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Articolo 615 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale

Dispositivo dell'art. 615 Codice Penale

Il pubblico ufficiale [357], che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni [323], s'introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell'articolo precedente(1), è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Se l'abuso consiste nell'introdursi nei detti luoghi senza l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge [c.p.p. 352, 247, 250, 251](2), la pena è della reclusione fino a un anno(3).

Nel caso previsto dal secondo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa(4).

Note

(1) Deve sussistere una connessione tra la condotta di abuso e la violazione di domicilio, tra le quali deve sussiste un nesso teleologico, per cui l'abuso incide sulle modalità di commissione del reato, facilitandone la realizzazione.
(2) La dottrina ritiene che si tratti di una fattispecie autonoma di reato, che si trova in rapporto di specialità (v.15) con la fattispecie di cui al primo comma.
(3) In applicazione del principio dell'analogia in bonam partem, viene considerato legittimo anche alla condotta alternativa della permanenza.
(4) Comma aggiunto dall'art. 2, D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 con decorrenza dal 9 maggio 2018.

Ratio Legis

La ratio di tale disposizione si coglie nella considerazione che i luoghi di dimora non sono intesi solo nella loro materialità, ma anche come proiezione spaziale della persona, la cui libertà individuale si estrinseca anche nell'interesse alla tranquillità e sicurezza dei luoghi in cui si svolge la propria vita privata.

Spiegazione dell'art. 615 Codice Penale

La norma è posta a tutela della pace e della libertà domestica, come risultato della duplice facoltà di ammissione o di esclusione dalla propria sfera privata, per salvaguardare il proprio spazio individuale da indebite ingerenze dell'autorità.

Viene infatti punita da un lato l'introduzione o il trattenimento indebito del pubblico ufficiale commesso abusando dei propri poteri, dall'altro lato viene punita l'introduzione nei luoghi di privata dimora senza l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge (ad es. per ispezioni ecc.).

///SPIEGAZIONE ESTESA

La norma in esame punisce il pubblico ufficiale che, volontariamente, si introduca o si trattenga nell’abitazione altrui, in un luogo di privata dimora o nelle loro appartenenze, nella consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni.

È un reato proprio in quanto soggetto attivo può essere soltanto un pubblico ufficiale. Risultano, pertanto, esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 615 c.p., i soggetti che siano incaricati di un pubblico servizio o che esercitino un servizio di pubblica utilità.

La condotta tipica consiste negli atti con cui il pubblico ufficiale, abusando dei poteri inerenti alle proprie funzioni, si introduca o si trattenga nell’altrui abitazione, in un luogo di privata dimora o nelle loro appartenenze.
Se la condotta posta in essere dall’agente è tale da integrare di per sé un reato diverso da quello in esame, si ha un concorso tra le due fattispecie. Si pensi, ad esempio, al caso in cui la violazione di domicilio venga posta in essere attuando una perquisizione arbitraria.

Elemento essenziale è l’abuso dei poteri inerenti alle funzioni svolte dal pubblico ufficiale. Affinché, però, sussista tale abuso, è necessario che il pubblico ufficiale sia legalmente investito delle sue funzioni, ed, esercitandole, ecceda nei poteri conferitigli dalla legge. Nel caso in cui, poi, il pubblico ufficiale sia chiamato a svolgere un’attività di tipo discrezionale, per accertare l’eventuale abuso di potere è necessario tener conto dell’atteggiamento da lui tenuto in relazione alle circostanze del caso concreto.

L’evento tipico della fattispecie in esame coincide con il suo momento consumativo ed è rappresentato dall’effettiva introduzione di tutta la persona dell’agente in uno dei luoghi indicati dall’art. 615 c.p., oppure nella sua abusiva omissione di uscirne.
È ammissibile il tentativo, ma soltanto con riferimento all’ipotesi dell’introduzione in uno dei luoghi indicati dalla norma.

Ai fini dell’integrazione del delitto in esame è sufficiente che sussista, in capo all’agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di introdursi o di trattenersi in uno dei luoghi indicati dalla legge, nella consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni di pubblico ufficiale.

Ai sensi del comma 2, la fattispecie risulta attenuata nel caso in cui la condotta criminosa sia consistita nell’introdursi in uno dei luoghi indicati dal primo comma senza osservare le formalità prescritte dalla legge. Tale ipotesi si verifica quando l’illegalità della condotta dell’agente consiste nell’omissione di forme procedurali prescritte ex lege, le quali regolino l’attività del pubblico ufficiale al fine di garantire la libertà individuale. Non rileva, quindi, a tal fine, l’inosservanza di regole poste dalle legge per uno scopo diverso da quest’ultimo.
Si tratta, tuttavia, di una circostanza avente carattere oggettivo, la quale concerne soltanto l’ipotesi di abusiva introduzione in uno dei luoghi previsti dalla legge, non anche la condotta mediante la quale ci si trattenga abusivamente negli stessi.

Nell'ipotesi descritta dal secondo comma il delitto in esame è, peraltro, punibile a querela di parte.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 615 Codice Penale

Cass. pen. n. 5088/1993

L'abuso di poteri inerenti alle funzioni, che qualifica la condotta del delitto di violazione di domicilio commesso da un pubblico ufficiale, non postula la presenza degli estremi necessari per l'integrazione del reato di abuso di ufficio, potendo realizzarsi per effetto di qualsiasi abuso, come l'usurpazione, lo sviamento, il perseguimento di una finalità diversa, l'inosservanza di leggi, regolamenti o istruzioni, ecc., indipendentemente dall'ingiustizia o meno degli scopi perseguiti dall'agente. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la sussistenza del reato di cui all'art. 615 c.p. poiché la perquisizione operata da un vigile urbano nei locali ove si esercitava senza licenza l'attività di parrucchiere — così facendo concorrenza a quella debitamente autorizzata, della moglie del predetto pubblico ufficiale — era intesa a conseguire uno scopo giuridicamente lecito, ossia la repressione di un'infrazione amministrativa, ma era contraria all'art. 13, L. 24 novembre 1981, n. 689, che pone il divieto di perseguire i luoghi di privata dimora).

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Consulenze legali
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Anonimo chiede
venerdì 28/04/2017 - Calabria
“Buongiorno,
con riferimento all'art.615 c.p. ed alla giurisprudenza segnalata sul vostro sito (sentenza cassazione n. 5088 del 1993), non essendo riuscito a trovare detta sentenza, con la presente chiedo di avere copia integrale di detta sentenza con tutti gli estremi utili per la corretta citazione della stessa in un atto processuale.
chiedo inoltre di sapere se sull'argomento (prevalenza dell'art.13 della legge 689/81 - tutela del domicilio - sulle ispezioni del lavoro non preventivamente autorizzate dalla magistratura) vi sia ulteriore giurisprudenza cui poter fare riferimento.
Rimango in attesa di vostre comunicazioni”
Consulenza legale i 09/05/2017
Il problema dell’accesso ad aree o immobili privati costituisce da sempre una delle problematiche più spinose relativa all’attività di controllo della Polizia Locale e non solo.
In pratica, è una questione pregiudiziale ad ogni accertamento perché ne costituisce il limite negativo di partenza. Le norme di riferimento non sono molte, ma le questioni ad esso connesse sono invece più d’una.

La pronuncia di cui al quesito è molto datata ed è presente, purtroppo, nelle banche dati da noi abitualmente utilizzate, solo nella forma massimata (sunto breve del principio di diritto espresso). E', tuttavia, pubblicata sulla seguente rivista: Giustizia Penale 1994, II, 320, normalmente reperibile - se non presso quelle pubbliche - presso le biblioteche universitarie.

Oltre a quest'ultima, possono costituire utile punto di riferimento sul tema le seguenti sentenze:

Cassazione civile, sez. I, 24/03/2005, n. 6361:
La nozione di "privata dimora" rilevante, agli effetti dell'art. 13 l. n. 689 del 1981, per delimitare il potere di ispezione degli organi addetti all'accertamento di illeciti amministrativi (potere che può, appunto, esercitarsi esclusivamente in luoghi diversi dalla privata dimora) coincide con quella rilevante agli effetti del reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.), e dunque comprende non soltanto la casa di abitazione, ma anche qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente all'esplicazione della vita privata o di attività lavorativa, e, quindi, qualunque luogo, anche se - appunto - diverso dalla casa di abitazione, in cui la persona si soffermi per compiere, pur se in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata riconducibili al lavoro, al commercio, allo studio, allo svago. (Nella fattispecie, la Corte cass. ha ritenuto che costituisse privata dimora la sede di un'associazione privata, e ha quindi considerato illegittima l'ispezione ivi eseguita degli accertatori)

Cassazione civile, sez. I, 27/01/2005, n. 1699
In tema d'accertamento delle sanzioni amministrative, è atto inutilizzabile il verbale di un'ispezione illegittima perché compiuta dai vigili urbani in un luogo di privata dimora, atteso che l'art. 13 della legge n. 689 del 1981 prevede che gli organi addetti al controllo delle violazioni di loro competenza possono assumere informazioni e procedere ad ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, ossia da quei luoghi, anche diversi dall'abitazione, destinati permanentemente o transitoriamente all'esplicazione della vita privata o dell'attività lavorativa, in cui la persona si soffermi per compiere, pur se in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata riconducibili al lavoro, al commercio, allo studio e allo svago. (In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato l'ordinanza - ingiunzione emessa dal Presidente della Provincia sulla base di un verbale - considerato inutilizzabile - redatto da due vigili urbani i quali, fingendo di essere fratello e sorella, preoccupati di intervenire in favore di una loro parente, si erano introdotti nel domicilio della persona poi incolpata della violazione amministrativa, riguardante l'organizzazione abusiva di viaggi turistici, e avevano così carpito maliziosamente il suo consenso).”

Esiste poi una pronuncia della Cassazione più recente ma che si limita a ribadire il medesimo principio della n. 5088/1993.

L. B. chiede
venerdì 27/01/2023 - Puglia
“gentilissimi,
può un medico psichiatra effettuare visite a domicilio senza il consenso del paziente seppur seguito dal centro di salute mentale?
può il medico entrare nell'abitazione senza il consenso dell'inquilino e violare oltre che la privacy anche il 614 o 615 del cp? Può il medico psichiatra attivarsi senza il suggerimento del medico di base del paziente?
spero di essere stato chiaro.

Consulenza legale i 02/02/2023
Per fornire una completa risoluzione alla questione occorre fare diverse premesse, in ordine a tutti gli elementi delle norme prospettate, l’art. 614 del c.p. e l’art. 615 del c.p.; ciò in quanto bisogna distinguere il medico “privato” da quello che lavora in un ospedale o un centro pubblico.
Andiamo con ordine, partendo dall’art. 614 del c.p..
La condotta penalmente rilevante consiste, alternativamente, nella introduzione nell'abitazione altrui, in altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze di essa, oppure nel trattenimento nei predetti luoghi, oppure in modo clandestino o con l’inganno. Ai fini della configurazione del reato sono necessarie:
  • la volontà, da parte della vittima, di escludere il soggetto agente dalla propria sfera privata, cioè il dissenso all’intromissione o al trattenimento attuato dal reo e tale dissenso può essere manifestato espressamente o tacitamente.
  • la coscienza e volontà da parte del soggetto agente di introdursi o trattenersi nei luoghi di privata dimora nonché di agire contro la volontà della vittima.
L’art. 614 c.p. punisce il privato cittadino che integri i comportamenti sopra descritti, mentre se la violazione di domicilio è commessa da un pubblico ufficiale è punita dall’art. 615 c.p.
Quest’ultimo prevede una pena per il pubblico ufficiale che, volontariamente, si introduca o si trattenga nell’abitazione altrui, in un luogo di privata dimora o nelle loro appartenenze, nella consapevolezza di abusare dei poteri inerenti alle proprie funzioni. Il reato in esame è un cd. reato “proprio”, che può cioè essere commesso solo da persone che possiedono una determinata qualifica, in questo caso la qualifica di pubblico ufficiale.

Dunque, qualora si consideri il medico psichiatra come privato cittadino, bisogna fare riferimento all’art. 614 c.p., mentre qualora lo si consideri come pubblico ufficiale bisogna fare riferimento all’art. 615 c.p.

Secondo la definizione fornita dall'art. 357 del c.p.. pubblico ufficiale è chi esercita una funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria con o senza rapporto di impiego con lo Stato, temporaneamente o permanentemente. Ciò che rileva è il fatto obiettivo di esercitare una pubblica funzione. Difatti, anche il funzionario di fatto (ossia colui che eserciti funzioni pubbliche senza alcuna investitura) - qualora agisca con il benestare della pubblica amministrazione - è qualificabile come pubblico ufficiale.
In campo medico possono qualificarsi come pubblico ufficiale ad esempio:
  • il direttore sanitario di un ospedale pubblico, al quale per l’organizzazione dell’istituto è riservata una serie di poteri di autorità e di direzione;
  • i medici ospedalieri in quanto, indipendentemente dal ruolo ricoperto, cumulano mansioni di carattere diagnostico e terapeutico con l’esercizio di un’attività autoritaria che impegna l’ente;
  • il medico di famiglia che presta la sua opera a favore di un soggetto assistito dal Servizio sanitario nazionale il quale compie un’attività amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e concorre a formare e a manifestare la volontà della Pubblica amministrazione.
  • il medico che presta la sua opera presso una casa di cura privata convenzionata con il Servizio sanitario nazionale.
I medici che lavorano esclusivamente nel privato devono essere qualificati invece esercenti un servizio di pubblica necessità.
Fatte queste premesse, passiamo al paziente.

Il diritto all’autodeterminazione del paziente è il diritto di poter decidere liberamente del proprio corpo ed è espressione del diritto fondamentale sancito nella Costituzione della libertà personale. Difatti all'articolo 32 è così previsto: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Per poter esercitare il diritto all’autodeterminazione, devono essere soddisfatte due condizioni:
  • la persona deve essere stata informata a fondo per poter dare il suo consenso a un determinato provvedimento
  • la persona essere capace di discernimento, ossia in grado di comprendere quanto riferito e consigliato dal medico di prendere una decisione.
Se queste due condizioni sono date, il diritto all’autodeterminazione vige senza limiti. Se è incapace di discernimento, il paziente non può dare il consenso a un trattamento medico. In questo caso, al suo posto devono farlo altre persone.

Il contratto di assistenza sanitaria, stipulato con un paziente psichiatrico, obbliga il medico e la struttura a porre in essere tutte le prestazioni finalizzate alla cura del paziente sottoposto a trattamento. Non è necessario il suggerimento del medico di base. Qualora il paziente non sia in grado di fornire un valido consenso alle cure c’è il rischio che venga posta una violazione dei diritti personali che potrebbe esporre il medico, oltre al reato di violazione di domicilio, anche al reato di violenza privata, disciplinato dall’art. 610 del c.p. e di sequestro di persona disciplinato dall'art. 630 del c.p..
Tali fattispecie di reato, però, prevedono come elemento soggettivo il dolo, ovvero l’intenzione e la volontà di agire senza scopo curativo, pertanto sono difficilmente configurabili nella realtà clinica.
Inoltre, soccorrerebbe la scriminante dello stato di necessità, disciplinato dall’art. 54 del c.p. che così statuisce “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, nè altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.”
Perché possa applicarsi tale scriminante in capo alla condotta del medico devono concorrere tre requisiti:
  • il pericolo attuale di un grave danno alla persona,
  • l’impossibilità di salvare sé o altri mediante l’utilizzo di altri strumenti ugualmente idonei
  • la proporzionalità della condotta rispetto al pericolo.
La condotta del medico deve essere la conseguenza e la risposta ad un concreto pericolo attuale, pertanto lo stesso non potrà beneficiare della suddetta scriminante qualora agisca per mera precauzione.

In conclusione, il medico psichiatra può rispondere dei reati sopradescritti qualora non agisca per scopi medici e sia appurato che il paziente sia in grado di intendere e di volere. Qualora il paziente non fosse in grado di intendere e di volere e il medico ponga in essere condotte ricollegabili ai reati sopradescritti, questi sarebbero scriminati solo se il medico abbia agito per necessità di salvaguardare l’integrità fisica del paziente che si trova in uno stato di transitoria incapacità di intendere e di volere e che non gli consente di rendersi conto della pericolosità dei propri gesti, per sé e per gli altri.