tuttavia quivi vi è stata, a parere di chi scrive, una tacita rinuncia all’eredità da parte del padre.
Si tratta proprio di comprendere se possa inequivocabilmente dirsi che il padre abbia voluto rinunciare all’eredità oppure si sia limitato ad un comportamento inerte non inequivocabilmente espressione di una precisa volontà di rinuncia.

Proprio la Cassazione sul punto ha affermato che “il diritto, patrimoniale (e perciò disponibile) e potestativo, del legittimario di agire per la riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, dopo l'apertura della successione, e' rinunciabile, anche tacitamente, ma sempre che detta rinuncia sia inequivocabile (Cass. 2773/97). A questo scopo, la rinuncia tacita deve concretizzarsi in un comportamento inequivoco e concludente del soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione (Cass. 4230/87)” (Cass. 1373/2009).

A parere di chi scrive, l’aver fatto, il padre, un testamento in cui dispone dei suoi beni, senza probabilmente includervi l’altra metà dell’abitazione, unitamente alla circostanza che il fratello è stato pretermesso anche dal secondo testamento allo scopo di far ottenere alla figlia/sorella tutta l’abitazione per intero, oltre al mancato avviamento di iniziative volte ad ottenere la riduzione della lesione di legittima, manifesta inequivocabilmente l’intenzione di rinunciare a far valere il diritto alla reintegra.

E’ dunque in forza di tale ricostruzione che nella precedente risposta avevamo affermato che il fratello avrebbe potuto ottenere il 29,16 % della proprietà della casa.
Ma, in assenza di un accordo, spetterà al giudice valutare tutte le circostanze, e ricostruire in via definitiva la volontà del de cuius.

Emilio V. chiede
giovedì 08/12/2016 - Trentino-Alto Adige
“A mia moglie - siamo sposati in comunione di beni - il padre ha donato un appartamento nel 2014. Prima della donazione il fratello e le tre sorelle hanno prodotto una scrittura privata su consiglio del notaio in cui rinunciavano a quella parte di eredità ed acconsentivano alla donazione, ora dopo un lasso di tempo da parte di una delle sorelle viene paventata un azione di riduzione o di restituzione casomai l'appartamento venga venduto. è possibile ciò, nonostante la scrittura privata? che responsabilità può avere il notaio? dopo quanti anni si estingue la possibilità di rivalersi da parte delle sorelle e del fratello?”
Consulenza legale i 15/12/2016
La donazione è regolata dal nostro codice civile agli artt. 769 e ss, immediatamente di seguito alle norme sulla divisione ereditaria, e ciò a voler significare che con la donazione si opera una liberalità per molti versi analoga ad una attribuzione mortis causa anticipata, il che spiega l’analogia della disciplina.
Delle donazioni compiute in vita dal de cuius, infatti, occorre tenere conto al momento dell’apertura della successione, al fine di determinare la porzione disponibile e, di risulta, quella riservata ai legittimari.

Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, dando loro un valore calcolato sempre al momento dell’apertura della successione secondo i criteri previsti per la collazione (art. 747 e ss. c.c.) e così, sull’asse in tal modo formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre.

Si tratta di una semplice operazione matematica ed è per questo che essa prende il nome di “riunione fittizia”, per porre l’accento su una caratteristica particolare che distingue questa operazione da altre non fittizie ma reali, quale ad esempio la collazione.

Interessante ai fini che qui ci interessa e della riunione fittizia è la norma contenuta nell’art. 557 c.c., rubricata “Soggetti che possono chiedere la riduzione” la quale, dopo aver precisato che la riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive di legittima può essere chiesta soltanto dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa, dispone espressamente che, finché vive il donante, trattasi di un diritto irrinunciabile, sia che la rinuncia provenga da una dichiarazione espressa sia che si concretizzi in una manifestazione di assenso alla donazione.

Pertanto, in virtù della analogia sussistente tra donazione e attribuzione mortis causa nonché per effetto di quanto contenuto nel secondo comma dell’art. 557 c.c. appena esaminato, può chiaramente evincersi che la scrittura privata redatta su consiglio del notaio sarà da ritenere;
a) nulla per la parte in cui contiene la rinuncia alla porzione di eredità spettante a fratelli e sorelle sull’appartamento donato, e ciò perché in contrasto tale rinuncia con il divieto posto dall’art. 458 c.c. contenente il c.d. “Divieto di patti successori” nella parte in cui dispone che è nullo ogni atto con cui taluno rinuncia ai diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta.
b) improduttiva di effetti per la parte in cui viene prestato l’assenso alla donazione, non potendo tale assenso, manifestato in vita del donante, produrre l’effetto di una rinuncia preventiva all’azione di riduzione.

Tali effetti, come si è accennato all’inizio, discendono sempre dalla circostanza che il de cuius quando è in vita, e sempre che abbia eredi legittimari (come nel caso che ci riguarda) deve considerare ogni donazione che stipula alla stregua di una disposizione mortis causa.
Se essa è fatta ad un legittimario in conto di legittima non si pone alcun problema, altrimenti il de cuius dovrà imputarla idealmente alla futura quota disponibile e stare attento a non superare il limite di legge con altre donazioni.

Passando a trattare dell’azione di riduzione, va detto che con essa il legittimario (cioè gli altri fratelli e sorelle non donatari) non contesta il diritto di proprietà del beneficiario e, quindi, non rivendica lo specifico bene aggredito, ma intende far valere sul valore di quel bene le proprie ragioni successorie; egli è pertanto titolare non già di un diritto reale sui beni donati, ma di un diritto di credito nei confronti dei beneficiari delle attribuzioni del de cuius lesive.
Trattasi dunque di un’azione avente carattere non già reale ma personale, la quale si prescrive in 10 anni dall’apertura della successione (ossia nello stesso termine previsto per esercitare il diritto di accettare l’eredità).
L’azione può essere esperita unicamente nei confronti dei donatari destinatari dell’attribuzione del de cuius lesiva della quota di riserva e raggiunge immediatamente il proprio scopo ogniqualvolta il bene da conseguire sia ancora nel patrimonio dei convenuti in giudizio.
Se, invece, i convenuti hanno alienato il bene, come si vuol fare nel caso che ci riguarda, il legittimario o i legittimari lesi potranno avvalersi della sentenza già resa in ordine alla inefficacia relativa dell’atto lesivo per agire con l’azione di restituzione nei confronti degli aventi causa che si sono resi acquirenti dei beni stessi; pertanto, mentre l’azione di riduzione è personale perché ha come convenuti soggetti determinati, quella di restituzione ha carattere reale, potendo essere esperita contro qualsivoglia avente causa.

Per quanto concerne i profili di una eventuale responsabilità del notaio, va detto che è pur vero che uno dei doveri cui deve attenersi il notaio è quello di consigliare, ma tale dovere non deve costruirsi in termini assoluti, operando entro precisi limiti che la stessa giurisprudenza non ha mancato di indicare e che sono visti sempre in funzione dell’atto che deve essere rogato.
E’ giusto che egli non possa limitarsi a svolgere la funzione di passivo registratore delle dichiarazioni delle parti, ma il suo dovere di consiglio non può estendersi al di là di quanto necessario per una valida stipulazione dell’atto che gli viene richiesto, condizione che nella fattispecie si è verificata, avendo stipulato un atto (la donazione) pienamente valido ed efficace tra le parti, ed avendo giustamente consigliato (per creare un obbligo di sola natura morale) di trasfondere in una scrittura privata con efficacia solo inter partes (e per il quale non viene richiesto il suo intervento professionale) il consiglio di pattuire la rinuncia all’esercizio di una eventuale azione di riduzione e di assentire alla donazione, non potendo il contenuto di tale scrittura essere contenuto nello stesso atto pubblico di donazione per le ragioni sopra dedotte.

A questo punto, considerato che nessun effetto può farsi discendere dalla scrittura privata redatta contestualmente alla donazione e nel timore che gli altri legittimari possano voler esercitare una azione di riduzione, unica soluzione che può prospettarsi, allorché il donante sia ancora in vita, è quella di una dispensa dalla collazione, prevista e disciplinata dall’art. 737 c.c.

Tale istituto giuridico consente che il beneficiario possa trattenere la liberalità ricevuta senza dover restituire il bene (collazione in natura) o versare nell’asse il valore del medesimo in denaro (conferimento per imputazione, che si tratta della forma tipica della collazione), ma essa produce effetti solo per la parte disponibile.
La dispensa da collazione può avvenire per contratto (non necessariamente quale clausola aggiunta alla donazione), ed in questo caso sarà di nuovo necessaria la presenza di entrambi i soggetti (ossia donante e donatario) e sarà irrevocabile, ovvero per atto unilaterale inter vivos o per testamento (in questo caso sarà revocabile).
Circa la sua forma, si ritiene che essa sia libera, ma si preferisce la tesi che richiede la stessa forma dell’atto di donazione, ossia l’atto pubblico.

Patrizia chiede
martedì 15/05/2012 - Toscana
“Buongiorno, vi riassumo brevemente la situazione. Separata da 5 anni il mio ex marito (chiamiamolo X) non corrisponde alimenti ai figli, maturando un debito nei loro confronti di circa 65 mila euro.
Il padre di X (nonno paterno dei miei figli)è deceduto a dicembre 2011 e abbiamo scoperto che già da 2 anni elargiva assegni al figlio X, per circa 150 mila euro.Inoltre ha lasciato in testamento la casa totalmente alla moglie, escludendo X unico figlio dall'eredità.X rinuncia a chiedere la riduzione per legittima.
Domanda: i miei figli possono opporsi a tale rinuncia? possono chiedere la legittima in quanto figli del legittimario che non l'ha chiesta? o chiederla al suo posto in quanto creditori verso il legittimario escluso dall'eredità?
Se è possibile, quale atto occorre fare? e rientra nelle cause esenti dal contributo unificato in quanto trattasi di assegno di mantenimento di prole minore?
Vi ringrazio infinitamente.”
Consulenza legale i 16/05/2012

L'azione di riduzione costituisce un diritto patrimoniale (quindi disponibile) e potestativo del legittimario leso nel suo diritto ad ottenere una quota riservatagli per legge, c.d. quota legittima, dopo l'apertura della successione. Si tratta di un'azione personale con riferimento al soggetto attivo che può esercitarla, nel senso che è proponibile solo dal legittimario, dai loro eredi o aventi causa.

La legge riconosce al legittimario la facoltà di rinunciare a tale azione, sia per iscritto che per fatti concludenti, purché in quest'ultimo caso, i fatti concludenti siano inequivocabilmente orientati a rinunciare a tale azione.

Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione il legittimario può rinunciare, anche tacitamente purché inequivocabilmente, all'azione di riduzione, in quanto il solo effetto che ne consegue è la definitività ed intangibilità, nei confronti di uno o più coeredi, delle situazioni giuridiche determinate dal testatore (Cass. Civ. 2773/1997).

A differenza della rinuncia all'eredità, la rinunzia all'azione di riduzione è un atto irrevocabile, a forma libera, potendosi desumere anche da un comportamento concludente, pur quando la disposizione testamentaria o donazione lesiva sia immobiliare.

Pertanto, se il legittimario rinunzia a tale azione, tale diritto non si trasmette ai suoi eredi i quali non potranno promuovere l'azione di riduzione in luogo del loro legittimario perché con la rinuncia il diritto si è estinto.

Diverso sarebbe il caso in cui il legittimario morisse senza aver esperito l'azione di riduzione o senza avervi rinunciato in vita. Infatti, alla morte del legittimario si trasmetterà ogni diritto di cui era titolare agli eredi i quali potranno promuovere l'azione di riduzione.


Catia N. chiede
lunedì 11/07/2011 - Piemonte

Una zia ha fatto testamento olografo nel 2006, nominando erede universale un nipote. L'unico erede legittimario della zia era il marito, che è stato escluso dal testamento. Lo zio è mancato nel 2010, 6 mesi prima della zia, lasciando unica erede la moglie. Possono gli eredi legittimi della zia defunta (fratelli) esercitare l'azione di riduzione? Grazie e saluti.”

Consulenza legale i 22/07/2011

Per disposizione di legge (art. 536 del c.c.) i soggetti qualificati legittimari, legittimati ad esercitare l’azione di riduzione sono esclusivamente:

- i figli legittimi e naturali del de cuius o, al posto di questi, i loro discendenti che eventualmente succedano per rappresentazione;

- i figli legittimati o adottivi, che sono equiparati ai legittimi;

- il coniuge (sopravvissuto) del de cuius, sposato o legalmente separato senza addebito;

- gli ascendenti legittimi (solo in mancanza dei primi).

Nel caso di specie, i fratelli del de cuius non possono esercitare l’azione di riduzione. Solo gli eredi dei legittimari (se sono morti senza esercitarla) o i loro aventi causa (in caso di vendita dell’eredità: art. 1542 del c.c. e ss.) avrebbero un’analoga legittimazione riconosciuta dall’art. 557 del c.c., primo comma.


Serafina M. chiede
venerdì 01/09/2023
“Sono a richiedere una vostra consulenza sul tema successorio.
Ho provato a riepilogare nell'immagine allegata lo stato delle cose.

Il NONNO non c'è piu' e la NONNA è ancora vigile e attiva.
Al momento la situazione familiare è serena e vige un clima di forte disponibilità per identificare una soluzione che soddisfi la NONNA e che sia legalmente valida/inoppugnabile.

NONNO e NONNA hanno avuto due figli, uno dei quali ("Figlio1 nell'allegato") non c'è più.
In linea successoria, alla morte della NONNA, gli eredi sarebbero "Figlio 2" e l'unico erede di "Figlio 1" (chiamato nell'immagine "Leonardo").

Ora, la NONNA è proprietaria (tra le altre cose) di un appartamento acquistato decine di anni dopo la dipartita del marito, il cui valore commerciale è abbondantemente sotto al milione. Anzi, probabilmente sotto 100.000 euro.
Alla dipartita della NONNA, tale appartamento (suppongo) debba andare in parti uguali a "Figlio 2" e "Leonardo" (erede di "Figlio1").
La NONNA però (avendo già fatto regalie mobiliari ed immobiliari a "Leonardo" e "Franco", ovvero i due nipoti) vorrebbe che l'immobile di cui sopra giungesse a "Lorella" (unica nipote donna).

La NONNA vorrebbe avere tale certezza sin d'oggi.
Cio' che le è stato suggerito è di donare sin da subito a "FIGLIO 2" tale immobile ottenendo sin d'ora la rinuncia all'opposizione alla donazione da "Leonardo" (erede di "Figlio 1").

Alla dipartita naturale di "Figlio 2", tale immobile andrà in successione a Franco e Lorella ma ottenendo sin da oggi la rinuncia all'eredità (limitatamente a tale immobile) da parte di Franco, l’immobile andrebbe solo a Lorella come da volontà della NONNA.

Funzionerebbe davvero così? Quali sono i riferimenti normativi a riguardo?
Le due rinunce
- ad opporsi alla donazione da parte di Leonardo
- ad opporsi all'eredità di quell’immobile da parte di Franco
come devono essere redatte?

Di contro, se legalmente le cose non stanno come sono state da me rappresentate, quale sarebbe la giusta lettura da dare e come fare per soddisfare la volontà di NONNA?”
Consulenza legale i 07/09/2023
La soluzione suggerita è attuabile solo in parte per le ragioni che qui di seguito verranno illustrate.
L’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di far sì che la nipote Lorella possa conseguire, con la maggiore certezza possibile, la piena proprietà dell’appartamento attualmente in titolarità esclusiva della nonna, senza che a tale acquisto si possa in seguito opporre alcun ostacolo.
Ora, come giustamente viene osservato nel quesito, una eventuale donazione diretta alla nipote Lorella di tale immobile andrebbe a ledere il diritto alla quota di riserva spettante agli altri eredi legittimari, che, allo stato attuale, risultano essere il nipote Leonardo, in rappresentazione del padre figlio 1, ed il figlio 2.

Ebbene, un primo strumento giuridico di cui ci si può avvalere per garantire alla nipote Lorella l’acquisto di tale immobile è quello a cui si fa riferimento nel quesito, ovvero la rinunzia ad opporsi alla donazione, istituto che trova esplicito riconoscimento all’art. 563 c.c.
L’opposizione alla donazione non rende la donazione inefficace, ma ha lo scopo di consentire agli eredi legittimari del donante di richiedere la restituzione del bene nei confronti di eventuali terzi acquirenti dell’immobile donato; infatti, una volta notificato al donatario il suddetto atto di opposizione, gli eredi legittimari del donante potranno esercitare l’azione di restituzione anche qualora siano decorsi venti anni dalla trascrizione dell’atto di donazione (il che rende sicuramente incerto l’acquisto da parte del donatario, ponendo non pochi problemi ai fini della libera circolazione dell’immobile che ne costituisce oggetto).

Sotto il profilo prettamente pratico, avrebbero il diritto di opporsi alla donazione i seguenti parenti del donante:
a) il coniuge, anche separato, che il donante aveva al momento della donazione;
b) la persona che diventa coniuge del donante entro venti anni dall’avvenuta donazione;
c) i genitori del donante, ma anche eventualmente i suoi nonni;
d) i figli, nipoti e pronipoti del donante, poiché questi ultimi potrebbero diventare eredi legittimari al posto dei figli del donante, allorchè premuoiano a quest’ultimo.

Tuttavia, lo stesso art. 563 c.c. riconosce ai medesimi soggetti che avrebbero diritto di opporsi alla donazione, la facoltà di rinunciare sin da subito, ed ancor prima della morte del donante, all’esercizio di tale diritto, eliminando definitivamente dalla propria sfera giuridica il potere di sospendere i termini.
Per quanto concerne la forma di tale rinuncia, la stessa può essere formulata nel contesto dello stesso atto di donazione (ed in questo caso viene assorbita nell’ambito del relativo atto pubblico) oppure essere effettuata con atto separato rispetto alla donazione.
Nel caso in esame, considerato che sembra sussistere pieno accordo tra le parti, si reputa conveniente far constare tale volontà di rinuncia dallo stesso atto pubblico di donazione.

Con riferimento agli effetti della rinuncia ad opporsi alla donazione, invece, è bene chiarire che questa deve essere tenuta del tutto distinta dalla rinuncia all’azione di riduzione, la quale, per espressa disposizione di legge (art. 557 del c.c.), non è consentita prima della morte del donante.
Ciò comporta che, apertasi la successione e malgrado la rinuncia di opporsi alla donazione resa ex art. 563 c.c., coloro che si verranno a trovare nella posizione di legittimari della de cuius saranno del tutto liberi di agire in riduzione per far valere il loro diritto alla quota di riserva, con l’unico limite che non potranno recuperare l’appartamento nei confronti di eventuali terzi acquirenti, ma potranno soltanto rivalersi sul patrimonio della donataria.

Non è neppure attuabile la soluzione di donare al figlio 2 l’immobile, in previsione che lo stesso sarà poi devoluto ai suoi figli Franco e Lorella, ma facendo sin da subito rinunciare Franco all’eredità del padre limitatamente a tale immobile.
Tale sistema, infatti, confligge con diverse norme di legge, e precisamente:
a) con il divieto dei patti successori di cui all’[[458c]]. Verrebbe ad essere integrato, in particolare, un patto successorio c.d. rinunziativo, in quanto Franco conviene con Lorella di rinunciare ad un immobile che sarà a lui devoluto in forza di una eredità non ancora devoluta).
b) con il divieto di accettazione parziale dell’eredità di cui al terzo comma dell’art. 475 del c.c..

Pertanto, ciò che si suggerisce è di far sì che la nonna doni direttamente e sin da subito alla nipote Lorella, con dispensa da collazione, l’appartamento di sua proprietà, facendo intervenire a tale atto anche i potenziali eredi legittimari, al fine di manifestare la volontà di rinunciare ad opporsi a quella donazione.
Inoltre, in considerazione di quanto precisato nel quesito, ovvero del fatto che la nonna ha già fatto regalie mobiliari ed immobiliari a Leonardo e Franco, si suggerisce di redigere con gli stessi una scrittura privata da cui far risultare tale fatto, in modo che la stessa possa essere utilizzata, al momento dell’apertura della successione, al fine di ricostruire, ex art. 556 del c.c. e senza alcuna difficoltà, la massa ereditaria e così calcolare correttamente la quota di riserva spettante a ciascun legittimario.
Ciò, infatti, consentirà, per il caso in cui i legittimari non donatari si decidessero ad agire in riduzione, di invocare l’applicazione del terzo comma dell’art. 564 c.c., il quale impone al legittimario che domanda la riduzione, di imputare alla sua porzione legittima le donazioni a lui fatte dalla de cuius, salvo il caso di espressa dispensa da parte della donante (che qui non sembra sussistere).

Infine, sempre che continui a sussistere pieno accordo tra i legittimari della nonna, per rendere definitivamente stabile la donazione ricevuta da Lorella, è opportuno che apertasi la successione, i legittimari non donatari e che avrebbero diritto di agire in riduzione dichiarino espressamente di rinunciare all’esercizio di tale azione, conformemente a quanto previsto dal secondo comma dell’art. 557 c.c.

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