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Articolo 2622 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

False comunicazioni sociali delle società quotate

Dispositivo dell'art. 2622 Codice Civile

Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.

Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:

  1. 1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;
  2. 2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;
  3. 3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea;
  4. 4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi(1).

Note

(1) Articolo così sostituito dall’art. 11, comma 1, L. 27 maggio 2015, n. 69.

Ratio Legis

A seguito della modifica operata dal D.Lg. 11 aprile 2002, n. 61 il falso in comunicazioni sociali è stato configurato quale reato di danno a protezione del patrimonio di soci, creditori e di chiunque possa vantare nei confronti della società un interesse.
Il reato è consumato quando:
a) sul piano soggettivo, l'immutatio veri sia attuata con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico, conseguendo così un ingiusto profitto per sè o altri;
b) sul piano oggettivo, la falsa comunicazione sia idonea a conseguire il fine ingannatorio;
c) che le appostazioni contabili mendaci determinino un'alterazione sensibile della corretta rappresentazione ovvero non raggiungano le soglie percentuali indicate dalla norma.
Con la riforma attuata dalla legge n. 69/2015, è stata in primo luogo modificata la rubrica dell’articolo (dalla precedente “False comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori” all'attuale “False comunicazioni sociali delle società quotate”); inoltre l’art. 2622 c.c. è stato trasformato in un reato di pericolo, perseguibile d‘ufficio: il delitto, infatti, non si configura più in presenza di un danno patrimoniale ai creditori o ai soci , essendo ora sufficiente il mero intento di danneggiare questi ultimi. Infine, per quanto riguarda le società quotate, è stato aumentato il disposto sanzionatorio, in ragione appunto dei maggiori interessi che vengono coinvolti dal novero del suddetto reato.

Massime relative all'art. 2622 Codice Civile

Cass. civ. n. 6495/2018

Il reato di false comunicazioni sociali e quello di truffa possono concorrere tra loro, non sussistendo alcun rapporto di specialità tra le rispettive fattispecie.

Cass. pen. n. 38393/2012

Il diritto di querela per il reato di impedito controllo spetta a tutti i soci che abbiano subito un danno patrimoniale, indipendentemente dal fatto che questo sia stato immediatamente determinato dal comportamento degli amministratori ovvero indirettamente causato dal pregiudizio recato al patrimonio sociale dallo stesso comportamento.

Cass. pen. n. 14759/2012

Ai fini della sussistenza del reato di false comunicazioni sociali previsto dall'art. 2622 c.c., la causazione di un danno ai soci può anche non essere perseguito in modo diretto dall'autore della condotta, essendo sufficiente che egli ne abbia previsto ed accettato l'eventualità.

In tema di false comunicazioni sociali, l'ingiustizia del profitto oggetto del dolo specifico necessario per la sussistenza del reato consiste in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire, il quale non si collega ad un diritto ovvero che è perseguito con uno strumento antigiuridico o con uno strumento legale ma avente uno scopo tipico diverso.

Integra il reato di false comunicazioni sociali ex art. 2622 c.c. l'omessa registrazione contabile di operazioni finanziarie ad oggetto la stipulazione di contratti derivati ad alto rischio che si rifletta sulla veridicità del bilancio di una società quotata, determinando un deprezzamento delle azioni dei soci al momento in cui la relativa notizia venga divulgata a seguito degli accertamenti compiuti in proposito dalle autorità di controllo.

Cass. pen. n. 7787/2012

Integra il delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci l'amministratore che apposta artificiosamente nel bilancio come anticipazioni in conto capitale somme versate dai soci medesimi a diverso titolo, determinandone successivamente l'indebito assorbimento una volta deliberato, peraltro con modalità illegittime, l'azzeramento del suddetto capitale.

Cass. pen. n. 36924/2011

È legittimato, in quanto persona offesa, alla proposizione della querela per il reato di false comunicazioni sociali il socio, sia pure di minoranza, che è destinatario delle comunicazioni medesime, avendo il diritto di ricevere un'informazione corretta. (La Corte ha precisato che detto principio vale a maggior ragione nel caso di società a responsabilità limitata, nel quale la tutela dei diritti di socio di minoranza si attua attraverso la veridicità delle informazioni sociali).

Cass. pen. n. 2784/2011

In tema di false comunicazioni sociali, la disposizione di cui all'art. 2622 c.c., come richiamata dall'art. 223, comma secondo, n. 1, L. R, richiede oltre al dolo generico (rappresentazione del mendacio) e al dolo specifico rispetto ai contenuti dell'offesa, qualificata da ingiusto profitto, il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, previsto per escludere letture in chiave di dolo eventuale, ancorché compatibile con la presenza di concomitanti finalità. Nella specie si è ritenuto sussistere siffatto dolo intenzionale con riguardo ai creditori nella rappresentazione tranquillante dello stato finanziario del novero societario facente capo all'imputato quando esso era, in realtà, sommerso da debiti e da impellenti ingiunzioni, costretto a ricorrere ad espedienti rischiosi pur di lucrare qualche garanzia ed allargamento di fido).

Cass. pen. n. 27296/2010

Il reato di cui all'art. 2622 c.c. (false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori), nel caso in cui il falso riguardi società non quotata, è perseguibile a querela della persona offesa, la quale, trattandosi di reato contro il patrimonio, è individuabile in colui che ha tratto detrimento patrimoniale dall'illecito, e, quindi, nel danneggiato. Pertanto, il termine di cui all'art. 124 c.p., per la proposizione della querela decorre dalla conoscenza dell'evento dannoso, quale conseguenza della comunicazione sociale infedele, il cui accertamento, costituendo profilo di fatto, sfugge al giudizio di legittimità.

Cass. pen. n. 39896/2006

In tema di reati societari, l'integrazione della fattispecie delittuosa di cui all'art. 2622 c.c. (false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori) e la sua improcedibilità per remissione di querela non comporta l'inapplicabilità della più lieve fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 2621 c.c., considerato che tra quest'ultima previsione e quella di cui al summenzionato art. 2622 c.c. non sussiste un rapporto di alternatività, ma di sussidiarietà in virtù del quale — come emerge dalla clausola di riserva posta in apertura dell'art. 2621 c.c. «salvo quanto previsto dall'art. 2622» — la fattispecie contravvenzionale è applicabile anche nelle ipotesi in cui, pur in presenza di un danno patrimoniale, non sia possibile procedere per il delitto di cui all'art. 2622 c.c.

Cass. pen. n. 38967/2005

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 1, comma secondo, D.L.vo n. 61 del 2002, nella parte in cui prevede la procedibilità a querela per i reati di false comunicazioni sociali, considerato che l'eliminazione della previsione di una condizione di procedibilità costituisce un intervento che si risolve in un aggravamento della posizione sostanziale dell'imputato e che è sottratto al sindacato di legittimità costituzionale, in materia penale, ogni intervento additivo in malam partem.

Cass. pen. n. 46311/2003

Non sussiste l'ipotesi del concorso formale tra il reato di truffa e quello di false comunicazioni sociali previsto dall'art. 2622 primo comma c.c., essendo differenti le condotte, dal momento che per la configurabilità della truffa occorre un quid pluris rappresentato dalla induzione in errore e dalla sussistenza del danno; pertanto, deve escludersi la possibilità di estendere l'effetto della procedibilità a querela anche alla truffa aggravata, ai sensi della disposizione di cui al secondo comma del citato art. 2622 c.c., che fa riferimento ad altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, in quanto nella truffa il danno non rappresenta un aggravante, ma un elemento costitutivo del reato.

Cass. pen. n. 34558/2003

In tema di reati societari, l'estensione della procedibilità a querela, secondo quanto previsto dall'art. 2622, comma secondo, c.c. (nel testo novellato dall'art. 1 del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61), anche al caso in cui «il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee», presuppone che si versi in ipotesi di concorso formale, e cioè che la medesima azione che integra gli estremi della condotta prevista dal citato art. 2622 (false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori), configuri anche diversa fattispecie prevista da altra norma incriminatrice; il che non si verifica nel caso della truffa, per la cui configurabilità occorre, rispetto alla condotta che integra le false comunicazioni sociali, un quid pluris, rappresentato sia dall'induzione in errore, sia dalla sussistenza dell'altrui danno, il quale ultimo non rappresenta un'aggravante ma è uno degli elementi costitutivi del reato, assente nella fattispecie delle false comunicazioni sociali; ragion per cui non può ad esso riferirsi l'inciso «ancorché aggravato... etc.», il quale attiene non agli elementi costitutivi del reato cui si estende la procedibilità a querela, ma alla diversa ipotesi che tale reato risulti aggravato per l'esistenza di un danno a soggetti diversi dai soci e dai creditori. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto perseguibile, pur in assenza di querela, il reato di truffa in danno della Federazione italiana gioco calcio contestato, unitamente a quello di cui all'art. 2622 c.c. - per il quale è stata invece dichiarata l'improcedibilità per difetto di querela - al presidente di una società calcistica, in relazione alla indebita percezione, sulla base dei dati di bilancio, del contributo federale alla suddetta società) (Mass. redaz.).

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