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Articolo 313 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Provvedimento del tribunale

Dispositivo dell'art. 313 Codice Civile

(1)Il tribunale, in camera di consiglio [737 c.p.c.], sentito il pubblico ministero [738 c.p.c.] e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo di far luogo o non far luogo alla adozione [298].

L'adottante, il pubblico ministero [740 c.p.c.], l'adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione [739 c.p.c.], possono proporre impugnazione avanti la Corte d'appello, che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero [739 c.p.c.](2).

Note

(1) L'articolo è stato sostituito dapprima dall'art. 65 della L. 4 maggio 1983 n. 184, successivamente dall'art. 30 della L. 28 marzo 2001 n. 149.
(2) Sulla legittimazione ad impugnare il provvedimento di adozione, è da ritenersi che l'articolo in esame debba essere adattato alla diversa natura dell'adozione in casi particolari, riferendosi tale disciplina a soggetti minorenni (quindi includendosi i genitori del minore pur decaduti dalla potestà, come sancito da Cass. sez. I n. 6051/2012).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

161 Non è sembrata giustificata la proposta di far pronunziare l'adozione mediante sentenza anziché mediante decreto. Il carattere pubblicistico rimane ben chiaro qualunque sia la forma che assume il provvedimento dell'autorità giudiziaria.

Massime relative all'art. 313 Codice Civile

Cass. civ. n. 12556/2012

Nell'adozione di persona maggiore di età, l'incapacità naturale dell'adottante al momento della manifestazione del consenso può essere fatta valere esclusivamente dai soggetti legittimati a proporre il reclamo ai sensi dell'art. 313, secondo comma, c.c., tassativamente indicati, atteso che, in mancanza di una norma specifica relativa alla legittimazione a far valere i vizi del consenso in tale specifica fattispecie, devono ritenersi legittimate, ai sensi dell'art. 1441 c.c., solo le parti del rapporto adottivo, non potendo trovare applicazione l'art. 428 c.c..

Cass. civ. n. 2426/2006

In tema di adozione di maggiorenne, per effetto dell'art. 30 della legge 28 marzo 2001, n. 149, che ha novellato l'art. 313 c.c., la decisione sulla richiesta di far luogo all'adozione viene assunta, ancorché in esito ad un procedimento che si svolge in camera di consiglio, con sentenza, e non più con decreto; pertanto, la sentenza pronunciata in sede di gravame dalla corte d'appello è ricorribile per cassazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c.

Cass. civ. n. 8015/1997

Il genitore non affidatario non è legittimato ad impugnare, neppure con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., il provvedimento di adozione in casi particolari, posto che l'art. 313 c.c., come novellato dalla legge n. 184 del 1983 (art. 65) conferisce la legittimazione ad impugnare il decreto del tribunale solo all'adottante, all'adottando ed al P.M., non anche al suddetto genitore, che pur deve, ai sensi dell'art. 56, terzo comma della citata legge n. 184 del 1983, prestare l'assenso, il cui rifiuto, peraltro, siccome espresso da genitore non esercente la potestà quale è quello non affidatario (artt. 317, ultimo comma c.c. e 155 comma terzo c.c.) non preclude al tribunale di procedere all'adozione, ove ritenga il rifiuto stesso ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando. Tuttavia, nell'ipotesi in cui l'adozione riguardi un minore, il genitore legittimo, anche se non affidatario e non esercente la potestà genitoriale, può impugnare ex art. 313 c.c. il decreto del tribunale per i minorenni quale rappresentante del figlio minore, posto che in più occasioni ii legislatore (artt. 155, 317, 317 bis c.c.) ha inteso far salvo, per il genitore non affidatario, un potere di vigilanza sulla crescita del minore, nel cui ambito rientra la facoltà di adire il giudice ove ritenga sussistere il pericolo di un pregiudizio per l'interesse del figlio.

Cass. civ. n. 4258/1995

Il limite previsto per la revoca del consenso alla adozione, che, ai sensi dell'art. 47, L. n. 184 del 1983, non può essere successivo al decreto che pronuncia l'adozione, non impedisce all'adottante di far valere, con il reclamo di cui all'art. 313 c.c., sopravvenute circostanze ostative alla adozione, perché queste circostanze, anche quando dipendono dalla volontà dell'adottante (quale, nella specie, il deterioramento dei rapporti coniugali), si distinguono logicamente dalla revoca, che determina il venir meno di un dato soggettivo per la pronuncia del provvedimento di adozione.

La legittimazione dell'adottante ad impugnare il decreto che accoglie la richiesta di adozione, ai sensi dell'art. 313 c.c., non è condizionata dalla presenza di un interesse proprio dello stesso, trattandosi di procedimento diretto a garantire i preminenti interessi del minore. Ne consegue che il predetto decreto può essere impugnato dall'adottante, benché conforme alla istanza di questo, anche per far valere cause ostative sopravvenute. (Nella specie, il decreto di accoglimento dell'istanza di adozione proposta ai sensi dell'art. 44, lettera b, L. 4 maggio 1983, n. 184, era stato impugnato dall'adottante a seguito di deterioramento dei rapporti con il coniuge, madre del minore, per far valere la carenza dei requisiti richiesti dalla legge per fare luogo alla adozione).

Cass. civ. n. 1133/1988

Il decreto, con il quale la corte d'appello, in sede di reclamo, ai sensi dell'art. 313 (nuovo testo) c.c., provvede in materia di adozione di persona di maggiore età, è impugnabile per cassazione, trattandosi di provvedimento, ancorché emesso in sede di volontaria giurisdizione, avente carattere di decisorietà e definitività, non escluse dalla possibilità di revoca nei casi tassativamente contemplati.

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HARTE chiede
martedì 25/01/2011

“Vorrei sapere, ringraziando anticipatamente, se un adulto che viene adottato ha diritto di acquistare oltre al cognome anche la cittadinanza di chi lo adotta.”

Consulenza legale i 28/01/2011

Se l’adottato è maggiorenne, egli può acquistare la cittadinanza italiana per naturalizzazione, decorso un periodo di residenza legale in Italia di cinque anni successivamente all’adozione.

La regola è sancita dall'art. 9 delle legge n. 91 del 5/12/1992: "La cittadinanza italiana puo' essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno: [...] b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione".