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Articolo 530 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Sentenza di assoluzione

Dispositivo dell'art. 530 Codice di procedura penale

1. Se il fatto non sussiste [541 2, 542], se l'imputato non lo ha commesso [541 2, 542], se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile [85 c.p.] o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.

2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile(1).

3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.

4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza [537].

Note

(1) L'impossibilità di giungere ad un accertamento della colpevolezza conduce alla pronuncia di una formula che corrisponde ad un accertamento positivo dell'innocenza: ciò discende dall'esigenza di annunciare la causa dell'assoluzione nel dispositivo, come prevede il comma 1.

Ratio Legis

La norma in esame è diretta ad individuare le ipotesi di proscioglimento nel merito.

Spiegazione dell'art. 530 Codice di procedura penale

La legge delega, all'art. 2, n. 11 prevedeva l'elencazione di diverse formule di proscioglimento o di assoluzione ed aboliva l'assoluzione per insufficienza di prove contemplata invece dall'abrogato codice, equiparando la prova insufficiente o contraddittoria alla mancanza assoluta di prova.

La norma in commento, riprendendo le direttive della legge delega, elenca le formule di assoluzione tradizionali, contraddistinte da natura tassativa.

Le formule “il fatto non sussiste” e”l'imputato non ha commesso il fatto” rappresentano l'assoluzione più ampia, negando il presupposto storico dell'accusa. “Il fatto non costituisce reato” quando il fatto stesso è sì avvenuto ed è stato altresì commesso dall'imputato, ma è assente uno degli elementi tipici della fattispecie (ad es. il soggetto agente ha solo colposamente redatto un atto pubblico in maniera erronea, mentre per la configurabilità del reato è richiesto il dolo), ovvero è ritenuta esistente una causa di giustificazione.

Se l'imputato è non punibile o non imputabile, questo viene indicato nella sentenza di assoluzione, ma solo dopo che vi è stato comunque un accertamento del reato e non vi sono dubbi che sia stato commesso dal non imputabile o dal non punibile.

Si è già accennato come l'insufficienza di prove equivalga a tutti gli effetti alla mancanza assoluta di prove, mentre, per quanto riguarda la contraddittorietà della prova, tale ipotesi si riferisce al caso in cui vi siano sufficienti prove a carico dell'imputato, ma ve ne sono altre e contrapposte prove a discarico, che non consentono di ottenere quella certezza processuale espressa con la formula “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

La medesima soluzione vale anche con riferimento alla dubbia presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità. Anche il tal caso il giudice è tenuto a propendere per la sentenza di assoluzione.

Solo in tre ipotesi il giudice ha la facoltà do disporre adeguate misure di sicurezza, nonostante vi sia stat assoluzione dell'imputato: nel reato impossibile (art. 49 c.p.), nell'accordo per commettere un delitto, ma questo non venga poi commesso, nell'istigazione a commettere un delitto, quando l'istigazione non viene accolta (art. 115, commi 2 e 4 c.p.).

Massime relative all'art. 530 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 49831/2018

Sussiste l'interesse dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula "perché il fatto non costituisce reato", al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria "perché il fatto non sussiste", considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l'interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 cod. proc. pen. connettono alla seconda nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare.

Cass. pen. n. 9638/2017

La regola compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" riguarda tutte le componenti del giudizio e, pertanto, anche la capacità di intendere e di volere dell'imputato, il cui onere probatorio non è attribuito all'imputato, quale prova di una eccezione, ma alla pubblica accusa. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello, censurando il percorso logico motivazionale seguito dai giudici, che, a fronte di un quadro probatorio ritenuto incerto sull'esistenza di un vizio totale o parziale di mente dell'imputato, avevano concluso per la sussistenza quanto meno del vizio parziale di mente).

Cass. pen. n. 26109/2016

Sussiste l'interesse dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula "perché il fatto non costituisce reato", al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria "perché il fatto non sussiste", considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l'interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653, cod. proc. pen. connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare. (Fattispecie in tema di lottizzazione abusiva in cui la Corte ha ritenuto sussistente l'interesse ad impugnare, precisando che solo la formula assolutoria "perché il fatto non sussiste" preclude la via ad un possibile giudizio civile, in considerazione, nel caso concreto, della presenza delle parti civili e delle conclusioni dalle stesse rassegnate).

Cass. pen. n. 49165/2015

Per riformare "in peius" una sentenza di assoluzione, il giudice di appello non è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale per l'audizione dei testimoni ritenuti dal primo giudice inattendibili, in quanto tale adempimento non è necessario nel caso in cui, neppure in primo grado, si sia instaurato un contatto diretto tra l'autorità giudiziaria e la fonte dichiarativa. (Fattispecie in cui la Corte di appello ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado sulla ritenuta attendibilità della vittima, in precedenza sentita solo dal g.i.p. in sede di incidente probatorio).

Cass. pen. n. 2548/2015

La regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura" ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. (Fattispecie in materia di rapina e sequestro di persona, nella quale la Corte ha annullato con rinvio per un nuovo esame la sentenza del giudice di appello, che aveva assolto l'imputato sulla base di una valutazione parcellizzata del compendio probatorio, avendo ricostruito i fatti, in alternativa all'ipotesi accusatoria, senza aggancio agli elementi processuali).

Cass. pen. n. 53512/2014

Il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello.

Cass. pen. n. 28351/2013

Ai fini dell'applicazione della esatta formula di assoluzione, il giudice deve innanzitutto stabilire se il "fatto" sussiste nei suoi elementi obiettivi (condotta, evento, rapporto di causalità) e, solo in caso di accertamento affermativo, può scendere all'esame degli altri elementi (imputabilità, dolo, colpa, condizioni obiettive di punibilità, etc.) da cui è condizionata la sussistenza del reato.

Cass. pen. n. 25457/2012

In caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a sanzionare l'illecito amministrativo qualora la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41 L. 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione.

Cass. pen. n. 23627/2011

Il pubblico ministero ha interesse al ricorso per cassazione contro la sentenza d'appello che, in riforma di quella di condanna di primo grado, abbia assolto con la formula "il fatto non costituisce reato" pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato, e quindi in violazione della regola normativa della prevalenza dell'assoluzione nel merito soltanto in caso di evidenza della prova dell'innocenza, evidenza che è logicamente incompatibile con l'esistenza di una sentenza di condanna.

Cass. pen. n. 6261/2010

Il proscioglimento nel merito all'esito del giudizio, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, oltre che in caso di necessaria valutazione, in sede di appello, ai fini civilistici, del compendio probatorio, e in caso di ritenuta infondatezza nel merito dell'impugnazione del P.M. avverso una sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., anche laddove il giudice di appello debba valutare compiutamente gli elementi di prova al fine di pronunciarsi, per confermarla o revocarla, sulla confisca dei beni disposta con la sentenza di primo grado.

Cass. pen. n. 44848/2008

È illegittima, nel giudizio di rinvio, la declaratoria d'estinzione del reato per prescrizione, emessa in sede predibattimentale e senza la rituale comunicazione alla difesa dell'avviso di fissazione dell'udienza, allorché sussistano prove insufficienti e contraddittorie in ordine all'attribuibilità soggettiva del fatto, posto che ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., si deve equiparare l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi probatori alla mancanza di prove.

Cass. pen. n. 40049/2008

È inammissibile, per difetto di interesse concreto, il ricorso immediato per cassazione della parte civile, che sia diretto esclusivamente alla sostituzione della formula «perché il fatto non sussiste » con quella, corretta, «perché il fatto non costituisce reato » nella sentenza di assoluzione che abbia accertato l'esistenza della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto, in quanto detto accertamento, quale che sia la formula del dispositivo, ha efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile (o amministrativo ) di danno.

Cass. pen. n. 30402/2006

Con la previsione della regola per la quale il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli «al di là di ogni ragionevole dubbio» di cui all'art. 5 della legge n. 46 del 2006, modificativo del comma primo dell'art. 533 c.p.p., il legislatore ha formalizzato un principio già acquisito in tema di condizioni per la condanna, stante la preesistente regola, di cui all'art. 530, comma secondo, c.p.p., per la quale in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova l'imputato va assolto

Cass. pen. n. 36642/2005

È censurabile per difetto di motivazione la sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., nella quale non si indichino ragioni atte a giustificare il mancato accoglimento della sollecitazione rivolta dal pubblico ministero al giudice per l'assunzione d'ufficio, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., di una prova di potenziale decisività a sostegno dell'accusa (principio affermato, nella specie, con riguardo alla mancata assunzione come teste della persona offesa, motivata soltanto, nonostante la sua accertata presenza in udienza, con il rilievo che la stessa non era stata indicata nel decreto di citazione a giudizio). (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 45276/2003

Il ricorso per cassazione avverso sentenza di condanna in appello dell'imputato prosciolto in primo grado con la formula ampiamente liberatoria «per non aver commesso il fatto» può essere proposto anche per violazioni di legge non dedotte, perché non deducibili per carenza di interesse all'impugnazione, in appello.

L'imputato assolto con la formula ampiamente liberatoria «per non aver commesso il fatto», anche se per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., non è legittimato a proporre appello, neanche incidentale, avverso la relativa sentenza, per carenza di un apprezzabile interesse all'impugnazione, salvo che nell'eccezionale ipotesi in cui l'accertamento di un fatto materiale oggetto del giudizio penale conclusosi con sentenza dibattimentale sia suscettibile, una volta divenuta irrevocabile quest'ultima, di pregiudicare, a norma e nei limiti segnati dall'art. 654 stesso codice, le situazioni giuridiche a lui facenti capo, in giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari regolati dagli artt. 652 e 653 c.p.p.

Cass. pen. n. 25928/2002

Nel vigente ordinamento processuale non può riconoscersi un interesse giuridicamente apprezzabile dell'imputato a proporre impugnazioni avverso sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. e cioè per ritenuta mancanza, insufficienza e contraddittorietà della prova della colpevolezza.

Cass. pen. n. 13170/2002

Non può farsi luogo alla declaratoria di improcedibilità per estinzione del reato a seguito di maturata prescrizione, qualora in sentenza si dia atto della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., atteso che, nel vigente sistema processuale, la assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato.

Cass. pen. n. 384/2000

La facoltà concessa all'imputato di impugnare per cassazione le sentenze di proscioglimento è legata all'esistenza di un concreto interesse alla rimozione di un provvedimento pregiudizievole. Quest'ultimo non ricorre nel caso di formula assolutoria accompagnata dalla menzione del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., laddove, come nella specie, non è legalmente prospettabile, neppure astrattamente, l'autonomo inizio di un'azione civile di risarcimento nei confronti dell'imputato, assolto in seguito a dibattimento.

Cass. pen. n. 14699/1999

L'interesse all'impugnazione, sebbene non possa essere confinato nell'area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento giurisdizionale, non può neppure essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perché esplicative di una perplessità sull'innocenza dell'imputato. Ed invero, l'impugnazione si configura sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall'ordinamento giuridico. (Nella specie la Corte non ha ritenuto che sussistesse l'interesse all'impugnativa da parte dell'imputato assolto con la formula di cui all'art. 530, secondo comma, c.p.p.).

Cass. pen. n. 9531/1999

L'interesse all'impugnazione non può essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli perché esplicative di una perplessità sull'innocenza dell'imputato. Ed invero, l'impugnazione si configura pur sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall'ordinamento giuridico. Ne consegue che la legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione al solo scopo di assicurare la congruità della motivazione e l'esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato favorevole.

Cass. pen. n. 7557/1999

In tema di estensione degli effetti della impugnazione, sono da considerarsi motivi estensibili nei confronti di imputati che versano in identiche situazioni, quelli che, investendo la esistenza stessa del reato, non possono essere considerati esclusivamente personali. Pertanto, qualora, dal testo della sentenza impugnata, si ricavi (a prescindere dalla formula adottata) che l'imputato è stato assolto perché il fatto non sussiste o per la insufficienza o contradditorietà della prova sulla esistenza del fatto, l'omessa estensione in bonam partem degli effetti della decisione agli altri coimputati non appellanti può essere corretta dalla cassazione. (Fattispecie, in tema di falsificazione di testamento olografo, nella quale, pur essendo stato l'unico ricorrente assolto, in appello, per non aver commesso il fatto, la cassazione, rilevando che il giudice di merito aveva espresso dubbi in ordine alla stessa falsità dell'atto in contestazione, ha ritenuto che la assoluzione fosse stata, in realtà, pronunciata ai sensi del comma secondo dell'art. 530 c.p.p.; conseguentemente, la Corte ha deciso di estendere gli effetti della sentenza di appello anche agli imputati il cui appello era stato dichiarato inammissibile perché tardivo).

Cass. pen. n. 9357/1998

Qualora il contenuto decisorio della sentenza sia costituito da statuizioni alternative o cumulative, favorevoli all'imputato, una di merito (insussistenza del fatto) e l'altra di puro diritto stanziale (il fatto non è previsto dalla legge come reato) l'impugnazione del pubblico ministero deve aggredire l'una e l'altra disposizione. La mancata impugnazione della statuizione di merito, che esclude la responsabilità del soggetto anche ex art. 530 cpv. c.p.p., determina il passaggio in giudicato della disposizione non censurata. (Fattispecie in cui il pubblico ministero aveva impugnato la sentenza di assoluzione - motivata anche nel merito - con esclusivo richiamo al lamentato errore in diritto).

Cass. pen. n. 8450/1998

È configurabile l'interesse a impugnare dell'imputato che non sia stato assolto per non aver commesso il fatto, ma ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., sia perché l'ordinamento tutela in via primaria il diritto alla reputazione, evidentemente compromesso dall'elemento di dubbio insito nell'assoluzione in esame, sia perché un simile proscioglimento potrebbe recare pregiudizio al soggetto interessato nell'ambito del suo rapporto di impiego. (Fattispecie nella quale l'imputato, funzionario dell'amministrazione finanziaria, era assolto a norma dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., dall'imputazione di concussione e di violenza privata. La Suprema Corte ha rilevato che una simile pronuncia avrebbe potuto avere ripercussioni nelle scelte discrezionali della pubblica amministrazione relative alla carriera del funzionario).

Cass. pen. n. 1460/1998

La regola di giudizio di cui al comma 2 dell'art. 530 c.p.p. — cioè l'obbligo del giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità — è dettata esclusivamente per il normale esito del processo sfociante in sentenza emessa dal giudice al compimento dell'attività dibattimentale con piena valutazione di tutto il complesso probatorio acquisitosi in atti. Per contro, detta regola non può trovare applicazione in presenza di causa estintiva di reato. In tale situazione vale la regola di cui all'art. 129 c.p.p., in base alla quale in presenza di causa estintiva del reato, l'inizio di prova ovvero la prova incompleta in ordine alla responsabilità dell'imputato non viene equiparata alla mancanza di prova, ma, per pervenire ad un proscioglimento nel merito soccorre la diversa regola di giudizio, per la quale deve “positivamente” (... «risulta evidente» art. 129, comma 2, c.p.p.) emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato per quanto contestatogli.

Cass. pen. n. 4264/1997

Il giudice per le indagini preliminari che ritenga di non poter accogliere la richiesta del P.M. di emissione di decreto penale di condanna ha l'alternativa di restituire gli atti al P.M. ovvero di pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., ma non può prosciogliere l'imputato in caso di mancanza, insufficienza e contraddittorietà della prova, ai sensi dell'art. 530, secondo comma, c.p.p., perché una siffatta pronuncia è consentita solo nella fase conclusiva del dibattimento, a prescindere dal rito seguito.

Cass. pen. n. 8983/1997

In tema di cause di giustificazione, in forza del disposto di cui al terzo comma dell'art. 530 c.p.p. il giudice pronuncia sentenza di assoluzione quando vi sia anche il semplice dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione. Il concetto di dubbio contenuto in tale disposizione deve essere ricondotto a quello di «insufficienza» o «contraddittorietà» della prova di cui al secondo comma dell'art. 529 c.p.p. ed al secondo comma dello stesso art. 530 c.p.p., sicché, quando la configurabilità di cause di giustificazione sia stata allegata dall'imputato, è necessario procedere ad un'indagine sulla probabilità della sussistenza di tali esimenti: la presenza di un principio di prova o di una prova incompleta porterà all'assoluzione, mentre l'assoluta mancanza di prove al riguardo, o la esistenza della prova contraria, comporterà la condanna. Allorquando, nonostante tale indagine, non si sia trovata alcuna prova che consenta di escludere la esistenza di una causa di giustificazione, il giudizio sarà parimenti di condanna, qualora non siano stati individuati elementi che facciano ritenere come probabile la esistenza di essa o inducano comunque il giudice a dubitare seriamente della configurabilità o meno di una scriminante.

Cass. pen. n. 4294/1997

In tema di sentenza di assoluzione ex art. 530, comma secondo, c.p.p., si ha l'insufficienza della prova solo se la prova non assume quella consistenza ed efficacia tale da poter fondare una affermazione di responsabilità; mentre si ha la contraddittorietà della prova quando sussiste l'equivalenza delle prove di reità con quelle di innocenza. Non si versa né nell'una né nell'altra situazione se il giudice svalorizza motivatamente determinate prove, di modo che esse non ritornano più nella valutazione complessiva del materiale probatorio che il giudice deve compiere ai fini della decisione.

Cass. pen. n. 2110/1996

Una volta che sia stata pronunciata, a seguito dell'abolizione della formula dubitativa, assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., avendo il giudice ritenuto insufficienti le prove acquisite, viene meno qualunque apprezzabile interesse dell'imputato al conseguimento di una più favorevole sentenza, in quanto la conclusiva statuizione in essa contenuta non può essere modificata, quale che sia il giudizio esprimibile sulla prova della responsabilità dell'accusato, e cioè sia che sia stata acquisita la prova positiva della sua innocenza, sia che la prova della sua responsabilità si sia rivelata soltanto insufficiente. Ed invero l'interesse all'impugnazione, sebbene non possa essere confinato nell'area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento giurisdizionale, neanche può essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perché esplicative di una perplessità sull'innocenza dell'imputato. Difatti, l'impugnazione si configura pur sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall'ordinamento giuridico. (Fattispecie relativa a procedimento che proseguiva con l'osservanza delle norme dell'abrogato codice di procedura penale).

Cass. pen. n. 698/1996

Quando un reato sia stato trasformato in illecito amministrativo, il giudice deve prosciogliere l'imputato con formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», che deve essere applicata sia per i fatti che sono ab origine privi di rilevanza penale che per quelli che hanno perso rilevanza a seguito di una legge di depenalizzazione. Non è possibile dichiarare estinto il reato per intervenuta depenalizzazione, poiché questa non è prevista tra le cause di estinzione in nessun articolo del titolo VI del libro primo del codice penale. La scelta dell'una o dell'altra formula comporta peraltro conseguenze differenti poiché la dichiarazione di estinzione di regola fa venir meno l'esecuzione della pena, ma fa salvi, al contrario dell'abolitio criminis, gli effetti penali della condanna. (Fattispecie in tema di depenalizzazione del reato di cui all'art. 195 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 per l'esercizio senza autorizzazione di una emittente radiofonica, reato depenalizzato dalla L. 28 dicembre 1993, n. 561, art. 1, lett. a).

Cass. pen. n. 18/1995

Il giudice per le indagini preliminari può, qualora lo ritenga, prosciogliere la persona nei cui confronti il pubblico ministero abbia richiesto l'emissione di decreto penale di condanna solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell'art. 129 c.p.p., e non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell'art. 530, comma 2, stesso codice, alle quali, prima del dibattimento - non essendo stata la prova ancora assunta - l'art. 129 non consente si attribuisca valore processuale.

Cass. pen. n. 3445/1995

In caso di estinzione del reato, il giudice (per la prevalenza, del favor innocentiae sul favor rei) deve accertare la possibilità di una assoluzione nel merito. Tale indagine non è conferente in presenza di cause di non procedibilità poiché per il contenuto meramente processuale della relativa sentenza, non è prevista una analoga soluzione. (Nella specie la S.C., rilevato che rispetto alle esigenze di una declaratoria di non procedibilità la sentenza offre una motivazione esorbitante sul merito e sulla consistenza dell'accusa, ha tuttavia osservato che da tale superflua motivazione non derivano i danni paventati dai ricorrenti, poiché l'art. 652 c.p.p. limita alla sentenza penale di assoluzione efficacia nel giudizio civile o amministrativo di danno, ed esclude tale efficacia alle pronunzie di improcedibilità; inoltre l'art. 654 c.p.p. conferisce efficacia di giudicato esclusivamente alle sentenze dibattimentali di condanna o di assoluzione, sicché le sentenze di proscioglimento rimangono escluse dall'ambito di efficacia del giudicato penale sancito da tale norma (di qui la carenza di interesse a proporre impugnazione).

Cass. pen. n. 1340/1993

In tema di scelta tra le varie formule assolutorie, va pronunciata assoluzione con la formula «perché il fatto non sussiste» quando manchi uno degli elementi oggettivi del reato (azione, evento, nesso di causalità) mentre deve assolversi con la formula «perché il fatto non costituisce reato», quando manchi l'elemento soggettivo (dolo, colpa). Ne deriva che, accertatosi il difetto del rapporto di causalità tra azione ed evento, la assoluzione con la formula «perché il fatto non sussiste» prevale su qualsiasi altra con formula diversa e, in particolare, rende superflua ogni valutazione della condotta poiché siffatto esame comporterebbe un giudizio che, comunque, si risolverebbe in una obiter dictum. Ed infatti, pur se tale giudizio fosse favorevole all'imputato, la relativa formula di assoluzione — e cioè «perché il fatto non costituisce reato» — non troverebbe applicazione essendo su di essa prevalente l'altra formula assolutoria più favorevole — e cioè «perché il fatto non sussiste» — sia perché indicata con priorità nella elencazione di cui all'art. 129 c.p.p. sia perché preclusiva di azione civile ex art. 652 c.p.p.

Cass. pen. n. 9708/1992

In tema di legittima difesa, il disposto dell'art. 530, comma terzo, c.p.p. impone la pronuncia di sentenza assolutoria anche nel caso in cui vi sia una semiplena probatio in ordine alla sussistenza dell'esimente. (Fattispecie relativa ad un omicidio volontario che si assumeva commesso per legittima difesa).

Cass. pen. n. 7557/1992

La formula assolutoria «per non avere commesso il fatto» deve essere usata quando manchi, sul piano puramente materiale, ogni rapporto tra l'attività dell'imputato e l'evento dannoso, mentre quella, più ampiamente liberatoria, «perché il fatto non sussiste» presuppone che nessuno degli elementi, integrativi della fattispecie criminosa contestata, risulti provato; quando, invece, sia stata accertata, sotto l'aspetto fenomenico, la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato (quando cioè dalle risultanze processuali emerga che un fatto, corrispondente alla figura tipica di reato, sussiste), sicché la sentenza, non potendo escludere la riconducibilità dell'evento a tale fatto, si limiti ad affermare che nella condotta dell'imputato non si ravvisa l'elemento soggettivo della colpa (o del dolo), la formula è «perché il fatto non costituisce reato». (In applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto che nell'ipotesi di urto tra veicoli, condotti da persone in stato di coscienza, sussistendo sempre, sotto il profilo naturalistico, il rapporto di causa ed effetto rispetto agli eventi lesivi che ne siano derivati, la formula «il fatto non sussiste» non può mai essere correttamente applicata. In tal caso, l'indagine deve concernere il rapporto di causalità psicologica, estrinsecandosi nella valutazione della condotta umana, riferita al comando della legge).

Cass. pen. n. 5356/1992

Nell'ipotesi di censura sulla logicità della motivazione fornita in ordine al dubbio sulla sufficienza della prova, ovvero, sul bilanciamento degli elementi probatori, vanno ribaditi i limiti alla cognizione della Corte di cassazione in tema di critica a decisione di merito sostenuta dalla insufficienza di prove, formula con la quale non è più consentito definire il processo (art. 530 del nuovo codice di procedura penale), ma che pure, sotto il profilo della sintesi del percorso logico-razionale della motivazione, non può essere soppressa, nulla potendo, neppure il legislatore, impedire al giudice di manifestare ragioni di perplessità, di incertezza. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che il ricorso del P.G. non potesse trovare accoglimento, non rivenendosi, nella decisione impugnata, vizi logici e giuridici ed errori di diritto conoscibili).

Cass. pen. n. 7961/1990

Poiché a norma dell'art. 530 nuovo c.p.p., il giudice deve adottare la stessa formula di assoluzione sia quando abbia accertato la insussistenza del fatto o la impossibilità di attribuirlo all'accusato e sia quando abbia riconosciuto soltanto carente ovvero insufficiente o contraddittoria la prova, in entrambe le ipotesi, per delineare l'ambito di operatività della sentenza e cioè per verificare se la decisione adottata sia capace di provocare gli effetti preclusivi indicati negli artt. 652 e 653 nuovo c.p.p., è necessario far riferimento (oltre che al dispositivo) anche alla motivazione.

Cass. pen. n. 3974/1990

Nel caso di ricorso per cassazione contro una sentenza di assoluzione per insufficienza di prove la Corte di cassazione deve fare applicazione dell'art. 254 delle norme transitorie relative al nuovo codice di procedura penale e, a norma dell'art. 538, ultimo comma, c.p.p. del 1930, deve provvedere alla rettificazione sostituendo la formula dubitativa con la formula piena che il giudice di merito avrebbe adottato se avesse ritenuto la prova mancante anziché insufficiente. Qualora solo l'imputato sia ricorrente la Corte di cassazione provvede alla rettificazione senza esaminare i motivi del ricorso.

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Consulenze legali
relative all'articolo 530 Codice di procedura penale

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
giovedì 30/12/2021 - Lazio
“Spett.le Brocardi.it

Sono a chiedere un parere riferito al precedente Q202129807 in merito a quale è la corretta formula assolutoria che dovrà chiedere il difensore nella prossima udienza delle conclusioni.

Partendo dal presupposto che nel fascicolo per il dibattimento è venuta a mancare l’oggetto materiale del reato costituito dalla dichiarazione infedele esplicitamente richiamata nel capo di imputazione quale prova a carico nei confronti dell’imputato, in relazione all’ipotizzato reato ex art. 4 d.lgs. 74/2000, sono a domandare quanto segue:
Quale è la formala di assoluzione che il difensore deve chiedere al Giudice nel peculiare caso di specie, ossia, è quella prevista dal comma 1 dell’ art. 530 c.p.p. “ il fatto non sussiste”, o diversamente deve essere richiesta la formula ex comma 2 dell’art. 530 c.p.p. che tra l’altro prevede l’ipotesi:“quando manca la prova che il fatto sussiste”.

Va detto che nel capo di imputazione sono stati indicati il supermanto delle soglie di punibilità quale elemento costitutivo di natura oggettiva del reato contestato, ma si ritengono non validamente determinate in quanto di fatto è stata esclusa la possibilità di verifica in giudizio la correttezza della determinazione delle stesse, quali soglie meramente trasfuse dal PVC e non prendendo in considerazione l’ indicazione dei dati inseriti nella dichiarazione annuale dei redditi in questione.

Cordiali Saluti.”
Consulenza legale i 04/01/2022
Prima di rispondere al parere, va detto che le formule assolutorie, pur essendo diverse tra loro sia formalmente che concettualmente, all’atto pratico hanno una scarsa efficacia.
Che l’imputato venga assolto perché il fatto non sussiste e/o perché non costituisce reato cambia poco e la cosa ha rilievo solo in alcuni casi e, soprattutto, in tutti quelli in cui v’è una parte civile costituita e/o laddove il giudicato abbia riverberi in altro procedimento (di natura amministrativa, civile etc).

Nell’ambito del diritto penale tributario, peraltro, è molto difficile ottenere una sentenza assolutoria imperniata sul dolo (diritto penale) (il fatto non costituisce reato) in ragione del fatto che se il reato è configurato in tutti i suoi elementi oggettivi, è molto difficile dimostrare l’assenza dell’elemento soggettivo la cui sussistenza, secondo la giurisprudenza costante, è quasi in re ipsa a seguito della commissione del fatto.

Ciò detto, nel caso dell’art. 4 del d. lgs. 74/00, tutto ciò che riguarda l’ipotetica dichiarazione infedele e le soglie di rilevanza penale attengono all’elemento oggettivo del reato e, pertanto, la formula assolutoria in caso di mancato accertamento di tali elementi è “il fatto non sussiste”.

La stessa formula andrebbe adottata nel caso dell’art. 530 c.p.p., comma secondo.
Nel caso di comma secondo dell’articolo predetto, invero, le formule assolutorie potrebbero sempre cambiare (il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso etc.) ma si intende mettere in rilievo solo il fatto che a tale assoluzione non si è giunti a seguito della piena prova d’innocenza, ma solo perché la prova fornita dall’accusa non è abbastanza forte da superare lo sbarramento di colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio” prescritto dal codice di rito.

Nel caso di specie, dunque, la formula assolutoria sarebbe “il fatto non sussiste”, sia nel caso del comma 1 dell’articolo 530 c.p.p. che del comma 2.
Ciò perché, come anzidetto, l’omessa analisi della dichiarazione ha evidentemente impedito di ritenere il reato configurato in tutti i suoi elementi oggettivi.

Vincenzo chiede
martedì 25/05/2021 - Puglia
“Il 10 novembre 2021 matura la prescrizione in un processo collegiale dove sono imputato. Il 27.11.2021, data fissata per l'ennesima udienza. Sempre il 27.11, sarà escusso un testimone a mio favore. Il quesito che vi pongo è: alla luce di quanto innanzi, durante il processo non è emersa la verità dei fatti come si svolsero.Io ho intenzione, fornendo spontanee dichiarazioni, di fornire degli elementi a mio favore,comunque già espressi nelle mie varie memorie.A questo punto del processo, il Tribunale, a fronte della prescrizione potrà eventualmente assolvermi? Grazie

Consulenza legale i 27/05/2021
In casi come quello di specie, gli scenari ipotizzabili mutano a seconda del fatto che l’imputato abbia o meno rinunciato alla prescrizione.

Nel primo caso, il processo continuerà in modo ordinario e il giudice emetterà regolare sentenza di assoluzione o di condanna ex artt. 530 o 533 del codice di procedura penale.

Se, invece, l’imputato non rinuncia alla prescrizione, allora gli scenari ipotizzabili sono due:

- il Tribunale dichiara il reato estinto per intervenuta prescrizione e pronuncia sentenza ex art. 531 del codice di rito;
- il Tribunale assolve ex art. 530 c.p.p.

Il problema sta nei presupposti che legittimano l’assoluzione nel merito dell’imputato, nonostante la prescrizione sia decorsa.

Ebbene, stando alla cassazione penale, il giudice può assolvere l’imputato nel merito – pur essendo, lo si ripete, decorsi i termini di prescrizione – soltanto laddove l’innocenza emerga “in modo evidente”.
L’emersione dell’innocenza “in modo evidente” (la cassazione usa la formula “ictu oculi”) sta a significare che il giudicante non deve fare elucubrazioni di sorta sulla vicenda processuale essendo, sostanzialmente, costretto ad assolvere sulla base di evidenze fortissime.

Si faccia l’esempio del soggetto accusato di aver rubato una macchina in Italia, pur essendo emerso che lo stesso, nel giorno in cui è avvenuto il furto, era all’estero.

Si tratta, questa, di una evidenza assoluta che non può essere oggetto di letture alternative che possano mettere in dubbio l’opportunità di una sentenza assolutoria nel merito.

Ora, nel caso di specie non si conoscono i dettagli della vicenda e non si è in grado di fare alcuna prognosi sulle determinazioni del Tribunale ma, stando alla casistica delle Corti, sembra doveroso avvertire che l’assoluzione nel merito in presenza di una causa estintiva è fenomeno più unico che raro e, pertanto, si sconsiglia di porre affidamento in una tale evenienza.

Nonostante questo, è comunque corretto offrire al giudice ogni elemento idoneo a smuovere il suo convincimento.

Enrico C. chiede
domenica 29/05/2016 - Puglia
“A seguito di richiesta di riesame effettuata da un ufficiale di p.g.,il Tribunale del riesame intravide nella richiesta,possibili reati,commessi sia dall'ufficiale richiedente riesame sia dall'ufficiale di p.g. che eseguì operazione di p.g.-Entrambi furono iscritti:il 1° sul mod. 21 il secondo ai sensi dell'art.335 del c.p.p. su apposito registro,per falso in atto pubblico.Nonostante l'iscrizione sul registro per il falso,a questo ufficiale di P.g. gli è stato consentito dal p.m.,nonostante anche apposita diffida,di concludere l'indagine con poi il rinvio rinvio a giudizio dell'Ufficiale di P.g. che aveva promosso il riesame. Nell'indagine svolta che ha dato poi il rinvio a giudizio,sono emersi numerosi reati commessi in concorso,del tipo:calunnia numerosi falsi ideologici e varie.Il quesito è:tenuto conto che si è in fase dibattimentale e tutto questo,con apposita memoria è stato notiziato il Tribunale,quali sviluppi poterebbe avere questo processo?;tutta l'indagine è da ritenersi nulla e pertanto il Tribunale dovrà per forza sospendere il processo archiviando il tutto?; tenuto conto che è passato molto tempo dalla commissione dei reati da parte di colui/coloro che ebbero a svolgere le indagini e pertanto tutti i reati,presumibilmente si sono prescritti,il Tribunale in seduto collegiale come dovrà comportarsi?.Vi sono sentenze di Cassazione per fatti analoghi e se positivo Vi prego di inviarmele. Il Tribunale deve pronunciarsi sulla inutilizzabilità di tutta l'indagine e archiviare il tutto?”
Consulenza legale i 09/06/2016
Con riferimento alla questione sottoposta alla nostra attenzione, al fine di fornire indicazioni ulteriori rispetto a quelle già fornite, si evidenzia quanto segue.
In primo luogo, occorre rilevare che in tutto il corso del processo penale, il difensore dell'imputato, può compiere ulteriore attività difensiva utile ad evidenziare eventuali profili di nullità e/o inutilizzabilità di alcune o tutte le prove acquistite.
Con specifico riferimento all'attività investigativa del difensore, l'art. 327 bis del c.p.p. stabilisce che:
"1. Fin dal momento dell'incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI-bis del presente libro.
2. La facoltà indicata al comma 1 può essere attribuita per l'esercizio del diritto di difesa, in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione.
3. Le attività previste dal comma 1 possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici".
In secondo luogo, laddove il Giudice ravvisasse la sopravvenuta prescrizione dei reati contestati, dovrebbe pronunciare una sentenza di non luogo a procedere, in applicazione del disposto dell'art. 531 del c.p.p.:
"1. Salvo quanto disposto dall'articolo 129 comma 2, il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice provvede nello stesso modo quando vi è dubbio sull'esistenza di una causa di estinzione del reato".
In terzo luogo, con riferimento alla "inutilizzabilità dell'indagine", si ritiene che venga in rilievo il dettato dell'art. 530 del c.p.p., il quale stabilisce che:
"1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.
3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.
4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza".
Infatti, la Giurisprudenza di merito ha chiarito che "a fronte di un quadro probatorio del tutto insoddisfacente, che non consenta di ritenere raggiunta la prova certa del fatto, l'imputato va assolto, sia pure con formula dubitativa, perché il fatto non sussiste" (cfr., a titolo meramente esemplificativo, Tribunale La Spezia, 15 luglio 2015, n. 810).
Infine, ai fini dell'applicazione della esatta formula di assoluzione "il giudice deve innanzitutto stabilire se il "fatto" sussiste nei suoi elementi obiettivi (condotta, evento, rapporto di causalità) e, solo in caso di accertamento affermativo, può scendere all'esame degli altri elementi (imputabilità, dolo, colpa, condizioni obiettive di punibilità, etc.) da cui è condizionata la sussistenza del reato" (cfr. Cassazione Penale, Sez. III, 21 maggio 2013, n. 28351).