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Articolo 209 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Regole per l'esame

Dispositivo dell'art. 209 Codice di procedura penale

1. All'esame delle parti si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 198 comma 2 e 499 e, se è esaminata una parte diversa dall'imputato, quelle previste dall'articolo 195.

2. Se la parte rifiuta di rispondere a una domanda, ne è fatta menzione nel verbale [136](1).

Note

(1) Sebbene non si parli, come per il testimone, di un obbligo di rispondere secondo verità, né sia prevista una facoltà di non rispondere, dell'eventuale rifiuto è comunque fatta menzione nel verbale che, essendo destinato a confluire nel fascicolo dibattimentale (art. 515) e quindi tra le prove utilizzabili (art. 526), è in grado di far assumere valore a tale atteggiamento negativo.

Ratio Legis

Il legislatore ha qui voluto disciplinare un mezzo di prova, sebbene di natura eventuale, direttamente subordinato alla volontà delle parti stesse.

Spiegazione dell'art. 209 Codice di procedura penale

Ai sensi dell’articolo precedente (art. 208), le parti (ad esclusione quindi del testimone, obbligato a deporre) sono sottoposte all’esame soltanto quando ne facciano richiesta oppure consentano alla richiesta fatta dall’altra parte (eccettuata l’ipotesi della parte civile, la quale può altresì essere chiamata a deporre come testimone).

Sebbene non venga fatta menzione, al contrario di quel che accade per il testimone, di un obbligo di rispondere secondo verità alle domande a lui rivolte, il legislatore non ha previsto alcuna formale attribuzione alla parte esaminata della facoltà di non rispondere, né ha previsto in tali ipotesi un avvertimento analogo a quello disciplinato dall’articolo 64 comma 3.

Piuttosto, il legislatore ha stabilito che, ai sensi del presente articolo, dell’eventuale rifiuto di rispondere venga fatta menzione nel verbale, il che, è innegabile, non potrà non assumere valore probatorio, essendo detto verbale destinato a confluire nel fascicolo dibattimentale ex art. 515 e quindi tra le prove utilizzabili.

Resta comunque fermo, come per il testimone, l’esplicito riconoscimento, per la parte esaminata, della facoltà di non rispondere, tutte le volte in cui dalla risposta potrebbe emergere una sua responsabilità (v. art. 198. Per quanto riguarda invece le regole dettate in tema di testimonianza indiretta, esse risultano richiamate solamente in riferimento alle parti diverse dall’imputato. Per il resto, la norma rinvia alle regole per l’esame testimoniale di cui all’articolo 499.

Massime relative all'art. 209 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 22651/2010

Al giudice non è precluso valutare la condotta processuale dell'imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo. (Annulla in parte senza rinvio, App. Bologna, 20/03/2009).

Cass. pen. n. 9239/2010

Non è consentito al giudice desumere, dalla rinuncia dell'imputato a rendere l'interrogatorio, elementi o indizi di prova a suo carico, atteso che allo stesso è riconosciuto il diritto al silenzio e che l'onere della prova grava sull'accusa.

Cass. pen. n. 14914/2009

Anche in mancanza di una rinuncia del P.M. all'espletamento dell'esame dell'imputato, ritualmente ammesso e fissato, è legittima la revoca dell'ordinanza di ammissione, allorché l'imputato stesso non sia comparso all'udienza stabilita per l'incombente, adducendo un impedimento ritenuto non legittimo dal giudice. (Dichiara inammissibile, App. Napoli, 29 maggio 2006).

Cass. pen. n. 20591/2008

La confessione dell'imputato può essere posta a base del giudizio di colpevolezza anche quando costituisce l'unico elemento d'accusa purchè il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l'attendibilità, fornendo ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di un intendimento autocalunnatorio o di intervenuta costrizione dell'interessato. (Dichiara inammissibile, App. Napoli, 11 Aprile 2005).

Cass. pen. n. 11423/2008

Nel giudizio di cui all'art. 314 cod. proc. pen., il giudice, ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione, può valutare il comportamento silenzioso o mendace, legittimamente tenuto nel procedimento penale dall'imputato, per escludere il suo diritto all'equo indennizzo. (Annulla con rinvio, App. Trieste, 13 luglio 2006).

Cass. pen. n. 13604/2008

In materia di riparazione per l'ingiusta detenzione, la condotta dell'imputato che, avendone la possibilità, ometta di giustificare un comportamento a sé obiettivamente sfavorevole, è idonea ad integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione suddetta. (Fattispecie in cui l'interessato, risultato in assiduo contatto telefonico con soggetti dediti al traffico di sostanze stupefacenti, non aveva fornito alcuna giustificazione in merito a tale fatto, di causale incidenza nell'adozione del provvedimento restrittivo). (Rigetta, App. Cagliari, 5 giugno 2007).

Cass. pen. n. 40317/2006

Anche in assenza di una rinuncia del P.M. all'espletamento dell'esame dell'imputato, ritualmente ammesso e fissato, è legittima la revoca dell'ordinanza di ammissione, allorché l'imputato stesso non sia comparso all'udienza stabilita per l'incombente, adducendo un impedimento ritenuto non legittimo dal giudice.

Cass. pen. n. 12182/2006

In virtù del principio "nemo tenetur se detegere", l'imputato può non rispondere su fatti leggibili "contra se" e negare la propria responsabilità anche contro l'evidenza; tuttavia, al giudice non è precluso valutare la condotta processuale del giudicando, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del libero convincimento, può ben considerare, in concorso di altre circostanze (nella specie la sorpresa in flagranza di reato dell'imputato ad opera della polizia), la portata significativa del silenzio mantenuto dall'imputato, su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (nella specie la mancata giustificazione della propria presenza all'interno di una scuola elementare in cui era stato sorpreso insieme ad altri a smontare infissi). (Dichiara inammissibile, App. Palermo, 8 Aprile 2005).

Cass. pen. n. 47345/2005

Il mancato esame dell'imputato, anche se in precedenza ammesso dal giudice del dibattimento, non comportando alcuna limitazione alla facoltà di intervento, di assistenza e di rappresentanza dell'imputato medesimo, non integra alcuna violazione del diritto di difesa, tanto più che in ogni momento l'imputato ha la facoltà di rendere le sue spontanee dichiarazioni. (Rigetta, Giud.pace Acireale, 8 Aprile 2003).

Cass. pen. n. 13714/2005

In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il silenzio, la reticenza o il mendacio, pur essendo mezzi che l'imputato o indagato ha il diritto di utilizzare per difendersi dall'accusa, possono essere valutati dal giudice come un comportamento doloso o gravemente colposo dell'indagato,il quale in tal modo ha concorso a dare causa all'ingiusta detenzione.

Cass. pen. n. 40811/2004

La mancata assunzione dell'esame dell'imputato, che ne ha fatto richiesta, determina una nullità assoluta ma non insanabile e, pertanto, non è più deducibile nel giudizio d'impugnazione se la parte interessata non la eccepisce subito dopo l'assunzione dei testi di accusa, nel momento in cui l'esame deve essere eseguito.

Cass. pen. n. 3458/1999

In tema di utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni sul fatto altrui, la disciplina transitoria dettata dall'art. 6 l. 7 agosto 1997 n. 267 comporta che il recupero del contraddittorio, ora da attuarsi, a seguito della sentenza della C. cost. n. 361 del 1998, secondo il modulo della "capitolazione" previsto dall'art. 468 c.p.p., presuppone sempre la richiesta della parte interessata, giacchè, in mancanza della stessa, le dichiarazioni di cui era stata già data lettura conservano la loro valenza probatoria. Ove la richiesta sia stata già formulata e sia stata disposta la citazione del dichiarante, nel caso in cui questi persista nel rifiuto di rispondere, le dichiarazioni precedentemente rese devono essere valutate non con il criterio più restrittivo delineato dall'art. 6 comma 5, l. n. 267 del 1997, ma con quello indicato dall'art. 500 comma 4 c.p.p., in attuazione del più generale principio accolto dall'art. 192 comma 3, del medesimo codice, al quale la stessa C. cost. ha fatto esplicito riferimento nella richiamata sentenza.

Cass. pen. n. 179/1998

La disciplina legislativa risultante a seguito della sentenza della C. cost. del 2 novembre 1998 n. 361, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' art. 513 c.p.p. nel testo introdotto dalla l. 7 agosto 1997 n. 267, nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura, si applica l'art. 500 commi 2 bis e 4 c.p.p., si osserva anche nei giudizi in corso davanti alla Corte di cassazione. Peraltro, il recupero del contraddittorio attraverso il modulo della "capitolazione" di cui all'art. 468 c.p.p., secondo le prescrizioni dell'art. 500, commi 2 bis e 4, dello stesso codice, deve avvenire mediante lo strumento dell'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, e ciò solo nel caso di un'esplicita richiesta di parte, trovando altrimenti applicazione le regole di assunzione - ma non le regole di giudizio, in quanto irrimediabilmente colpite dalla pronuncia di illegittimità costituzionale - stabilite dall'art. 513 nel testo anteriore alla "novella" introdotta con la l. n. 267 del 1997 cit.

Cass. pen. n. 5387/1997

In virtù delle regole che disciplinano l'ammissione e l'assunzione delle prove nel vigente codice di rito, una prova, a carico o a discarico, viene, con la sua ammissione, posta a disposizione del contraddittorio, con la conseguenza che, pur in presenza della rinuncia di una parte, resta fermo il potere dell'altra parte di procedere alla sua assunzione; ove anche questa parte rinunci, sia pure tacitamente, ad esercitare il suo diritto alla prova - ad esempio, non rivolgendo domande al teste - non occorre una ordinanza con la quale il giudice, previa audizione delle parti, revochi il precedente provvedimento di ammissione della prova: ed invero, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, in cui gli è consentito indicare alle parti temi nuovi o incompleti sui quali si rende necessario acquisire ulteriori elementi, il giudice non è tenuto ad interpellare le parti, quando esse con il loro comportamento concludente abbiano dato concreta attuazione al principio di disponibilità della prova.

Cass. pen. n. 2993/1997

L'idoneità a rendere testimonianza è concetto diverso, e di maggior ampiezza, rispetto a quello della capacità di intendere e volere, implicando non soltanto la necessità di determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche quella di discernimento critico del contenuto delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, di capacità di valutazione delle domande di natura suggestiva, di sufficiente capacità mnemonica in ordine ai fatti specifici oggetto della deposizione, di piena coscienza dell'impegno di riferire con verità e completezza i fatti a sua conoscenza. L'obbligo di accertamento della capacità di intendere e di volere non deriva da qualsivoglia comportamento contraddittorio, inattendibile o immemore de teste, ma sussiste soltanto in presenza di una situazione di abnorme mancanza nel testimone di ogni elemento sintomatico della sua assunzione di responsabilità comportamentale in relazione all'ufficio ricoperto.

Cass. pen. n. 2100/1996

Gli atti di polizia giudiziaria, in particolare le sommarie informazioni di cui all'art. 351 cod. proc. pen., che risultano documentati in forme diverse da quelle prescritte (con annotazione, anziché con verbalizzazione), possono essere utilizzati nella fase dell'indagine preliminare per essere posti a fondamento di provvedimenti cautelari o di altri atti che trovino la loro collocazione nell'ambito della medesima fase di indagine. Viceversa ogni possibilità di utilizzazione degli stessi in fase di dibattimento è strettamente collegata all'osservanza delle formalità di documentazione prescritta dall'art. 357, comma 2, cod. proc. pen.

Cass. pen. n. 11674/1995

La dichiarazione dell'imputato di reato collegato, pur se assunta irritualmente con forma della testimonianza e la pronuncia della formula di cui all'art. 497, comma 2, c.p.p., possono essere utilizzate dal giudice a fini probatori, sempre che non sia stata violata alcuna garanzia sostanziale, e segnatamente quella sancita dall'art. 198, comma 2, c.p.p.

Cass. pen. n. 794/1995

Il divieto di perizie sul carattere, sulla personalità e sulle qualità psichiche (indipendenti da cause patologiche) dell'imputato - posto dall'art. 220 comma 2 c.p.p. - non si estende anche alla persona offesa - teste, la cui deposizione - proprio perchè essa può essere assunta da sola come fonte di prova - deve essere sottoposta ad una rigorosa indagine positiva sulla credibilità accompagnata da un controllo sulla credibilità soggettiva e deve essere verificata anche ai sensi del comma 2 dell'art. 196 stesso codice (capacità di testimoniare): la verifica della "idoneità mentale" è rivolta ad accertare se la persona offesa sia stata nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e del suo patrimonio e possa poi riferire in modo veritiero siffatti comportamenti. Ciò non significa che sia possibile demandare ad un perito la verifica dell'attendibilità del testimone, ma non esclude che il giudice possa ritenere utile un apporto di specifiche competenze tecnico-scientifiche: al giudicante spetta pur sempre l'ultima parola attraverso il vaglio critico delle nozioni acquisite alle quali non inserisce alcuna deterministica valenza ai fini decisionali.

Cass. pen. n. 12729/1994

E' manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24 comma 2 e 76 cost., la questione di legittimità dell'art. 210 c.p.p. nella parte in cui non prescrive che una persona che si assume essere concussa ma che potrebbe rivelarsi un corruttore venga esaminata quale coimputato di un reato connesso. Il sistema, infatti, in tal modo strutturato, oltre a rivelarsi in tutto ragionevole proprio alla stregua dei principi che governano le diverse tipologie di dichiarazioni aventi rilevanza processuale e che restano designate, sul piano della loro provenienza, dalle qualifiche formali di volta in volta attribuite, risulta pure assolutamente rispettoso del diritto di difesa dell'imputato, considerando i principi che danno regolamentazione alle modalità di verifica sia delle dichiarazioni testimoniali sia delle dichiarazioni rese da imputato in procedimento connesso o collegato. Peraltro, se un epilogo sfavorevole all'imputato sia la conseguenza di pregresse dichiarazioni falsamente rivolte contro di lui, non potrà non derivarne, in osservanza del principio di obbligatorietà dell'azione penale, il perseguimento per un diverso reato (calunnia, falsa testimonianza, etc.). Nè, d'altro canto, può essere utilmente chiamato in causa l'art. 2 n. 73 della l. 16 febbraio 1987 n. 81 (e, quindi, l'art. 76 cost.), perchè il parametro invocato concerne non l'utilizzazione della prova ma la sua assunzione.

Cass. pen. n. 5177/1994

Le norme che stabiliscono l'ordine di assunzione delle prove hanno natura ordinatoria e per la loro violazione non è prevista alcuna comminatoria di nullità od inutilizzabilità delle prove stesse. (Fattispecie relativa ad assunzione dell'esame dell'imputato prima da parte del p.m. e poi da parte del difensore).

Cass. pen. n. 3252/1994

La disciplina prevista dall'art. 468 c.p.p. (deposito, a pena di inammissibilità, della lista dei testimoni, periti e consulenti tecnici, con l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame) non può estendersi alle persone imputate in procedimento connesso, sia per l'inequivoco tenore letterale della norma, sia perché l'esame di queste ultime è dal codice collocato non già nella parte relativa alla testimonianza (artt. 194 ss.), ma in quella relativa all'esame delle parti (artt. 208 ss.), avendo il legislatore preferito omologare tale fonte processuale alle parti private, cui è naturalmente assimilabile per la posizione di soggetto portatore di un concreto interesse processuale, piuttosto che al testimone, per definizione neutrale e disinteressato. La tassatività della previsione dell'art. 468 e la sua inestensibilità per analogia derivano, inoltre, ex art. 14 delle cosiddette preleggi, dalla sua natura di norma eccezionale in quanto costituente rilevante ostacolo all'esercizio del diritto alla prova, riconosciuto in via di principio generale dall'art. 190 c.p.p. e, ancor prima, dalla direttiva n. 69 delle legge delega per l'emanazione del nuovo c.p.p.

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