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Articolo 548 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Riserva a favore del coniuge separato

Dispositivo dell'art. 548 Codice Civile

Il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ai sensi del secondo comma dell'articolo 151(1), ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato [585 c.c.](2).

Il coniuge cui è stata addebitata la separazione [151 c.c.] con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell'apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto(3). L'assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta(4). La medesima disposizione si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.

Note

(1) Quindi sia nell'ipotesi in cui vi sia stata separazione consensuale (v. art. 158 del c.c.), sia in caso di separazione giudiziale con addebito a carico del coniuge defunto o senza addebito.
(2) Oltre alla quota di legittima a cui ha diritto, al coniuge spettano anche i diritti d'uso (v. art. 1021 del c.c.) e di abitazione (v. art. 1022 del c.c.) di cui all'art. 540 del c.c. sulla casa assegnata in sede di separazione (v. art. 155 quater del c.c.).
(3) Colui a cui sia stata addebitata la separazione perde i diritti successori nei confronti del coniuge deceduto. Se al momento dell'apertura della successione il coniuge superstite ha diritto agli alimenti, a questo deve essere corrisposto un assegno vitalizio, il cui importo varia in relazione al numero dei legittimari (con l'esclusione di eventuali altri eredi) e alla consistenza del patrimonio ereditario. Si tratta di un legato obbligatorio ex lege.
L'assegno è dovuto a prescindere dalla permanenza di un effettivo stato di bisogno, a differenza di quanto previsto per gli alimenti.
(4) Il coniuge divorziato non ha alcun diritto successorio alla morte dell'ex coniuge. L'art. 9 bis della L. 1 dicembre 1970, n. 890 ("Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio"), tuttavia, prevede che "1.A colui al quale è stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma dell'art. 5, qualora versi in stato di bisogno, il tribunale, dopo il decesso dell'obbligato, può attribuire un assegno periodico a carico dell'eredità tenendo conto dell'importo di quelle somme, della entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. L'assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 sono stati soddisfatti in unica soluzione.
2. Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno può avvenire in unica soluzione. Il diritto all'assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno l'assegno può essere nuovamente attribuito."

Ratio Legis

La norma prevede un trattamento di maggior favore per il coniuge separato senza addebito rispetto a quello a cui sia stata addebitata la separazione. A quest'ultimo, tuttavia, laddove si trovi in stato di bisogno, può essere corrisposta una somma periodica. Tale previsione è coerente con la tutela costituzionale di cui gode la famiglia (v. art. 29 Cost.).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

267 Mi sono sembrate fondate, invece, le critiche mosse alla disposizione del progetto secondo la quale doveva ridursi a metà la quota di riserva del coniuge in caso di separazione consensuale. Questa norma infatti sarebbe inopportuna, poichè, se è vero che talvolta si addiviene alla separazione consensuale in caso di colpa di uno dei coniugi, per evitare strascichi giudiziari, è possibile che in colpa sia stato proprio il de cuius, sicché si finirebbe col colpire il coniuge incolpevole.

Massime relative all'art. 548 Codice Civile

Corte cost. n. 450/1989

è costituzionalmente illegittimo - in relazione agli art. 3 e 38 cost. - l'art. 31, 1° comma, lett. a), l. 13 luglio 1965, n. 859 (norme di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea), nella parte in cui esclude dal diritto alla pensione di riversibilità anche il coniuge superstite separato per sua colpa o al quale la separazione è stata addebitata con sentenza passata in giudicato, avente diritto agli alimenti il coniuge deceduto; sono conseguentemente illegittimi in applicazione dell'art. 27, l. 11 marzo 1953, n. 87, gli art. 22 1° comma, l. 4 dicembre 1956, n. 1450 (miglioramento del trattamento posto a carico del fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia); l'art. 21, 1° comma, l. 29 ottobre 1971, n. 889 (norme in materia di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto; l'art. 21. 1° comma, lettera a), l. 23 novembre 1971, n. 1100 (istituzione di un ente di previdenza e assistenza a favore dei consulenti del lavoro e l'art. 5, 1° comma, n. 1, l. 1° luglio 1975, n. 296 (modifiche al trattamento pensionistico del fondo speciale degli addetti alle abolite imposte di consumo).

Corte cost. n. 1009/1988

è illegittimo, per violazione degli art. 3 e 38 cost., l'art. 20, 1° comma, lett. a), l. 2 febbraio 1973, n. 12, nella parte in cui esclude dal diritto a pensione di reversibilità il coniuge superstite quando .

Corte cost. n. 213/1985

L'art. 2122 c.c. non può essere interpretato nel senso di attribuire le indennità previste dagli artt. 2118 e 2120 c.c. anche al coniuge separato per colpa, o al quale, anche in concorso con l'altro coniuge, sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudizio, e che non abbia avuto diritto ad assegno alimentare a carico del lavoratore poi defunto. Conseguentemente, non è fondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2122 c.c., sollevata dal giudice a quo sulla base dell'interpretazione disconosciuta dalla Corte.

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Consulenze legali
relative all'articolo 548 Codice Civile

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B. D. chiede
lunedì 24/04/2023
“Già in altre occasioni, ho richiesto la Vs. consulenza e ho ricevute risposte soddisfacenti.
Vi prego documentarVi per i precedenti.
Questo è il nuovo quesito, legato ancora una volta alla casa, ma adesso meramente all’eredità. Preciso:

Della mia prima moglie, defunta nell’anno 1985, ho 2 figlie, che non abitano con me;

Mi sono risposato nell’anno 1995, e in seguito legalmente separato nel mese di luglio 2015.
Attualmente la mia seconda moglie, con cui non ho figli, convive (certificato residenza:convivente in convivenza non affettiva),mantenendo la separazione legale, nel mio appartamento, poiché con l’assegno di mantenimento, stabilito in Comune di € 500, che regolarmente le corrispondo, non riesce a fittare casa.

Finalmente ho potuto acquisire l’appartamento (assegnazione appartamento in cooperativa, nel 1982), e rogitare, con lo stato civile, di legalmente separato, nel mese di luglio dell’anno 2021.

Alla mia morte come sarà suddivisa la casa???

Come potrei eventualmente aumentare le quote alle mie figlie??


In attesa di Vs. comunicazioni, porgo cordiali saluti.

Consulenza legale i 07/05/2023
I diritti di successione del coniuge sono diversi in caso di separazione e di divorzio.
Infatti, mentre in caso di separazione il coniuge superstite mantiene i diritti ereditari che gli spettano in conseguenza dell’avvenuto matrimonio, nel caso di divorzio al coniuge superstite non spetta alcun diritto ereditario, in quanto per effetto della sentenza di divorzio il vincolo matrimoniale deve intendersi definitivamente sciolto.
Quanto appena detto trova conferma nel disposto di cui all’art. 548 c.c., ove viene espressamente sancito che il coniuge, a cui non sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato (ciò perché con la separazione si ha soltanto un affievolimento del vincolo coniugale, continuando pur sempre a permanere lo status di coniuge).

Pertanto, norme applicabili ai fini del calcolo della quota di riserva saranno gli artt. 536 e ss. c.c., in forza dei quali al coniuge separato spetterà l’intera eredità se non concorre con altri successibili, la metà dell’eredità se alla successione concorre un solo figlio, un terzo dell’eredità se concorre alla successione con più figli, due terzi dell’eredità se concorre con gli ascendenti o con fratelli e sorelle del coniuge defunto.

L’intervenuta sentenza di separazione, invece, assume rilevanza ai fini dell’acquisto dell’immobile a cui si fa riferimento nel quesito.
Infatti, dal combinato disposto di cui agli artt. 2659 comma 1 c.c. e 191 commi 1 e 2 c.c. si ricava che non diviene di proprietà comune l’immobile acquistato da uno solo di essi dopo la separazione personale, e ciò in quanto quest’ultima configura una causa di scioglimento della comunione medesima (e precisamente, dal momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati ovvero dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dinanzi al Presidente, purchè omologato).

Ciò comporta che, essendosi l’acquisto perfezionato esclusivamente in favore del coniuge che ha rogato il relativo atto, al momento della morte del coniuge acquirente lo stesso cadrà per intero in successione, con la conseguenza che, lasciando il de cuius due figlie ed il coniuge separato, dovrà farsi applicazione dell’art. 542 c.c. (pertanto, le figlie avranno diritto ad una quota pari ad ½ indiviso di quell’immobile ed il coniuge superstite ad una quota pari ad ¼ indiviso).

Un discorso a parte va fatto in relazione all’applicabilità nel caso di specie del secondo comma dell’art. 540 c.c., norma che attribuisce al coniuge superstite il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano.
In linea generale si osserva che l’art. 548 c.c., sopra richiamato, non distingue, quanto alla posizione successoria, il coniuge separato senza addebito dal coniuge non separato, il che induce a dover ammettere che, anche in presenza di uno stato di separazione, al quale non si accompagni la pronunzia di addebito, il coniuge superstite potrà beneficiare dei diritti d'uso e di abitazione menzionati dalla norma in commento.
Tuttavia, si aggiunge che laddove, a seguito della separazione, sia venuta di fatto mancare una “casa familiare” (in quanto i coniugi, abbiano cessato di vivere nella residenza familiare, destituendo di qualsiasi fondatezza l'aspettativa di una ripresa della convivenza a seguito di riconciliazione), verrà meno un ulteriore requisito richiesto dall’art. 540 c.c., diverso da quello della posizione soggettiva di “coniuge”, e consistente nella possibilità di rilevare una vera e propria casa familiare, sulla quale far gravare i suddetti diritti.
Di contro la sussistenza dei diritti in esame va riconosciuta laddove, in séguito alla separazione, il coniuge superstite abbia continuato ad abitare la casa familiare.

In tal senso risulta orientata anche la giurisprudenza di legittimità, ed in particolare si vuole qui richiamare Cass. civ., Sez. II, 12/06/2014, n. 13407, nella quale si legge quanto segue:
Il diritto di abitazione e il correlato diritto d'uso sui mobili in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del "de cuius" come residenza familiare; è evidente che l'applicabilità della norma in esame è condizionata all'effettiva esistenza, al momento dell'apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi. Pertanto, essendo venuto meno il collegamento con l'originaria destinazione della casa di abitazione a "residenza familiare", non può che ritenersi che il coniuge superstite perda i diritti in questione”.

Pertanto, ritenuto che nel caso in esame il coniuge separato ha continuato a vivere in quella casa che può qualificarsi come “familiare” (seppure per le particolari motivazioni che vengono addotte nel quesito), se ne deve trarre la conseguenza che lo stesso avrà diritto di far valere in suo favore e nei confronti delle figlie del de cuius il disposto di cui al secondo comma dell’art. 540 c.c.
L’unico elemento probatorio di cui le figlie potranno disporre, al fine di contestare la sussistenza dei suddetti diritti, saràè la dicitura risultante dal certificato di residenza (“convivente in convivenza non affettiva”), ma ogni valutazione al riguardo non potrà che essere rimessa all’autorità giudiziaria al cui vaglio la questione dovrà necessariamente essere sottoposta.

Stando così le cose, e rispondendo infine all’ultima domanda posta (quella con cui si chiede come si potrebbero eventualmente aumentare le quote delle figlie), la soluzione si ritiene possa facilmente dedursi da quanto detto nella prima parte di questa consulenza, ovvero quella di passare dallo status di separato a quello di divorziato, facendo così definitamente cessare ogni vincolo coniugale (del resto, si ritiene che questa possa essere la soluzione più logica e coerente se effettivamente, come si lascia intendere, è venuta meno l’affectio coniugalis).
Nessun effetto, oltretutto, potrebbe sortire una eventuale donazione di quell’immobile alle sole figlie, poiché se nel patrimonio ereditario residuano beni non sufficienti a coprire la quota di riserva del coniuge superstite, quest’ultimo avrebbe tutto il diritto di agire in riduzione, attaccando la donazione.

Claudio chiede
giovedì 14/10/2010

“Buongiorno
Una separazione per colpa del marito avvenuta nel 1977
e non perfezionata con il divorzio è sufficiente a fare perdere i diritti di legittima al marito nel caso della morte della moglie?
La quale ha fatto testamento a favore di terzi non appartenenti al ramo famigliare e scritto nel test. che al marito non spetta nulla ps. i coniugi non hanno figli.
Grazie del Vs. interessamento.”

Consulenza legale i 22/10/2010

La separazione tra coniugi comporta la perdita dei diritti successori per il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato. Se la sentenza che ha disposto la separazione risale al 1977 e non è stata impugnata, è senza dubbio passata in giudicato.
Ciò comporta che il marito, separato con addebito a suo carico, avrà diritto solo ad un assegno vitalizio, e soltanto nel caso in cui il coniuge deceduto gli dovesse degli alimenti, come sancisce chiaramente l'art. 548 c.c. in commento.