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Sezione IV - Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Del diritto di accrescimento

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
325 Il progetto definitivo aveva soppresso l'istituto dell'accrescimento ritenendolo fondato sopra un'artificiosa presunzione di volontà del testatore. Ma la soppressione è stata accolta sfavorevolmente. Si è rilevato che l'istituto, criticato soltanto da qualche scrittore e conservato quasi in tutti i codici moderni, è giustificato, oltre che da una fondata presunzione della volontà del testatore, da profonde ragioni di carattere economico, in quanto può utilmente concorrere a impedire il frazionamento della proprietà. Tale avviso mi ha indotto a conservare l'istituto. Ma, pur conservandolo, non ho potuto accettare la disciplina che era stata predisposta dal progetto preliminare. E' vero che la regolamentazione data dal codice del 1865, è ritenuta eccessivamente formalistica; ma, nell'attenuare il rigore formale, non si può prescindere da taluni requisiti essenziali della congiunzione nella chiamata senza distruggere o rendere quanto meno incerta quella presunzione di volontà che sta a base dell'accrescimento. I1 progetto preliminare, nell'intento di temperare il formalismo del codice, aveva ammesso all'accrescimento tanto se la vocazione congiuntiva fosse fatta senza determinazione di parti, quanto se fosse fatta con determinazione di parti, sia uguali, sia disuguali. Questo criterio di larghezza non mi è sembrata giustificato, poiché, quando le quote dei diversi chiamati sono disuguali, viene meno il fondamento razionale dell'accrescimento. Pertanto, senza seguire i criteri informatori del progetto preliminare, ho sottoposto a revisione la disciplina dettata dal codice del 1865, ispirandomi al concetto di attenuarne le asprezze formali, nei limiti consentiti dalla necessità logica di non distruggere o alterare la base dell'accrescimento. Rendo conto delle innovazioni apportate trattando separatamente dell'accrescimento tra coeredi e di quello fra collegatari. E' noto che l'accrescimento fra coeredi è ammesso dal codice del 1865 quando ricorre quel complesso di requisiti formali che la dottrina ha sinteticamente indicato con l'espressione «coniunctio re et verbis». Occorre, cioè, che i diversi chiamati siano stati istituiti con uno stesso testamento e con una sola e stessa disposizione, senza che il testatore abbia fatto tra essi distribuzione di parti. Ho anzitutto attenuato il primo requisito formale, stabilendo che, ai fini dell'accrescimento, è necessaria la chiamata col medesimo testamento, senza richiedere altresì l'unità della disposizione. Inoltre, per quanto concerne l'altro requisito della distribuzione delle parti, ho voluto eliminare una certa incongruenza a cui dà luogo il sistema formalistico vigente. Secondo il codice del 1865, se il testatore assegna le parti in termini generici, come «in parti uguali» o «in uguali porzioni», ha luogo l'accrescimento; se viceversa il testatore, pur facendo una parità di posiziona ai diversi chiamati, determina aritmeticamente le quote, l'accrescimento è escluso. Questa distinzione è arbitraria, poiché tanto nell'uno quanto nell'altro caso il testatore intende assicurare una perfetta uguaglianza di trattamento ai diversi chiamati, sia pure con forme diverse di manifestazione della sua volontà, e ciò deve bastare perché operi l'accrescimento. In definitiva l'art. 674 del c.c. ammette l'accrescimento fra coeredi quando essi sono stati istituiti con uno stesso testamento senza determinazione di parti o con determinazione, anche espressa specificamente, di parti uguali. E da notare che l'istituto viene fondato su una presunzione iuris tantum, superabile con la prova di una diversa volontà testamentaria, che possa desumersi dallo stesso testamento. In ogni caso, poi, il diritto di rappresentazione prevale sull'accrescimento. Meno sensibili sono le modificazioni apportate in tema di accrescimento tra collegatari, per il quale il codice del 1865 esigeva la forma di congiunzione "re tantum". Questo requisito è sembrato necessario e sufficiente per giustificare la presunzione di volontà, poiché, se il testatore assegna, anche con separate disposizioni, un medesimo oggetto considerato nella sua unità, a persone diverse, è logico ritenere che egli intenda attribuire l'intero oggetto a ciascuno dei legatari in mancanza degli altri. Anche l'accrescimento tra collegatari è fondato sopra una semplice presunzione, superabile con la prova contraria (art. 675 del c.c.). Non hanno bisogno di particolare illustrazione le disposizioni dell'art. 676 del c.c. e art. 678 del c.c. le quali regolano il modo in cui ha luogo l'acquisto per l'accrescimento, gli effetti di tale acquisto e l'ipotesi particolare dell'accrescimento tra collegatari di usufrutto. Tali disposizioni rispondono alla dottrina tradizionale in materia e sono riprodotte con lievi varianti dal Progetto della Commissione Reale. Ho invece nel testo coordinato, con l'aggiunta di un comma all'art. 677 del c.c. — che regola l'ipotesi della mancanza di accrescimento —, voluto chiarire principalmente che, se una disposizione testamentaria è risolta per inadempimento dell'onere, questo grava sugli eredi legittimi o sull'onerato, salvo che si tratti di onere di carattere personale.