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Articolo 1174 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Carattere patrimoniale della prestazione

Dispositivo dell'art. 1174 Codice Civile

La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione(1) deve essere suscettibile di valutazione economica(2) e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale(3), del creditore.

Note

(1) La prestazione costituisce l'oggetto dell'obbligazione e si distingue dal bene materiale o dalla attività dovuti dal debitore al creditore, che costituiscono oggetto della prestazione stessa: ad esempio, l'obbligo di consegna di un quadro rappresenta la prestazione mentre il quadro è l'oggetto della prestazione.
(2) La norma fa riferimento al carattere della patrimonialità, che costituisce uno dei requisiti essenziali della prestazione. Essa può essere oggettiva, se è oggettivo che la prestazione ha un valore economico, o soggettiva, laddove siano le parti ad attribuire un valore ad una prestazione che ne sia priva.
(3) Tra gli interessi non patrimoniali vi è, ad esempio, quello culturale, come quello di chi riceve la prestazione di un insegnante.

Ratio Legis

Nelle intenzioni del legislatore la prestazione deve essere possibile, cioè suscettibile di esecuzione, lecita, ovvero non contraria alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume (v. 1343 ss. c.c.), nonché determinata o determinabile. La determinazione può essere effettuata da una o entrambe le parti ma anche da un terzo, detto arbitratore (v. art. 1349 del c.c. ss. c.c.).

Brocardi

Obligationum substantia non in eo consistit, ut aliquod corpus nostrum aut servitutem nostram faciat, sed ut alium nobis adstringat ad dandum aliquid, vel faciendum, vel praestandum

Spiegazione dell'art. 1174 Codice Civile

Patrimonialità della prestazione

Premesso che il termine prestazione è qui da intendersi come il contenuto del rapporto obbligatorio (perciò essa si mantiene distinta dal suo oggetto che viene comunemente ma erroneamente indicato con il termine oggetto dell'obbligazione, e che si identifica con la cosa da consegnarsi o con l'attività che deve essere svolta o con l'omissione che deve essere osservata dal debitore), consideriamo quello che è stato uno dei più dibattuti argomenti nella teoria dell'obbligazione e che oggi trova, nell'articolo in esame, la sua definitiva soluzione.

La disputa sulla patrimonialità o meno della prestazione non è nuova, infatti risale fin all’epoca romana: la maggioranza degli autori romanistici, fondandosi sul fr. 9, § 2, D. 40.7 — ex enim in obligatione consistere, quae pecunia cui praestarique possint — ritenne che l'obbligazione per essere valida doveva avere contenuto patrimoniale o, quanto meno, questo doveva essere valutabile in denaro. Altri autori, basandosi sull’esegesi di alcuni testi, obiettavano che non era necessario ricomprendere tra i requisiti dell'obbligazione anche quello della patrimonialità, poiché il diritto tutela interessi anche di carattere ideale, e quindi non patrimoniale, a condizione che siano leciti e come tali riconosciuti meritevoli di protezione giuridica. Altri ancora distinguevano l'interesse del creditore a ricevere la prestazione dall'oggetto di questa, ed affermavano che soltanto il primo poteva avere contenuto economico o morale o ideale, mentre il secondo doveva sempre, direttamente o indirettamente, essere valutabile in danaro.

La questione sotto il codice del 1865, che non enunciava alcun principio in proposito, venne prevalentemente risolta nel senso della patrimonialità della prestazione, pur riconoscendosi che l'interesse del creditore alla medesima poteva rivestirsi d'indole non patrimoniale, ad es. umanitaria, scientifica, sociale ecc. Tale requisito veniva giustificato anzitutto osservando che la sede in cui il codice disciplinava la materia delle obbligazioni — libro III — rifletteva esclusivamente diritti patrimoniali; in secondo luogo richiamando diverse disposizioni dalle quali appariva evidente come lo stesso legislatore avesse inteso attribuire alla prestazione un contenuto economico (così gli articoli 1116, 1218 e 1227 per i quali rispettivamente soltanto le cose in commercio, e quindi valutabili in danaro, possono essere fatte oggetto di contratto; chi si è obbligato è tenuto, in caso di inadempimento, a risarcire il creditore dei danni sofferti che sono soltanto quelli patrimoniali).

Si opponeva, ex adverso, che questi stessi articoli non si rivelavano decisivi per la tesi della patrimonialità in quanto disciplinavano obbligazioni a contenuto già strettamente patrimoniale, e si ricordavano, invece, altre e non poche disposizioni che certamente non facevano cenno di quel contenuto: così erano interpretati gli articoli 130, 131 e 132 sui diritti e doveri dei coniugi tra di loro e nei riguardi dei figli; gli articoli 347, 357 e 358 che, in materia di tutela, enunciavano degli obblighi per il tutore e per il minore. È chiaro perché obblighi di tale specie non diano origine a veri e propri rapporti obbligatori dotati di quell'elemento coattivo che li differenzia da altri infiniti rapporti obbligatori non giuridici, di conseguenza al coniuge che non rispetta il dovere di fedeltà verso l'altro coniuge, al figlio che non rispetta i genitori e via dicendo non si può applicare la disposizione « chi ha contratto un'obbligazione è tenuto ad adempierla esattamente e, in mancanza, al risarcimento del danno » (art. 1218 del c.c.).

La questione andava, come tuttora va, considerata da due angoli visuali diversi, e cioè da quello dell'onere imposto al debitore e da quello dell'interesse che alla prestazione può avere il creditore. Sotto il primo aspetto il requisito della patrimonialità della prestazione deriva dalle considerazioni innanzi svolte; sotto l'altro, anche se non si può negare che il creditore deve avere interesse ad un determinato comportamento del debitore nei suoi confronti, occorre precisare che tale interesse deve potersi valutare in danaro, poiché è siffatto requisito che supplisce alla non patrimonialità della prestazione: l'art. 1218, applicabile a qualunque prestazione, enunciando la regola che in caso di inadempimento il debitore è tenuto a risarcire i danni, presuppone e postula la valutabilità in danaro di questi danni e, conseguentemente, della prestazione cui quelli si collegano.


Interesse del creditore

L'art. 1174 richiede il requisito della patrimonialità ma non anche quello della valutabilità dell'interesse del creditore, anzi lo esclude, per cui la norma in esame, mentre può essere accettata nella prima parte, è invece criticabile nella seconda, in quanto ammette espressamente che l'interesse del creditore possa non essere patrimoniale. A chiarimento di questo punto si legge nella relazione del Guardasigilli che « l'interesse alla prestazione non deve essere necessariamente pecuniario perché il diritto mira a realizzare ed a tutelare anche le più alte finalità; basta che esso includa uno scopo ritenuto utile secondo l'apprezzamento predominante della coscienza sociale, cioè indipendentemente dal giudizio subbiettivo che ne possa fare il soggetto del rapporto ». Questa spiegazione non può essere accolta e va, perciò, respinto anche il concetto che vi si enuncia e si difende, vale a dire la non valutabilità, economicamente intesa, dell'interesse del creditore e la possibilità, di conseguenza, che questo sussista pur nella sua indole morale o in vista dello scopo giudicato utile secondo l'apprezzamento che usa farne la predominante coscienza sociale.

Tuttavia, ammettendosi questa possibilità, si finirebbe con il negare l'esistenza di un vincolo obbligatorio: al contrario, invece, una valutabilita' patrimoniale, diretta od indiretta, dell'interesse del creditore è il presupposto dell' obbligazione. Un esempio potrebbe rendere tutto più chiaro: se Tizio ha dato del danaro a Caio perché liberi il servo Sempronio e ha fatto ciò per un interesse proprio, ad es. per poter, poi, prendere Sempronio al suo servizio, si ha un vero e proprio rapporto obbligatorio, avendo l'interesse del creditore contenuto patrimoniale. Ma se Tizio non ha alcun interesse patrimoniale a che Caio lasci libero Sempronio ed ha contrattato con Caio al solo scopo di beneficare Sempronio e non ha dato alcun corrispettivo o stabilito una sanzione per il caso di inadempimento da parte di Caio, il suo interesse suo può dirsi economicamente valutato o valutabile, pertanto non sussiste una vera e propria obbligazione.


Obblighi giuridici e obblighi agiuridici

L'art. 1174, nella sua formulazione, adempie ad altre due importanti funzioni: quella di demarcare la linea di confine tra l'obbligo giuridico e altri obblighi che, pur dando vita ad un'azione in giudizio, tuttavia non hanno alcun contenuto patrimoniale diretto o riflesso, come nel caso degli innumeri obblighi che si riscontrano nell' ambito del diritto di famiglia; e quella di far escludere dalla stessa categoria degli obblighi giuridici i doveri che sorgono e vivono solo nella sfera d'una vita morale e sociale. Grazie ad entrambe queste funzioni l'art. 1174 concorre a chiarire ancora meglio il concetto dell'obbligazione che corrisponde a quello sopra enunciato.


Altri requisiti della prestazione

L' articolo 1174 non richiede altri requisiti della prestazione oltre a quello della patrimonialità, ma l'interprete può fissarli nei seguenti, riconosciuti anche dal nuovo codice, che, mantenendo lo stesso errore di sistematica di quello abrogato, li disciplina con riguardo al contenuto dei contratti (1346-1349). Ciò detto, la prestazione deve essere:

1) possibile. L'impossibilita può essere:
a) assoluta o oggettiva, se sussiste nei confronti di tutti, sia giuridicamente (res extra commercium) sia naturalmente (quod natura fieri non concedit); relativa o soggettiva, se la prestazione, mentre è possibile per altri è impossibile per it reus debendi. Le conseguenze, da considerarsi secondo i criteri del momento in cui l'obbligazione doveva nascere, saranno la nullità del rapporto tanto nell'ipotesi di impossibilità assoluta quanto nell'altra di impossibilità relativa salvo, e ciò è intuitivo, l'obbligo del debitore di risarcire il danno derivante al creditore se ne ricorrano i presupposti;

b) originaria, se ostacola il sorgere del rapporto giuridico; sopravvenuta, se semplicemente lo modifica; temporanea, se priva il rapporto giuridico di ogni efficacia ma solo qualora l'obbligo debba essere adempiuto subito;

2) lecita, poiché non può aver alcun effetto un rapporto obbligatorio la cui prestazione sia contraria alla legge, alla morale, al buon costume, all'ordine pubblico. Il principio non è nuovo, esso infatti era già proclamato dal vecchio codice con riguardo alla causa (art. 1122) ed oggi è ripetuto per la stessa causa, per la condizione e per l'oggetto (cioè la prestazione) del contratto (1346). In particolare, per questo principio, la prestazione di qualsiasi (s'intende volontario) rapporto obbligatorio, contrattuale o non (gestione d'affare altrui), non deve contrastare la legge — intesa non nella sua ampia figura di norma astratta, ma quale norma particolare che ponga un divieto a che si attui la volontà del privato —, la morale, il buon costume e l'ordine pubblico.

3) determinata o, quanto meno, determinabile o nei caratteri suoi individuali (species, determinatezza assoluta) o anche in quelli che sono comuni ad un certo numero di altre cose (genus, (determinatezza relativa), ma, in entrambe le ipotesi, sempre in base a criteri preventivamente stabiliti dalle parti stesse o rimessi, sin dal suo sorgere, alla determinazione di un terzo, e mai affidati all'esclusivo arbitrio del debitore, poiché in tal caso si distruggerebbe il vinculum iuris, che è l’ elemento essenziale dell'obbligazione.

Oltre a quelli citati, non occorrono altri requisiti per aversi una valida prestazione: quello della coercibilità che, secondo alcuni, dovrebbe costituirne elemento essenziale è, invece, proprio del vincolo che si instaura tra debitore e creditore. D' altra parte, pure nelle prestazioni di fare (per quelle di dare alcun dubbio) è concepibile e la legge ne ha disciplinato una coercibilità attraverso alcuni articoli del codice che sono chiari in tal senso (art. 2930 del c.c.).

La classificazione, infine, delle varie specie di prestazioni, condotta con riguardo all'oggetto ed al momento in cui esse vanno eseguite, non verrà trattata in tale sede, tuttavia per completezza si ricorderanno qui: le prestazioni positive e negative; semplici e complesse; transeunti e durature; divisibili ed indivisibili; alternative, facoltative, generiche, istantanee o momentanee, a periodi ricorrenti, continuative e a tratti successivi. Si è soliti riferire queste categorie alle obbligazioni (e parlare cosi di obbligazione divisibile, indivisibile ecc.) ed anche il codice adopera tale terminologia, ma è invece più corretto considerare tutte queste varie distinzioni con riguardo alla prestazione e più esattamente al suo oggetto, poiché è chiaro che, definita l'obbligazione il vincolo che astringe debitore e creditore, non è possibile farne diverse categorie per l'unità concettuale del nexum.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

17 Il requisito della patrimonialità della prestazione, ormai riconosciuto senza contrasti dalla moderna dogmatica, è richiesto in coerenza al principio secondo cui l'obbligazione si realizza coattivamente solo attraverso la responsabilità patrimoniale del debitore.
L'interesse del creditore può avere carattere non econo­mico (umanitario, scientifico, o, in genere, morale); ma la pre­stazione deve essere valutabile pecuniariamente, altrimenti mancherebbe la possibilità di esecuzione forzata sul patrimonio. Sta in questo carattere patrimoniale del vincolo la nota differenziatrice tra l'obbligazione in senso stretto e gli altri obblighi giuridici, tra l'obbligazione e le prestazioni di mera cortesia.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

557 Si è rinunciato a precisare il concetto di obbligazione. L'argomento è schiettamente dogmatico; e, la legge, se l'avesse affrontato, mentre non avrebbe sedato il grave dissidio esistente in dottrina, avrebbe esorbitato dal campo normativo entro cui deve strettamente mantenersi. Il nuovo codice, nel precipuo proposito di dare elementi per la configurazione pratica del rapporto obbligatorio, ha preferito di precisare il concetto della prestazione, nella quale si concreta l'oggetto dell'obbligazione. Lo ha delineato nell'art. 1174 del c.c., ponendo come sue caratteristiche la patrimonialità e la corrispondenza ad un interesse anche morale del creditore (cfr. anche art. 1411 del c.c., primo comma). Dopo ciò si dovrà ritenere che non vi è obbligazione quando il contenuto del correlativo dovere non abbia i caratteri della prestazione secondo l'art. 1174 del c.c.. Si noti che nell'art. 1174 del c.c. si distingue l'interesse alla prestazione dalla prestazione medesima. L'interesse alla prestazione non deve essere necessariamente pecuniario, perché il diritto mira a realizzare e a tutelare anche le più alte idealità: basta che includa uno scopo ritenuto utile secondo l'apprezzamento predominante nella coscienza sociale, cioè indipendentemente dal giudizio subiettivo che ne possa fare il soggetto del rapporto. La prestazione deve, invece, essere suscettibile di valutazione economica; senza di che non si potrebbe attuare la coazione giuridica predisposta dal diritto nel caso di inadempimento. La possibilità di valutazione economica non si ha soltanto se la prestazione abbia un intrinseco valore patrimoniale, ma anche quando lo riceve di riflesso dalla natura della controprestazione ovvero da una valutazione fatta dalle parti, come nel caso in cui si conviene una clausola penale. Da ciò la necessità di valutare la pecuniarietà della prestazione considerando il rapporto nel suo complesso. L'art. 1174 del c.c. ha l'ulteriore funzione di precisare che l'obbligazione deve essere considerata come figura giuridica distinta da quegli altri obblighi i quali, per quanto diano luogo ad azione, tuttavia non hanno contenuto patrimoniale diretto o di riflesso, come è, ad esempio, di alcuni obblighi posti dalla legge in relazione a taluni rapporti di diritto familiare. Nell'art. 1174 del c.c. medesimo si rinvengono, infine, gli estremi per la separazione di quei doveri che vivono nel campo giuridico, dagli altri che costituiscono la sfera della vita morale e sociale e da cui non evadono o perché rispondono a bisogni universali meno sentiti o perché il valore e il motivo della loro esistenza consiste nella spontaneità del loro adempimento. Nell'art. 2034 del c.c. i doveri morali e sociali vengono contrapposti all'obbligazione in quanto ai primi si riconosce solo l'effetto di considerare irripetibile ciò che sia stato prestato in osservanza di essi da persone capaci: lo stesso trattamento dei doveri morali e sociali è fatto a tutti quegli altri doveri a cui la legge dichiara di non accordare azione, ma rispetto ai quali esclude la ripetizione di ciò che sia stato spontaneamente pagato (ad esempio, art. 627 del c.c., art. 1933 del c.c. e art. 2940 del c.c.). Non è compito del legislatore stabilire se queste due categorie di doveri non coercibili abbiano lo stesso contenuto etico o si differenzino tra loro; il codice le ha raggruppate sotto l'unica denominazione di obbligazioni naturali esclusivamente perché ha dato ad entrambe un unico regolamento. Questa comune disciplina consiste nel negare la ripetizione di ciò che sia stato spontaneamente pagato in base ai doveri medesimi, e nello stabilire che essi non possono produrre altri effetti giuridici oltre quello della soluti retentio: si tornerà in argomento a proposito del giuoco e della scommessa (n. 156) e della ripetizione dell'indebito (n. 190).

Massime relative all'art. 1174 Codice Civile

Cass. civ. n. 24071/2017

In tema di obbligazioni e contratti, il "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c., opera anche, nella materia contrattuale, in relazione a quegli aspetti che non attengono alla esecuzione della prestazione principale, ma ad interessi ulteriori, che insorgono, anche al di fuori di uno specifico vincolo contrattuale, tutte le volte in cui le parti instaurino una "relazione qualificata" e cioè agiscano di concerto in vista del conseguimento di uno scopo.

Cass. civ. n. 21850/2017

Nel trasporto aereo di merci, l'attività svolta dall'impresa esercente il servizio di c.d. "handling" aeroportuale non viene resa in esecuzione di un autonomo contratto di deposito a favore di terzo, concluso tra l' "handler" (promittente) e il vettore (stipulante) a beneficio del mittente o del destinatario, ma rientra, come attività accessoria, nella complessiva prestazione che forma oggetto del contratto di trasporto, la quale non si esaurisce nel mero trasferimento delle cose ma comprende anche la fase ad esso antecedente (allorché l' "handler" riceve la merce dal mittente in funzione della consegna al vettore, nell'aeroporto di partenza) e la fase ad esso successiva (allorché riceve la merce dal vettore in funzione della messa a disposizione del destinatario, nell'aeroporto di destinazione), atteso che tale prestazione deve corrispondere, ai sensi dell'art. 1174 c.c., all'interesse del creditore ad ottenere la riconsegna delle cose trasportate nel luogo, nel termine e con le modalità indicate nel contratto medesimo; consegue da ciò che: a) l'operatore di "handling" assume la qualifica di ausiliario del vettore, in quanto soggetto terzo rispetto al contratto di trasporto, della cui opera il debitore si avvale per l'esecuzione di una parte della prestazione che ne forma oggetto; b) nell'ipotesi di perdita o avaria delle cose trasportate nella fase in cui le stesse sono affidate all' "handler", il proprietario di esse può agire contrattualmente nei confronti del vettore, il quale è responsabile del fatto colposo del proprio ausiliario, ai sensi dell'art. 1228 c.c.; c) nella medesima ipotesi, l'operatore di "handling" non risponde nei confronti del mittente o del destinatario a titolo contrattuale, non essendo parte del rapporto obbligatorio nascente dal contratto di trasporto, ma risponde, in solido con il vettore, a titolo extracontrattuale in quanto autore di un comportamento doloso o colposo imputabile ai sensi dell'art. 2043 c.c.; d) in quanto ausiliario del vettore aereo, l' "handler", pur rispondendo a titolo extracontrattuale, beneficia delle limitazioni di responsabilità previste, in favore del vettore medesimo e dei suoi dipendenti od incaricati, dagli artt. 22 e 30 della Convenzione di Montreal sul trasporto aereo (già artt. 22 e 25/A della Convenzione di Varsavia), nonché della disciplina uniforme convenzionale, dettata in tema di decadenza dall'azione risarcitoria e di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, dall'art. 35 della Convenzione di Montreal (già art. 29 della Convenzione di Varsavia), salva l'ipotesi di condotta dolosa o coscientemente colposa, nella quale, ai sensi dell'art. 30, comma 3, della Convenzione di Montreal, la responsabilità dell'ausiliario resta illimitata.

Cass. civ. n. 8153/2014

Nel contratto di sponsorizzazione, in quanto rapporto caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., contribuendo essi ad individuare obblighi, ulteriori o integrativi di quelli tipici del rapporto stesso, il cui inadempimento è patrimonialmente valutabile, ai sensi dell'art. 1174 cod. civ., e tale da giustificare una richiesta di risarcimento danni, purché siano specificati e provati i comportamenti pregiudizievoli e i loro concreti effetti lesivi.

Cass. civ. n. 7083/2006

Il cosiddetto contratto di sponsorizzazione - figura non specificatamente disciplinata dalla legge - comprende una serie di ipotesi nelle quali un soggetto - il quale viene detto "sponsorizzato" (ovvero, secondo la terminologia anglosassone, "sponsee") - si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l'uso della propria immagine e del proprio nome per promuovere presso il pubblico un marchio o un prodotto; tale uso dell'immagine pubblica può anche prevedere che lo "sponsee" tenga determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto di commercializzazione. L'obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha natura patrimoniale, ai sensi dell'art.1174 cod. civ., e corrisponde all'affermarsi, nel costume sociale, della commercializzazione del nome e dell'immagine personale e viene accompagnata, di regola, da un diritto di "esclusiva". Da tali caratteristiche non discende, peraltro, che il contratto di sponsorizzazione debba necessariamente essere concluso dallo sponsorizzato, potendo l'obbligazione relativa all'adempimento della sua prestazione essere assunta anche da un terzo, il quale in tal caso risponde, nei confronti dell'utilizzatore, ai sensi dell'art.1381 cod. civ. (Cassa con rinvio, App. Bologna, 19 Luglio 2002).

Cass. civ. n. 9880/1997

Il cosiddetto contratto di «sponsorizzazione» figura non specificamente disciplinata dalla legge comprende una serie di ipotesi nelle quali si ha che un soggetto il quale viene detto «sponsorizzato» (ovvero, secondo la terminologia anglosassone, sponsee) si obbliga a consentire, ad altri, l'uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo; tale uso dell'immagine pubblica può prevedere anche che lo sponsee tenga anche determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale. La obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha piena natura patrimoniale ai sensi dell'art. 1174 c.c., e corrisponde all'affermarsi, nel costume sociale, della commercializzazione del nome e dell'immagine personali, e viene accompagnata ordinariamente da una «esclusiva», ovvero dall'obbligo, per le parti contraenti, di non consentire anche per un certo tempo dopo la cessazione del rapporto almeno all'interno del medesimo comparto commerciale, analoga veicolazione. Da un tal complesso di caratteristiche non discende peraltro che un contratto di sponsorizzazione debba, indefettibilmente, essere concluso da uno sponsor il quale sia egli stesso il produttore industriale di una determinata merce, ovvero il titolare del diritto di marchio da veicolare, ben potendo il requisito della patrimonialità dell'obbligazione riconoscersi sussistente anche in presenza di un contratto nel quale il contraente sponsor sia altro soggetto, che tragga utilità dallo sfruttamento dell'immagine in questione, ancorché diverso risulti l'organizzatore della relativa produzione. Da ciò consegue che, nel caso in cui lo sponsor sia il distributore esclusivo, per l'Italia, di un certo prodotto, dalla sua relazione di affari con il produttore e dal fatto che anche quest'ultimo tragga vantaggio dalla maggiore penetrazione del suo marchio presso i consumatori, non può trarsi, in via automatica, la conclusione per cui egli sia un contraente in conto altrui, dovendo invece tale eventuale qualità accertarsi in fatto.

Cass. civ. n. 3881/1985

Qualora il metodo adottato da un imprenditore, per realizzare determinati prodotti od applicazioni in favore dei clienti (nella specie, trattamenti estetici di protesi capillare), manchi di esclusività e segretezza, il contratto di cessione di tale metodo (cosiddetta cessione di know how) resta privo di un oggetto economicamente apprezzabile, ove si esaurisca nella mera enunciazione astratta delle cognizioni del cedente, non anche nel diverso caso in cui preveda una assistenza del cessionario, per la sicura e facile attuazione concreta di dette cognizioni mediante l'utilizzazione dell'esperienza del cedente stesso, stante la rilevanza patrimoniale di un siffatto apporto.

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