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Articolo 2247 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Contratto di società

Dispositivo dell'art. 2247 Codice Civile

Con il contratto di società(1) due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili [2082, 2253 e 2949].

Note

(1) Nonostante si parli di "contratto", gli artt. 2328 e 2463 ammettono la costituzione di società a responsabilità limitata e di società per azioni per atto unilaterale.

Ratio Legis

La norma non definisce il concetto di "società", bensì regola gli elementi essenziali del contratto di società, ovverosia di una delle modalità mediante le quali è possibile costituire l'ente societario. Ciononostante, si reputa che essa sia una norma cardine del sistema, in quanto consente di risalire anche ai caratteri della fattispecie "società".

Brocardi

Affectio societatis
Iure societatis, per socium aere alieno socius non obligatur, nisi in communem arcam pecuniae versae sint
Maleficium societas nulla est
Plerumque tanta est industria socii, ut plus societati conferat quam pecunia
Societas
Societatem, uno pecuniam conferente, alio operam, posse contraili magis obtinuit
Socius socio etiam culpae nomine tenetur, idest desidiae atque negligentiae
Sufficit totam diligentiam in communibus rebus adhibere socium, qualem suis rebus adhibere solet

Spiegazione dell'art. 2247 Codice Civile

La norma non fornisce una definizione generale di società, riferendosi piuttosto ad una delle modalità mediante le quali la società può essere costituita: contratto, negozio giuridico unilaterale (per le s.r.l. e le s.p.a), disposizione di legge o provvedimento amministrativo.

Sotto questo profilo, il contratto di società può essere inquadrato nella più ampia categoria dei contratti associativi o con comunione di scopo.

Dall’art. 2247 c.c. possono comunque trarsi in generale gli elementi che usualmente connotano la società in generale:
a) il conferimento da parte dei soci di beni o servizi;
b) l'esercizio in comune di un'attività economica;
c) lo scopo di lucro (o lo scopo mutualistico previsto dall'art. 2511).

I conferimenti sono le prestazioni alle quali si obbligano i soci e possono avere ad oggetto il denaro, beni in natura, crediti, prestazioni d’opera o di servizi (ammessi solo nelle società di persone). Sulla società non grava alcun obbligo di restituzione dei conferimenti effettuati dai soci, al di fuori dei casi di scioglimento della società e/o scioglimento del singolo rapporto partecipativo (recesso, esclusione, morte del socio).
I conferimenti forniscono all'ente gli strumenti iniziali per l'esercizio dell'attività prescelta e vanno a costituire il patrimonio sociale iniziale, ovverosia il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla società. Dal patrimonio sociale deve tenersi distinto il capitale sociale, corrispondente al valore attribuito all’insieme dei conferimenti in sede di stipulazione del contratto di società. Tale valore, in assenza di operazioni che incidano sulla sua misura (aumento e riduzione), è destinato a rimanere invariato e non risente delle variazioni che incidono sul valore del patrimonio sociale.

Lo scopo di lucro coincide con lo scopo-fine della società, la quale deve essere volta alla produzione di utili (lucro oggettivo) da distribuire ai soci (lucro soggettivo).

Per quanto concerne l'esercizio in comune di un'attività economica, tale elemento del contratto sociale attiene alle modalità secondo cui i consociati perseguono lo scopo di lucro. Da una parte, l’esercizio in comune dell’attività implica una condivisione dei rischi e dei benefici sottesi all'attività, mediante la partecipazione del socio alla gestione dell’attività (per quanto indiretta, nelle società di capitali) ed alla suddivisione degli utili e delle perdite da essa generati (salvo deroghe statutarie e fermo il divieto di patto leonino). L’attività deve inoltre essere improntata al metodo economico, ma non deve necessariamente essere attività d’impresa ai sensi dell’art. 2082 c.c. (le società tra professionisti, ad esempio, hanno ad oggetto l’esercizio di un’attività che non è qualificabile come attività d’impresa).


Sulla base di quanto esposto, risultano evidenti le differenze che corrono tra la società, come istituto giuridico tipizzato, ed altri istituti similari.
In particolare, la società si distingue da:
- comunione d'azienda: comproprietà di un bene produttivo, il cui godimento deve essere diretto affinché possa qualificarsi come esercizio d’impresa. Nel caso di godimento indiretto si configura una semplice comunione.
- associazione: pur potendo avere ad oggetto lo svolgimento di attività economica, non può perseguire lo scopo lucrativo.
- associazione in partecipazione: contratto in base al quale un imprenditore attribuisce ad un soggetto la partecipazione agli utili della sua impresa verso il conferimento di un determinato apporto.
- impresa coniugale: basata sulla gestione dell’impresa dei coniugi in regime di comunione legale.

Massime relative all'art. 2247 Codice Civile

Cass. civ. n. 546/2023

In tema di enti collettivi non societari costituiti nella forma dell'associazione non riconosciuta, la perdita della natura decommercializzata dell'attività esercitata e la conseguente qualificazione commerciale della stessa comportano che l'ente collettivo va qualificato alla stregua di una società di fatto se la predetta attività è svolta in comune da più associati, ai quali si applica, come ai soci, il regime di "trasparenza".

Cass. civ. n. 19234/2020

L'esistenza di una società di fatto, nel rapporto tra i soci, non può essere desunta soltanto dalle dichiarazioni rese dalle persone coinvolte, essendo necessaria la dimostrazione, eventualmente anche con prove orali o mediante presunzioni, del patto sociale e dei suoi elementi costitutivi, quali: il fondo comune, l'esercizio congiunto di un'attività economica, l'alea comune dei guadagni e delle perdite, il vincolo di collaborazione in vista di detta attività.

Cass. civ. n. 17925/2016

La mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perché possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, l'esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all'esercizio dell'attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell'ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio "comune", sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (art. 2270 e 2305 c.c.), l'unica particolarità della peculiare struttura collettiva "de qua" consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci) ma in nome proprio

Cass. civ. n. 17792/2014

La società di fatto, ancorchè irregolare e non munita di personalità giuridica, è tuttavia un soggetto di diritto, in quanto titolare di un patrimonio formato con i beni conferiti dai soci, ed è, come tale, legittimata ad esercitare l'azione di concorrenza sleale e quella, ad essa dipendente, di risarcimento dei danni.

Cass. civ. n. 13234/2011

Nella società per azioni, la verifica della sussistenza dello scopo di lucro - il quale consiste non solo nel perseguimento di un utile (cosiddetto lucro oggettivo), ma anche nella volontà di ripartirlo tra i soci (cosiddetto lucro soggettivo) - deve avvenire con esclusivo riferimento al contenuto dell'atto costitutivo e dello statuto iscritti nel registro delle imprese, mentre resta irrilevante l'eventuale sussistenza di elementi di fatto esterni, antecedenti o successivi alla stipula dell'atto, integranti indici di una volontà dei soci difforme da quella manifestata negli atti pubblicati, ed inammissibile, una volta avvenuta l'iscrizione, l'interpretazione dell'atto costitutivo condotta secondo il criterio della comune intenzione dei contraenti, dovendo al contrario essa basarsi su criteri obiettivi. (Nella specie, la C.S. ha ritenuto indici idonei ad escludere lo scopo di lucro le clausole statutarie di un istituto autonomo per l'edilizia popolare, costituito in forma di società per azioni e partecipato da un Comune, le quali stabilivano la non prevedibilità degli utili di bilancio e la devoluzione del patrimonio per il caso di scioglimento della società).

Cass. civ. n. 5961/2010

La mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l'accertamento "aliunde", mediante ogni mezzo di prova previsto dall'ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell'esistenza di una struttura societaria, all'esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l'esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all'esercizio congiunto di un'attività economica, l'alea comune dei guadagni e delle perdite e l'"affectio societatis", cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi; peraltro, è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell'art. 2297 c.c., l'esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l'idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all'esterno il ragionevole affidamento circa l'esistenza della società. Tali accertamenti, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici.

Cass. civ. n. 4588/2010

La società di fatto prescinde dalle qualità o capacità personali dei contraenti e si fonda sul concorso di un elemento oggettivo (conferimento di beni o servizi in un fondo comune) ed uno soggettivo (comune intenzione dei contraenti di collaborare per conseguire risultati comuni nell'esercizio collettivo di una attività imprenditoriale), ricorrendo i quali la stessa non è esclusa dal fatto che il fine degli associati consista nel compimento di una opera unica, purché di obiettiva complessità (cosiddette società occasionali), ovvero dalla mancanza di un atto scritto, potendo la sua costituzione risultare da manifestazioni esteriori della attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino la esistenza della società.

Cass. civ. n. 11134/2009

È ammissibile la partecipazione di una società di persone (nella specie, società in nome collettivo) in un'altra società di persone (nella specie, di fatto), in quanto non sussistono, nell'ordinamento, norme o principi sull'attività d'impresa collettiva, esercitata nella forma di società personale, che precludano tale partecipazione. Non possono, infatti, ritenersi di ostacolo né il disposto dell'art. 2295, n. 1, c.c., laddove richiede l'indicazione nell'atto costitutivo di elementi d'identificazione riferibili solo a persone fisiche, perchè esso esprime soltanto l'esigenza che i soci siano identificati con precisione, né il sistema di amministrazione e di responsabilità personale dei soci della società partecipante, in quanto non costituisce un'anomalia l'esposizione degli altri soci, allorché la partecipazione in questione sia decisa dal singolo socio amministratore, alla responsabilità illimitata per le obbligazioni della società partecipata, potendo essi tutelarsi con la scelta del sistema di amministrazione e prevedendo il consenso della maggioranza per l'assunzione di partecipazioni sociali; né infine l'addotta inutilità di una siffatta partecipazione mediata dei soci, ovvero la circostanza che la società partecipata sia stata costituita per scrittura, idonea o no all'iscrizione nel registro delle imprese, non influenzando tali profili l'esistenza, ma solo la disciplina della società personale.

Cass. civ. n. 27088/2008

In materia tributaria, perchè un'attività imprenditoriale possa qualificarsi come societaria sono necessari - oltre al requisito dell'apparenza del vincolo societario nei confronti di terzi, quale indice rivelatore della reale esistenza della società - gli elementi richiesti dall'art. 2247 c.c. per la sussistenza di una società di fatto, e cioè l'intenzionale esercizio in comune fra i soci di un'attività commerciale, anche occasionale, a scopo di lucro ed il conferimento a tal fine dei necessari beni e servizi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non aveva valorizzato gli elementi presuntivi indicati dall'amministrazione ai fini dell'accertamento del reddito IRPEF-ILOR derivante da società di fatto).

Cass. civ. n. 9250/2006

La società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l'insorgere dell'opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente legittimo affidamento circa l'esistenza della società stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trattato col socio apparente provi un comportamento che, secondo l'apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto. In tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell'inesistenza del vincolo sociale e quindi non meritevole di tutela.

Cass. civ. n. 11491/2004

Per poter considerare esistente una società di fatto, agli effetti della responsabilità delle persone e/o dell'ente, anche in sede fallimentare, non occorre necessariamente la prova del patto sociale, ma è sufficiente la dimostrazione di un comportamento, da parte dei soci, tale da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed incolpevole che quelli agissero come soci, atteso che, nonostante l'inesistenza dell'ente, per il principio dell'apparenza del diritto, il quale tutela la buona fede dei terzi, coloro che si comportano esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse.

Cass. civ. n. 6797/2000

Nella verifica della sussistenza degli estremi di una società di fatto, il giudice, mentre nei rapporti con i terzi deve fare riferimento essenzialmente alle manifestazioni esteriori significative dell'esistenza di una affectio societatis che abbiano ingenerato nei terzi un affidamento in tal senso meritevole di tutela, nei rapporti interni deve basarsi sulla ricostruzione e interpretazione della reale volontà delle parti; l'onere della prova della sussistenza di un rapporto sociale non formalizzato incombe su chi lo allega quale fatto costitutivo di una sua pretesa.

Cass. civ. n. 1961/2000

L'esistenza di una qualunque società, semplice, di persone, di capitali, regolare, irregolare, e quindi anche di una società di fatto, richiede il concorso di un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi, con la formazione di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di collaborare per conseguire risultati patrimoniali comuni nell'esercizio collettivo di un'attività imprenditoriale. Tale comune intenzione costituisce il contratto sociale, senza del quale la società, qualsiasi società, non può esistere. Quel che caratterizza la società di fatto, e la differenzia dalla società irregolare, non è dunque la mancanza del contratto sociale, ma il modo in cui questo si manifesta e si esteriorizza; esso infatti può essere stipulato anche tacitamente, e risultare da manifestazioni esteriori dell'attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino l'esistenza della società.

Cass. civ. n. 13291/1999

L'iscrizione di un'impresa presso la Camera di Commercio come società di fatto, pur costituendo un dato formale, di per sé inidoneo a comprovare l'effettiva esistenza della società, in un giudizio avente ad oggetto una pretesa da altri fatta valere contro i soggetti indicati come soci, integra, tuttavia, per il fatto che si tratta di un dato formale conseguente ad una iniziativa degli interessati, tutti gli estremi per fondare una presunzione semplice superabile soltanto con la prova contraria di corrispondenza del dato formale alla realtà, tenuto conto, inoltre, che, inerendo l'iscrizione ad un pubblico registro conoscibile dalla generalità delle persone, essa determina per i terzi, a carico dei soggetti indicati come soci, un importante elemento di riscontro circa l'assunzione da parte loro della responsabilità patrimoniale illimitata per le attività e le obbligazioni riferibili alla compagine sociale. (Sulla base di tale principio la Suprema Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse desunto la prova presuntiva dell'esistenza di una società di fatto, fra gli eredi del soggetto titolare di un'impresa individuale, dalla denuncia presso la Camera di Commercio della modificazione della impresa individuale del “de cuius” in società dopo la sua morte, ed ha rilevato che di fronte a quella prova incombeva ai presunti soci l'onere della prova contraria).

Cass. civ. n. 12663/1998

Elementi essenziali del contratto di società (anche di fatto) sono la previsione dell'esercizio in comune di una determinata attività economica e la conseguente costituzione di un «fondo comune» - vincolato all'esercizio collettivo dell'attività predetta - costituito mediante conferimento da parte di ciascuno dei soci, senza che l'entità di detti conferimenti debba risultare predeterminata nell'atto costitutivo (ben potendo, per converso, essere concretamente rapportata alla consistenza economica dell'oggetto sociale ed alla specifica operazione programmata), e senza che l'eventuale conferimento di beni immobili ne comporti, ipso facto, il formale trasferimento nella titolarità dell'ente (specie quando la società di fatto non debba apparire nei confronti dei terzi, volendosi limitare l'efficacia del pactum societatis ai rapporti interni tra i soci).

Cass. civ. n. 8043/1998

L'esistenza di una duplice società di fatto tra le parti in lite (qualora una di esse neghi l'esistenza dell'affectio societatis in relazione ad una sola delle attività commerciali in questione) va provata, quanto ai suoi rapporti interni, attraverso la evidenziazione di elementi di fatto, quali la esistenza di un fondo comune (accertato alla luce della contitolarità dei conti correnti da parte dei soci) relativo ad entrambe le attività esercitate (nella specie, vendita di fiori ed onoranze funebri), di una contabilità congiunta relativa, anch'essa, ad entrambe le attività, di una inserzione nell'elenco telefonico parimenti riguardante entrambe, della esistenza, infine, di moduli a stampa per la conclusione dei contratti con la clientela intestati congiuntamente ad entrambe le ragioni sociali, mentre, con riferimento ai rapporti esterni, il vincolo societario può desumersi per effetto della semplice esteriorizzazione di tali rapporti, desunta da manifestazioni comportamentali rivelatrici di una struttura sovraindividuale indiscutibilmente consociativa. La relativa indagine compiuta dal giudice di merito, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 2252/1998

Con la stipula del contratto di società si determina, anche nelle società di persone, un effetto di scambio tra patrimonio dei soci e patrimonio sociale, con il trasferimento, per un verso, della titolarità dei beni – anche immobili – conferiti, dal patrimonio dei conferenti a quello della società, «soggetto di diritto» diverso e terzo rispetto ai soci; e con il parallelo ingresso, nel patrimonio del socio, dei diritti (mobiliari) riferibili alla titolarità della quota sociale.

Cass. civ. n. 366/1998

La mancata esteriorizzazione del rapporto societario costituisce il presupposto indispensabile perché possa legittimamente predicarsi, da parte del giudice, la esistenza di una società occulta, ma ciò non toglie che si richieda pur sempre la partecipazione di tutti i soci all'esercizio della attività societaria in vista di un risultato unitario, secondo le regole dell'ordinamento interno, e che i conferimenti siano diretti a costituire un patrimonio «comune», sottratto alla libera disponibilità dei singoli partecipi (art. 2256 c.c.) ed alle azioni esecutive dei loro creditori personali (artt. 2270 e 2305 stesso codice), l'unica particolarità della peculiare struttura collettiva de qua consistendo nel fatto che le operazioni sono compiute da chi agisce non già in nome della compagine sociale (vale a dire del gruppo complessivo dei soci), ma in nome proprio.

Cass. civ. n. 10695/1997

La nozione di società di fatto non è sinonimo di società irregolare (che presuppone l'estrinsecazione dell'accordo sociale restando inosservato l'onere formale dell'iscrizione), in quanto la prima esprime un modo di manifestarsi della volontà sociale, in assenza della esplicitazione di espresso accordo, che deve risultare dallo stesso esercizio di fatto in comune dell'attività economica. L'esistenza del vincolo sociale può desumersi per effetto della mera esteriorizzazione nei rapporti esterni, mentre nei rapporti interni la società di fatto dev'essere provata (anche con prove orali e presunzioni) mediante gli elementi necessari per l'esistenza della società e, cioè, il fondo comune, l'attività comune, la ripartizione degli utili e delle perdite, il vincolo di collaborazione tra i soci. L'indagine, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, è incensurabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 9030/1997

In tema di società di fatto, per la configurabilità della responsabilità delle persone o dell'ente, anche in sede fallimentare, non è necessaria la prova dell'esistenza della società, essendo sufficiente la cosiddetta «apparenza della società», ossia il comportamento di due o più persone che, pur non essendo legate da vincoli sociali, operano nel mondo esterno in modo da generare il convincimento che esse agiscono come soci. L'apparenza, tuttavia, non è oggetto di tutela in se stessa, ma solo in quanto strumentale alla tutela dell'affidamento dei terzi di buona fede, onde essa non può essere invocata da chi sia consapevole dell'inesistenza del vincolo sociale.

Cass. civ. n. 8187/1997

La concreta mancanza della prova scritta di un contratto societario relativo ad una società di fatto o irregolare (non richiesta, peraltro, dalla legge ai fini della sua validità), non impedisce, al giudice del merito, l'accertamento, aliunde, della esistenza di una struttura societaria, all'esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l'esercizio in comune di una attività imprenditoriale nonché l'esistenza di una affectio societatis (id est l'intenzione pattizia dei contraenti di vincolarsi e collaborare per tale esercizio), potendo legittimamente desumersi tale rapporto sociale dai comportamenti tenuti, anche nei confronti dei terzi, da ciascuno dei soci nell'esercizio collettivo dell'impresa. Tale indagine, risolvendosi nell'apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici.

Cass. civ. n. 4187/1997

Ai fini della configurabilità di una società di fatto, la sussistenza del contratto sociale può risultare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti tipici (quali l'affectio societatis, la costituzione di un fondo comune, la partecipazione agli utili e alle perdite), pure da manifestazioni esteriori della attività di gruppo, quando esse per la loro sintomaticità e concludenza evidenzino l'esistenza della società anche nei rapporti interni. In particolare, i finanziamenti e le fideiussioni a favore dell'imprenditore possono costituire indici rivelatori del rapporto stesso qualora, alla stregua della loro sistematicità e di ogni altra circostanza del caso concreto, siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell'attività dell'impresa, qualificabile come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi sociali. (Nella specie, l'accertamento del rapporto societario tra due soggetti, rispettivamente primo prenditore e giratario di una cambiale, rilevava ai fini della opponibilità al secondo del rapporto fondamentale tra l'emittente e il primo: la sentenza impugnata, confermata dalla Suprema Corte, ha dato rilievo, al fine di ritenere l'esistenza di una società di fatto, alla circostanza che il titolare di un'attività commerciale utilizzava il conto corrente bancario, corredato di fido, intestato ad altra persona e non altrimenti movimentato, sia per prelievi, realizzati con assegni firmati in bianco, sia per versamenti, e che il titolare dell'impresa girava i titoli cambiari ricevuti da clienti al socio di fatto, con cui detti clienti dovevano trattare il rinnovo dei titoli).

Cass. civ. n. 6770/1996

Per poter considerare esistente una società di fatto, agli effetti della responsabilità delle persone e/o dell'ente, anche in sede fallimentare, non occorre necessariamente la prova del patto sociale, ma è sufficiente la dimostrazione di un comportamento, da parte dei soci, tale da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed incolpevole che quelli agissero come soci, atteso che, nonostante l'inesistenza dell'ente, per il principio dell'apparenza del diritto, il quale tutela la buona fede dei terzi, coloro che si comportino esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse. Tuttavia, in caso di società di fatto (che si assuma) intercorrente fra consanguinei, la prova della esteriorizzazione del vincolo deve essere particolarmente rigorosa, occorrendo che essa si basi su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l'intervento del familiare possa essere motivato dalla affectio familiaris, sicché, di regola, non è di per sé sufficiente la dimostrazione di finanziamenti e/o pagamenti ai creditori dell'impresa da parte del congiunto dell'imprenditore, costituendo questi atti neutri, spiegabili anche in chiave di solidarietà familiare.

Cass. civ. n. 6438/1993

Per considerare esistente nei confronti dei terzi, anche se inesistente inter partes, una società di fatto, è necessario l'operare di due o più persone nel mondo esterno, in guisa da ingenerare l'opinione che siano legate da un vincolo sociale e la conseguente induzione dei soggetti con i quali esse entrano in rapporto a fare affidamento in buona fede (intesa come uso della cautela necessaria per non farsi trarre in inganno da manifestazioni esteriori suscettibili di controllo) sulla effettività e sulla responsabilità dell'apparente sodalizio.

Cass. civ. n. 8154/1990

Tra i soci di una società di capitali con personalità giuridica, è configurabile una società personale, collaterale, con attività autonoma, la quale — pur quando esistano coincidenze di aree operative o sfruttamento di situazioni favorevoli di mercato realizzate dalla società, persona giuridica, o a quest'ultima la detta impresa presti, o da essa riceva, il supporto di indispensabili elementi — non cessa di essere un centro di imputazioni di atti e di attività distinto dalla società di capitali, con distinti elementi di rischio e distinte eventualità di dissesto, con la conseguenza che questo, ove si verifichi, può determinare il fallimento della società collaterale, in quanto dipenda dalla propria autonoma attività e dal passivo che ad essa si ricollega, senza che la collateralità sia da sola sufficiente a determinare una sovrapposizione, o una confusione, di imprese, od un'osmosi di situazioni passive, salvo la possibilità di responsabilità cumulative riguardo a particolari obbligazioni derivanti da affari specifici assunti in comune o da specifiche prestazioni di garanzie.

Cass. civ. n. 2539/1990

Ai fini della responsabilità nei confronti dei terzi e dell'assoggettabilità alle procedure fallimentari, l'esistenza di una società di fatto fra due o più soggetti può essere affermata sulla base dell'esteriorizzazione della stessa, essendo sufficiente l'idoneità della condotta complessiva di taluno degli apparenti soci ad ingenerare all'esterno il ragionevole affidamento circa l'esistenza del vincolo sociale, mentre rimane irrilevante che colui che ha agito quale socio di una società in nome collettivo, regolarmente costituita, non abbia stipulato l'acquisto della qualità di socio, rivelatasi nei rapporti con i creditori ed i terzi interessati.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2247 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

ENRICO M. chiede
sabato 29/09/2018 - Marche
“Buongiorno, avrei necessità di richiedere i seguenti chiarimenti in ordine ad una costituenda S.R.L.S. che avrà come oggetto la vendita di spazi pubblicitari su sito di informazione on line di sua proprietà ( i contenuti informativi del sito sono gratuiti ):

1) lavoratori dipendenti privati o pubblici possono entrare come soci e/o amministratori nella società ?
2) un agente di commercio che opera per conto della società può essere contemporanemente socio della stessa ?
3) la società può stipulare accordi di collaborazione professionale retribuiti ( non come lavoratori dipendenti ) con gli stessi soci o con soggetti esterni ?
4) i titolari delle ditte ( persone fisiche ) clienti della società possono entrare come soci nella stessa ?

Ringrazio per la risposta e porgo cordiali saluti.”
Consulenza legale i 08/10/2018
Nel nostro ordinamento giuridico la figura del socio viene individuata con l’aiuto della previsione dell’articolo 2247 del codice civile, che disciplina il contratto di società come quel contratto intercorrente tra due o più persone che conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Diversamente, per quanto attiene al lavoro dipendente, mutuando quanto stabilito dal codice civile, a norma dell'art. 2094 del c.c., è prestatore di lavoro subordinato il soggetto che, prestando la sua opera intellettuale o manuale:
• ha diritto ad una retribuzione e quindi a vedere riconosciuto a livello economico il proprio lavoro;
• collabora nell’impresa divenendo quindi parte integrante della sua organizzazione;
• risulta sottostare ad un sistema gerarchico dal quale scaturisce il vincolo di dipendenza;
• osserva le direttive e indicazioni impartite dai superiori preposti e quindi sottomesso alla direzione altrui (etero-direzione).

Poste le suddette premesse, la convivenza della figura del socio con quella del lavoratore subordinato passa, prima di tutto, per la distinzione tra “socio d’opera” e “socio lavoratore”.
Il socio d’opera è il soggetto che, partecipando alla gestione societaria, Vi conferisce un’attività lavorativa. La prestazione dell’attività “lavorativa”, qui interpretabile nel senso più ampio del suo significato, diviene il presupposto per l’inserimento del prestatore all’interno della struttura societaria nella qualità di socio e viene, dunque, espletata in un adempimento di obblighi derivanti dal contratto di società e non di un contratto di lavoro.

Il socio lavoratore, è definito come colui che, a prescindere dalla sua qualifica sociale, svolge un’attività lavorativa a favore della società ma in virtù di un distinto contratto di lavoro, di norma subordinato. Ne deriva che, in base a quanto più sopra approfondito, se la caratteristica peculiare del lavoratore dipendente è la subordinazione declinata in tutte le sue peculiarità, in capo al socio lavoratore dovrà essere verificata nella sostanza la sussistenza di tutti i presupposti necessari, rendendosi altrimenti incompatibili le posizioni di socio e di dipendente laddove quest’ultimo non sia effettivamente subordinato.

Per il tema qui oggetto di trattazione è rilevante anche la tipologia societaria in cui il socio presta la propria opera, soprattutto se sottostante ad un contratto di lavoro subordinato. Bisogna all’uopo osservare che per le società di capitali, come nel caso di specie, vista l’autonomia del soggetto giuridico, è più facile rintracciare l’eventuale esistenza delle caratteristiche tipiche del rapporto subordinato.

Premesso quanto sopra ad inquadrare in generale gli istituti relativi alla fattispecie in esame, si riepiloga quanto di seguito per rispondere con maggiore riferimento ad ogni singolo quesito proposto:

Quesito 1
Nel pubblico impiego la materia dell’incompatibilità tra la partecipazione di un dipendente pubblico in una società con scopo di lucro è disciplinata dall’art. 53 del d.lgs. 165/2001, che stabilisce l’applicabilità della disciplina sull’incompatibilità di cui agli art. 60 e ss del d.P.R. 3/57 a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, nonché ai dipendenti degli enti locali.
Tale disciplina prevede che l’impiegato pubblico non possa “esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente”.
La finalità della norma è quella di garantire l’imparzialità, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione, in ottemperanza a quanto prescritto dall’art. 97 Cost., nonché quella di evitare la creazione di centri d’interesse alternativi all’ufficio pubblico in capo all’impiegato, che lo distoglierebbero dai propri doveri istituzionali.
L’assunzione di incarichi extra-istituzionali da parte di un dipendente pubblico è consentita solo laddove il lavoratore assuma la qualità di socio in una società di capitali o in una società di persone, ma senza poteri di amministrazione, mentre l’assunzione di cariche gestionali è considerata “quale elemento oggettivo e automatico atto a perpetrare l’incompatibilità, senza che necessiti una valutazione sulla intensità dell’impegno o sui riflessi negativi riscontrabili sul rendimento nel servizio e sull’osservanza dei doveri d’ufficio” (Cass. n. 967 del 19/01/2006).

Va peraltro precisato che non a tutti i dipendenti pubblici è preclusa l’assunzione di cariche in società con scopo di lucro; infatti, l’art. 1, comma 56 della l. 662/96 ha stabilito che: le disposizioni in tema di incompatibilità dei pubblici dipendenti non trovano applicazione nei confronti di quei soggetti che svolgano attività lavorativa a tempo parziale, con prestazione non superiore al 50% di quella a tempo pieno.

Per quanto riguarda, invece il rapporto di lavoro dipendente di natura privata, il problema della “compatibilità” si risolve con il riferimento all’art. [[n2105 c.c. il quale stabilisce che: "Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio".
Pertanto, per il lavoratore dipendente privato l’attività di gestione della società è permessa sempre, a condizione del rispetto degli obblighi di fedeltà sopra menzionati (nei confronti del proprio datore di lavoro), la cui inosservanza potrebbe compromettere il rapporto di lavoro.

Quesito 2
Di particolare rilievo in merito è il presupposto giuridico della bilateralità del rapporto giuridico tra agente di commercio e il proprio preponente, che è tipico del rapporto di agenzia. L’art. 1742 c.c. infatti prescrive che: "col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata".
Pertanto, nel caso di specie, è compatibile il conferimento di incarico di agente di commercio da parte della società ad un proprio socio e, addirittura, anche ad un membro del proprio consiglio di amministrazione. Mentre vi è assoluta incompatibilità tra la figura dell’amministratore unico o del socio illimitatamente responsabile e il conferimento di incarico di agenzia in favore dello stesso, in quanto tra l’amministratore unico o il socio illimitatamente responsabile si verifica la cosiddetta immedesimazione organica con la società stessa, venendo così a mancare il presupposto summenzionato della bilateralità del rapporto giuridico di specie.

Quesito 3
Non risultano esservi incompatibilità di sorta sulla possibilità di stipulare contratti di collaborazione professionale retribuiti con soci della società stessa o con soggetti esterni, previa sempre opportuna valutazione di eventuali conflitti di interesse esistenti tra i professionisti incaricati e la società, con particolare riguardo all’oggetto della prestazione professionale e/o della specifica consulenza, siano i consulenti o professionisti sia soci che esterni alla società committente.

Quesito 4
In questo caso non emergono, in generale, particolari incompatibilità. In particolare, però, potrebbe essere possibile che un amministratore di una società cliente abbia stipulato con la propria società un patto di non concorrenza che possa di fatto precludere (per un determinato periodo di tempo) anche la possibilità di divenire socio di una società operante nel medesimo settore commerciale.