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Articolo 1485 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Chiamata in causa del venditore

Dispositivo dell'art. 1485 Codice Civile

Il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore [106 c.p.c.](1). Qualora non lo faccia e sia condannato con sentenza passata in giudicato, perde il diritto alla garanzia, se il venditore prova che esistevano ragioni sufficienti per far respingere la domanda.

Il compratore che ha spontaneamente riconosciuto il diritto del terzo(2) perde il diritto alla garanzia, se non prova che non esistevano ragioni sufficienti per impedire l'evizione.

Note

(1) La chiamata prende il nome di "litis denuntiatio" e ad essa consegue l'instaurazione di un giudizio litisconsortile (103 c.p.c.).
(2) Il riconoscimento può essere giudiziale ma anche essere contenuto in un contratto di transazione (1965 c.c.).

Ratio Legis

La litis denuntiatio assolve alla funzione di consentire al venditore di opporsi alle ragioni del terzo: pertanto, se omessa, consente a questi di sottrarsi dalla garanzia a suo carico purché dimostri che, effettivamente, tale omissione gli è stata pregiudizievole.
Del pari, se l'acquirente ammette l'esistenza di diritti di terzi, il venditore non è tenuto alla garanzia ma solo se dimostra che poteva efficacemente opporsi alla pretesa del terzo.

Brocardi

Evictio

Spiegazione dell'art. 1485 Codice Civile

Chiamata in causa del venditore

Poiché il venditore può considerarsi in colpa verso il compratore evitto solo se nulla vi è da fare e nessuna difesa vi è da opporre alla rivendicazione, il compratore ha l'obbligo di chiamarlo in causa non appena un terzo pretende di avere diritti sulla cosa venduta.

Se il compratore non chiamasse in causa il venditore, se supinamente subisse (senza difendersi o difendendosi a suo arbitrio) il diritto che gli è contestato, disporrebbe in realtà di un diritto del venditore pur senza averne avuto autorizzazione. Gli recherebbe ingiusto pregiudizio, limitandogli ingiustamente la facoltà di difendersi contro una pretesa del rivendicante, che potrebbe essere stata accolta in giudizio solo per esservisi insufficientemente difeso il compratore.
In quanto il venditore è legato alle sorti del compratore, visto che gli deve garantire l'evizione, devono essere entrambi parte in giudizio.
Ciò dipende dal concetto stesso di garanzia che è comunione d'interessi, analoga a quella che si ha fra condomini, fra coobbligati in solido, fra debitore principale e fideiussore. Se il compratore, creditore di garanzia del venditore, potesse da solo difendersi e col fatto proprio (senza cioè concorso del venditore nella difesa del comune interesse) farne subire le conseguenze al venditore, il compratore in realtà verrebbe a disporre a suo libitum del patrimonio del venditore. Il che è assurdo: né è sanzione consentita dal solo fatto del dolo, della colpa o della più o meno grave sventatezza del venditore responsabile dell'evizione.

Quando perciò un terzo si assume proprietario e rivendica contro il compratore, non è integrato il giudizio di rivendicazione (nel senso che può non far stato contro il venditore) se a resistervi non è chiamato il venditore, perché vi possa opporre le ragioni che meglio crede.
È un caso di litisconsorzio necessario come quando l'azionista impugnando di nullità una deliberazione di assemblea non può agire da solo e deve attendere che in unico giudizio siano discusse tutte le altre opposizioni eventualmente proposte in termine; o come quando la verificazione dei crediti nel fallimento dev'essere discussa in contraddittorio di tutti i creditori; o come quando nell'omologazione del concordato fallimentare devono in un unico giudizio essere discusse tutte le opposizioni.


Limiti e funzione del litisconsorzio necessario

Tali essendo i limiti e la funzione del litisconsorzio necessario fra compratore e venditore, se con sentenza passata in giudicato il compratore è stato condannato, perde il diritto alla garanzia se il venditore non chiamato in giudizio riesce a provare (poiché a priori non può ritenersi che il giudicato sia contrario a verità) che esistevano ragioni insufficienti per far respingere la domanda.
Deve provare ad es. che il titolo invocato dal rivendicante era viziato o che contro tale titolo, poniamo non viziato, vi fossero eccezioni perentorie da opporre.
Né questo è contro il giudicato: perché non sussiste giudicato che fra le parti ed i loro successori a titolo universale. Nel giudicato contro l'avente causa a titolo particolare v'è solo una presunzione di verità contro il dante causa a titolo particolare; ma non basta a togliergli le difese che avrebbe potuto proporre in giudizio per far respingere la domanda.


Perdita del diritto alla garanzia

Se il compratore minacciato di evizione, convinto del buon diritto del rivendicante, ne riconosce le ragioni, non per questo rinuncia o decade dal diritto di essere garantito. Egli agisce a proprio rischio: se il venditore dimostra infondata la rivendicazione, non deve rispondere per evizione, essendosi dimostrato adempiente, poiché solo per il fatto proprio il compratore ha perduto quanto non deve essergli tolto.

Se invece il compratore dimostra che la rivendicazione risultava fondata, è dovuta garanzia per evizione al compratore che nulla ha dato al terzo riconoscendogli spontaneamente quel che non poteva essere oggetto di contestazione. Analogamente, nonostante qualunque contrario patto di polizza non decade né rinunzia ad agire contro l'assicuratore della responsabilità civile l'assicurato per il solo fatto di riconoscere il diritto del danneggiato, poiché non si reca ingiusto danno al proprio contraente se si riconosce il diritto di altri, onestamente evitandogli il danno di un giudizio diretto ad accertare quello che non si può seriamente contestare.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

342 Il compratore chiamato in giudizio da un terzo che accampa diritti sulla cosa venduta deve chiamare in causa il venditore. Se, non avendo ciò fatto, soccombe nel giudizio, perde il diritto alla garanzia, qualora il venditore provi che vi erano sufficienti motivi per respingere la domanda (art. 368).
Questa regola è del tutto conforme a quella contenuta nell'art. 1497 del codice vigente. II progetto della Commissione reale (art. 364) aveva su questo punto introdotto una modificazione, e cioè aveva stabilito che il compratore soccombente perdesse il diritto alla garanzia, salvo che provasse che il venditore, pur intervenendo in causa, non sarebbe riuscito a far rigettare la domanda. Ma la progettata modificazione non è sembrata opportuna. Di fronte ad un accertamento giudiziale, che ha riconosciuto fondata la pretesa del terzo, è più giusto addossare al venditore, non chiamato in giudizio, l'onere di provare che vi sarebbe stata la possibilità di far respingere la domanda.
Naturalmente questo criterio non può essere seguito quando il compratore abbia spontaneamente riconosciuto il diritto del terzo. In questo caso, con opportuna aggiunta al progetto del 1936, e al codice civile, ho previsto che, per far valere il diritto alla garanzia, il compratore deve sobbarcarsi a provare che non vi erano ragioni sufficienti per scongiurare l'evizione.

Massime relative all'art. 1485 Codice Civile

Cass. civ. n. 23904/2022

La domanda di manleva proposta dal convenuto, acquirente dell'immobile oggetto dell'azione di rivendica, nei confronti del proprio alienante va qualificata come di garanzia propria, sicché il nesso che si instaura tra la stessa e la domanda principale giustifica, in linea di principio, la conservazione del litisconsorzio instaurato in primo grado, ai sensi dell'art. 331 c.p.c. che si applica anche alle cause tra loro dipendenti. Ne consegue, in tema di spese legali, che se è accolta la domanda di garanzia proposta dal convenuto acquirente nei confronti del terzo alienante, il giudice dovrà condannare quest'ultimo a rifondere le spese di lite sia in favore dell'attore che del convenuto.

Cass. civ. n. 2714/1996

Quando il compratore oltre a chiamare in causa il venditore per la denuncia della lite ex art. 1485 c.c., propone contro di questi nel medesimo processo anche l'azione di garanzia, fra la causa principale e quella di garanzia (propria) si instaura un vincolo non di inscindibilità ma di dipendenza, perché l'accoglimento della domanda di garanzia è subordinato all'accertamento del diritto del terzo, ciò che non impedisce che il giudice separi le due cause, decidendo solo quella principale, facendo cessare la relazione di dipendenza.

Cass. civ. n. 12834/1992

Il compratore che ha riconosciuto mediante transazione la pretesa del terzo sulla cosa acquistata conserva l'azione di rivalsa per garanzia da evizione nei confronti del venditore, quando dimostri che il diritto del terzo risultava obiettivamente certo.

Cass. civ. n. 341/1988

In tema di riscatto agrario, nel caso di opposizione del terzo acquirente alle pretese del riscattante, il risarcimento del danno spettante al detto acquirente a norma e nei limiti dell'art. 1485 cod. civ nei confronti del venditore, a seguito dell'accoglimento della domanda di riscatto, si estende all'arco di tempo intercorrente fra il suo acquisto e la decisione definitiva sul riscatto, sempre che la sua opposizione sia giustificata (come per l'incertezza sull'esistenza nel riscattante dei requisiti richiesti dalla legge per l'esercizio del riscatto, in conseguenza del comportamento del venditore del fondo).

Cass. civ. n. 6603/1982

Il compratore, convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, che voglia garantirsi a norma dell'art. 1485 c.c., può chiamare il venditore nel processo ai sensi dell'art. 106 c.p.c., ma deve, al riguardo, attenersi al disposto dell'art. 269 dello stesso codice e, cioè, o citare senz'altro il terzo per la prima udienza, ovvero chiedere, nella stessa udienza, al giudice istruttore la fissazione di un termine per provvedere alla citazione, ma se sceglie questo secondo sistema, la fissazione o meno del termine e, quindi, l'autorizzazione o meno della chiamata nel processo rientrano nei poteri discrezionali del giudice istruttore, con la conseguenza che la relativa decisione è insindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 4805/1982

Nel caso in cui il venditore sia convenuto in giudizio dal compratore unitamente ad un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, la partecipazione del primo al processo, qualora contro di lui non sia proposta azione di rivalsa, non ha altro scopo che quello di assoggettare il medesimo alla decisione della controversia promossa dal compratore contro il terzo per fare accertare l'insussistenza degli anzidetti diritti. Il venditore, pertanto, quale parte in causa soggetta alla decisione sul rapporto principale, ha tutti i poteri ed i doveri che competono alle altre parti, ivi compreso il potere di impugnare la decisione sfavorevole al compratore nei confronti del terzo, per evitare che il passaggio in giudicato di tale decisione pregiudichi irrimediabilmente la sua posizione nei confronti del compratore medesimo, con la conseguenza che, anche se quest'ultimo abbia fatto acquiescenza alla decisione con il conseguente passaggio in giudicato di essa nei suoi confronti, il venditore, mentre ha interesse ad impugnarla limitatamente alla parte in cui estenda i suoi effetti sul rapporto di garanzia, è carente di interesse in ordine ai capi della decisione che su tale rapporto non producono effetti.

Cass. civ. n. 3025/1975

Qualora l'acquirente di una casa d'abitazione venga convenuto in giudizio dal proprietario del fondo contiguo e venga condannato ad eliminare alcune vedute ed a regolarizzare alcune luci, data l'inesistenza di servitù di veduta a favore del suo edificio ed a carico del detto fondo, egli può rivalersi nei confronti del venditore, esercitando l'azione di evizione parziale, solo se questo ultimo gli abbia garantito la conformità dello stato di fatto della casa, nel momento della vendita, alla situazione di diritto.

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ANDREA D. chiede
venerdì 08/06/2018 - Friuli-Venezia
“Buongiorno,
nel dicembre 2015 ho acquistato un'abitazione "principale" e un fabbricato ad uso deposito pertinenziale all'abitazione, tutto di proprietà della signora Rosina. Questo fabbricato uso deposito è distaccato dall'abitazione principale facente parte di una particella frazionata, Per accederci devo passare attraverso il cortile dei vicini i quali contestano il transito e l'esistenza di una servitù di passaggio.
A tal proposito, nell'atto di compravendita tra me e la mia dante causa il notaio ha scritto: tra le parti si conviene quanto segue, gli immobili sono venduti a corpo, con le relative accessioni e pertinenze, con gli oneri e servitù attive e passive, ivi compresa l'esistente servitù di passaggio pedonale e in via occasionale con i mezzi per consentire carico scarico merci e manutenzione locali.
La vendita dell'abitazione è stata contrattualizzata con la figlia Sara con giusta procura della madre molto malata.
La madre di Sara nel frattempo e deceduta; quello che vorrei sapere è se per un'eventuale evizione può essere chiamata in causa Sara e/o gli eredi oppure morta la Sig.ra Rosina non c'è più niente da fare per me.
Spero di essere stato chiaro,
Ringrazio e saluto”
Consulenza legale i 13/06/2018
La garanzia per evizione è una particolare tutela prevista dall’ordinamento per il compratore, laddove sia disturbato nel godimento del bene acquistato per effetto delle pretese fatte valere da terzi nei suoi confronti.
Come previsto dall’art. 1485 c.c., il compratore convenuto da un terzo che pretende di avere diritti sulla cosa venduta, deve chiamare in causa il venditore.
Nel caso prospettato nel quesito in esame, i vicini dell’immobile acquistato non pretendono di avere diritti sul bene ma contestano piuttosto l’esistenza di un diritto di servitù di passaggio sul loro fondo in favore del compratore (come invece parrebbe risultare dall’atto di compravendita).
Laddove i predetti vicini volessero impedire tale esercizio, dovrebbero esperire una particolare azione legale prevista dall’art. 949 c.c.: la cd. actio negatoria servitutis.
Si tratta di una azione che spetta al titolare di un diritto di proprietà per ottenere l'accertamento giudiziale dell'inesistenza del diritto di servitù affermato da altri sul bene che è oggetto del suo diritto.

Ciò posto, la circostanza che nel contratto di compravendita si faccia riferimento all’esistenza di un diritto di servitù non è certamente opponibile ai vicini.
Infatti, in base al principio di relatività del contratto questo spiega i suoi effetti solo nei confronti delle parti.
Nel caso di una costituzione di servitù, parti del contratto devono essere il proprietario del fondo dominante (cioè il fondo che acquisterà il vantaggio derivante dalla servitù) ed il proprietario del fondo servente (cioè il fondo che sarà gravato dal peso derivante dalla servitù).
Nel caso in esame, invece, non risulta (o comunque non è specificato se vi sia un altro contratto in tal senso) che la servitù sia stata costituita con un contratto in cui erano parti anche i proprietari del fondo su cui insisterebbe il diritto di servitù.

Ciò precisato, ipotizzando che i vicini intraprendano una actio negatoria servitutis, il compratore convenuto in giudizio dovrebbe necessariamente chiamare in causa il venditore.
Nel caso in esame, essendo deceduto quest’ultimo, in linea generale, possono essere chiamati in causa gli eredi del medesimo in quanto il successore del contraente defunto subentra nell'esercizio dei diritti e nell'adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto.
Pertanto, anche in tal caso, la tutela prevista dall’art. 1485 c.c. troverebbe applicazione e la risposta alla domanda contenuta nel quesito deve intendersi quindi affermativa.
L’unico caso in cui la predetta tutela potrebbe essere compressa è laddove gli eredi abbiano rinunciato all’eredità, come previsto dall’art. 519 c.c.