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Articolo 324 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Usufrutto legale

Dispositivo dell'art. 324 Codice Civile

(1)I genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno in comune l'usufrutto(2) dei beni del figlio [261], fino alla maggiore età o all'emancipazione.

I frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e all'istruzione ed educazione dei figli [147].

Non sono soggetti ad usufrutto legale:

  1. 1) i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio lavoro(3);
  2. 2) i beni lasciati o donati [769] al figlio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione;
  3. 3) i beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale o uno di essi non ne abbiano l'usufrutto: la condizione però non ha effetto per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima [536];
  4. 4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell'interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale [321]. Se uno solo di essi era favorevole all'accettazione, l'usufrutto legale spetta esclusivamente a lui.

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 147 della L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) L'usufrutto legale dei genitori qui esposto (sensibilmente diverso dall'usufrutto di cui all'art. 978 del c.c., essendo ben più ampi i poteri di amministrazione dei genitori) è previsto nell'interesse complessivo della famiglia (così Capozzi); è un diritto reale di godimento che ha ad oggetto tutti i beni che fanno parte del patrimonio del minore o vi entrano successivamente.
(3) Nei proventi e beni acquisiti grazie all'attività del figlio sono da ricomprendere i redditi derivanti dall'attività lavorativa svolta dallo stesso in maniera autonoma come anche in maniera subordinata (anche alle dipendenze degli stessi genitori). Gli interessi sul capitale spettano al genitore sino al compimento della maggiore età da parte del figlio.

Ratio Legis

La ratio della disciplina consiste nella tutela dei figli, soggetti più deboli in ambito familiare: mediante l'usufrutto legale (che ha natura di ufficio di diritto privato o - secondo la miglior dottrina - di diritto reale di godimento) si garantiscono l'istruzione e l'educazione dei figli, nonché il parziale sostentamento della famiglia.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 324 Codice Civile

Cass. civ. n. 2257/1998

In tema di fallimento di un soggetto minore di etā, l'acquisizione alla procedura concorsuale di un bene appartenente al minore, e sul quale veniva esercitato, dal genitore esercente potestā, il diritto di usufrutto ex lege, comporta la automatica estinzione dell'usufrutto stesso, quale effetto della cessazione dell'appartenenza del bene al minore.

Cass. civ. n. 5649/1984

Gli interessi su capitale del figlio minore, come in genere i frutti dei beni del medesimo, spettano al genitore esercente la potestā, ai sensi dell'art. 324 c.c. Pertanto, deve escludersi che il figlio, divenuto maggiorenne, sia legittimato ad agire per il pagamento dei suddetti interessi inerenti al periodo antecedente al raggiungimento della maggiore etā.

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Consulenze legali
relative all'articolo 324 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

R. S. chiede
lunedė 06/06/2022 - Lazio
“Buongiorno, io e la mia ex-compagna more uxorio abbiamo convissuto fino a febbraio 2021 e dalla nostra relazione sono nate due bambine che ora hanno 9 e 11 anni per le quali pago 900 euro mensili di mantenimento. Durante la convivenza, utilizzando i nostri risparmi e accendendo due mutui cointestati abbiamo comprato ed intestato alle bambine tre immobili. Giova precisare che per procedere all'acquisto abbiamo richiesto l'autorizzazione al Giudice Tutelare il quale nel suo dispositivo non ha imposto alcun vincolo di destinazione sulle eventuali somme derivanti da canoni di locazione. Appena acquistati, questi tre immobili sono stati concessi in locazione: in due casi il locatore sono io mentre nel terzo la mia ex-compagna. Fino a quando la convivenza era in essere, il semplice fatto che due contratti di locazione fossero intestati a me e uno alla mia ex-compagna non costituiva alcun problema visto che tutto il ricavato veniva indistintamente utilizzato per ripagare i due mutui sottostanti e per le esigenze della famiglia. Il problema è nato con il suo allontanamento volontario dalla residenza comune in quanto la stessa, senza preavviso, ha sostanzialmente svuotato il conto corrente cointestato dal quale venivano prelevate le rate dei mutui, costringendomi a dirottare sia l'addebito delle rate di mutuo che l'accredito dei canoni di locazione a me intestati su un mio conto personale al fine di scongiurare l'iscrizione in Centrale Rischi. Recentemente, sempre senza il suo consenso, ho chiuso del tutto detto conto corrente in quanto il saldo residuo era di pochi euro e la stessa si è rifiutata addirittura di pagarne in quota parte le spese di gestione. E' ora mia intenzione rivolgermi al Giudice di Pace (contenzioso inferiore ai 5000 euro) per richiedere la restituzione del 50% delle rate di mutuo da me anticipate. Ho due dubbi da sottoporvi:
1) Può la mia ex-compagna rifiutarsi di pagare la quota parte dei mutui di sua spettanza solo perché ho dirottato addebiti e accrediti sul mio conto personale senza il suo consenso anche se costretto dal suo comportamento che avrebbe potuto mettere a rischio il patrimonio immobiliare delle bambine?
2) Con la fine della convivenza, ero tenuto a restituire alla mia ex-compagna la metà dei proventi delle due locazioni delle quali sono formalmente unico locatore?
Grazie per l'attenzione”
Consulenza legale i 15/06/2022
Rispondiamo in ordine alle domande formulate.
In primo luogo, la ex compagna non può rifiutarsi di pagare la propria quota delle rate di mutuo cointestato. O meglio: nei confronti della banca, l’obbligazione di ogni mutuatario è solidale, il che significa che la banca può richiedere il pagamento dell’intera rata di mutuo anche a uno solo dei due (art. 1292 c.c). Diversamente, nei rapporti interni tra mutuatari, l’obbligazione va ripartita in base alle rispettive quote, che si presumono uguali se non risulta diversamente (art. 1298 c.c.). Chiaramente, il debitore in solido che ha pagato l'intero debito può ripetere dal condebitore la parte di quest’ultimo (art. 1299 c.c.).
Ciò premesso, qualora la ex compagna venisse convenuta in giudizio per la restituzione della metà delle rate di mutuo anticipate da chi pone il quesito, la circostanza della chiusura del conto corrente cointestato e del trasferimento dell’accredito dei canoni di locazione su altro conto potrebbe, teoricamente, essere eccepita da controparte, anche se con scarso fondamento, ma non potrebbe, ad avviso di chi scrive, “paralizzare” la domanda di restituzione. Inoltre, con riferimento alla spettanza e all'amministrazione dei canoni di locazione (pur provenienti da contratti intestati solo a chi pone il quesito), valgono le considerazioni che verrano svolte tra poco, in risposta alla seconda domanda.
Peraltro, risulta dal testo del quesito che la compagna avrebbe “svuotato” il conto cointestato, il che costituirebbe fonte di ulteriore contenzioso per la restituzione quanto meno del 50% delle somme eventualmente sottratte, sempre in base alle regole sulle obbligazioni solidali.
Passando alla seconda domanda, nel caso di convivenza more uxorio non si instaura una comunione legale dei beni come quella prevista tra coniugi; tuttavia, pur trattandosi di canoni percepiti sulla base di contratti di locazione non intestati alla ex compagna, occorre tenere presente che gli immobili in questione sono intestati alle figlie, e che i corrispettivi della locazione vanno gestiti secondo le regole sull’amministrazione dei beni dei figli, di cui agli artt. 320 e ss. c.c.
In particolare, l'art. 324 c.c. stabilisce che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno in comune l'usufrutto dei beni del figlio, fino alla maggiore età o all'emancipazione, e che i frutti percepiti sono destinati sia al mantenimento della famiglia (che nel nostro caso si è disgregata), sia all'istruzione ed educazione dei figli. I canoni di locazione sono appunto frutti civili (art. 820 c.c.).

Cesare M. chiede
domenica 03/08/2014 - Sicilia
“Sono proprietario di 1/2 di un appartamento, dello altro 1/2 sono nudo proprietario,in quanto gravato da usufrutto di mia madre. Mia madre e'invalida al 100/100 con diritto allo assegno di accompagnamento mensile in quanto affetta da demenza senile, ed in atto non e' in grado di esprimere alcuna volontà ne' tantomeno di apporre una firma. Cosa posso fare per vendere la casa e corrisponderle il valore dello usufrutto ricavato. Mia madre ha 87 anni.”
Consulenza legale i 05/08/2014
Nella situazione descritta appare necessario far dichiarare l'interdizione dell'anziana signora e nominare un tutore che curi gli interessi, anche patrimoniali, della donna.
Si parla di interdizione giudiziale quando una persona si trovi affetta da tale abituale infermità di mente, che ciò la renda incapace di provvedere ai propri interessi. L'interdizione comporta la generale incapacità della persona circa i negozi patrimoniali (es. compravendita di immobili) o familiari (es. riconoscimento di un figlio): un tutore la deve rappresentare in tutti gli atti in cui la rappresentanza è ammessa.
Il procedimento di nomina del tutore rientra tra quelli di volontaria giurisdizione, in quanto si tratta di una procedura che non presuppone una lite tra le parti, ma che si limita a regolamentare un rapporto privato che presenta anche un interesse pubblico, e che per questo deve essere seguito e amministrato da un soggetto terzo (un giudice).
Quanto alla disciplina, si devono guardare gli articoli 414 ss. c.c. e gli artt. 712 ss. c.p.c.
Le persone che possono presentare il ricorso per la nomina del tutore sono, tra le altre, i parenti entro il quarto grado (art. 417 del c.c.): quindi, sicuramente il figlio della persona da interdire.
Il tutore viene scelto dal giudice tra coloro che meglio possono curare gli interessi dell'interdicendo. E' assolutamente comune che la scelta cada sugli stretti familiari dell'infermo.
La domanda per interdizione si propone con ricorso diretto al tribunale del luogo dove la persona nei confronti della quale è proposta ha residenza o domicilio. Nel ricorso debbono essere esposti i fatti sui quali la domanda è fondata e debbono essere indicati il nome e cognome e la residenza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado e, se vi sono, del tutore o curatore dell'interdicendo o dell'inabilitando.
Il presidente del tribunale ordina la comunicazione del ricorso al pubblico ministero. Se questo non gli chiede di rigettare la domanda (ciò avviene solo in casi estremi), il presidente nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione davanti a lui del ricorrente, dell'interdicendo e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili.
All'udienza, il giudice istruttore, con l'intervento del P.M., deve procedere all'esame dell'interdicendo, può sentire il parere delle altre persone citate, interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione e può disporre anche d'ufficio l'assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti nell'art. 419 del c.c.
Una volta pubblicata la sentenza che dichiara l'interdizione della persona inferma e nomina il suo tutore, questi può compiere gli atti di disposizione del patrimonio dell'interdetto.
Per procedere alla vendita dell'appartamento su cui la madre ha l'usufrutto, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione, è necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare, che valuta da un punto di vista neutrale che siano rispettati gli interessi dell'interdetto (nel caso di specie, l'interesse sarà quello di monetizzare il proprio diritto reale di usufrutto per far fronte a spese mediche, di ricovero, etc.).
Ottenuta l'autorizzazione, il figlio-tutore potrà concludere la compravendita per conto della madre usufruttuaria.