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Articolo 219 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Prova della proprietà dei beni

Dispositivo dell'art. 219 Codice Civile

(1)Il coniuge può provare con ogni mezzo [950 co. II] nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di un bene [197](2).

I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi(3).

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 87 della L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) Ovviamente ci si riferisce ai beni mobili, poiché per gli immobili (812cc) e mobili registrati (art. 815 del c.c.) operano le regole di cui all'art. 2643 del c.c..
(3) La norma opera con l'esclusione dei beni siti nella casa coniugale, per i quali opera la presunzione di proprietà comune di entrambi i coniugi in quote uguali, salvo appunto diversa prova esperibile con ogni mezzo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 219 Codice Civile

Cass. civ. n. 18554/2013

L'art. 219 cod. civ. - riconoscendo al coniuge di poter provare con ogni mezzo, nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene, ed aggiungendo che quelli di cui nessuno di essi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa, per pari quota, di entrambi - riguarda essenzialmente le controversie relative a beni mobili, ed è volto principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel secondo comma, alla regola generale sull'onere della prova in tema di rivendicazione, mentre nessuna eccezione configura alla normale disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisti immobiliari. Pertanto, quando un immobile sia intestato ad uno dei coniugi in virtù di idoneo titolo d'acquisto, l'altro coniuge, che alleghi l'interposizione reale, non può provarla con giuramento, nè con testimoni, giacché l'obbligo dell'interposto di ritrasmettere all'interponente i diritti acquistati deve risultare, a pena di nullità, da atto scritto, salvo che nell'ipotesi di perdita incolpevole del documento e non anche, dunque, nel caso in cui si deduce un semplice principio di prova per iscritto. (Rigetta, App. Bologna, 17/09/2008)

Cass. civ. n. 6589/1998

Il secondo comma dell'art. 219 c.c. (che, con riferimento alla ipotesi di separazione di beni tra coniugi, sancisce una presunzione semplice di comproprietà per i beni mobili dei quali nessuno di essi sia in grado di dimostrare la proprietà esclusiva), pur non contenendo una esplicita limitazione dell'efficacia della presunzione di comunione ai soli rapporti interni tra coniugi (a differenza di quanto stabilito al primo comma, contenente un espresso riferimento ai rapporti predetti), va interpretato secondo criteri ermeneutici di tipo logico — unitari non meno che storici (emergendo dai lavori preparatori che l'efficacia della presunzione era stata inizialmente estesa anche ai terzi), e non consente, pertanto, di estendere gli effetti della presunzione in parola anche ai rapporti di ciascun coniuge con i terzi, con la conseguenza che, in tema di opposizione all'esecuzione, il coniuge opponente incontra tutti i limiti di prova previsti, in linea generale, dall'art. 621 c.p.c. (che esclude, in particolare, l'efficacia probatoria di qualsiasi forma di presunzione). (Si veda Corte cost. 15 dicembre 1967, n. 143, abrogativa dell'art. 622 c.p.c.).

Cass. civ. n. 2494/1982

L'art. 219 c.c. (nel testo novellato dalla L. 19 maggio 1975, n. 151) - che riconosce al coniuge la facoltà di «provare con ogni mezzo, nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene» (primo comma) ed aggiunge che «i beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi» (secondo comma) - concerne essenzialmente le controversie relative a beni mobili, siccome la prova della proprietà degli immobili risulta di solito da un titolo non equivoco, ed è volto principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel secondo comma, alla regola generale sull'onere della prova in tema di rivendicazione, mentre nessuna deroga configura alla normale disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisti immobiliari. Pertanto, quando un immobile sia intestato ad uno dei coniugi in virtù di idoneo titolo d'acquisto, l'altro coniuge che alleghi l'interposizione reale non può provarla né con giuramento, né con testimoni, giacché l'obbligo dell'interposto di ritrasmettere all'interponente i diritti acquistati deve risultare, sotto pena di nullità, da atto scritto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 219 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Enrico L. chiede
venerdì 05/02/2021 - Campania
“Coniugi in regime di separazione dei beni:
Il marito (A) apre due conti correnti con deposito titoli, su istituti bancari diversi, intestati solo formalmente alla moglie (B) ; Lo scopo è quello di fare trading e di operare nel mercato valori per acquistare e vendere azioni, e quindi tenere aperte più posizioni ( per questo più conti correnti).
Si precisa che tali conti vengono alimentati esclusivamente da soldi che versa solo il marito, che opera sui conti con una delega della moglie.
Sui detti conti vengono eseguite per diversi anni (7 /8 anni) operazioni di trading di acquisto e vendita di titoli e certificati .
I soldi che alimentano i conti sono esclusivamente del marito (A) che ha una passione per il trading.
In costanza di separazione giudiziale dei coniugi, (l’udienza presidenziale ancora non è stata celebrata) succede che la moglie (solo formalmente titolare dei conti) toglie le deleghe al marito ad operare sui detti conti, per cui (A) si trova nella impossibilità di operare e di eseguire operazioni tempestive sui titoli in portafoglio e, quindi, con conseguenti danni per non poter entrare ed uscire dal Mercato in maniera tempestiva.
Quali azioni intraprendere per tutelarsi ? per evitare danni ( perdite per non poter operare) e soprattutto per ritornare in possesso delle somme depositate sui conti ? .
che ,si ripete, furono a suo tempo intestati solo formalmente alla moglie?.
Si può agire anche in sede civile che penale per riottenere le somme depositate?”
Consulenza legale i 15/02/2021
Da un punto di vista civilistico, la questione va risolta alla luce di una norma specifica, l’art. 219 c.c., rubricato appunto “prova della proprietà dei beni”. Il primo comma della norma in esame attribuisce, infatti, a ciascun coniuge il potere di provare “con ogni mezzo”, nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene.
Il secondo comma dell’articolo in commento stabilisce, peraltro, che i beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.
Secondo Cass. Civ., Sez. II, 15/02/2010, n. 3479, “in applicazione dell'art. 219 c.c. i beni mobili - ivi comprese le somme di denaro - di cui ciascun coniuge non può dimostrare la proprietà esclusiva devono essere, in sede di separazione, divisi pro quota. Qualora, quindi, nonostante il raggiungimento della prova circa la partecipazione di entrambi al soddisfacimento delle esigenze familiari e, nello specifico, alla creazione di riserve finanziarie, il coniuge non sia in grado di dimostrare con esattezza l'entità del proprio contributo, il giudice, sulla scorta del mancato superamento di detta presunzione semplice di comproprietà, non potrà che provvedere nel senso di una divisione pro quota delle somme di denaro oggetto di controversia”.
Dunque, anche a fronte del dato formale dell’intestazione della titolarità del conto, ciascun coniuge è ammesso a fornire la prova contraria, dimostrando che il conto è stato alimentato esclusivamente con denaro proprio, oltre all’accordo sottostante (per evitare che la moglie possa sostenere si tratti di una donazione indiretta).
Naturalmente, quanto detto sin qui riguarda semmai la restituzione delle somme di cui, di fatto, la moglie si è ora appropriata. Per il problema più immediato, legato alla impossibilità di operare sui predetti conti, potrebbe teoricamente prendersi in considerazione l'ipotesi di un sequestro giudiziario ai sensi dell'art. 670 c.p.c., il quale prevede, al n. 1), che il giudice possa autorizzarlo, relativamente a beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea.
Tuttavia, l'ammissibilità del sequestro giudiziario di somme di denaro è tutt'altro che pacifica, anzi è stata per lo più esclusa, soprattutto dalla giurisprudenza, in ragione della natura di bene fungibile del denaro: si veda ad esempio Tribunale Rossano, 15/02/2013 ("lo strumento del sequestro giudiziario, ai sensi dell'art. 670, n. 1, c.p.c., la cui finalità è quella di assicurare l'utilità pratica di un futuro provvedimento restitutorio e la fruttuosità della sua esecuzione coattiva mediante la consegna o il rilascio forzato di quegli stessi beni sui quali è stato autorizzato e posto il vincolo e della cui titolarità si controverte, può essere autorizzato solo nella misura in cui ha ad oggetto beni infungibili e non crediti o somme di denaro e, dunque, non può avere ad oggetto una ragione di credito su somme di danaro, non essendo configurabile, in linea generale, rispetto ai diritti di credito una controversia sulla proprietà o sul possesso, e non essendovi ragione di prevedere una loro custodia o gestione temporanea, o di garantire una successiva esecuzione specifica per consegna").
In alternativa, può valutarsi l'ipotesi di un ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Si tratta, comunque, di una possibilità da verificare con la massima cautela ed accortezza, dovendosi dimostrare in maniera rigorosa non solo il fumus boni iuris, cioè la probabile fondatezza delle proprie pretese, ma anche il periculum in mora, ovvero il pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile, tale da non consentire di attendere i tempi di un giudizio ordinario.
Dal punto di vista penale, rispondere al quesito non è semplice in quanto vi sono diverse varianti da considerare.
La prima è che il conto risulta essere tecnicamente intestato alla (ex) moglie e, pertanto, dal punto di vista formale questa non sta facendo altro che esercitare il suo diritto – legittimo – di disporre a proprio piacimento dello stesso, stabilendo anche chi possa operarvi.
Dal punto di vista concreto, invece, la situazione è ben diversa in quanto la sostanza del conto è composta da denaro appartenente all’ (ex) marito sul quale, però, questi non ha alcun potere formale.
Ora, occorre vedere quale tra questi due aspetti assume prevalenza.
Stando alla giurisprudenza, è possibile affermare che ciò che conta è la sostanza e, dunque, la reale appartenenza del denaro depositato sul conto.
In casi simili, invero, la Cassazione si è pronunciata nel senso che sussiste appropriazione indebita laddove a carico del cointestatario di un conto corrente bancario il quale, pur se facoltizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza, in base al criterio stabilito dagli artt. 1298 e 1854 cod. civ., secondo cui le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali (Cass. pen. Sez. II Sent., 20/04/2010, n. 16655).
Ora, vero è che il caso di specie è diverso, ma è altresì vero che tale massima dà conto del fatto che l’utilizzo di un conto deve riguardare solo la parte di propria spettanza, non essendo dirimente il dato formale dell’intestazione per disporne oltre.
Sulla base di tale massima, è possibile affermare che, nel caso sottoposto all’attenzione, può sussistere il reato di cui all’art. 646 del codice penale.
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che l’art. 649 del codice penale, stabilisce che l’appropriazione indebita (e altri reati) non è punibile laddove la condotta sia stata posta in essere in danno del coniuge non legalmente separato.
Dunque, nel caso di specie, la condotta può essere punibile solo se posta in essere dopo la separazione dei coniugi; diversamente, l’applicazione dell’articolo menzionato impedisce di attribuire rilevanza penale a quanto commesso.

Daniele V. chiede
lunedì 20/01/2020 - Sicilia
“Salve, mi sto separando da mia moglie con cui ero sposato in regime di separazione dei beni, non abbiamo figli e quindi il giudice non ha assegnato la casa coniugale limitandosi a dire che seguirà l'ordinario regime dominicale, casa che comunque mia moglie ha ricevuto in donazione dai genitori allo stato grezzo e che io a mie spese ho rifinito.
I mobili e gli elettrodomestici acquistati da me (dimostrabile con fattura e prova di pagamento) quando potrei avere diritto di chiederli indietro? Devo attendere il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, o viene anticipato al momento in cui, nella separazione giudiziale, il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati? (considerando le modifiche dell art 191 cc del 2015)
E come potrei procedere dato che lei si rifiuta?
Al momento vi è stata già la prima udienza ed il giudice ci ha autorizzati a vivere separati...”
Consulenza legale i 29/01/2020
Occorre subito precisare che è improprio il riferimento all’art. 191 del c.c., il quale disciplina lo scioglimento della comunione legale tra coniugi, dal momento che, nel nostro caso, i coniugi stessi hanno scelto il regime della separazione dei beni.
Ora, ai sensi dell’art. 215 del c.c., in tale ipotesi ciascuno di essi conserva la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio.

L’art. 219 del c.c. dispone che il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di un bene; se nessuno dei due riesce a dimostrare la proprietà esclusiva, il bene è considerato di proprietà indivisa per pari quota di entrambi.

Stando alle informazioni fornite nel quesito, il marito risulta essere in possesso di documentazione comprovante l’acquisto dei beni con denaro proprio. Pertanto, essendo stata emessa l’ordinanza presidenziale che autorizza i coniugi a vivere separati, e non essendoci peraltro figli minori, egli potrà chiedere sin d’ora la restituzione dei mobili e degli elettrodomestici senza dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza che definirà il giudizio di separazione.

Si consiglia, visto l’atteggiamento non collaborativo della moglie, di inviare a quest’ultima una raccomandata A.R., contenente l’elenco dettagliato dei beni di cui si può provare la proprietà esclusiva, chiedendo di concordare tempi e luoghi per accedere all’immobile e prelevare i beni stessi.
In caso di mancata risposta o di rifiuto, diverrà inevitabile rivolgersi ad un legale.

Nives chiede
domenica 27/02/2011 - Lazio

“Mio marito ha provveduto a restaurare la casa in cui abitiamo esclusivamente con i suoi soldi (e lo può dimostrare) ed ora in corso di separazione vorrebbe detrarre la somma da lui spesa per il restauro dal 50% della casa che mi spetta.
Lo può fare?”

Consulenza legale i 28/02/2011

Si risponde al caso di specie citando una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 13259 del 2009).

Il coniuge che, in costanza di matrimonio, abbia provveduto a proprie spese ad eseguire migliorie od ampliamenti dell'immobile di proprietà esclusiva dell'altro coniuge ed in godimento del nucleo familiare, in quanto compossessore ha diritto ai rimborsi ed alle indennità contemplate dall'art. 1150 del c.c. in favore del possessore, nella misura prevista dalla legge a seconda che fosse in buona o mala fede, mentre va esclusa l'invocabilità dell'art. 936 del c.c., in tema di opere fatte da un terzo con materiali propri, difettando nel compossessore il requisito della terzietà”.

La normativa che prevede il rimborso delle spese sostenute per la manutenzione o la ristrutturazione ovvero la corresponsione di un indennizzo per l'apporto di migliorie, prevede anche il conseguente diritto alla ritenzione del bene sino al soddisfacimento del relativo credito, se il possesso è stato di buona fede art. 1152 del c.c..


Oriana R. chiede
venerdì 19/03/2021 - Piemonte
“Buongiorno
ho quesiti su separazione giudiziale in corso dal 2016. Concordo se occorre pagare di più per una consulenza completa alle mie domande - previo preventivo - grazie.
Nel 2020 ho avuto finalmente la sent. di separ. SENZA ADDEBITO per lui da me richiesta ma con assegno di mant. per me e per i figli. La casa purtroppo è in alternanza 15 gg per ciascuno e questo già dai provvedimenti provvisori. HO due figli ora maggiorenni (con provv. provvisorio uno dei due era minorenne). La casa è il nodo fondamentale. Villa indipendente con 2 particelle catastali (1 da 250 mq int a mio ex marito e 1 da 50 mq + garage int. a me - regime separaz. beni). L'intestazione allora era "fittizia" solo per beneficio fiscale visto che io ero in attesa di vendere la mia casa, ma chiaramente lui adesso rivendica piena proprietà. HO fatto causa e ho perso anche in appello nonostante io abbia dimostrato tutti i miei apporti economici. Adesso lui ha chiesto appello alla separazione (udienza a maggio 2021) dove chiede azzeramento alimenti per figli maggiorenni (uno lavora a t.d. e l'altro no), azzeramento alimenti verso di me e rientro nella CASA che è di sua proprietà. Io attualmente abito sotto nei miei 50mq e averlo sopra sarà un inferno tanto che lui arriverà con la sua "donnina" di turno e farà scappare i ragazzi. I miei quesiti sono questi:
- gli impianti sono COMUNI e io voglio renderli autonomi (lui si è sempre rifiutato anche nell'altra causa ma si lamenta di pagare le bollette al 50%) - chiaro che io non pagherò più per i suoi 250 mq. Quindi posso installare una mia caldaia, dividere impianto elettrico e idrico rendendo la mia abitazione INDIPENDENTE (nonostante purtroppo ci siano un sacco di beni in comune (terreno - balcone - caldaia, ecc.)? Come devo fare legalmente? Così io potrò affittare la mia parte o venderla.
- i mobili che sono nella sua casa di 250mq sono stati acquistati quasi tutti da me negli ultimi 20 anni e chiaramente se il GIUDICE dirà che lui può rientrare nella sua casa io non voglio lasciarglieli. Come faccio a portarli via? Devo dimostrare con assegni e fatture che ho pagato io? Devo avvisarlo che toglierò i mobili prima che lui rientri?
- se dalla sentenza di appello emerge che lui deve rientrare quanto tempo avrò io per togliere le mie cose?
- posso fare in modo che lui non rientri con un'altra donna in casa visto che ci saranno i ragazzi ancora ad abitare li oppure no?
- inutile dire che durante l'alternanza lui ha fatto assenze continue, non si è mai occupato dei ragazzi, mai preparato cene/pranzi e soprattutto con uno da 5 mesi non rivolge neanche più la parola e lui viene sempre da me al piano di sotto.
La casa è sempre sporca e non ha mai pagato le spese straordinarie intervenute in questi anni e che invece ho dovuto pagare io. In appello lui ha chiesto di tenere i ragazzi tanto la mamma è solo al piano di sotto e di avere anche un assegno per loro, ma è possibile? È possibile che lui richieda indietro tutti i soldi che mi ha dato sinora per me e per loro?
- inoltre dal 2016 lui mi deve i soldi dei ragazzi nella misura del 70%, chiesti più volte da me e dal mio legale ma mai dati. Devo fare ennesimo atto di decreto ingiuntivo per averli? Sono passati 5 anni non cadono in prescrizione?
Scusate le tante domande ma voglio essere preparata a una sentenza che sicuramente avendo figli maggiorenni e non essendo titolare della casa dovrò soccombere, ma voglio tutelarmi per i mobili, lampadari e altre cose da me pagate e soprattutto per gli impianti da rendermi autonoma.
Attendo vs. preventivo per le risposte del caso. Grazie
cordiali saluti.”
Consulenza legale i 26/03/2021
Rispondiamo alle numerose domande nello stesso ordine in cui sono state poste.
Iniziamo col dire che è sicuramente possibile, a seguito della divisione dell'immobile in due unità abitative appartenenti a distinti proprietari, rendere autonomi gli appartamenti; anzi, in alcuni casi è proprio la normativa di settore (come per l’impianto idrico) che impone contatori separati per proprietà separate.
A ciò si aggiunga che, ad esempio, il nuovo testo dell’art. 1118 c.c. consente espressamente il distacco del condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento.
Rimane fermo l’obbligo di contribuire pro quota alle spese riguardanti le parti rimaste di proprietà comune (nel quesito non si parla solo della problematica degli impianti, ma si accenna anche al terreno e a terrazze e balconi; naturalmente la verifica della suddivisione di eventuali spese va fatta caso per caso, accertando anche la natura effettivamente comune della parte in questione).
Quanto ai mobili presenti nella ex casa coniugale, risulta dal quesito che il regime patrimoniale è quello della separazione dei beni.
La norma cui fare riferimento è costituita dall’art. 219 c.c., che consente a ciascun coniuge di provare con ogni mezzo, nei confronti dell'altro, la proprietà esclusiva di un bene. Naturalmente, è necessario dimostrare di aver effettuato il relativo acquisto: il secondo comma della norma, infatti, precisa che, se nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva di un bene, questo è considerato di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.
Tale disposizione, secondo la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. I, 18554/2013), riguarda proprio le controversie relative a beni mobili.
Quanto alle modalità di asporto dei mobili, sarà bene avvisare il coniuge, nonché concordare con lui l’accesso all’immobile per il ritiro qualora nel frattempo sia stata revocata l’assegnazione della casa familiare.
Nel caso in cui la sentenza di appello, da emettersi nel giudizio di separazione, effettivamente revochi l’assegnazione della casa alla moglie (ipotesi tutt’altro che scontata, ma su cui non disponiamo di ulteriori elementi non conoscendo gli atti del processo), la Cassazione ha stabilito che “nel giudizio di separazione dei coniugi, il provvedimento che ordina la revoca dell'assegnazione della casa familiare, ancorché privo della condanna per il coniuge ex affidatario all'allontanamento, costituisce comunque titolo esecutivo per il rilascio dell'immobile” (Sez. III Civ., sentenza 31/01/2012, n. 1367).
Dunque, quanto all’obbligo di liberare l’immobile, la sentenza è esecutiva fin dalla sua pubblicazione. Tuttavia, anche qualora il coniuge inizi una procedura esecutiva per il rilascio dell’immobile, viene dato un certo tempo all’altro per “organizzarsi”: è prevista, innanzitutto, come in ogni procedimento di esecuzione forzata, la notifica di un atto di precetto, con cui si dà un termine non minore di dieci giorni (art. 480 c.p.c.).
Inoltre, anche decorsi i dieci giorni dalla notifica del precetto, non si procede immediatamente a liberare l’immobile, ma si concede un ulteriore preavviso (attraverso la notifica di un atto chiamato, appunto, preavviso di rilascio, ex art. 608 c.p.c.).
Ad ogni modo, nella pratica di solito si concordano tra le parti tempi e modi del rilascio, prima di arrivare a procedere tramite ufficiale giudiziario.
Quanto alla domanda successiva (se si possa impedire al coniuge separato di condurre, in quella che diventerebbe la propria abitazione, una nuova compagna), la risposta è negativa, tanto più che i figli sono ormai maggiorenni.
Le domande seguenti riguardano la “collocazione” dei figli, la richiesta da parte del coniuge di un assegno di mantenimento e l'ammissibilità di una richiesta di restituzione, sempre da parte del marito.
Ma andiamo con ordine.
Non è possibile rispondere qui sulla richiesta relativa alla collocazione dei figli, né su quella relativa alla domanda di assegno di mantenimento, in primo luogo perché non si conoscono gli atti del giudizio (domande ed eccezioni delle parti, prove svolte e documenti prodotti, eventuali provvedimenti del giudice, ecc.), né disponiamo in questa sede di tutte le altre informazioni necessarie, soprattutto quelle riguardanti la situazione economica e reddituale di ciascun coniuge.
Si tenga però presente che i figli sono maggiorenni e saranno loro e non un giudice a decidere con quale dei genitori convivere, o di abitare altrove quando saranno economicamente autosufficienti.
Quanto alla paventata richiesta di restituzione di “tutti i soldi” dati finora per la moglie e per i figli, il quesito non è molto chiaro: se, infatti, si intendono le somme spese durante il matrimonio per il mantenimento della famiglia, esse non sono assolutamente ripetibili (cioè non ne può essere chiesta la restituzione), in quanto spese sostenute in adempimento dei doveri familiari (si vedano gli artt. 143 e 147 c.c.).
Se, invece, ci si riferisce alla eventuale revoca (anche parziale) di assegni di mantenimento già corrisposti, la Cassazione (Sez. VI - 1 Civ., ordinanza 16/09/2019, n. 23024) ha precisato che “la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione”.
Quindi, se si tratta di “soldi già dati” (per usare l’espressione contenuta nel quesito), appare estremamente improbabile che il marito possa ottenerne la restituzione (tanto più che la preoccupazione espressa nel quesito riguarda addirittura la totalità delle somme).
Per finire, se il marito, purtroppo, continua a non pagare la propria quota di spese straordinarie (così interpretiamo la domanda, dal momento che si parla della percentuale del 70%), occorre procedere o sulla base di decreto ingiuntivo o - in ipotesi limitate - direttamente in via esecutiva sulla base della sentenza, secondo il distinguo operato da Cass. Civ., Sez. III, sentenza 23/05/2011, n. 11316: “il provvedimento con il quale in sede di separazione personale fra i coniugi sia posto a carico del genitore, ex art. 155, comma 2°, c.c., l'obbligo di contribuire, sia pure pro quota, alle spese straordinarie relative ai figli non costituisce titolo esecutivo e, in caso di mancata ottemperanza dell'obbligato, richiede un ulteriore intervento del giudice volto ad accertare l'effettiva sopravvenienza ed entità degli specifici esborsi cui si riferisce la condanna. Tale principio non vale in relazione alle spese mediche e scolastiche ordinarie, il cui esborso deve considerarsi normale, secondo nozioni di comune esperienza; in tali ipotesi, il provvedimento costituisce titolo esecutivo e la determinazione del credito è rimessa al creditore procedente, il quale può provvedervi allegando idonea documentazione di spesa rilasciata da strutture pubbliche, ovvero da altri soggetti che siano specificamente indicati nel titolo o concordati preventivamente tra i coniugi”.
Normalmente, comunque, la strada seguita è quella del decreto ingiuntivo.
Quanto al termine di prescrizione, il rimborso delle spese in parola deve ritenersi soggetto alla prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.); infatti la prescrizione quinquennale (art. 2948 c.c.) opera con riferimento alle prestazioni di natura periodica, come avviene appunto per le singole mensilità dell’assegno di mantenimento (che vengono appunto corrisposte a scadenze fisse).

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