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Articolo 1414 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Effetti della simulazione tra le parti

Dispositivo dell'art. 1414 Codice Civile

(1)Il contratto simulato non produce effetto tra le parti [123, 164](2).

Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato(3), purché ne sussistano i requisiti di sostanza(4) e di forma [1350](5).

Le precedenti disposizioni si applicano anche agli atti unilaterali destinati a una persona determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario(6).

Note

(1) La simulazione si distingue dal negozio indiretto, con il quale si realizzano determinati effetti mediante un negozio di per sè previsto per altri scopi, e dal negozio fiduciario, mediante il quale un soggetto trasferisce ad un altro la titolarità di un bene, con l'accordo che questi lo utilizzerà e ne disporrà solo secondo le istruzioni ricevute.
(2) Si ha simulazione assoluta quando le parti fanno apparire ai terzi che hanno concluso un dato accordo ma, tra di esse, stabiliscono che questo non produce in realtà alcun effetto. La simulazione assoluta consta di due elementi, il contratto simulato e l'accordo simulatorio.
(3) In tal caso si parla di simulazione relativa che esige, oltre al contratto simulato e all'accordo simulatorio, il contratto dissimulato, cioè quello che le parti intendono realmente stipulare. La simulazione può riguardare vari aspetti, ad esempio, le parti (1325 c.c.), il prezzo di un bene o l'oggetto stesso del contratto (1346 c.c.).
(4) Ad esempio, non è possibile dissimulare una vendita in cui il denaro sia versato per corrompere un pubblico ufficiale (v. 318 c.p.) per illiceità della causa (1343 c.c.).
(5) Per la giurisprudenza la regola subisce un'eccezione nel caso in cui le parti usino una vendita per dissimulare una donazione: la donazione, infatti, esige la forma dell'atto pubblico alla presenza di due testimoni, requisito che, se venisse rispettato, vanificherebbe l'esigenza dissimulatoria; così, si ritiene sufficiente la vendita unita ad una scrittura privata in cui si dichiara che il prezzo non è dovuto.
(6) Per definizione la simulazione esige un accordo tra due soggetti pertanto anche se si tratta di atti unilaterali questi devono essere indirizzati ad una persona specifica.

Ratio Legis

La simulazione può essere impiegata per perseguire finalità diverse, a volte illecite (ad esempio evitare imposizioni fiscali), altre volte lecite (come quella di mantenere la riservatezza sull'accordo reale).

Brocardi

Acta simulata veritatis substantiam mutare non possunt
Actus simulatus nullius est momenti
Causa simulandi
Colorem habet, substantiam vero alteram
Colorem habet, substantiam vero nullam
Non quod scriptum, sed quod gestum est, inspicitur
Plus valet quod agitur quam quod simulate concipitur
Qui certant de damno vitando
Qui certant de lucro captando
Si donationis causa venditionis simulatus contractus est, emptio in sui deficit substantia

Spiegazione dell'art. 1414 Codice Civile

Premessa

In quest'articolo sono disciplinati gli effetti tra le parti della simulazione dei negozi giuridici. A ragion veduta si parla di negozi e non di contratti, perché, seguendo l'insegnamento della più autorevole dottrina, si è espressamente riconosciuto che la simulazione, sebbene di regola riferita ai contratti, è configurabile anche negli atti unilaterali tra vivi, destinati ad una determinata persona, ossia negli atti unilaterali recettizi. Gli articoli successivi, che questo presuppongono, trattano degli effetti della simulazione rispetto ai terzi, dei rapporti dei contraenti con i creditori e della prova della simulazione.

L’accordo simulatorio

Un'intesa preparatoria procede ed accompagna la simulazione del contratto ed è quella che viene comunemente chiamata l'accordo simulatorio, in virtù del quale la simulazione stessa è resa possibile. Senza l'accordo simulatorio, che può essere redatto per iscritto, come può essere un accordo verbale, non potrebbe neppure parlarsi di simulazione, ma si avrebbero soltanto due distinte dichiarazioni fatte con riserva mentale, cioè due dichiarazioni il cui valore è costituito unicamente da quello che manifestano e non da quanto sia rimasto nel segreto della mente di ciascun contraente.

L'accordo simulatorio consiste nello stabilire la portata giuridica effettiva che debbono avere le contemporanee o future dichiarazioni di volontà delle parti contraenti e quindi l’effettiva portata giuridica che deve avere il contemporaneo o futuro contratto considerato nel suo complesso. Con l'accordo simulatorio, in altre parole, le parti convengono di volere qualcosa di diverso di ciò che risulterà dalle dichiarazioni di volontà apparenti.
L'accordo simulatorio non è parte integrante del contratto simulato o di quello dissimulato, ma ha lo scopo di togliere valore giuridico al contratto finto, oppure di predisporre il contratto dissimulato, ovvero di modificare un elemento oggettivo del contratto. La causa simulandi, cioè lo scopo che le parti hanno perseguito nel predisporre la simulazione va tenuta distinta dall'accordo simulatorio perché non costituisce un elemento fondamentale del processo simulatorio, tanto che la simulazione può essere ritenuta anche quando non risulti accertato il fine perseguito dalle parti nell'addivenire alla stipulazione dell'atto impugnato, ma ha soprattutto valore ai fini della prova per presunzioni della domanda di simulazione.

La simulazione assoluta

La prima parte dell'articolo contempla la simulazione assoluta che si ha quando le parti non vollero porre in essere nessun negozio giuridico. Due soggetti stipulano un'apparente compravendita, ma né l'uno intende vendere né l'altro intende comprare, per cui il contratto è come non fosse stato mai concluso. La simulazione assoluta, se dimostrata, chiarisce l'inesistenza del contratto apparente dall'atto impugnato sicut corpus sine spiritu: nessun rapporto giuridico rimane in vita fra le parti e vanno revocate le eventuali modificazioni patrimoniali che fossero nel frattempo intervenute. Non soltanto il contratto è finto, ma anche i contraenti sono tali unicamente in apparenza.

La legge dice che il contratto non produce effetti, usando un'espressione che può far pensare all'inefficacia relativa, ma che, ove la si consideri, in rapporto ad altre ipotesi legislative in cui compare la stessa espressione (articoli 1392, 1402, 1403 cod. civ.) porta la dottrina ad affermare che il contratto simulato è tra le parti contraenti radicalmente nullo. Ciò, peraltro, non autorizza una identificazione di negozio simulato e di negozio nullo perché il negozio simulato a un negozio finto, mentre il negozio nullo è un negozio vero cui un vizio intrinseco impedisce di raggiungere lo scopo che parti si erano proposte di raggiungere a suo mezzo. L'azione di simulazione d'un contratto ha per presupposto la volontà bilaterale di creare un contratto inesistente o uu contratto diverso da quello effettivamente voluto: essa è perciò in netta contraddizione con l'azione di nullità che tende ad escludere la volontà di concludere alcun contratto. Se si vuole, anche nella simulazione assoluta il negozio spiega una certa efficacia, in quanto al negozio apparente corrisponde un negozio effettivo consistente nella negazione di quello apparente.

Resta esclusa in conseguenza la possibilità di qualsiasi conferma del contratto simulato, pur se la si volesse arguire dall'esecuzione dello stesso, esecuzione che rimane priva di effetto giuridico, salvo che la si intenda ricollegare ad una nuova ed efficiente manifestazione di volontà. Se manca questa nuova manifestazione, il negozio apparente non esiste perché non si è voluto il contenuto complessivo di esso. Neppure la trascrizione di un negozio giuridico simulato ha efficacia di sanatoria e non elimina i vizi di forme e di sostanza, ma ha soltanto efficacia di. pubblicità e di preferenza nel conflitto tra più aventi diritto.

L'insuscettibilità della convalida, peraltro, è un fenomeno comune anche alla simulazione relativa, per la quale valgono bensì gli effetti del contratto dissimulato, ma ricorre ugualmente la nullità insanabile del contratto simulato.

Come non può parlarsi di convalida, non è possibile la novazione oggettiva di un contratto affetto da simulazione assoluta. Per aversi novazione occorre sostituire all'obbligazione originaria, che si vuole estinguere, una nuova obbligazione con oggetto e titolo diverso: quando manca l'antica obbligazione, perché giuridicamente inesistente, parlare di sostituzione è un non senso. Ugualmente si dica per la delegazione (art. 1268 cod. civ.) non potendo aversi l'assegnazione al creditore di un nuovo debitore, il quale si obblighi verso il creditore, quando l'obbligazione manca perché simulata.

Nel sistema del codice abrogato, in mancanza di una precisa e generale norma, si ricorreva all'art. #1104# cod. civ., per il quale tra i requisiti essenziali alla esistenza del contratto erano compresi il consenso valido dei contraenti e una causa lecita per obbligarsi e si diceva che nel negozio simulato mancavano l'uno e l'altro di questi requisiti. Il codice vigente dice espressamente che il contratto simulato non pro­duce effetti tra le parti, per cui, salvo quanto sarà rilevato nel commento all'articolo successivo, è solennemente affermato il principio che il negozio finto è mancante di volontà ed è, fra le parti, vuoto di contenuto. Si suole dire che, mentre nella simulazione relativa l'atto colorem habet, substantiam vero alteram, nella simulazione assoluta l'atto colorem habet, substantiam vero nullam.

Non è escluso che la simulazione sia, nell'intenzione delle parti, lecita come può avvenire nel caso di costituzione di una dote ad pompam, ma, nella generalità dei casi, le parti tendono con essa ad uno scopo illecito, a frodare i terzi o ad eludere disposizioni di legge imperative: anche questa, però, non è caratteristica esclusiva della simulazione assoluta, ma si riscontra anche in quella relativa.

Quello che rimane fermo è che contratto simulato e contratto illecito sono due fenomeni indipendenti. Mentre nel contratto illecito l'ordinamento giuridico interviene a tutela dei principi morali, nel contratto affetto da simulazione interviene a regolare un procedimento in virtù del quale le parti pongono in essere un contratto apparente che deve nascondere finalità diverse da quelle fatte palesi.

La frode dei terzi si realizza attraverso una apparente diminuzione del patrimonio o un fittizio accrescimento delle passività per convincere i terzi creditori che le loro ragioni sono destinate a non trovare soddisfacimento. La dottrina raggruppa così i più svariati casi di simulazione di due distinte categorie : a) negozi che mirano ad una diminuzione del patrimonio; b) negozi che importano un aumento delle passività. Gli esempi forniti dalla pratica giudiziaria di atti simulati di una specie o dell'altra sono infiniti. Basterà qui accennare alle forme consuete di diminuzione fittizia del patrimonio, che consiste non tanto in una vendita, che può apparire immediatamente sospetta, ma in una datio in solutum, cioè nel pagamento di una precedente obbligazione, che si presenta non soltanto lecito ma più che giustificato o nella cessione in solutum di un diritto di credito o in una finta costituzione d'ipoteca, di usufrutto, di superficie, o in un contratto di locazione con pagamento anticipato per lungo tempo, in un finto deposito presso il debitore di cose a lui spettanti ma che figurano di proprietà di altri, in una confessione giudiziale di debito, che in realtà non esiste, infine (ma qui l'inganno è più facile a scoprirsi) in un contratto d'alienazione a titolo gratuito. Nella pratica la diminuzione di patrimonio e l'aumento di passività spesso si intrecciano come si ha nel caso di assunzione o ricognizione di un debito. L'azione di simulazione è persino ammissibile rispetto all'atto costitutivo di una società per azioni, quando la costituzione della società sia artificiosamente preordinata, con la connivenza di tutti i promotori, ad eludere fraudolentemente una norma di legge e i diritti dei terzi (in particolare per sottrarre i beni del debitore all'esecuzione da parte del creditore). In questa ipotesi l'azione di simulazione è ammissibile nonostante l'osservanza delle formalità necessarie per la legale costituzione della società perché tali formalità non valgono a sanare il vizio originario inerente all'atto costitutivo.

Se la simulazione è di regola fraudolenta, occorre tener ben distinte le nozioni di frode e di simulazione. I diritti dei terzi possono venir lesi sia attraverso un atto reale fraudolento, sia attraverso un atto simulato fraudolento: lo spoglio dei beni è effettivo nel primo caso, fittizio nel secondo. Quando ricorra un atto in frode e quando un atto simulato potrà dirsi solo caso per caso: ed il terzo può esercitare cumulativamente le due distinte azioni, quella revocatoria o pauliana per gli atti reali in frode, quella di simulazione per gli atti fittizi in frode. Ma l’elemento distintivo tra l'azione revocatoria e quella di simulazione non è quello della frode, potendo l'intenzione di frodare le ragioni di un creditore aver determinato sia un atto soggetto a revocatoria, sia un atto simulato. La distinzione consiste nel fatto che mentre nel negozio simulato v'e disaccordo tra la dichiarazione di volontà risultante dall'atto e la volontà vera e reale dei contraenti, onde il negozio relativo è soltanto fittizio, nel negozio fraudolento, invece, non sussiste discordanza tra la volontà dichiarata e quella presunta e il negozio è effettivamente quello che in apparenza è stato posto in essere dalle parti, ma solo è revocabile. L'azione revocatoria è esperibile contro un atto realmente esistente, quella di simulazione contro una vana species o (nella simulazione relativa) una species diversa da quella apparente.

La preesistenza ed anteriorità del credito a tutela del quale si agisce sono necessarie soltanto per l'esecuzione dell'azione revocatoria non anche per l'esercizio dell'azione di simulazione, anche quando ricorra l'ipotesi della simulazione fraudolenta. Ciò tanto se si tratti di simulazione assoluta che di simulazione relativa. Se però l'azione di simulazione ha fondamento diverso da quello della revocatoria, l'una presupponendo l'inesistenza dell’atto, l'altra la realtà e la frode, nulla impedisce, come già si è accennato, che osservate nelle istanze dedotte quel rapporto di subordinazione che è inerente alla diversa finalità e natura giuridica delle predette azioni, il giudice sia chiamato ad esaminare in un unico procedimento se ricorrano gli estremi di fatto e di diritto dell'una e dell'altra azione. Nell'ordine logico l'azione di simulazione precede quella pauliana e, solo esclusa la sussistenza degli estremi della prima, sarà possibile passare all'esame della sussistenza delle condizioni della seconda.

L'azione di simulazione assoluta spetta a qualunque creditore anche posteriore all'atto e persino egli stessi simulanti che siano in grado di dimostrare l'interesse a sostenere l'inesistenza dell'atto che si assume simulato. Per lungo tempo la giurisprudenza sull'abrogato codice civile negò agli autori dell'atto simulato la promovibilità dell'azione di simulazione, traendo argomento da alcuni passi delle fonti romane che vietano di dedurre la propria turpitudine e dall'art. #1319# cod. civ. del 1865 per il quale l'unico mezzo di prova tra i contraenti doveva essere rappresentato dalle controdichiarazioni. Si riconobbe poi che quando la azione di simulazione promossa degli autori dell'atto simulato costoro non deducono la propria turpitudine, ma mirano a porre in risalto l’atto vero in opposizione all'atto simulato e che non bisogna confondere il fondamento dell'azione con la prova di essa, senza dire che se la controdichiarazione è il mezzo principale per accettare la simulazione, è sempre possibile ricorrere anche ad altri mezzi di prova quali il giuramento decisorio e l'interrogatorio. Si raggiunse pertanto l'opinione che i contraenti possano esercitare l'azione di simulazione assoluta sempre che vi abbiano interesse e senza che sia dato far distinzione tra finto alienante e titolare apparente. Di regola l'azione sarà promossa dal finto alienante, al quale importerà far accertare che il bene non è uscito dal proprio patrimonio, ma non si può escludere l'interesse del titolare apparente a dimostrare la simulazione dell'atto di alienazione, ad es. per essere esonerato dal pagamento del tributo fondiario.

L'azione pauliana, invece, non spetta a coloro che hanno partecipato alla formazione dell'atto fraudolento perché essi sono vincolati dall'efficacia obbligatoria del negozio stipulato. Inoltre a differenza di quanto avviene nella revocatoria, per la quale si distingue se colui che ha stipulato il contratto col debitore sia un acquirente a titolo gratuito o a titolo oneroso, una distinzione siffatta è giuridicamente irrilevante per l'esercizio dell'azione di simulazione.

Poiché l'azione di simulazione spetta alle parti contraenti, essa può essere esperita altresì dai loro eredi o successori e titolo universale, intendendosi per eredi sia quelli legittimi che quelli testamentari. Costoro agiscono non per diritto proprio, ma per diritto ereditario e perciò vengono a trovarsi nella medesima posizione giuridica dei loro autori.

L'azione di simulazione è un'azione di accertamento negativo nella simulazione assoluta, di accertamento negativo e positivo nella simulazione relativa. Il carattere di azione di accertamento è implicitamente affermato nell'art. 2652, n. 4 cod. civ. dove è detto che si devono trascrivere le domande dirette all'accertamento della simulazione di atti soggetti a trascrizione. La sentenza che accoglie la domanda è anche essa una sentenza di accertamento negativo nella simulazione assoluta, di accertamento negativo e positivo in quella relativa. La domanda deve proporsi contro tutti gli autori della simulazione, cioè contro tutti i soggetti che hanno partecipato all’atto che si assume simulato o che abbiano tratto giovamento dalla simulazione, che sono i legittimi contraddittori, non soltanto per tutti i riflessi che necessariamente nei loro riguardi ha la dichiarazione di simulazione, ma anche perché la domanda è diretta a porre nel nulla erga omnes le apparenze dell'atto fittizio. Si vuol dire che l'azione di simulazione di un negozio giuridico ha carattere universale e dà perciò luogo ad un litisconsorzio necessario tra tutti coloro che hanno partecipato al negozio simulato e che hanno interesse a contrastare le domande del creditore danneggiato. Solo se la simulazione si fa valere in via di eccezione, come può essere fatta valere, non è necessaria la presenza in giudizio di tutti coloro che posero in essere l'atto simulato, perché gli effetti del giudicato non vanno oltre il fine che con l'eccezione si vuol conseguire.

L'azione di simulazione di un atto di compravendita immobiliare è un'azione personale e il valore della controversia è stabilito con riferimento al prezzo indicato nel negozio simulato e non al valore reale dell'immobile venduto da determinarsi con il criterio dell'art. 15 cod. proc. civ. La contraria opinione secondo la quale il criterio dettato dal codice per le cause relative a beni immobili trova piena applicazione anche alle azioni personali che implicano questioni di proprietà immobiliare o, ad ogni modo, controversie su diritti reali immobiliari che non siano espressamente regolate in maniera diversa appare infondata di fronte alla non equivoca formulazione dell'art. 15 cod. proc. civ. (equivalente all'art. 79 del codice di rito 1865) ed alla considerazione che il valore reale della proprietà non forma oggetto immediato dell'azione di simulazione.

La domanda per ottenere l'accertamento alla simulazione di un contratto di vendita d'immobile deve essere trascritta (art. 2652 n. 4, cod. civ.).

La simulazione relativa. Interposizione fittizia di persona

Si ha simulazione relativa quando l'atto simulato ne nasconde un altro realmente voluto dalle parti. I contraenti concludono un atto giuridico ma questo rimane nascosto sotto una forma diversa, in modo da restare segreta la sua vera natura. L'accordo simulatorio impedisce che il contratto simulato e quello dissimulato si elidano tra di loro e costituisce il legame tra i due contratti, in modo che quello dissimulato o reale sostituisce o modifica il contratto simulato, per cui è stato detto che l'accordo simulatorio funziona da tessuto connettivo.

L'accertamento della simulazione relativa produce, oltre la dichiarazione di nullità dell'atto simulato, come nella simulazione assoluta, anche l'effetto di ristabilire la realtà posta in essere dalle parti, attribuendo piena efficacia al negozio dissimulato, o come anche si dice, mascherato o velato. Si è già accennato che anche nella simulazione relativa non può parlarsi di convalida dell'atto simulato. Va chiarito che, poiché la simulazione relativa non tende ad accertare che non sussiste alcun rapporto giuridico, ma a stabilire che si tratta di un rapporto diverso da quello apparente, l'esecuzione del contratto impugnato implica ratifica del medesimo e rinuncia ad eccepire la simulazione riguardo al negozio dissimulato mentre non ha rilevanza rispetto a quello simulato.

Le parti che ricorrono alla simulazione relativa possono perseguire gli scopi più svariati. Così i coniugi mascherano sotto l'apparenza di una compravendita o di un pegno una donazione per sfuggire alla norma secondo la quale non possono durante il matrimonio farsi l'uno all'altro alcuna liberalità, salvo quelle conformi agli usi (art. 781 cod. civ.), così si fa apparire per locazione quella che è una vendita con riserva di proprietà, (art. 1526 ultimo comma cod. civ.). Altra figura ricordata in dottrina è quella della vendita con patto di riscatto che mira ad occultare la garanzia della restituzione di un mutuo con patto commissorio stipulato verbalmente.

Il nuovo codice ha precisato a quali condizioni, in caso di simulazione relativa il contratto o l'atto dissimulato possa valere fra le parti e produrre gli effetti suoi propri ed ha affermato che l'efficacia di esso è subordinata all'esistenza di tutti i requisiti di forma (atto pubblico per la donazione, scrittura nei casi dell'art. 1350 cod. civ.) e di sostanza (liceità dell'uso, consenso, capacità a ricevere) propri dell'atto o contratto voluto. Come si desume dall’art. 1417 è previsto che il contratto dissimulato possa essere viziato da illiceità oltre che da nullità.

Sul punto controverso se la forma dovesse essere quella dell'atto apparente o quella prescritta per l'atto occultato, il codice ha scelto la seconda soluzione. Non è sembrato coerente — dice la Relazione — ritenere che la necessità della forma scritta prevista per la donazione possa venir meno quando, ad esempio, la liberalità è mascherata sotto l'apparenza di una emissione cambiaria. Se la forma è garanzia di matura decisione, essa sarebbe eliminata proprio quando, per essere affiorata la frode, se ne dovrebbe sentire maggiormente il bisogno. Si accenna qui alla tesi proveniente dalla Francia ed accettata da una parte della nostra giurisprudenza, secondo la quale una donazione poteva farsi sotto forma di contratto oneroso per scrittura privata e che si basa sull'affermazione che è lecito fare indirettamente ciò che è lecito fare in modo diretto. Una siffatta opinione non teneva minimo conto che certi requisiti di forma sono dettati nell'interesse generale (forma costitutiva) e da essi non è dato prescindere per accordi delle parti contraenti.

Si discute se sia necessario che la simulazione colpisca l'intero contratto, o possa colpire soltanto singoli elementi o particolari clausole di esso. Si è portati ad affermare che l'atto simulato è un rapporto unico, non la somma di singoli rapporti giuridici, onde il negozio giuridico o è tutto sincero o è tutto simulato. Una compravendita, ad es. non può essere dichiarata vera sino ad un certo punto e simulata nel resto, poiché a questa scissione resiste l'unità del rapporto contrattuale. Dal principio dell'unità dell'atto simulato discende l'indivisibilità dell'azione di simulazione.

Come già è stato osservato, l'interposizione di persona è una ipotesi di simulazione relativa e consiste nel far apparire nel contratto un soggetto diverso da quello effettivo. Si ha interposizione reale quando il contraente ignora che l'altro contraente opera per conto di altri ed il rapporto giuridico si perfeziona realmente fra le parti intervenute nel contratto, sebbene l’investito reale che riceve i beni sia obbligato a ritrasmetterli all'interponente che gli ha dato l'incarico, pena il risarcimento del danno in caso di rifiuto del mandatario infedele. Si ha interposizione fittizia se il contraente è consapevole dell'interposizione e il negozio, attraverso il contraente apparente, si conclude direttamente tra l'interponente e il terzo. Questa interposizione fittizia, si realizza in un negozio trilatero nel quale tutte le parti sono a conoscenza e vogliono che attraverso la persona interposta (che l'interponente ha fatto figurare al suo posto), il negozio giuridico si concluda con un vincolo diretto tra l'interponente e il terzo. Nell’interposizione reale si hanno due passaggi del diritto, nella interposizione fittizia un passaggio solo.

E’ chiaro che l'interposizione reale di persona è fuori dalla esatta nozione di simulazione: e che la vera interposizione di persona non è che quella fittizia. Nella interposizione reale, infatti, v’è un soggetto estraneo all'accordo simulatorio; nella interposizione fittizia, invece, ricorre l'accordo simulatorio di tutti i contraenti (alienante, acquirente e prestanome) e il contratto si conclude direttamente tra l’alienante e l'interponente, ben conoscendo l'interposta persona di essere puramente una figura decorativa. Ciò importa come conseguenza che essendo il vero contraente l'interponente e non l'interposto, al fine di stabilire se ricorre il requisito della capacità o un vizio di consenso è all'interponente che occorre far riferimento e non alla persona interposta, nulla rilevando, ad es. che la persona interposta sia giuridicamente incapace.

Il codice vieta e rende annullabili su istanza degli interessati gli atti compiuti dall'esercente la patria potestà o dal tutore o per essersi resi acquirenti all'asta pubblica direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti dei minori (articoli 323 e 378 cod. civ.); così i magistrati dell'ordine giudiziario, i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati, i procuratori, i patrocinatori e i notai non possono, neppure per interposta persona, rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti l'autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni (art. 1261 cod. civ.); divieti speciali di comprare, sia pure per interposta persona, sono stabiliti dall’articolo 1471 cod. civ.; gli avvocati e i procuratori, non possono neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti i cosiddetti patti di quota lite (art. 2233 cod. civ.). Il caso più frequente di interposizione fittizia di persona è una donazione ad un prestanome che si sostituisce artificiosamente al vero destinatario per eludere il divieto quest'ultimo incapace di ricevere: il prestanome è tenuto a restituire al vero destinatario il contenuto utile della donazione (applicazione in caso di donazione a favore del tutore o protutore, di donazione al figlio naturale non riconoscibile, di donazione fra coniugi, articoli 779, 780, 781 cod. civ.).

Non ha nulla a che vedere con l'interposizione l'attività negoziale svolta sotto falso nome. Qui il soggetto intende effettivamente stipulare il contratto in nome proprio e nel proprio interesse unicamente sostituisce al proprio nome un nome fittizio che, per avventura, può coincidere con quello di persona realmente esistente. Tale coincidenza è affatto irrilevante, perché il vero contraente rimane la persona che ha stipulato indipendentemente dall'assunzione di un nome non vero.

Simulazione negli atti unilaterali recettizi

Negli atti unilaterali e in particolare negli atti di ultima volontà, può aversi la riserva mentale ma non si ha simulazione perché questa richiede il concorso di più parti e non ha importanza, agli effetti giuridici, la semplice conoscenza che abbia l'altra parte del carattere apparente di un atto. E’ stato però osservato che negli atti unilaterali recettizi il destinatario partecipa alla loro formazione o con la recezione medesima o con la percezione, che sono elementi integranti della dichiarazione di volontà, per cui dovrebbe anche qui ravvisarsi la possibilità di simulazione. Questa opinione, per quanto autorevole, ha il difetto di supervalutare l'apporto dell'accipiente sino a considerare quest'ultimo parte del negozio. In realtà la dichiarazione di volontà del dichiarante è autonoma ed ad essa l'accipiente nulla aggiunge e nulla toglie.

Diverso è il caso in cui tra destinatario e dichiarante esiste un pre­ciso accordo, in cui il destinatario, cioè, aderisce alla notificazione, perché qui si è nei termini precisi di un accordo simulatorio.
L'effetto normale degli atti unilaterali recettizi non si fonda sull'accordo di due o più parti: esso, tuttavia, è destinato a svolgersi nei rapporti tra più parti, per cui ricorre la possibilità dell'esistenza di un accordo il quale sia diretto non a creare, ma a simulare l'atto. La legge ha così esteso, sia pure parzialmente, le regole della simulazione dei contratti alla simulazione del negozio unilaterale recettizio (testamento, effetto cambiario). Può essere così simulata l'emissione di una cambiale, o la girata di essa, perché il carattere formale dei titoli cambiari non è di ostacolo alla simulazione.

Disputandosi sull'ammissione della simulazione negli atti unilaterali recettizi è sorta questione se è possibile simulazione in una quietanza. La risposta non può essere che affermativa perché la quietanza è sempre un negozio bilaterale, in quanto deve concorrervi l'accettazione del debitore che paga.

Prescrizione dell’azione di simulazione

La nozione che si è data della simulazione assoluta o relativa ha la sua rilevanza ai fini della prescrizione. Nel caso di simulazione assoluta, poiché nulla di reale si è voluto e nulla si è formato, l'azione relativa, che è un'azione di puro accertamento negativo che mira a rimuovere uno stato di incertezza giuridica, è imprescrittibile, mentre nel caso di simulazione relativa, essendosi dato vita ad un negozio, sebbene diverso dall'apparente, l'azione è soggetta a prescrizione.

Il termine prescrizionale, che è quello normale stabilito dal codice civile per l'azione negoziale del contratto dissimulato comincia a decorrere dalla data del contratto stesso contro cui si muove l'azione per disvelare la parvenza e sostituirvi il vero e non è necessario che il contratto medesimo abbia avuto esecuzione. Il termine può essere sospeso per cause diverse. Così ad es. per impugnare la vendita conclusa dal de cuius che leda la quota legittima dei figli, il termine decorre dall'apertura della successione perché il loro diritto sorge soltanto in quel momento. Del pari volendosi impugnare di simulazione una vendita con patto di riscatto il termine decorre dal giorno fissato per l'esercizio del riscatto.

Si è già accennato che l'azione di simulazione non può confondersi con l'azione di annullamento, anche se le conseguenze possono talora essere non molto diverse. L'azione di simulazione ha per contenuto l'accertamento dell'effettiva volontà negoziale diversa da quella apparente, l'azione di annullamento mira invece ad accertare l'esistenza di un vizio o la mancanza di un elemento essenziale del contratto. E’ quindi da escludersi che possa trasferirsi all'azione di simulazione la prescrizione quinquennale stabilita espressamente ed esclusivamente per l'azione di annullamento. Lo scopo della legge nello stabilire questa prescrizione breve, che consiste nella necessità di togliere al più presto il negozio annullabile dalla posizione di incertezza in cui si trova di atto sanabile o invalidabile a seconda delle circostanze e della volontà delle parti è del tutto estraneo al campo della simulazione.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

271 Ho integrato il regolamento della simulazione proposto dalla Commissione reale, anzitutto (art. 291):
a) richiedendo, per l'efficacia del contratto occultato, anche la ricorrenza del requisito della forma propria di esso, oltre ai requisiti sostanziali: ho seguito, così, l'indirizzo della dottrina prevalente e della giurisprudenza della Corte di cassazione;
b) estendendo i principi della simulazione anche agli atti unilaterali recettizi, quando vi sia accordo tra il dichiarante e il destinatario della dichiarazione: è ipotesi frequente la rinunzia simulata, la quale non deve né può sfuggire alla disciplina della simulazione quale è stabilita per i contratti, se in realtà risulta concordata tra coloro che avevano interesse a porla in essere.

Massime relative all'art. 1414 Codice Civile

Cass. civ. n. 18049/2022

Nella simulazione soggettiva relativa, il requisito della forma scritta "ad substantiam" deve essere rispettato dal contratto apparente, mentre l'accordo simulatorio tra interponente, interposto e terzo contraente - che può essere anteriore o contemporaneo al contratto simulato, ma non posteriore ad esso - va provato, tra le parti, con la controdichiarazione scritta, che, non essendo espressione della "voluntas simulandi", ma atto ricognitivo della volontà manifestata in precedenza, è idoneo mezzo di prova anche se sottoscritta solo dalla parte contro cui sia prodotta in giudizio e anche se successiva all'accordo simulatorio, essendo soggetta solo alle regole della forma scritta "ad probationem".

Cass. civ. n. 10933/2022

In tema di simulazione relativa oggettiva, ai fini della prova del contratto dissimulato che avrebbe dovuto rivestire forma scritta "ad substantiam", deve escludersi che la confessione possa supplire alla mancanza del requisito formale rappresentato dalla controdichiarazione scritta, necessaria per il contratto diverso da quello apparentemente voluto. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte territoriale che, sulla base della confessione della parte, aveva ritenuto provata la dissimulazione di una datio in solutum immobiliare di cui non vi erano gli elementi nel contratto di compravendita immobiliare asseritamente simulato).

Cass. civ. n. 4523/2022

L'azione di simulazione di un contratto dissimulante una donazione di un bene immobile può essere esperita, dal coniuge o dal parente in linea retta del disponente, anche prima dell'apertura della successione di quest'ultimo, allo specifico scopo di consentire l'opposizione di cui all'art. 563, comma 4, c.c. e di rendere, in futuro, possibile l'esperimento della domanda di restituzione del bene donato di cui all'art. 563, comma 1, c.c..

Cass. civ. n. 17740/2020

Quando la prova della simulazione assoluta del contratto è stata evinta dal giudice del merito attraverso l'esame di elementi documentali (quale la controdichiarazione) all'uopo rilevanti e la individuazione dei fini pratici contingenti perseguiti è stata ricavata aliunde dal giudice (attraverso un'indagine presuntiva), la contestazione della validità di questo ulteriore accertamento - che assume carattere di indiretta conferma e di riscontro esterno del convincimento attinto circa la nullità del negozio - non giova a sovvertire quel giudizio ne' investe un punto decisivo della controversia, fondandosi il decisum su ragioni autonome e diverse.

Cass. civ. n. 12639/2020

E' ammissibile la dimostrazione di un accordo simulatorio tra l'emittente di una quietanza e il destinatario della stessa nel caso in cui la non veridicità della quietanza non corrisponda ad una determinazione unilaterale del creditore quietanzante, ma rifletta un accordo negoziale tra creditore e debitore volto a rendere ostensibile ai terzi l'attestazione dell'avvenuto pagamento, la cui non conformità alla realtà sia nota alle parti e da queste condivisa.

Cass. civ. n. 34024/2019

L'azione intesa a far dichiarare la simulazione relativa è diversa da quella diretta a ottenere la declaratoria di simulazione assoluta, sia con riferimento al "petitum" che alla "causa petendi", comportando le due domande l'accertamento di fatti differenti e tendendo, soprattutto, al conseguimento di effetti diversi, secondo la differenziazione generale prevista nei primi due commi dell'art. 1414 c.c.; ne consegue che si configura la violazione dell'art. 112 c.p.c., in tema di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, qualora il giudice di merito abbia rilevato e ritenuto d'ufficio che fosse stata proposta una domanda di simulazione assoluta anziché relativa.

Cass. civ. n. 20971/2018

Il legittimario totalmente pretermesso dall'eredità che, a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, impugna per simulazione un atto compiuto dal "de cuius", agisce in qualità di terzo e non in veste di erede - condizione che acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione - e, come tale ed al pari dell'erede che proponga un'azione di simulazione assoluta ovvero relativa, ma finalizzata a far valere la nullità del negozio dissimulato, non è tenuto alla preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario; diversamente ove il legittimario sia anche erede e proponga un'azione di simulazione relativa, ma volta a far valere la validità del negozio dissimulato, tale domanda deve ritenersi proposta esclusivamente in funzione dell'azione di riduzione e postula, quale condizione per la propria ammissibilità, la previa accettazione beneficiata.

Cass. civ. n. 15077/2018

L'azione di simulazione (assoluta o relativa) e quella revocatoria, pur diverse per contenuto e finalità, possono essere proposte entrambe nello stesso giudizio in forma alternativa tra loro o, anche, eventualmente in via subordinata l'una all'altra, senza che la possibilità di esercizio dell'una precluda la proposizione dell'altra.

Cass. civ. n. 7459/2018

L'accertamento della simulazione assoluta determina la nullità del negozio o del contratto, per anomalia della causa rispetto allo schema tipico che ne giustifica il riconoscimento normativo.

Cass. civ. n. 5507/2016

L'intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell'interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista (a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata) la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario.

Cass. civ. n. 4738/2015

L'interposizione fittizia di persona postula la imprescindibile partecipazione all'accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all'intesa raggiunta dai primi due (contestualmente od anche successivamente alla formazione dell'accordo simulatorio) onde manifestare la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell'interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la rappresentanza diretta, mentre la mancata conoscenza, da parte di detto terzo, degli accordi intercorsi tra interponente ed interposto (ovvero la mancata adesione ad essi, pur se da lui conosciuti) integra gli estremi della diversa fattispecie dell'interposizione reale di persona.

Cass. civ. n. 12138/2014

Nel caso in cui due soggetti si accordino per creare una società di capitali, l'intestazione ad uno di essi della partecipazione dell'altro non dà luogo né ad una fattispecie di interposizione fittizia di persona - che presuppone un accordo simulatorio trilaterale fra stipulante effettivo (interponente), stipulante apparente (interposto) e terzo contraente - atteso che in tale situazione, in cui la società ancora non esiste e viene creata proprio con quel contratto, manca il soggetto terzo, nè alla simulazione assoluta del contratto costitutivo di società, posto che gli stipulanti intendono davvero realizzare l'effetto della creazione di una persona giuridica con una soggettività distinta e separata da quella dei singoli soci. Ne consegue che l'unico strumento attraverso il quale far emergere la realtà dei rapporti non è quello dell'azione di simulazione, ma quello dell'accertamento (o della richiesta di adempimento) di un negozio fiduciario.

Cass. civ. n. 8682/2013

La differenza fra interposizione fittizia di persona e interposizione reale non sta nella partecipazione o no del terzo contraente all'accordo che ha portato alla sostituzione dell'interposto all'interponente (dal momento che anche nella seconda il terzo può partecipare all'accordo), ma nel concreto atteggiarsi della volontà degli interessati. Pertanto, poiché nella simulazione fittizia l'interposto figura soltanto come acquirente, mentre gli effetti del negozio si producono a favore dell'interponente, ricorre un'ipotesi di interposizione reale nel caso in cui non vi sia un accordo simulatorio o perché interponente ed interposto vogliono veramente far ricadere nella sfera giuridica dell'interposto gli effetti del contratto stipulato col terzo o perché è proprio il terzo a rifiutare la proposta dell'interponente ed a pretendere ed ottenere di contrattare in via diretta con un altro soggetto interposto. (Nella specie, in forza di un complesso rapporto contrattuale, una società stampatrice, quale soggetto terzo, aveva venduto libri a dei soggetti interposti - i quali avevano ricevuto in comodato gratuito dalla società editrice le lastre di stampa - che avevano rivenduto i beni alla casa editrice, la quale, a sua volta, li aveva ritrasferiti ai singoli concessionari con contratto estimatorio; la S.C., pur riconoscendo che questa complessa operazione economica permetteva al soggetto terzo di evitare l'eventuale revocatoria del pagamento ricevuto dalla casa editrice, ha affermato che tale operazione si giustificava per la reale volontà del terzo di avere come acquirenti dei soggetti maggiormente affidabili).

Cass. civ. n. 25490/2008

In considerazione della diversità di presupposti esistenti tra negozio simulato e negozio soggetto ad azione revocatoria, ad integrare gli estremi della simulazione non è sufficiente la prova che, attraverso l'alienazione di un bene, il debitore abbia inteso sottrarlo alla garanzia generica dei creditori, ma è necessario provare specificamente che questa alienazione sia stata soltanto apparente, nel senso che né l'alienante abbia inteso dismettere la titolarità del diritto, né l'altra parte abbia inteso acquisirla.

Cass. civ. n. 8530/2001

In tema di simulazione, nell'ipotesi di rappresentanza volontaria non è sufficiente, per ritenere la simulazione dell'atto, la prova di un'eventuale collusione tra rappresentante e terzo, essendo necessaria anche la prova dell'esistenza di un accordo simulatorio, cui non sia rimasto estraneo il rappresentato, e, quindi, che il potere di rappresentanza è stato conferito soltanto perché il rappresentante ponga in essere coll'altra parte un contratto simulato.

Cass. civ. n. 4865/2001

In tema di accertamento della simulazione, l'apprezzamento del giudice del merito sull'effettiva sussistenza di questa, non è censurabile in sede di legittimità per la mancata individuazione della causa simulandi, cioè del concreto motivo per cui le parti hanno posto in essere un contratto diverso da guelfo in realtà voluto, dando così vita ad una mera apparenza, atteso che tale dato non è indispensabile ai fini dell'accertamento suddetto, restando rilevante soltanto sul piano probatorio, per fornire indizi rivelatori dell'accordo simulatorio.

Cass. civ. n. 1404/2001

A differenza di quanto avviene nella revocatoria ordinaria, per la quale rilevano le condizioni soggettive dell'acquirente a titolo oneroso, nella azione di simulazione assoluta di un contratto, fatta valere nei confronti delle parti perché in pregiudizio dei diritti dei creditori, non forma oggetto di accertamento l'atteggiamento soggettivo di mala fede di uno dei contraenti; l'elemento psicologico, sotto il profilo della consapevole lesione dei diritti dei terzi, diviene invece rilevante come tema di prova, e non può ritenersi implicito nel fatto stesso della simulazione, ove il terzo intenda far valere il contratto simulato come fatto illecito, fonte di responsabilità dei contraenti.

Cass. civ. n. 8368/2000

Nessun ostacolo logico o giuridico può legittimamente frapporsi al riconoscimento della possibilità di un'interposizione fittizia di persona nella stipula di un contratto di società ex art. 2247 c.c.

Cass. civ. n. 6451/2000

L'interposizione fittizia di persona postula la imprescindibile partecipazione all'accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all'intesa raggiunta dai primi due (contestualmente od anche successivamente alla formazione dell'accordo simulatorio) onde manifestare la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell'interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la rappresentanza diretta, mentre la mancata conoscenza, da parte di detto terzo, degli accordi intercorsi tra interponente ed interposto (ovvero la mancata adesione ad essi, pur se da lui conosciuti) integra gli estremi della diversa fattispecie dell'interposizione reale di persona. Ne consegue che, dedotta in giudizio la simulazione relativa soggettiva di un contratto di compravendita immobiliare, la prova dell'accordo simulatorio deve, necessariamente consistere nella dimostrazione della partecipazione ad esso anche del terzo contraente.

Cass. civ. n. 13261/1999

L'intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell'interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista (a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata) la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario. (Nella specie, la cessazione della convivenza "more uxorio" tra il fiduciante e la fiduciaria).

Cass. civ. n. 11322/1996

L'interposizione fittizia di persona, pur avendo come presupposto indispensabile l'accordo simulatorio fra i tre soggetti che vi partecipano, non esige che esso preesista alla stipulazione del contratto che si assuma simulato, poiché l'intesa trilaterale può attuarsi anche contestualmente all'atto o per formazione progressiva.

Cass. civ. n. 10768/1995

In tema di intestazione fiduciaria di titoli azionari, il pactum fiduciae comporta la creazione di obblighi giuridici a carico del fiduciario, azionabili in via giudiziaria da parte del fiduciante per ottenerne l'adempimento. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il pactum fiduciae si configurasse come un mandato senza rappresentanza, in virtù del quale il fiduciario aveva assunto gli obblighi del mandatario per l'esercizio dei diritti connessi alle azioni a lui fiduciariamente intestate, tra cui, in particolare, l'obbligo di rendere conto al fiduciante dello svolgimento e del risultato della gestione).

Cass. civ. n. 7026/1995

La simulazione relativa, presupponendo un preciso accordo dissimulato tra le medesime parti del contratto simulato, non può identificarsi nei propositi fraudolenti di una sola delle parti.

Cass. civ. n. 12428/1993

L'individuazione della causa simulandi, che, identificandosi nel motivo o scopo pratico che ha indotto le parti a creare l'apparenza contrattuale, non deve risolversi necessariamente in un concreto vantaggio per tutte le parti dell'accordo simulatorio, non è indispensabile per l'accertamento di questo accordo, del quale costituisce solo un importante indizio rivelatore.

Cass. civ. n. 9135/1993

La simulazione della quietanza, che è un atto unilaterale recettizio contenente la confessione stragiudiziale del pagamento di una somma determinata, presuppone, ai sensi dell'art. 1414, secondo comma, c.c., un precedente e coevo accordo, tra il dichiarante ed il destinatario, diretto a porre in essere solo apparentemente il negozio confessorio.

Cass. civ. n. 6423/1984

L'attribuzione apparente del diritto di proprietà a persona diversa dall'effettivo titolare può realizzarsi o con l'interposizione reale o con l'interposizione fittizia, la cui differenza poggia sul fatto che, nel primo caso, si ha trasferimento valido ed efficace a favore della persona interposta sul presupposto che quest'ultima sia obbligata ad un ulteriore trasferimento a favore del beneficiario del rapporto, mentre il secondo rientra nello schema del negozio simulato, con la particolarità che la divergenza fra situazione reale e situazione apparente non riguarda l'aspetto oggettivo ma quello soggettivo, derivante da una intesa fra le parti, l'interponente e l'interposto, in base alla quale figura come contraente un soggetto che è, in realtà, estraneo alla pattuizione.

Cass. civ. n. 4122/1975

II contratto simulato rimane tale e non acquista efficacia alcuna per effetto della trascrizione; pertanto, chi abbia trascritto il proprio titolo di acquisto in data posteriore, o non lo abbia affatto trascritto, bene può impugnare per simulazione il titolo anteriormente trascritto, ed il titolo invalido o inefficace non è convalidato o reso efficace dalla trascrizione stessa.

Cass. civ. n. 3806/1975

Solo quando l'interposizione di persona è reale il contratto intercorre effettivamente tra coloro che figurano come stipulanti, salvo il regolamento interno degli interessi nei confronti di colui per conto del quale l'interposto ha agito; al contrario, nella interposizione fittizia, la circostanza che l'interponente non abbia preso parte insieme con l'interposto e con il terzo alla stipulazione del negozio simulato è irrilevante, perché, se è vero che per aversi interposizione fittizia occorre un accordo al quale deve necessariamente partecipare l'interponente, tuttavia detto accordo può ben essere separato dal negozio della cui simulazione si discute.

Cass. civ. n. 307/1975

Nell'ipotesi di un'interposizione reale di persona; nella quale un soggetto (l'interposto) d'intesa con un altro soggetto (interponente) contratta in nome proprio con un terzo soggetto divenendo titolare effettivo dei diritti ed obblighi derivanti dal medesimo contratto, non ha alcuna rilevanza l'errore di persona in cui sia caduto il terzo per effetto della sua ignoranza circa i rapporti tra interponente ed interposto.

Cass. civ. n. 1891/1974

L'interposizione reale di persona — la quale, a differenza dell'interposizione fittizia, non configura un'ipotesi di simulazione relativa — si basa su un particolare rapporto fra interponente ed interposto che riveste di regola, il carattere del mandato senza rappresentanza e si verifica allorquando un soggetto (l'interposto), d'intesa con un altro soggetto (l'interponente), contratta in nome proprio con un terzo soggetto e diventa titolare effettivo dei diritti derivanti dal contratto, con l'obbligo, nascente dal rapporto interno con l'interponente, di ritrasferire a quest'ultimo i diritti in tal modo acquistati. Nell'interposizione fittizia si ha, invece, un accordo simulatorio intercorrente fra tre soggetti — il contraente effettivo o interponente, il contraente fittizio o interposto e l'altro contraente — per effetto del quale la stipulazione del negozio con la persona interposta è soltanto apparente, poiché nella realtà il vero contraente è la persona che non figura nel negozio nei cui confronti l'altro contraente intende assumere tutti i diritti ed obblighi contrattuali.

Cass. civ. n. 2060/1973

Sul piano logico-giuridico non vi è compatibilità tra negozio simulato e negozio revocabile, perché mentre quest'ultimo è realmente voluto ed esistente, l'altro è, invece, solo un'apparenza in quanto o è addirittura inesistente (simulazione assoluta) o è comunque diverso da quello fatto figurare (simulazione relativa).

Cass. civ. n. 1746/1973

Si ha simulazione assoluta del contratto quando le parti, pur dichiarando di concluderlo e compiendo atti che appaiano corrispondenti alla sua esecuzione, non abbiano in realtà dovuto concludere contratto alcuno; e si ha simulazione relativa quando le parti stesse abbiano inteso stipulare un contratto diverso da quello a cui, con le loro dichiarazioni e la loro attività concreta, hanno dato parvenza.

Cass. civ. n. 1678/1973

Affinché possa utilmente porsi una questione di simulazione, occorre la sussistenza di un accordo simulatorio, il quale come tale è necessariamente bilaterale, oppure di una simulata dichiarazione recettizia di volontà; non può dunque parlarsi di simulazione da parte del professionista il quale abbia annotato, nei libri contabili di una impresa (per la quale ha prestato attività professionale), un pagamento a lui fatto e poi intenda sostenere che in realtà si trattava di una scrittura di comodo, diretta a dissimulare un pagamento che in realtà era stato eseguito in favore di alcuni soci.

Cass. civ. n. 1496/1972

Quando la simulazione è mista (soggettiva ed oggettiva) per essere dissimulati sia il vero negozio che i reali contraenti, il negozio dissimulato (donazione) si costituisce direttamente tra disponente e designato ed assume valore causale della liberalità celata dal negozio fittizio.

Cass. civ. n. 3279/1971

La simulazione, nei suoi vari tipi, può riguardare qualsiasi contratto, ed attiene principalmente ai rapporti interni fra le parti, nel senso che è intesa a far apparire la costituzione fra i soggetti contraenti di un rapporto tra costoro in realtà inesistente perché le parti nulla vollero costituire, limitando la loro comune dichiarazione precettiva ad una vuota apparenza (simulazione assoluta), o perché le parti vollero costituire fra loro un rapporto diverso (simulazione relativa oggettiva), o perché il rapporto fu realmente costituito, ma tra una delle parti ed un soggetto diverso dall'altra parte figurante nel contratto apparente (simulazione relativa soggettiva o interposizione fittizia di persona).

Cass. civ. n. 586/1970

La differenza fra simulazione assoluta e simulazione relativa non assume particolare rilevanza (nella specie, ai fini della proponibilità di domande nuove nel corso del giudizio), quando la simulazione relativa non è diretta a far dichiarare l'esistenza del contratto dissimulato allo scopo di derivarne determinati effetti giuridici, ma tende invece a far dichiarare l'inefficacia del negozio simulato per trarre da tale declaratoria particolari effetti derivanti dalle situazioni giuridiche preesistenti.

Cass. civ. n. 578/1970

La disposizione dell'art. 1414, primo comma, c.c., secondo la quale «il contratto simulato non produce effetto tra le parti», importa che il contratto simulato, appunto perché improduttivo di effetti giuridici, fra le parti, debba considerarsi, nei rapporti fra le parti stesse, nullo; nullità del contratto in toto in caso di simulazione assoluta, del solo negozio simulato, in caso di simulazione relativa.

Cass. civ. n. 3786/1969

Ad escludere la causa simulandi non è sufficiente dimostrarne la insussistenza da un punto di vista esclusivamente oggettivo, ma occorre altresì dimostrare la insussistenza della stessa anche dal punto di vista soggettivo, in relazione alla rappresentazione che le parti del negozio simulato si siano fatte (causa simulandi putativa).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1414 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

L. M. chiede
lunedì 04/03/2024
“Buongiorno,

Sinteticamente,mia sorella e i miei genitori realizzarono nel 2012 circa una "compravendita" rogitata di una casa di proprietá dei miei genitori che cosí é diventata proprietá di mia sorella.
Unicamente peró,non c'é mai stata transazione economica perché l'assegno registrato dal Notaio al momento del Rogito non é mai stato incassato volutame dai miei genitori.
Mia sorella vive ancora attualmente,come anche prima del Rogito,in questa casa oggetto di questa "compravendita".
Quindi le volevo solamente chiedere se in questo caso concreti siamo davanti a una SIMULAZIONE ASSOLUTA?(o RELATIVA)
E se quindi io nell'eventualitá posso sempre impugnare questa transazione anche dopo 10 anni(volendo anche come parte lesa della successione).
La ringrazio tantissimo.
Un cordiale saluto.


Consulenza legale i 12/03/2024
Il contratto di compravendita di immobile stipulato tra i genitori e la figlia in cui non c’è stato il versamento del corrispettivo in denaro corrisponde ad una vendita fittizia.
Le parti, infatti, hanno simulato un atto di vendita ma hanno realizzato in realtà una donazione.
Si tratta di una simulazione relativa ai sensi dell’art. 1414 c.c.
Il contratto dissimulato però perché abbia validità deve rispettare i requisiti di forma e di sostanza previsti dalla legge.
Per quanto riguarda la donazione è necessario che venga stipulato con atto pubblico e alla presenza di due testimoni come previsto dall’art. 782 del c.c. e dalla legge notarile.
Nel caso di specie non si conoscono le condizioni di stipula dell’atto di compravendita e non è quindi possibile definire se la donazione sia valida.

Prima di verificare se la donazione sia valida o nulla è necessario però provare l’esistenza del negozio dissimulato.
I terzi possono provare la simulazione anche con testimoni o per presunzioni come stabilito dall’art. 1417 del c.c. (Cass. civ. 10240/2007).
L’altro figlio dovrà quindi dimostrare che i genitori non hanno incassato l’assegno consegnato in sede di stipula del contratto di compravendita e quindi che la sorella non ha avuto un esborso di denaro compatibile con l’acquisto di quell’immobile.

In caso cui sia possibile provare l’esistenza di una vendita simulata, l’azione di simulazione è soggetta al termine prescrizionale ordinario decennale (Cass. civ. n. 125/2019).
Se invece l’azione è volta a provare la nullità del negozio simulato (la vendita) e del negozio dissimulato (la donazione) per mancanza dei requisiti di forma e sostanza, l’azione è imprescrittibile.

Si consiglia quindi di verificare se l’atto di compravendita (nulla per mancanza di causa o accordo) rispetti i requisiti necessari per la validità della donazione.
Qualora ciò non accada la donazione sarà da intendersi nulla e la parte interessata potrà sempre agire per farne accertare la nullità.
Il bene immobile tornerà così a fare parte del patrimonio dei venditori.


F.C. chiede
venerdì 03/09/2021 - Lazio
“Salve, sono a porre un quesito in ambito di successione-eredità. Vorrei sapere se possibile, esperire un'azione di simulazione su un immobile non entrato nella successione ereditaria, per il quale atto di provenienza esiste usufrutto del de cuius e nuda proprietà di un erede, il quale ha ricevuto la totale proprietà per riunione di usufrutto al decesso del de cuius, e successivamente ha provveduto a rivendere. Tale bene è stato acquistato da costruttore come detto, con usufrutto/padre e nuda proprietà/figlio. In tale atto stipulato il 04/2006 , viene riportato il pagamento del prezzo al costruttore, ripartito in usufrutto e nuda proprietà per i rispettivi valori, ma non sono indicate le modalità di pagamento. Il de cuius è deceduto il 03/2016.

C'è ancora possibilità di agire per la c.d. Azione di simulazione oppure tale possibilità è preclusa dai termini della prescrizione, considerando l'atto di vendita di tale immobile e stato stipulato in data 03/2006, oppure va tenuto conto del termine prescrizionale dalla data del decesso del de cuius 03/2016?

Inoltre se possibile tale azione, è possibile "recuperare" solo per la nuda proprietà, oppure si considera il valore intero del suddetto immobile?

RingraziandoVi anticipatamente per la Vs attenzione porgo i miei migliori saluti”
Consulenza legale i 09/09/2021
Del tema dell’azione di simulazione esperita contro un negozio giuridico posto in essere dal de cuius si è occupata la Corte di Cassazione con sentenza n. 16535 del 31.07.2020, nella quale ha affrontato non solo il problema dei limiti di prova del c.d. accordo simulatorio (aspetto che qui non interessa), ma anche quello del dies a quo del temine di prescrizione dell’azione di simulazione.

In particolare, in tale sentenza la S.C. distingue tra colui che agisce per far valere i suoi diritti di legittima (o riserva) e colui che agisce per tutelare la propria posizione di erede ex lege del defunto ai fini della divisione, affermando che la domanda di simulazione proposta non quale legittimario ma nella veste di semplice erede legittimo dell’ereditando non può essere accolta una volta decorso il termine di prescrizione decennale previsto per l’azione di simulazione, termine che in tal caso deve farsi decorrere dal giorno del compimento degli atti oggetto della domanda.

In senso conforme alla tesi sostenuta nella sentenza sopra citata si pongono anche Cass., 21 febbraio 2007, n. 4021 e Cass., 29 febbraio 2016, n. 3932, nelle quali la S.C., nel confermare che il dies a quo del termine decennale di prescrizione dell’azione di simulazione varia in rapporto all’oggetto della domanda, afferma che “se questa è proposta dall’erede quale legittimario, facendo valere il proprio diritto alla riduzione della donazione (che si asserisce dissimulata) lesiva della quota di riserva, il termine di prescrizione decorre dal momento dell’apertura della successione; mentre se l’azione sia esperita al solo scopo di acquisire il bene oggetto di donazione alla massa ereditaria per determinare le quote dei condividenti e senza addurre alcuna lesione di legittima, il termine di prescrizione decorre dal compimento dell’atto che si assume simulato, subentrando in tal caso l’erede nella medesima posizione del de cuius”.

Pertanto, se nel caso di specie chi intende far valere la simulazione non agisce nella qualità di legittimario e per far valere i suoi diritti sulla quota di riserva, deve ormai considerarsi prescritto il termine per l’esercizio di tale azione, in quanto il dies a quo coincide con la data di stipula dell’atto, avvenuta nel mese di aprile 2006.
Se, al contrario, si agisce per la tutela dei propri diritti di riserva sul patrimonio del defunto, il termine di prescrizione deve farsi decorrere dalla data di apertura della successione, avvenuta a marzo 2016 e, pertanto, si è ancora in termini per esperire l’azione di simulazione, per mezzo della quale poter acquisire alla massa ereditaria il bene che ha costituito oggetto dell’atto dissimulato.

Per ciò che concerne l’altra domanda che viene posta, ovvero se sia possibile recuperare solo la nuda proprietà ovvero il valore in piena proprietà dell’immobile oggetto dell’atto dissimulato, di tale problema si è occupata la Corte di Cassazione con sentenza n. 14747 del 19.07.2016, nella quale si afferma che qualora un bene sia donato per il solo diritto di nuda proprietà, con riserva dell’usufrutto in capo al donante, nel momento in cui si andranno ad effettuare i calcoli per verificare se la donazione abbia leso la quota di legittima spettante agli eredi del donante, il bene oggetto di donazione dovrà essere considerato per il suo intero valore (al momento di apertura della successione e cioè alla data in cui il donante muore) e non per il solo valore della nuda proprietà.
Si osserva, infatti, che non può rilevare la circostanza che nel patrimonio del donatario sia entrato, per effetto della donazione, un diritto di proprietà nuda e non di proprietà piena, e che tale situazione di nudità sia perdurata fino al momento della morte del donante (in quanto l’usufrutto che il donante si era riservato è perdurato fino alla sua morte, che è il momento nel quale l’usufrutto vitalizio si estingue).
Ciò di cui si deve tener conto è che con la morte del donante e con la conseguente estinzione dell’usufrutto, il patrimonio del donatario si trova incrementato di un diritto di piena proprietà (la nuda proprietà si espande automaticamente in proprietà piena una volta che l’usufrutto cessa di comprimere il bene sul quale è impresso) e che la legge impone di effettuare il calcolo del valore del bene oggetto di donazione nel momento di morte del donante, poiché è solo nel momento di apertura della successione che si può determinare esattamente il valore della massa da cui ricavare le quote di legittima.

A conferma di tale tesi può citarsi anche la successiva e più recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. II Civile, 2 settembre 2020, n. 18211, nella quale la S.C. afferma che quando la donazione di un immobile è gravata dalla riserva di usufrutto in favore del donante e del coniuge, vita natural durante e con reciproco diritto di accrescimento, se quest'ultimo sopravvive al donante, l'obbligo di conferimento del donatario è relativo al valore della nuda proprietà al momento dell'apertura della successione (ma ciò solo perché l’usufrutto permane in favore del coniuge superstite).


Angelo D. chiede
domenica 24/01/2021 - Emilia-Romagna
“2004-Atto notarile di compravendita immobiliare (villetta su 2 piani) all'uopo divisa catastalmente, venditrice la mamma unica intestataria, compratori due dei 5 fratelli. Scopo:acquisto come prima casa con il fine di ottenere un mutuo per pagare i debiti aziendali dei due acquirenti, debiti in sofferenza e garantiti da ipoteca volontaria della venditrice.
Ulteriore ipoteca giudiziaria sulla casa originaria(unica unità) iscritta per debiti di società s.r.l. (fallita 2 anni prima)intestata ad un quarto fratello
contratto dissimulato:il contratto apparente non produce nessun effetto sulla proprietà che deve pertanto rimanere in capo alla madre. I genitori risiedono e vivono in quella casa nell'appartamento sito al piano terra.
La perizia di stima valuta in 204.000 € (90m+114m) il valore di mercato dell'oggetto.
Rogito e mutuo sono iscritti per 160.000€.
A saldo e stralcio la banca accetta € 50.000 per la s.r.l. e 65.000 per il debito dei due acquirenti.
Alla stipulazione del mutuo, appare una terza sorella a garanzia solidale del mutuo, accollandosi pure il 37,79% del mutuo, rimanendo tuttavia assolutamente estranea alla compravendita. Il rimanente 62,21% in capo ai due acquirenti.
Rivelatosi oneroso, questo mutuo sarà surrogato con altro nel dicembre 2007, debito residuo 145.715 con accollo del 41,6% alla garante e il58,4% ai due acquirenti.
Nel 2016 avviene il decesso del padre. La madre continua a vivere e risiedere al piano terra
Nel febbraio 2017 uno dei due acquirenti l'appartamento al piano terra, con un pretesto adottato in virtù dell'atto notarile costringe la madre a lasciare la casa. Solo allora, precisamente un mese dopo circa, lo scrivente viene a sapere della compravendita. (Risiedo in UK dal dicembre 2014).
Incarico un legale che dopo avere diffidato il fratello a ripristinare l'ordine naturale delle cose, avvia il tentativo di mediazione. La mediazione non avviene per vizio di procedura.
Nel marzo 2019 la mamma diventa beneficiaria di amministrazione di sostegno. Confido nell'AdS in quanto amministratore del patrimonio della mamma, a sollevare la questione al GT. Non ottengo nessun risultato dall'AdS, ad eccezione di una sua dichiarazione resa al GT nel febbraio 2020, che riferisce della ammissione della simulazione da parte del fratello acquirente occupante l'appartamento al piano terra.
Nell'ottobre 2020 incarico legale che ci porta al tentativo di mediazione in Bologna in data 15/12/2020

Il tentativo fallisce in partenza per la opposizione della AdS, per il fratello acquirente e la sorella coinvolta nel mutuo.
La mia volontà è di riportare la mamma in casa sua, per giustizia ma soprattutto perché nelle attuali condizioni di salute riprendere possesso dei luoghi della sua vita è condizione psicologica migliorativa della sua salute mentale.

Quesiti:
1-sono io abilitato a fare domanda di simulazione in quanto figlio estraneo al contratto apparente?
2-é elemento probante la dichiarazione dell'AdS circa l'ammissione della simulazione come sopra descritta?
3-la sorella acquirente il piano seminterrato, da lei occupato insieme alla mamma, è disposta a dichiarare sia la simulazione, sia gli accordi sulla nullità del contratto allo scopo di far ritornare la mamma in casa sua. Può essere questa considerata la controdichiarazione come prova?
4-esperito il tentativo di mediazione, posso avviare la causa ordinaria ora?

grazie.
Cordiali saluti

Angelo D.
UK”
Consulenza legale i 29/01/2021
Prima di rispondere alle domande contenute nel quesito, occorre preliminarmente verificare che l’azione di simulazione non sia prescritta e sia ancora azionabile.
A tal fine occorre distinguere la simulazione assoluta da quella relativa: come ha osservato la Suprema Corte con l’ordinanza n. 125 del 07.01.2019 richiamando la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità “con la prima si mira soltanto a far dichiarare l'inesistenza di qualsiasi mutamento della realtà giuridica preesistente al negozio simulato, mentre con la seconda si tende a far emergere il reale mutamento di detta realtà voluto dalle parti in luogo di quello apparentemente posto in essere, in modo e al fine di potersene in qualche modo avvantaggiare, con la conseguenza che solo in quest'ultimo caso deve parlarsi di prescrizione, per altro con esclusivo riferimento ai diritti nascenti dal negozio dissimulato.”
Tale distinzione è fondamentale ai fini della prescrizione.
Infatti, sempre come ha evidenziato la Suprema Corte nella predetta ordinanza, l’azione di simulazione assoluta è sempre imprescrittibile; mentre l'azione di simulazione relativa si prescrive nell'ordinario termine decennale quando “è diretta a far emergere il reale mutamento della realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato”; quando invece è finalizzata ad accertare la nullità tanto del negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di sostanza e di forma), tale azione non è soggetta a prescrizione.” Nella presente vicenda, dal momento che l’azione sarebbe diretta a far dichiarare l'inesistenza di qualsiasi mutamento della realtà giuridica preesistente al negozio simulato riteniamo che possa essere esclusa la prescrizione decennale.

Appurato ciò, in risposta alla prima domanda rimane di accertare (quale questione preliminare e pregiudiziale) la legittimazione attiva di tale azione per far valere la simulazione.
Per espressa previsione dell’art. 1415 c.c. “i terzi possono far valere la simulazione in confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti". A tal proposito, costante giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che il terzo debba avere un interesse correlato all'esercizio di un proprio diritto. Già con la pronuncia n.6651 del 2005 la Corte di Cassazione aveva infatti evidenziato che: “L'art. 1415 comma secondo c.c., legittimando i terzi a far valere la simulazione del contratto rispetto alle parti quando essa pregiudichi i loro diritti, non consente, peraltro, di ravvisare un interesse indistinto e generalizzato di qualsiasi terzo ad ottenere il ripristino della situazione reale, essendo, per converso, la relativa legittimazione indissolubilmente legata al pregiudizio di un diritto conseguente alla simulazione. Non tutti i terzi, pertanto, sol perché in rapporto con i simulanti, possono instare per l'accertamento della simulazione, dovendosi per converso riconoscere il relativo potere di azione e/o di eccezione soltanto a coloro la cui posizione giuridica risulti negativamente incisa dall'apparenza dell'atto”.
Tale principio è stato ribadito anche nella più recente sentenza n. 29271/2018 secondo cui: “l'azione di simulazione postula un interesse correlato all'esercizio di un proprio diritto e, pertanto, qualora un tale diritto risulti inconfigurabile o, comunque, non pregiudicato dall'atto che si assume simulato, il terzo difetta di interesse a far dichiarare la simulazione del contratto o di uno dei suoi elementi”.
Occorre altresì precisare che tale diritto del terzo non può essere basato soltanto su delle mere aspettative (seppure di diritto) o su dei diritti futuri (come una successione non ancora aperta). Infatti nella risalente sentenza n.2968 del 1987 la Corte di Cassazione aveva evidenziato che: “poiché al figlio non spetta alcun diritto sul patrimonio del genitore prima della morte e dell'accettazione dell'eredità dello stesso neppure in quanto legittimario, data la non configurabilità di una lesione di legittima in ordine ad un patrimonio non ancora relitto, deve escludersi la legittimazione del figlio a far valere la simulazione di una compravendita intercorsa tra il genitore, tuttora in vita, ed un altro figlio”.
Applicando tali principi alla presente concreta vicenda, non riteniamo che possa sussistere una legittimazione attiva in Suo favore in quanto l’azione verrebbe proposta “per giustizia ma soprattutto perché nelle attuali condizioni di salute riprendere possesso dei luoghi della sua vita è condizione psicologica migliorativa della sua salute mentale.”.
Nel quesito si sottolinea che la mamma era unica intestataria del bene immobile alienato e pertanto non potrebbe nemmeno ipotizzarsi un interesse successorio a seguito del decesso del padre.
Come ha sottolineato la Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata deve infatti escludersi la legittimazione del figlio a far valere la simulazione di una compravendita intercorsa tra il genitore ancora vivente ed un altro figlio.

La risposta alla prima domanda contenuta nel quesito deve dunque intendersi negativa.
Da questo ne consegue che anche la risposta alla quarta domanda contenuta nel quesito è negativa in quanto nonostante sia stato esperito il tentativo di mediazione in un eventuale giudizio verrebbe eccepita, appunto, la carenza di legittimazione attiva.
Sotto questo profilo, l’unico legittimato rimane dunque l’amministratore di sostegno, previa autorizzazione del Giudice Tutelare.
In caso di sua persistente inerzia e/o rifiuto suggeriamo di presentare una domanda al predetto Magistrato chiedendo la revoca dell’amministratore di sostegno.
Infatti, come espressamente previsto dall’art. 384 c.c. “il giudice tutelare può rimuovere dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza” (norma applicabile anche alla amministrazione di sostegno di sostegno come previsto dall’art. 411 c.c.).

Fermo quanto precede con riguardo alla seconda e terza domanda contenute possiamo comunque osservare quanto segue.

L’art. 1417 del codice civile, stabilisce che la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato , anche se è proposta dalle parti.
Nella presente vicenda, la finalità sarebbe quella di fa dichiarare la nullità contrattuale.
Pertanto, anche se l’azione verrebbe proposta da una parte (l’AdS nell’interesse di Sua mamma) riteniamo che non sia applicabile il predetto limite previsto dalla norma e pertanto anche la prova per testimoni sarebbe ammissibile senza limiti.

Ciò posto, in risposta alla seconda domanda contenuta nel quesito, la dichiarazione dell’Ads anche se contenuta nel verbale riteniamo non possa avere alcun valore probatorio in quanto assimilabile ad una testimonianza de relato.
Come ha osservato la Suprema Corte con la sentenza n.6519/2012: “in tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso, occorre distinguere i testimoni 'de relato partium' e quelli 'de relato' in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio o ha resistito ad esso, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa; gli altri testi, quelli 'de relato' in genere, depongono invece su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata, perché indiretta, e può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice solo nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità" .
Quindi anche la risposta relativa a tale domanda deve intendersi negativa.

Per quanto riguarda, da ultimo, la circostanza che la sorella acquirente il piano seminterrato, da lei occupato insieme alla mamma, sia disposta a dichiarare sia la simulazione, sia gli accordi sulla nullità del contratto allo scopo di far ritornare la mamma in casa sua, riteniamo che possa essere considerata una controdichiarazione e avere valore probatorio dal momento che come ha osservato la Suprema Corte con la sentenza n.7270 del 2015 “la prova della simulazione, sia essa assoluta o relativa, può essere data soltanto mediante controdichiarazione, costituente atto di riconoscimento o di accertamento della simulazione avente carattere negoziale, che può essere anche posteriore all'accordo simulatorio e può provenire da una sola parte (ovvero quella contro il cui interesse è stata redatta), purché sia consegnata alle altre parti che hanno redatto l'atto simulato”.


Dario I. chiede
martedì 12/01/2021 - Toscana
“Salve mi chiamo Dario, vi apprezzo molto e vi ringrazio in anticipo per il servizio che date, comincio esponendo i fatti:
nel 2017 mia sorella cita me e mia madre dinanzi il tribunale ordinario per divisione ereditaria di mio padre.
Nella massa ereditaria cadono due conti correnti e l'abitazione di residenza di mio padre.
Nel 2018 firmiamo un "accordo di divisione transattiva tombale e omnicomprensiva" , in cui in sostanza mia sorella transige a me e mia madre i diritti divisori su tutti i beni , mobili immobili e crediti di mio padre dietro l' obbligo solidale di euro 18000 che gli saldiamo al momento della firma ,e si impegna a cedere la sua parte di casa nell'atto da effettuare prossimamente.
Nel 2019, dopo aver procurato tutti i documenti necessari per il passaggio della casa, ci riuniamo per il verbale di conciliazione dinanzi il tribunale sottoscrivendo "l'atto transattivo con divisione e cessione di diritti ", in cui in sostanza viene premesso l'accordo di divisione transattiva del 2018; detto atto prosegue con mia sorella che cede a me la sua parte di casa e io dietro il pagamento di una somma di 20000 € a mia mamma ottengo la nuda proprietà della casa, lasciandole l'usufrutto a vita.
Dopo sei mesi dalla firma di questo atto mia mamma mi riconsegna l'assegno di 20000 € affermando di non volerlo riscuotere, e io l'ho stornato nel mio conto .
Purtroppo ora mi rendo conto di aver commesso uno sbaglio simulando la vendita e rischiando di invalidare l'atto della casa se impugnato da mia sorella.
Ancora questo atto lo dobbiamo trascrivere in conservatoria .
Premesso ciò, la richiesta della consulenza è:
ora come possiamo fare per rimediare legalmente all'errore senza invalidare l'atto? grazie.”
Consulenza legale i 18/01/2021
La fattispecie che viene descritta può integrare, magari senza che le parti ne abbiano avuto consapevolezza, un’ipotesi di falsa vendita per simulazione assoluta, la quale può essere accertata in qualunque momento sia dal fisco che da eventuali terzi controinteressati (quali gli eredi legittimari), risultando l’atto inficiato da nullità.
Peraltro, essendo il pagamento avvenuto con assegno, risulterebbe estremamente agevole, per chi ne ha interesse, richiedere l’annullamento di quell’atto in quanto finta cessione onerosa, dissimulante una donazione.
L’assegno, infatti, è per sua natura uno strumento di pagamento tracciabile, il che comporta che è ben possibile seguire le sue sorti e provare che non è stato mai incassato, addirittura nel caso di specie stornato sul conto dello stesso emittente.

Nella generalità dei casi, quando un immobile viene trasferito a titolo oneroso, il pagamento avviene nel momento stesso in cui le parti firmano il rogito davanti al notaio, il quale ha semplicemente il compito di accertare la consegna degli assegni o il bonifico della banca mutuataria (nel caso in cui venga contestualmente stipulato un mutuo).
Indubbiamente, il notaio o qualunque altro pubblico ufficiale innanzi al quale le parti formalizzano il loro accordo, non ha alcun obbligo giuridico di accertare se effettivamente il titolo di credito dato in pagamento verrà posto all’incasso o meno.
Di contro, sotto un profilo prettamente civilistico, la proprietà si trasferisce per effetto del solo consenso delle parti manifestato al momento della stipula dell’atto, mentre nulla impedisce al venditore ed all’acquirente di raggiungere, anche contestualmente, un accordo simulatorio volto a non pagare il prezzo di vendita.

Stando così le cose, sembra evidente che, al di là di quale possa essere stato nel caso di specie l’intento delle parti, se l’assegno non viene incassato, chiunque ne ha interesse può richiedere l’annullamento dell’atto per simulazione assoluta.
Infatti, nel caso di pagamento effettuato mediante un comune assegno di conto corrente, l’effetto liberatorio si verifica soltanto con la riscossione della somma portata dal titolo, poiché la consegna dello stesso deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, pro solvendo (Cass. 5 giugno 2018, n. 14372; 30 luglio 2009, n. 17749).
Anche la dichiarazione di ricezione del pagamento mediante assegno contenuta nell’atto con cui si realizza il trasferimento (in questo caso il verbale di conciliazione) non documenta l’adempimento dell’obbligazione né può costituire quietanza in senso tecnico, ma vale a documentare la mera circostanza della ricezione dell’assegno, dovendo l’effetto estintivo dell’obbligazione essere imputabile alla riscossione del medesimo assegno (in tal senso si è chiaramente espressa la Corte di Cassazione, Sez. III civile, con ordinanza n. 1572 del 22.01.2019.

Ora, sarebbe opportuno analizzare nel dettaglio il contenuto del verbale di conciliazione del 2019, per poter essere in condizione di suggerire una soluzione che possa essere meno teorica possibile e fondata su dati concreti.
Da ciò che viene riferito nel quesito, si ritiene che un elemento possa in particolare essere risolutivo per non rischiare di incorrere in una invalidità di quel trasferimento, e precisamente il fatto che il verbale di conciliazione deve ancora essere trascritto in conservatoria.
Infatti, per evitare l’insorgere di dubbi sull’intento fraudolento che potrebbe aver accompagnato la restituzione dell’assegno, si potrebbe predisporre e sottoscrivere una scrittura privata, dalla quale far risultare che detta restituzione ha trovato giustificazione in una temporanea difficoltà economica del figlio e nella quale convenire il ritrasferimento di quella somma prima che la cessione venga resa opponibile ai terzi con la sua trascrizione.

Del resto, se poi chi cede la nuda proprietà della casa (ossia la madre) vuole beneficiare il figlio cessionario del corrispettivo ricevuto, vi sono diversi modi per raggiungere tale risultato, quale potrebbe essere, a titolo meramente indicativo (in quanto non si conosce la situazione personale delle parti), la stipula di una cessione onerosa, in forza della quale la madre si obbliga a versare al figlio una determinata somma mensile in cambio dell’obbligo per il figlio di prestarle assistenza morale e materiale (per la conclusione di tale contratto è sufficiente una scrittura privata, non comportando il trasferimento di diritti reali).


Anonimo chiede
venerdì 19/05/2017 - Lombardia
“Buongiorno, spero di riuscire a spiegarmi al meglio: io Ma..... ho venduto un appartamento a mia suocera Ra..... che ha l'usufrutto e mio marito/suo figlio Ma... ha la nuda proprietà. Purtroppo sul rogito l'appartamento non era divisibile alla cantina, ma i ns accordi verbali erano solo per l'appartamento, mentre la cantina restava di mia (Ma.....) proprietà. Per vari altri contrasti... ho saputo che Ra..... vorrebbe contattare un Avvocato per pretendere tale cantina. Io ho scritto e fatto firmare a Ma... un documento in cui si dice che nonostante il rogito, verbalmente siamo d'accordo che la cantina resta di mia proprietà. Tant'è che Ra..... ha depositato alcuni suoi oggetti nel box di mia proprietà. Volevo chiedere come potrei rispondere ad una eventuale lettera dell'avvocato, vogliate tener presente che mio marito Ma... è d'accordo con me, e che nella cantina in questione ci sono oggetti anche di mio marito. Vi ringrazio in anticipo. Distinti saluti,
Consulenza legale i 24/05/2017
La fattispecie è inquadrabile nell'ambito della simulazione, disciplinata dall'art. 1414 e ss. c.c.

Si parla di simulazione quando le parti stipulano un contratto "ufficiale" (detto "contratto simulato"), destinato ad apparire all'esterno, ma poi, tra loro, si accordano - mediante quello che viene definito "contratto dissimulato" - affinché il medesimo contratto non produca effetti (simulazione totale) o produca effetti diversi (simulazione parziale).

Nel caso di specie, dunque, si tratta pacificamente di un'ipotesi di "simulazione parziale", in quanto lei, dopo aver ceduto, con atto pubblico, la nuda proprietà dell'immobile (con annessa cantina) a Suo marito, si è accordata con quest'ultimo affinché, in realtà, la cantina continuasse a rimanere di Sua piena proprietà.

Il rogito notarile, dunque, rappresenta il c.d. "contratto simulato", mentre la scrittura privata stipulata con suo marito rappresenta il c.d. "contratto dissimulato".

Occorre, tuttavia, esaminare gli effetti che il contratto simulato e quello dissimulato producono tra le parti e nei confronti dei terzi.
L'art. 1414 c.c. stabilisce, infatti, che "il contratto simulato non produce effetto tra le parti", in quanto "se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma".

Nei confronti dei terzi (in questo caso, la sig.ra Rav....), invece, continua a produrre effetto il "contratto apparente".
Va osservato che, nel Suo caso, entrambi i contratti (simulato e dissimulato), hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà di un bene immobile, per il quale la legge richiede la stipulazione in forma scritta (art. 1350 c.c.).
Di conseguenza, possiamo affermare che entrambi gli atti sono formalmente validi, avendo i requisiti di sostanza e di forma per attuare un trasferimento immobiliare.
Deve rilevarsi, tuttavia, che, mentre il rogito notarile è stato sottoscritto anche dalla sig.ra Rav...., la scrittura privata dissimulata è stata sottoscritta solamente da lei e da suo marito, con la conseguenza che la medesima non è opponibile ai terzi e, in particolare, non è opponibile alla sig.ra Rav.....
Occorrerebbe, in particolare, valutare se la sig.ra Rav.... abbia acquistato il diritto di usufrutto sull'immobile in "buona fede", vale a dire, ignorando che, in realtà, lei intendeva trasferire al marito la nuda proprietà della sola abitazione, e non della cantina.
Si osservi, infatti, che l'art. 1415 c.c. stabilisce che la simulazione non può essere opposta dalle parti contraenti "ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente".

Laddove la sig.ra Rav.... - come appare probabile, visti i rapporti di stretta parentela - non fosse stata "in buona fede" al momento dell'acquisto (vale a dire, se sia possibile provare che la stessa era consapevole che la vendita non comprendeva la cantina ), l'accordo simulatorio potrebbe dirsi opponibile anche alla stessa.
In mancanza, ritengo che l'accordo simulatorio stipulato tra lei e suo marito sia destinato a produrre effetti solo tra di voi e che la sig.ra Rav.... possa legittimamente pretendere di esercitare il proprio diritto di usufrutto anche sulla cantina.

Angelo V. chiede
mercoledì 22/03/2017 - Sicilia
“La signora A dona con atto notarile la sua azienda con una passività di più di un milione di euro al figlio di suo fratello B ma attraverso una scrittura privata riceve 320 mila euro. Da una causa di lavoro tra un fratello di B ed A, componente della società familiare alla quale non partecipa B, emerge dalla memoria di A la simulazione della donazione. La domanda mia è: l'atto è radicalmente nullo o l'Agenzia delle entrate può avere pretese nei confronti di B? B può essere citato in giudizio?”
Consulenza legale i 23/03/2017
La donazione così effettuata è senz’altro simulata: ai sensi dell’art. 769 c.c., infatti, la donazione può esistere soltanto per spirito di liberalità. Un patto “occulto” (la scrittura privata con cui le parti hanno stabilito il versamento di denaro) con il quale viene stabilito il prezzo del bene apparentemente donato fa ricadere il caso di specie nella donazione simulata e compravendita dissimulata. In altre parole, A e il nipote hanno mascherato da donazione una compravendita a tutti gli effetti.

Siamo peraltro di fronte ad una simulazione relativa: le parti hanno concluso un contratto (la donazione) rispettandone ogni prescrizione di legge, ma in realtà ne hanno posto in essere un altro (la compravendita). In tal caso il negozio simulato – la donazione – non è nullo, ma radicalmente inefficace: nonostante sia stato perfezionato in tutti gli elementi oggettivi (la forma solenne dell’atto pubblico e la presenza dei testimoni), tale atto non è idoneo a produrre effetti giuridici. Il contratto dissimulato (la compravendita), per poter produrre effetti giuridici, deve rispettare i requisiti di forma richiesti dalla legge (cfr. art. 1414 c.c.). La compravendita di un’azienda deve avvenire con la forma scritta (nel caso in cui nell’azienda venduta da A sia presente un bene immobile, questa forma si richiede ad substantiam, ai sensi dell’art. 1350 c.c.), che nel caso di specie è avvenuto. Pertanto, la compravendita – dissimulata – tra A e il nipote parrebbe essere pienamente valida ed efficace.

In una vertenza di lavoro, però, A, convenuta in giudizio da C – lavoratore e fratello di A – fa valere la simulazione della donazione e la dissimulazione della compravendita.

La domanda che Lei pone è se B possa essere convenuto in giudizio. La risposta – stanti le scarne informazioni fornite – parrebbe essere negativa: a poter essere convenuto in giudizio infatti non è tanto B quanto il figlio di B, materiale acquirente dell’azienda di A.
Per il caso di trasferimento d’azienda, infatti, l’art. 2112 c.c. afferma che il cedente (A) ed il cessionario (nipote di A e figlio di B) sono responsabili in solido per tutti i crediti che il lavoratore (C) aveva al tempo del trasferimento. È pertanto il figlio di B ad essere responsabile in solido con la zia A nei confronti del lavoratore C.

Sotto il punto di vista processuale, trattandosi di causa di lavoro, parrebbe che “la memoria” da lei citata nel quesito con cui A ha dichiarato la simulazione della donazione sia la memoria difensiva di cui all’art. 416 c.p.c.
Pertanto, per la chiamata in causa del figlio di B occorre distinguere (ai sensi dell’art. 269 c.p.c.):
- se è A ad avere interesse che il figlio di B partecipi alla causa, avrebbe dovuto dichiararlo a pena di decadenza nella memoria difensiva: se non lo ha fatto, A sarà ormai decaduta e non potrà più chiamare il nipote – corresponsabile solidale – in causa;
- parrebbe però che sia C ad avere interesse che il figlio di B intervenga nella vertenza quale corresponsabile di A: in tal caso, ai sensi dell’art. 269, comma 3 c.p.c., deve farne dichiarazione alla prima udienza successiva alle difese svolte da A. Anche in tal caso, ove C non lo abbia dichiarato nella prima udienza utile, sarà dichiarato decaduto dalla possibilità di chiamare in causa un terzo e il figlio di B non potrà partecipare alla causa.

Infine, per ciò che concerne le pretese fiscali dell’Agenzia delle Entrate, si precisa che è pur sempre il figlio di B e non B ad essere legittimato passivo di tali pretese. A seguito della legge 4/8/2006 n. 248, anche le donazioni – sia effettive sia simulate – sono oggetto di tassazione, che ricade sul donatario (il figlio di B, nel caso di specie).

Massimo chiede
giovedì 08/09/2016 - Emilia-Romagna
“Due genitori in comunione dei beni, cedono nel 2003 un appartamento di loro proprietà ad un figlio, con un regolare atto di vendita alla presenza di testimoni, che potrebbe essere in parte una donazione, in quanto il prezzo non è pagato in pieno.
Nel 2004 il padre muore, si apre una successione con accettazione tacita, in cui altri beni cadono in comproprietà con altri figli ;
nel 2016 con la madre ancora in vita, nasce una lite e i qualcuno dei figli chiede che vengano ricalcolate le quote ereditarie.

Il quesito è:
la donazione di un bene in comproprietà dei 2 genitori è un unico atto , oppure la unione di due distinte donazioni ? Per essere precisi, quale delle tre fattispecie è la giusta ?

1 Fattispecie
E’ un unico atto, che può essere messo in discussione a partire dalla data di apertura della successione del primo genitore morto nel 2004 entro 10 anni, e poi prescritto;

2 Fattispecie
la compresenza di due atti di donazione, uno del padre ed uno della madre,
ciascuno di metà dell’immobile, ognuno con una sua storia,
il primo destinato ad essere riconsiderato nella successione del padre, alla data della apertura della sua successione e con prescrizione di 10 anni da quella data,
quindi già caduto in prescrizione;
e il secondo atto di donazione della madre, di meta appartamento, destinato ad essere messo in discussione solo al momento della futura successione del secondo genitore.

3 Fattispecie
Un unico atto, che può essere messo in discussione nulla sua interezza al momento della apertura della successione del secondo genitore.

E’ gradita una qualche sentenza di cassazione.

Grazie e complimenti per il vostro sito.”
Consulenza legale i 11/09/2016

Partendo dalla prima domanda, l’atto deve necessariamente considerarsi unico ai sensi dell’art. 1108 c.c. (è necessario e sufficiente il consenso dei comproprietari al fine dell’alienazione – a qualsiasi titolo – di un immobile: C. Cass., 9/10/2012 n. 17216).
Leggendo bene il Suo quesito, però, l’atto posto in essere potrebbe essere considerato come donazione "mascherata" da compravendita. Ai sensi dell’art. 1414. c.c.:

Il contratto simulato non produce effetto tra le parti.
Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
Le precedenti disposizioni si applicano anche agli atti unilaterali destinati a una persona determinata, che siano simulati per accordo tra il dichiarante e il destinatario
”.

La compravendita sarebbe in realtà una donazione, valida come tale perché fatta per atto pubblico (anche se non è specificato nel quesito, ma è ragionevole presumere sia così) e alla presenza di testimoni.

La simulazione richiede però una prova rigorosa (art. 1417 c.c.) per ciò che concerne le parti (contraenti originari e anche loro eredi universali) del negozio simulato.
Ed infatti, le parti non possono provare la simulazione per testimoni, a meno che si versi in una delle condizioni di cui all'art. 2724 c.c. (sussistenza di un principio di prova per iscritto, impossibilità - morale o materiale - di procurarsi una prova scritta del contratto, perdita incolpevole del documento).

Di regola, quindi, alle parti è precluso il ricorso ai testimoni in quanto la prova della simulazione implica la prova di un documento, di contenuto contrario al contratto simulato, la cui formazione è anteriore o contemporanea a quella dello stesso negozio apparente.

I limiti previsti per la prova testimoniale non valgono solamente quando la parte intenda far valere l'illiceità del contratto dissimulato (nel caso di specie, la donazione).

I terzi, invece, non incontrano alcun limite per la prova della simulazione: possono infatti provarla con ogni mezzo consentito dalla legge e senza limite alcuno (sarebbe anche il caso di un legatario).

Tutto ciò premesso, va però precisato che la giurisprudenza ritiene che l’erede pretermesso (leso quindi nella sua quota di legittima) può essere considerato terzo ai fini della prova della simulazione (C. Cass., 30/7/2002 n. 11826) e che possa altresì esperire – con la medesima domanda – la c.d. azione di riduzione, nel caso in cui la sua quota sia stata lesa dal negozio simulato (C. Cass., 26/4/2007 n. 9956).

In altre parole, i coeredi lesi ben potrebbero provare la simulazione della compravendita per costringere il fratello – unico titolare dell’immobile – a farlo cadere in collazione, ai sensi dell’art. 737 c.c.

È anche vero che la successione del padre si è aperta nel 2004: ad oggi, pertanto, stando al disposto dell’art.480 c.c., il diritto di chiedere la riduzione delle quote ereditarie è prescritto.

Si badi però che le Sezioni Unite della Cassazione, con una importante pronuncia (25/10/2004 n. 20644), hanno statuito che il dies a quo per la prescrizione decennale dell’azione di riduzione è da ricercarsi nel giorno dell’accettazione dell’eredità, posto che solo allora si avrebbe il quantum della lesione.


Fedele M. chiede
martedì 07/06/2016 - Puglia
“In fatto di divisione giudiziaria di beni caduti in successione, può una raccomandata con ricevuta di ritorno
spedita da un erede a ciascuno degli altri coeredi e riportante testualmente " Con il presente atto intendo
formalmente e sostanzialmente,INTERROMPERE i termini per la legittima cui potrei ricorrere ove non dovreste
recepire il contenuto della presente ai sensi degli artt. 553,554,555,556 e segg. c.c. Il presente atto vale come
atto interruttivo e messa in mora ai sensi dell'art.2943 per violazione di legittima e/o per nullità ed inefficacia
del testamento" considerarsi valido atto di interruzione dei termini di prescrizione per l'azione di simulazione di una
compravendita notarile di un immobile fra genitore (venditore) e figlio (acquirente) ?
- data di morte del " de cuius" 14/01/1995;
- data della r.r. 27/12/2004 ;
- data deposito in tribunale atto di citazione luglio 2006.”
Consulenza legale i 14/06/2016
Dal quesito non risulta molto chiaro quale tipo di giudizio sia stato promosso con l’atto di citazione menzionato da ultimo. E’ lecito, tuttavia, desumere dal testo che l’erede che ha inviato la raccomandata abbia promosso azione di simulazione della compravendita effettuata in vita dal defunto (genitore/venditore) a favore di uno dei coeredi (figlio) - atto lesivo della sua quota ereditaria di legittima - e che, quale prova dell’avvenuta interruzione della prescrizione sia stata presentata la raccomandata del 2004 avente il contenuto descritto.

Ebbene, va preliminarmente chiarito se la simulazione lamentata sia assoluta o relativa: si versa nella prima ipotesi quando le parti hanno sostanzialmente “finto” di stipulare tra loro un negozio che, in realtà, non esiste; siamo in presenza, invece, della seconda ipotesi nel caso in cui le parti abbiano stipulato formalmente un negozio di un certo tipo, dissimulandone (ovvero con l’intenzione di stipularne) uno diverso (unico ritenuto valido e vincolante tra loro) (art. 1414 del cod. civ.).

La distinzione è importante, poiché l’azione volta a far valere la simulazione assoluta è imprescrittibile; l’azione, invece, volta a far valere la simulazione relativa è imprescrittibile, qualora finalizzata a far dichiarare la nullità del negozio stipulato, con tutti gli effetti che ne conseguono, mentre si ritiene soggetta a prescrizione decennale se finalizzata a far accertare e dichiarare l’esistenza e la validità del negozio dissimulato.

Sotto questo profilo, nel caso di specie, parrebbe che l’erede abbia avanzato richiesta di nullità dell’avvenuta compravendita, in tal modo non dovendo porsi il problema della prescrizione; qualora, invece (ma nel quesito non è detto) l’erede abbia agito in giudizio per far accertare e dichiarare la validità del negozio dissimulato (qualunque esso sia, presumibilmente una donazione), non si può dire – in base agli elementi forniti - se il termine di prescrizione sia un effettivo problema o meno.

Si menziona infatti la data della morte del de cuius ma non quella della compravendita, alla data della quale più correttamente si dovrebbe fare riferimento per determinare il termine iniziale del decorso della prescrizione.

Da ultimo, in ogni caso, non pare a chi scrive che il contenuto della raccomandata sia idoneo ad interrompere la prescrizione dell’azione di simulazione (laddove beninteso, come detto, essa si prescriva), poiché dalla lettera della stessa risulta più che evidente che l’intenzione del mittente è quella di interrompere i termini di prescrizione della diversa azione di riduzione per lesione di legittima e/o di nullità del testamento, che nulla ha a che vedere con l’azione di simulazione sia nei presupposti che negli effetti (articoli 553 e seguenti del cod. civ.).

GIANFRANCO M. chiede
lunedì 23/11/2015 - Veneto
“Autovettura immatricolata nel mese di maggio dell'anno 2003 (Duemilatre) a nome di persona (suocero) disabile, deceduta nell'anno 2005 (Duemilacinque) per ottenere agevolazione iva, ma pagata interamente dal genero il quale, in tutti questi anni, oltre ad utilizzarla per se, per la sua famiglia e per il suocero convivente, ha provveduto al pagamento della tassa di circolazione, dell'assicurazione, delle manutenzioni ordinarie e straordinarie, delle spese per il carburante, CHIEDE se l'utilizzatore (genero) ha acquisito il diritto di intestarsi l'autovettura ed eventualmente le modalità con le quali procedere. Fa inoltre presente che l'intestatario (suocero) non ha lasciato alcun scritto nel testamento ma all'atto dell'acquisto da parte del genero, ha rilasciato una dichiarazione scritta con la quale attesta che l'autovettura è stata interamente pagata dal genero.”
Consulenza legale i 15/12/2015
La situazione descritta sembra poter configurare, all'epoca dell'acquisto dell'autovettura, una simulazione relativa soggettiva (artt. 1414 ss. c.c.), che si realizza quando l’accordo simulatorio ha ad oggetto l’attribuzione della qualità di parte del contratto ad un soggetto che resta estraneo al contratto stesso e presta solo il proprio nome.

Ai sensi di una parte della più recente giurisprudenza, è richiesta come prova dell’accordo simulatorio la dimostrazione della partecipazione ad esso anche del terzo contraente (il venditore), mentre una controdichiarazione, anche se scritta, proveniente dal solo soggetto interposto, non spiegherebbe alcuna utile funzione dimostrativa della asserita simulazione soggettiva, essendo priva di qualsiasi contenuto probatorio della partecipazione del terzo contraente all’accordo simulatorio.
Tuttavia, una decisione giurisprudenziale condivisibile delle Sezioni Unite ritiene che "nella simulazione relativa per interposizione fittizia della persona dell'acquirente, ove siano state adempiute le obbligazioni tipicamente connesse alla causa del negozio (trasferimento del bene e pagamento del corrispettivo) la sentenza che accerti l'interposizione e dichiari che l'interponente è l'effettivo acquirente produce integralmente i suoi effetti "utili" anche in assenza dell'alienante" (Cass. civ., SS. UU., 14.5.2013, n. 11523): in altre parole, se il contratto è stato integralmente eseguito e non si ravvisa alcun interesse residuo del venditore, appare superfluo dimostrare la sua partecipazione all'accordo simulatorio e quindi non si configura neppure una ipotesi di litisconsorzio necessario nel giudizio teso ad accertare la simulazione.

Nel caso di specie, sarebbe irrilevante, secondo questo orientamento giurisprudenziale, che il venditore abbia partecipato o meno all'accordo simulatorio: del resto, appare verosimile che al venditore nulla importi che la vettura sia poi stata usata dal genero del formale acquirente, purché gli sia stato pagato il prezzo.

Il genero, nel nostro caso, dovrebbe intentare un giudizio per l'accertamento della simulazione contro gli eredi del de cuius, provando l'accordo simulatorio mediante la dichiarazione scritta con cui il suocero ha affermato che il pagamento del prezzo è avvenuto con denaro del genero. Difatti, chi ha preso parte all'accordo può solo ricorrere alla prova documentale (2699 ss. c.c.), ovvero sollecitare la confessione (v. 2730 ss. c.c., 228 ss. c.p.c.) dell'altra parte o deferirne il giuramento (v. artt. 2736 ss. c.c., 233 ss. c.p.c.). Va sottolineato che l'accordo può emergere o meno in base al tenore della dichiarazione sottoscritta dal suocero (ad esempio, si può escludere che il genero abbia solo prestato il denaro al suocero? si deve esaminare attentamente la dichiarazione).

Viste le grosse difficoltà che impone quasi sempre un giudizio di accertamento della simulazione, appare decisamente più interessante pensare di svolgere una domanda diretta all'accertamento dell'acquisto della proprietà della vettura per usucapione, dato il tempo trascorso dal suo acquisto (circa 12 anni) e l'apparente pacificità con cui il genero ha goduto indisturbato della vettura per tutti questi anni.

L'usucapione dei beni mobili registrati (categoria cui appartengono le automobili) è disciplinata dall'art. 1162 del c.c..
Nello specifico, il primo comma detta una regola che deve essere letta unitamente a quella dell'art. 1153 del c.c. e che è volta a disciplinare l'acquisto della proprietà su tali beni quando esso avviene acquistando da un soggetto che non era proprietario (acquisto a non domino). La regola è, in tal caso, quella per cui se ricorrono determinati elementi (titolo astrattamente idoneo, trascrizione del titolo, buona fede dell'acquirente) l'acquisto per usucapione del bene matura trascorsi 3 anni dalla trascrizione (usucapione breve).

Il secondo comma, invece, opera se non ricorrono le condizioni di cui al comma 1: esso disciplina, quindi, l'usucapione ordinaria dei beni mobili registrati. In tal caso il comma dispone che "l'usucapione si compie col decorso di 10 anni", fermo restando che per stabilire gli altri elementi che devono sussistere è necessario guardare alla disciplina generale dell'istituto.

Nel caso sottoposto, poiché non ricorrono le condizioni per applicare il primo comma dell'art. 1162 c.c., è necessario verificare se possano sussistere quelle del secondo comma.

Requisito essenziale perché maturi l'usucapione è, innanzitutto, il possesso del bene (art. 1140 del c.c.), che si compone di due elementi: uno oggettivo, dato dallo svolgimento di un'attività che corrisponde all'esercizio del diritto di proprietà (corpus); uno soggettivo, dato dall'intento di possedere la cosa in nome proprio (animus).

Integra il primo elemento l'utilizzo costante della vettura da parte del genero; invece, i vari pagamenti effettuati potrebbero essere utili a confermare questa situazione ma non sono esclusivi di essa, nel senso che possono avvenire anche in base a rapporti diversi (ad esempio in caso di comodato), quindi non possono ritenersi decisivi.
Quanto al secondo elemento, il possesso non deve essere esercitato per mera tolleranza del proprietario (nel caso di specie del suocero prima e degli eredi poi). Infatti gli atti compiuti con tolleranza altrui non determinano il possesso utile all'usucapione (art. 1144 del c.c.).
Essa sussiste quando il proprietario è accondiscendente all'uso del bene. Di regola, ne sono espressione gli atti che, implicando transitorietà, comportano un godimento modesto del bene e incidono debolmente sull'esercizio del diritto ad opera del proprietario; tuttavia, in caso di certi vincoli tra le parti (come la parentela), la tolleranza può essere ritenuta sussistente anche se mancano i requisiti di brevità del godimento e scarsa incidenza sul diritto del titolare (Cass. 23289/2006). In sostanza, ricorrendo questi rapporti, la presunzione che vi sia stata mera tolleranza è più forte. Dunque, l'animus dovrebbe escludersi se gli eredi dimostrassero che il possesso del genero è iniziato e proseguito per mera tolleranza degli aventi diritto.

Detto possesso deve anche essere pacifico (cioè non ottenuto mediante violenza), pubblico e non clandestino (cioè non ottenuto di nascosto). È necessaria, inoltre, la continuità del possesso che si ha quando il possessore esercita costantemente il potere sul bene.
Il possesso, altresì, non deve essere interrotto, né da cause naturali (ad esempio l'abbandono del bene) né civili (ad esempio il riconoscimento in equivoco del diritto altrui). Infine, deve protrarsi per il tempo fissato dalla legge, nel caso in esame 10 anni.

In caso di sussistenza di tutti questi elementi, quindi, ricorrerebbero i presupposti per l'usucapione del veicolo, che dovrà essere accertata giudizialmente, mediante sentenza. Peraltro, considerato il tempo trascorso dall'acquisto dell'auto e la presumibile sua perdita di valore, è bene considerare se è effettivamente il caso di instaurare un giudizio, che per lunghezza e costi potrebbe essere risultare sproporzionato rispetto a tale valore.

In conclusione, data la vetustà della vettura e l'inevitabile decremento del suo valore, appare decisamente molto oneroso procedere immediatamente in via giudiziale (nonostante vi siano degli elementi a favore sia della simulazione relativa del contratto di acquisto, sia dell'usucapione): è consigliabile, quindi, rivolgere innanzitutto agli eredi del suocero, in via stragiudiziale, la richiesta di aderire volontariamente alla cessione gratuita dell'autovettura con le modalità previste dal PRA (Pubblico Registro Automobilistico), dimostrando in via informale di possedere i presupposti per l'ottenimento di ragione in via giudiziale e facendo leva sul modesto valore del bene caduto in successione.
Nel nostro caso, poiché non si tratterebbe di vendita, ma di cessione a titolo gratuito, dimostrando che si tratta di donazione di modico valore, sarà sufficiente una scrittura privata sottoscritta da tutte le parti, autenticata ex art. 7 D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito con legge n. 248/2006).

Angelo V. chiede
lunedì 19/10/2015 - Sicilia
“La signora x nel 1982 riceve mandato da una Cop. Di cui è vice presidente di acquistare per intero un immobile; contemporaneamente con una scrittura privata dichiara che quell'atto è simulato è che lei ha acquistato dal Sig. y solo il 50 dell'immobile; i signori X e Y affittano l'immobile dividendo i proventi che risultano documentati; nel 2012 gli eredi decidono di vendere l'immobile incassando la somma per intero; il signor y entro i cinque anni inizia un contenzioso chiamando in causa gli eredi ma il giudice di primo grado dichiara prescritto il tutto; il signor y si è reso conto del raggiro solo nel 2012 quando è stato venduto l'immobile, infatti fino a tale data i proventi venivano divisi al 50%.”
Consulenza legale i 11/11/2015
Nel caso in esame è stata posta in essere la simulazione relativa di un contratto di compravendita avente ad oggetto un intero immobile, che dissimulava invece l'acquisto del solo 50% del bene. Della simulazione esiste anche prova scritta mediante dichiarazione firmata dalla signora X (anche se unilaterale, si tratta di una vera e propria "controdichiarazione" con funzione di prova dell'accordo simulatorio, v. Cass. 14590/2003).

Il signor Y, che è rimasto proprietario del 50% dell'immobile in base all'accordo simulatorio, agisce poi contro gli eredi della signora X i quali hanno fatto vendere il bene della de cuius per intero, trattenendo l'intero prezzo (non è noto se gli eredi sapessero o meno della simulazione).

L'azione esperita può configurarsi come azione di simulazione, volta a far valere la simulazione, cioè la situazione giuridica realmente voluta contro quella di cui si è creata l'apparenza: in altre parole, chi ha agito mirava a far accertare l'inefficacia del negozio simulato per far emergere la vera volontà contrattuale (nel nostro caso, la vendita del 50% e non del 100% dell'immobile).

Dottrina e giurisprudenza, con orientamento che può dirsi maggioritario e condivisibile, ritengono che la domanda diretta a ottenere una dichiarazione di accertamento negativo dell’efficacia del contratto simulato (ed una contemporanea di accertamento positivo dell’efficacia di quello dissimulato) sia soggetta a prescrizione (mentre la simulazione assoluta, che si ha quando le parti stipulano un negozio giuridico ma in realtà non vogliono concludere alcun negozio, può essere fatta valere imprescrittibilmente).

Il termine prescrizionale è ritenuto essere quello ordinario decennale (art. 2946 del c.c.), decorrente dalla conclusione del negozio; secondo altra parte degli studiosi, però, il termine potrebbe essere anche inferiore, corrispondendo al periodo di tempo occorrente per la prescrizione del diritto oggetto del contratto simulato (ad es., la simulazione di un contratto di lavoro vedrebbe la prescrittibilità in 5 anni dell'azione di simulazione diretta a recuperare una parte della retribuzione).
Nel caso di specie, sembra applicabile il termine decennale.

Sposando la teoria della prescrizione decennale, si giunge alla conclusione che risulta ormai spirato il diritto della parte dell'accordo simulatorio (signor Y) a far valere la simulazione, posto che il negozio traslativo della proprietà dell'appartamento è avvenuto nel 1982.
Il fatto che Y abbia agito in giudizio solo dopo la vendita dell'immobile nel 2012 (cioè quando ha subito un danno concreto) non sembra rilevante, poiché egli ben avrebbe potuto agire in un momento precedente, essendo perfettamente a conoscenza che X aveva inteso acquistare solo la metà dell'immobile (e difatti X e Y si comportavano in maniera da eseguire coscientemente il loro accordo, dividendo al 50% i proventi della locazione del bene).

La giurisprudenza ha ammesso che il termine prescrizionale possa decorrere da un momento successivo alla conclusione del negozio solo per alcuni soggetti terzi, come il legittimario, ma si deve escludere che la parte che ha partecipato alla simulazione possa godere di una posticipazione del termine ("Con riguardo alle parti del contratto la decorrenza del termine di prescrizione ordinaria per l'esercizio dell'azione di simulazione relativa coincide normalmente con la data di stipulazione del contratto simulato, poiché in tale momento sorge di solito il diritto derivante dal negozio dissimulato. Tuttavia, nel caso del legittimario - che è terzo rispetto all'accordo simulatorio - il termine di prescrizione dell'azione di simulazione del contratto di compravendita del "de cuius", esercitata in funzione dell'azione di riduzione della donazione dissimulata, decorre dall'apertura della successione dell'alienante, in quanto è solo da tale momento che assume rilevanza e tutela la qualifica di legittimario e l'avente diritto alla quota di riserva acquista la legittimazione a proporre la domanda di simulazione", Cass. civ. n. 6493/1986).

A nostro giudizio, quindi, appare corretta la decisione del giudice di primo grado.

Per valutare l'opportunità di ricorrere in appello sarebbe necessario visionare gli atti di causa del processo di prime cure.

Marco chiede
domenica 05/07/2015 - Emilia-Romagna
“Salve
PREMESSA: nel 1970 comprai un lotto, che intestai non a me, ma al figlio di mio fratello. Questo figlio era disabile e poiché io non avevo figli e lui viveva con me (anche se all’anagrafe il ragazzo viveva ancora con il padre), e poiché avevo altre proprietà, per evitare un ulteriore aggravio fiscale, decisi di intestarlo a lui, non come donazione (non mi era mai venuto in mente di donarglielo), ma come una sorta di contratto fiduciario. A quel tempo il ragazzo aveva 15 anni e quindi era minorenne, ma parlai con il padre, mio fratello, per poter intestare questo bene al figlio disabile, fermo restando che tale bene sarebbe stato di mia proprietà, e tale intestazione avrebbe avuto una connotazione fittizia, dato che l’immobile sarebbe rimasto sotto il mio completo e totale controllo. Nel frattempo il padre del ragazzo si risposò. Sopra questo lotto vi costruii un albergo e lo gestii sempre io, facendo firmare i vari documenti burocratici necessari per la gestione del bene a M., così si chiamava il ragazzo disabile fisicamente, ma non mentalmente, a cui intestai il bene. Tutto andò bene fino al 2014, quando M. decise persuaso dal fratellastro ad impossessarsi dell’immobile. Bisogna dire che nel 2013, feci firmare delle scritture private in cui M. nella prima dichiarazione ribadiva che:
“E’ stato mio zio Marco ad acquistare l’area e costruire l’Albergo ... Per cui ritengo equa la decisione di dividere questa proprietà in questo modo:
metà a me stesso e l’altra metà ai miei cugini, F. e L. figli di Marco.
L’amministrazione sarà fidata fin che sarà in vita a mio zio Marco e successivamente a mia cugina F. con l’obbligo ogni anno di darne conto.
Firma di M.”

Purtroppo alcuni mi hanno detto che non può essere considerato come contratto fiduciario, poiché quando fu intestato l’immobile, M. era minorenne. Nella realtà delle cose, tale contratto fiduciario, esisteva realmente poiché fu fatto prima con il padre di M., cioè mio fratello e tutore di M. stesso, poi quando M. divenne adulto, decise di continuare ciò che già era stato pattuito dal padre, continuando a firmare tutti i documenti necessari per poter gestire l’albergo, accettando formalmente quello che il padre aveva accettato quando era tutore di M. allora minorenne.
Altri poi mi hanno detto che posso solo richiedere che la scrittura privata del 2013 sia eseguita e cioè che mio nipote VENDA e non restituisca metà dell’immobile ai miei figli, cioè oltre il danno anche la beffa di comprare ciò che è mio in quanto mio nipote non ha mai speso un euro per questo immobile. Inoltre esso ha vissuto con me fino al 2014 e l'ho accudito e pagato spese fin da quando era bambino, quindi esso non donerebbe niente, ma restituirebbe un bene dopo che sono stati spesi molti soldi per lui (esempio in quanto handicappato l’ho portato in cliniche costose e specializzare).

DOMANDA: è possibile che non vi sia una soluzione, visto che ho comunque in mano una scrittura privata firmata da M. e vi sono innumerevoli documenti che comprovano che fui io a comprare e poi condurre tale albergo, mentre M. si limitava a firmare senza mai chiedere neanche il fitto di tale locale? Oppure detto in altro modo, è possibile che il contratto fiduciario non possa essere applicato al nostro caso, così come alcun’altra soluzione? Alcuni hanno parlato del fatto che i miei figli potrebbero fare un’azione di riduzione dopo la mia morte per riprendere tale immobile che per ora risulta essere stato donato indirettamente dal sottoscritto a M. Ma è possibile che io non possa fare niente da vivo eccetto che comprarglielo?

PRECISAZIONE: mio fratello ora nega tutto ciò, dicendo che io ho voluto intestare il bene a suo figlio e fargli una donazione e M. conferma quello che dice suo padre, gestendo ora questo albergo al posto mio, senza aver mai speso un euro, dall’acquisto del lotto fino agli ultimi aggiornamenti nel rispetto delle normative sull’antincendio.”
Consulenza legale i 08/07/2015
La situazione è complessa e certamente meriterebbe uno studio approfondito. Per quanto possibile, in questa sede si forniranno i chiarimenti più rilevanti.

Innanzitutto, nel caso di specie, in base alla reale volontà delle parti, sembra essersi attuata una simulazione relativa soggettiva (artt. 1414 ss. c.c.), che si realizza quando l’accordo simulatorio ha ad oggetto l’attribuzione della qualità di parte del contratto ad un soggetto che resta estraneo al contratto stesso e presta solo il proprio nome.
Difatti, lo zio, solo per ragioni fiscali, ha fatto apparire il nipote come acquirente del lotto di terreno.

Secondo la Cassazione, per aversi tale tipo di simulazione, è necessaria l’adesione del terzo che si offre come "prestanome", il quale deve essere consapevole della funzione meramente figurativa del contraente interposto.
Ai sensi della più recente giurisprudenza, è richiesta come prova dell’accordo simulatorio la dimostrazione della partecipazione ad esso anche del terzo contraente (il venditore), mentre una controdichiarazione, anche se scritta, proveniente dal solo soggetto interposto, non spiega alcuna utile funzione dimostrativa della asserita simulazione soggettiva, essendo priva di qualsiasi contenuto probatorio della partecipazione del terzo contraente all’accordo simulatorio (Cass. civ., sez. VI, ordinanza 2.10.2014, n. 20857: "Di conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso acquirente effettivo e l’apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l’ipotesi di smarrimento incolpevole del relativo documento (articolo 2724, n. 3, c.c.), con la prova per testimoni o per presunzioni di un accordo simulatorio cui abbia aderito il venditore, e neppure, in assenza della controdichiarazione, tale prova può essere data con il deferimento o il riferimento del giuramento (art. 2739, comma primo, c.c.), né tanto meno mediante l’interrogatorio formale, non potendo supplire la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, alla mancanza dell’atto scritto").

Risulterà pertanto arduo riuscire a provare in giudizio che si trattò di una simulazione soggettiva, potendosi presentare solo prove scritte.

La qualificazione come donazione indiretta può risultare corretta solo se si possa provare l'animus donandi, cioè l'intenzione del donante di compiere un atto gratuito, a solo scopo di liberalità. Tale animus non si presume, ma deve essere provato da chi ritiene di essere beneficiario della donazione.
Anche in questo caso risulta molto difficile dare la prova richiesta dalla legge, e ciò complica non poco la soluzione del quesito.

V'è da dire che, configurando l'atto come donazione, il donante avrebbe potuto revocarla appena fosse nato un proprio figlio, ai sensi dell'art. 803 del c.c.: tuttavia, l'azione si prescrive trascorsi 5 anni dalla nascita dell'ultimo figlio, quindi appare non più esercitabile nella fattispecie concreta.

In conclusione, l'azione corretta da esercitare sarebbe quella diretta a far accertare la simulazione dell'intestazione dell'immobile, ma recente giurisprudenza richiede di provare per iscritto anche l'adesione all'accordo del venditore, circostanza che appare difficile da dimostrare nel caso di specie. Si suggerisce in ogni caso di approfondire questa soluzione con un legale.

In alternativa, esiste sempre un'azione residuale, l'azione generale di arricchimento, prevista dall'art. 2041 del c.c.: "Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda". La ratio della norma è quella per cui non è ammesso un vantaggio a favore di un soggetto a danno di altri, senza che ciò sia sorretto da una causa di giustificazione.
Probabilmente il nipote si difenderà in giudizio affermando che vi è stata una donazione indiretta: a quel punto, però, dovrà provare la sussistenza dell'animus donandi.

Infine, appare corretto quanto riferito nel quesito circa l'azione di riduzione che competerà ai figli dopo la morte del genitore, se vorranno ritornare in possesso dell'immobile, sempre che l'atto di alienazione possa inquadrarsi come donazione (o comunque possa configurarsi una donazione del denaro per l'acquisto del bene) e solo se il patrimonio del defunto non sarà abbastanza capiente per soddisfare le loro quote di legittima.

Guglielmo chiede
martedì 19/05/2015 - Veneto
“Buon giorno (art. 1414 cc simulazione )
Patto commissorio? Patto di riscatto? Simulazione? Patto con riscatto?
Così riporta:
“DICHIARAZIONE
Io Sottoscritta (A) residente a ……
DICHIARO per me, eredi e successori che l’acquisto da me fatto con atto in data 11/8/1961 a rogito notaio Dott…………………., dell’appartamento di (B) per la nuda proprietà e di (C) e (D) per le ragioni di usufrutto , appartamento sito in ……………via….., come pure del mobilio in detto appartamento di cui scrittura privata in data …/…/ 1961 registrato in data …/…/1961 presso l’ufficio Registro Atti Privati ed esteri di ………… al n……, deve intendersi come garanzia di un prestito da me fatto ai suddetti di L. 1.000.000 (un milione) in contanti e del buon fine di una cambiale a firma mia e di (C) di lire 1.500.000 (un milionecinquecentomila) scontata presso la Cassa di Risparmio di ……….. il …./…/1961 che sarà pagata mediante acconti quadrimestrali dai suddetti (C_B_ D).
Con la presente MI IMPEGNO ED OBBLIGO per me, eredi e successori di non vendere ad altri il suddetto appartamento e mobilio o di ritornare il tutto in proprietà ai suddetti ( B C D) non appena sarà da essi restituito l’importo di Lire 1.00.000. (un milione) e sarà stata da essi pagata per intero la cambiale di originarie L. 1.500.000 (un milionecinquecentomila ) presso la Cassa di Risparmio di ………….- DICHIARO inoltre per me, miei eredi e successori di rinunciare a riscuotere dai suddetti qualsiasi importo a titolo di affitto dal detto appartamento e mobilio, lasciandone ad essi il libero e gratuito godimento fino all’epoca di cui avranno pagato il suddetto importo di lire 1.000.000 (un milione) e l’estinzione totale della cambiale di originarie lire 1.500.000 (unmilionecinquecentomila).
L’importo delle rate semestrali di mutuo con la Cassa di Risparmio di …….. gravanti sul predetto appartamento, come pure le rate mensili di condominio, continueranno ad essere pagate dagli stessi (B C D).
Le spese relative al suddetto atto notarile in data …./…../1961, sono state a carico dei su detti Sig. ( B C D )
In fede ( A ) Il 28/8/61”
1°) domanda – Cosa è questo documento esattamente ?
2°) domanda – E’ idoneo a invalidare il contratto di compravendita stipulato tra le parti del 11/08/61?
3°) domanda - essendo una dichiarazione unilaterale non si può definire un patto in quanto implica la presenza di almeno due parti, quindi non dovrebbe rientrare nella sfera dei patti (Patto di riscatto – patto commissorio -), dovrebbe essere solo un impegno di una delle parti, che non essendo registrato, non dovrebbe obbligare i terzi “ eredi “ richiamati ?
4°) domanda – essendo passato un lungo periodo e essendo deceduti tutti i venditore, senza procedere al pagamento dei debiti, l’immobile dovrebbe essere entrato di diritto in proprietà di mia ZIA e suo successori (mio padre a noi)?
5°) domanda – tale documento può essere usato da terzi che non siano collegati al diritto derivante dalla compravendita o successione (tutti deceduti – restando solo noi eredi di mia zia)?
Non vi è traccia che gli importi succitati siano stati onorati.
[Testo del quesito modificato dalla Redazione giuridica]
Consulenza legale i 21/05/2015
Il quesito originariamente proposto è eccessivamente complesso e richiederebbe l'analisi approfondita di tutta la documentazione del caso. Per quanto di nostra competenza, possiamo fornire una analisi giuridica della dichiarazione sottoscritta da A e dei suoi effetti.

In breve, A acquistava con rogito notarile un immobile: parte venditrice erano B (nudo proprietario), C e D (usufruttuari), tutti e tre creditori di alcune somme nei confronti di A.
La dichiarazione predisposta da A contiene espressamente la motivazione della compravendita, ossia la costituzione di una garanzia nei confronti dei suoi debitori. Inoltre, A si impegnava a non vendere l'immobile e a restituirlo appena fosse stato saldato il suo credito.

L'art. 2744 del c.c. stabilisce la nullità patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. La norma è considerata da tutti imperativa, cioè inderogabile. La ratio della disposizione è quella di evitare ogni indebita pressione del creditore sul debitore, pertanto si è ritenuto in dottrina e giurisprudenza che altre situazioni - diverse da quella espressamente indicata dall'art. 2744 - possano indirettamente eluderne lo spirito.

In particolare, una prassi negoziale ritenuta illecita è quella dell'alienazione di beni a scopo di garanzia.
Le parti, cioè, procedono a una compravendita del bene, in cui si prevede che l'acquisto sia condizionato risolutivamente all'adempimento del venditore oppure, si stabilisce che il riscatto del bene venduto sia subordinato alla restituzione di una certa somma di denaro dovuta dal venditore al compratore, e non alla restituzione del prezzo o dei rimborsi, come richiede l'art. 1500 c.c.

La giurisprudenza si è espressa in modo diverso su tale prassi, ma l'orientamento che appare ormai prevalente è quello che configura la vendita a scopo di garanzia come un negozio volto ad eludere la norma imperativa di cui all'art. 2744 c.c.: trattandosi di contratto in frode alla legge, esso sarebbe radicalmente nullo ex art. 1344 del c.c. ("la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, stipulata fra il debitore e il creditore, la quale risponda all’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore, è nulla anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 c.c., configura mezzo per eludere tale norma imperativa e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile la sanzione dell’art. 1344 c.c.", Cass. civ., Sezioni Unite, 3.4.1989, n. 1611).
Per citare un'altra sentenza, si può sostenere che "il divieto di patto commissorio sia applica a qualsiasi negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito; ove, pertanto, venga a mancare la funzione di scambio a parità di condizioni, tipica di ogni contratto di compravendita, costituente elemento indispensabile per la liceità del negozio, si ricade nella causa illecita, quindi sotto la sanzione della nullità, in quanto il negozio concluso costituisce il mezzo che permette di raggiungere il risultato vietato dalla legge” (Cass. civ., sez. III, 10.2.1997, n. 1233).

Naturalmente esisteva ed esiste anche una opinione contraria in dottrina e giurisprudenza, che ritiene la vendita a scopo di garanzia perfettamente lecita, ma si reputa questo orientamento come minoritario.

Pertanto, la compravendita tra A, da una parte, e B, C, D, dall'altra, in un giudizio avente ad oggetto la sua validità, potrebbe essere dichiarata nulla per violazione della norma di cui all'art. 2744 c.c.
Le conseguenze sono di tipo essenzialmente restitutorio, secondo lo schema dell'indebito: A deve restituire a B, C e D il bene. Poiché A è deceduta, saranno i suoi eredi a poter essere convenuti con la domanda di restituzione del bene, oppure anche semplicemente con la domanda di rivendicazione della proprietà del bene.

La nullità del contratto è una forma di invalidità molto grave, che per tale motivo può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse (art. 1421 del c.c.): quindi, anche da chi non partecipò al contratto nullo (es. gli eredi della parte venditrice, nel nostro caso).

Circa il fatto che l'esistenza del patto si evinca da una dichiarazione unilaterale di A e non da un documento sottoscritto da tutte le parti, si deve ragionare in termini di prova della simulazione. Il patto commissorio, infatti, non è altro che la simulazione di una vendita in realtà non voluta dalle parti. Ciò che conta è l'esistenza di un accordo simulatorio tra le parti (anche verbale), mentre la controdichiarazione scritta ne costituisce la mera prova.
La prova della simulazione si atteggia in modo diverso a seconda che si tratti di rapporti verso terzi o dei rapporti interni tra le parti. Ricorda la giurisprudenza che, "se la domanda di simulazione è proposta da creditori o da terzi che, estranei al rapporto, non sono in grado di procurarsi la prova scritta, la prova per testi e per presunzioni della simulazione non può subire alcun limite; per contro, se la domanda è proposta da una delle parti o dagli eredi, la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale, per cui se il contratto simulato è stato redatto per iscritto, la prova per testi e per presunzioni non può esser ammessa contro il contenuto del documento, perché le parti hanno la possibilità e l’onere di munirsi delle controdichiarazioni, salve le eccezioni a tale regola espressamente previste dalla legge, e salvo che la prova sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato (Cass. 4.5.2007 n. 10240; Cass. 23.1.1997 n. 697; Cass. 12.2.1986 n. 850)".

Quindi, le parti dell'accordo e i loro eredi devono dimostrare la simulazione della vendita producendo la controdichiarazione scritta, che può essere anche firmata solo dalla controparte (producendola in giudizio, loro ne "sposano" il contenuto).
Nel caso di specie, quindi, risulterebbe sufficiente la produzione in giudizio della dichiarazione unilaterale di A.

A. P. chiede
lunedì 05/12/2022 - Lazio
“Buon pomeriggio, mia madre deceduta nel 2016, ha richiesto a suo genero, marito della figlia, di periziare un terreno edificabile in zona PEEP. Questa perizia, anno 2006, riporta sia il valore del terreno euro 3.000. che il valore di esproprio euro 1.500 .La compravendita è conclusa con il valore di esproprio. Il Comune dell'Aquila ha rilasciato la documentazione in cui la richiesta e il rilascio dell'area è in diritto di proprietà. Pertanto non si avrebbe dovuto applicare il valore di esproprio. E in questo contesto che richiedo l'applicazione della collazione che bandisce la prescrizione. Ritengo che il geometra abbia usato lo strumento, perizia, o per frodare mia madre o per avere una donazione indiretta e/o negozio giuridico. Io vorrei che la differenza tra il valore di mercato e il valore di esproprio rientri in collazione. Si può fare? oppure cosa è meglio fare? Saluti”
Consulenza legale i 18/12/2022
Per rispondere a ciò che viene chiesto è indispensabile cercare preliminarmente di chiarire qual è la funzione e quali sono i presupposti della collazione ereditaria.
E’ tale quell’istituto giuridico, disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.c., a mezzo del quale determinati soggetti, ovvero i figli, i loro discendenti nonché il coniuge del de cuius, sono chiamati a conferire alla massa ereditaria tutti i beni, mobili e immobili, ricevuti in vita dal de cuius a titolo di donazione, liberalità indiretta ovvero per mezzo di disposizioni testamentarie.
Scopo di tale istituto è essenzialmente quello di formare delle porzioni ereditarie eque, in modo da evitare eventuali pregiudizi che possono derivare dai suddetti atti di liberalità, quale in particolare una eventuale lesione di legittima.

La collazione ereditaria si presenta, dunque, come un onere a cui non possono sottrarsi i soggetti sopra indicati nel momento in cui decidono di accettare l’eredità, fatti salvi ovviamente i casi di dispensa.
Oggetto di collazione è qualsiasi donazione disposta in vita dal de cuius, compresi anche eventuali negozi misti con donazione, quali la vendita o l’acquisto di un bene ad un prezzo notevolmente inferiore o superiore al suo valore di mercato, con lo scopo di arricchire la controparte beneficiaria.

Ora, sotto quest’ultimo profilo si potrebbe in effetti pensare che la vendita del terreno di cui si discute, essendo stata effettuata ad un prezzo notevolmente inferiore al suo valore di mercato, possa configurarsi come negozio misto con donazione, e come tale costituire oggetto di collazione, quantomeno per la differenza di valore non dichiarata nell’atto di acquisto e di cui la parte acquirente ha beneficiato.
Tuttavia, a prescindere da ogni indagine circa la correttezza della determinazione del prezzo di vendita, difetta qui un presupposto essenziale per poter pretendere che quella vendita possa costituire oggetto di collazione.
Ci si intende riferire al presupposto soggettivo, tenuto conto che, come accennato all’inizio, la collazione è un obbligo che grava su determinati soggetti, i quali devono aver accettato l’eredità (la norma fa espresso riferimento alla condizione di coerede).

Nel caso di specie, la vendita di cui si discute risulta effettuata in favore di una persona giuridica, ed in particolare una società per azioni, la quale non può di certo ricondursi ad uno di quei soggetti sui quali l’art. 737 c.c. pone l’obbligo della collazione.
Pertanto, se ne deve per forza di cose dedurre che non sarà in alcun modo possibile fare ricorso all’istituto giuridico della collazione.
In casi come questo, invece, si potrebbe pensare di avvalersi dell’azione di simulazione relativa, volta a far emergere la reale volontà delle parti, ossia quella di realizzare un negozio di vendita misto a donazione.
Per quanto concerne il termine di prescrizione di tale azione, mentre non sussiste alcun dubbio circa l’imprescrittibilità dell’azione di simulazione assoluta (la quale ha natura dichiarativa), si registrano dei contrasti in merito al termine di prescrizione dell’azione di simulazione relativa, in quanto alla tesi della sua prescrizione nell’ordinario termine decennale, si contrappone altra tesi, secondo cui anche tale azione è imprescrittibile allorchè risulti volta ad accertare la nullità tanto del contratto simulato quanto di quello dissimulato.
In quest’ultimo senso, in particolare, si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. II civile, con ordinanza n. 125 del 07.01.2019, in occasione della quale la S.C. si è pronunciata su un caso analogo a quello in esame, e precisamente quello di una donna che aveva citato in giudizio i fratelli per chiedere lo scioglimento della comunione ereditaria sull’asse relitto del padre ed i coeredi convenuti, costituitisi in giudizio, chiedevano l’accertamento della simulazione dell’atto di vendita con il quale il de cuius aveva trasferito all’attrice una porzione di podere in quanto dissimulante una donazione.

Non può nascondersi, tuttavia, che, anche a voler aderire alla tesi della imprescrittibilità di tale azione, sarebbe abbastanza arduo portare avanti un’azione giudiziaria di tale tipo, considerato che dallo stesso atto di vendita risultano indicati analiticamente i mezzi di pagamento utilizzati per corrispondere il prezzo di vendita e che quest’ultimo, in ogni caso, risulta ancorato ad una perizia di stima che, per quanto discutibile, risulta comunque redatta da un tecnico professionista.

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