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Sezione II - Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Dei vizi del consenso

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)
173 Il progetto della Commissione reale fu criticato perché non si occupò né della riserva mentale né della dichiarazione non seria; ma, a mio avviso, occorre riconfermare il bando dal codice ai due argomenti.
Posto che, come dirò in seguito, il dogma della volontà deve cedere al principio della dichiarazione e dell'affidamento che da questa deriva, sembra ovvio che un problema della efficienza della riserva mentale non ha più ragione di essere. La riserva mentale vive nell'intimo della volontà, non si esterna, e non può far parte degli elementi costitutivi di quel comportamento apprezzabile dai terzi, di cui consta la dichiarazione di volontà: soltanto in un sistema imperniato sulla prevalenza dell'intento è legittima la ricerca dei limiti in cui la mancanza dell'intenzione di obbligarsi prodotta darla riserva puo essere causa di nullità del vincolo.
E' compito, poi, della dogmatica affermare che la dichiarazione non ha efficacia giuridica se è priva di serietà: la legge può trascurare il fenomeno della dichiarazione fatta per scherzo o a titolo di esemplificazione didattica, perché è nozione comune la sua inefficienza obbligatoria.
Così non ho nemmeno accennato alla violenza fisica, che fa mancare la stessa volontà della dichiarazione, e che ovviamente non si è intesa escludere come causa di inesistenza del contratto.
174 Ampio sviluppo, invece, ho dato alla materia dei vizi che derivano dall'errore, dalla violenza morale e dal dolo. Essi evidentemente possono agire, sia sulla dichiarazione di volontà, sia sull'intento, escludendoli o deformandoli.
Cardine della costruzione positiva concernente la rilevanza dell'errore deve essere, a mio parere, non soltanto l'essenzialità di esso secondo il criterio tradizionale, ma anche la sua riconoscibilità (art. 198).
Questa base costruttiva discende anzitutto da soluzioni già accolte nel primo libro del codice civile, ormai in vigore. Quivi all'art. 422 si assoggetta l'annullamento dei contratti per incapacità naturale al presupposto della mala fede dell'altro contraente; e questa malafede deve risultare, o dal pregiudizio che ne deriva all'incapace, o dalla qualità del contratto o da altre circostanze (il codice dice "altrimenti"), e quindi dalla conoscenza o dalla riconoscibilità della incapacità naturale. Se, di fronte alla persona non sana di mente, solo la manifestazione della incapacità può portare all'annullamento del contratto, una ragione di coerenza sistematica impone di subordinare la rilevanza dei vizi del volere alla possibilità di conoscenza che ne abbia avuto l'altro contraente.
L'estremo della riconoscibilità dell'errore si deve poi porre perché esclude una ragionevole fiducia nella corrispondenza tra volontà e dichiarazione, là dove l'errore che non appare suscita aspettative degne della massima tutela perché formatesi di buona fede. Nel conflitto fra due interessi in contrasto, deve darsi prevalenza all'affidamento sulla validità del contratto dato dal significato che è possibile attribuire in buona fede alla dichiarazione, anche perché il rischio di ogni affare deve ricadere sulla parte che ha sbagliato, sia pure senza colpa, nell'esprimere la sua volontà, anziché sull'altra che non poteva per nulla prevedere una discordanza tra l'intento e la manifestazione di esso. Se però riconoscibilmente, la dichiarazione deve ritenersi non voluta, non può esservi un'aspettativa da tutelare, perché il destinatario della dichiarazione sapeva che mancava nel dichiarante la volontà diretta all'effetto; e una tutela dell'affidamento dato del valore obiettivo della manifestazione, proteggerebbe la mala fede del destinatario della dichiarazione.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
652 Si è affermato che i vizi del consenso non inducono nullità ma solo annullabilità del contratto per condurre sotto la tutela del diritto rapporti posti in essere in modo non regolare, se la parte interessata sia disposta a tollerarli rinunciando all'impugnativa (art. 1442 del c.c.) ovvero se la controparte offra di rettificare le condizioni del contratto e di darvi esecuzione (art. 1432 del c.c.). L'errore si raffigura come causa di annullabilità anche quando, secondo la terminologia corrente, possa qualificarsi ostativo (art. 1429 del c.c. e art. 1433 del c.c.). Già la distinzione fra l'errore che determina una divergenza fra la dichiarazione e la volontà, e l'errore che vizia la formazione della volontà dichiarata, è difficilmente riconducibile alla tradizione romanistica. Non sempre accolta dalla dottrina moderna, per quanto passata nella pratica della giurisprudenza, la distinzione non giustifica il diverso trattamento delle due ipotesi, perchè la dichiarazione esiste in re anche quando sia affetta da errore ostativo, ed essa in tal caso può provocare ugualmente affidamenti di buona fede, le cui conseguenze devono essere salvaguardate. L'effetto giuridico della dichiarazione non può ritenersi subordinato alla corrispondenza tra dichiarazione e volontà, se il contenuto della dichiarazione deve ricercarsi nell'esteriore contegno del dichiarante e nelle circostanze che lo accompagnano; donde, non soltanto si richiede l'essenzialità dell'errore come condizione perchè il vizio possa farsi valere, ma, almeno per i contratti, anche la sua riconoscibilità (1423, 1429 e [n[1431cc]]). Il requisito dell'essenzialità dell'errore viene determinato dal nuovo codice con riguardo a criteri obiettivi (art. 1429 n. 2) in armonia alla tutela dell'affidamento cui si ispira, la nuova disciplina dell'interpretazione (n.624): l'errore deve essere motivo oggettivamente determinante il consenso in conformità alle concezioni che dominano nella coscienza generale e al comune apprezzamento della materia in questione. Il codice fa, a proposito dell'errore essenziale, un'elencazione che ha riguardo ad ipotesi tipiche e che quindi non esprime concetti tassativi. Altri casi di essenzialità potranno essere rilevati dall'interprete, in relazione a singole ipotesi di fatto, quando queste abbiano le medesime caratteristiche delle ipotesi previste dalla legge, per guisa che possano elevarsi fino all'importanza giuridica di queste. Quanto al requisito della riconoscibilità, esso si è imposto per la considerazione che l'errore occulto del dichiarante non deve turbare le aspettative del destinatario fondate sulla dichiarazione. La buona fede del destinatario non deve essere sacrificata alle esigenze di un intento che non fu palesato, e che perciò non potè essere preso in considerazione dalla controparte nella valutazione complessiva del contegno del dichiarante. Sarebbe incoerente ammettere che, pur attraverso il mezzo di una pronuncia giudiziale, sia fatto valere in qualche modo un intento non esteriorizzato, se la sicurezza del credito e degli scambi ha imposto di dare rilevanza giuridica solo all'affidamento creato dal significato che socialmente può darei alla dichiarazione, nel quale soltanto si concreta e vive l'unico intento che il diritto riconosce e tutela. Riconoscibilità dell'errore non significa però evidenza del medesimo; ma è un grado di apparenza da adeguarsi agli svariati casi pratici. Perciò l'art. 1431 del c.c. pone il concetto di riconoscibilità in una sfera relativa, che in concreto si costituisce con riferimento al contenuto del contratto, alle circostanze in cui esso giunge a perfezione e allo qualità dei contraenti. Ma un'altra caratteristica riveste il concetto di errore riconoscibile. La sua apparenza deve essere tale che possa essere rilevata da una persona di normale diligenza e senza richiedere indagini maggiori di quelle che tale persona suole fare per individuare la volontà dell'altra parte. Da tal profilo la scusabilità cambia di incidenza, e passa dal soggetto che ha emesso la dichiarazione viziata, al destinatario di questa; muta anche oggetto, perchè non si riferisce alla formazione dell'errore, ma alla sua mancata scoperta.