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Articolo 49 Costituzione

[Aggiornato al 22/10/2023]

Dispositivo dell'art. 49 Costituzione

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale [18, 98].

Ratio Legis

Il costituente afferma il diritto di ciascuno di costituire partiti in quanto esso è espressione del diritto di libertà dei singoli ed i partiti, manifestazione del pluralismo, rappresentano una delle basi dell'ordinamento democratico.

Spiegazione dell'art. 49 Costituzione

Come sottolinea la disposizione, una delle principali funzioni dei partiti è di partecipare alla politica nazionale attraverso un confronto reciproco basato sulla democrazia. Nei fatti, stabilito un proprio programma, essi procedono ad individuare coloro che intendono proporre come candidati e, attraverso le campagne elettorali, a diffondere nei cittadini il proprio pensiero, al fine di attirare consensi.

Dal punto di vista della struttura, essi sono associazioni private non riconosciute e organizzate stabilmente. Manca, nella Costituzione, una norma che ne imponga un'organizzazione democratica, ciò che solleva qualche dubbio circa la libertà di cui godono gli aderenti.

Al fine di consentire un corretto e trasparente svolgimento dell'attività di partito, sono previsti i seguenti divieti di:

  • assumere forma di associazione segreta e presentare carattere di organizzazione militare, come espressamente sancito dall'art. 8 Cost;

  • annoverare tra i membri iscritti particolari categorie di cittadini, per cui la legge impedisce la loro partecipazione attiva alla vita del partito (militari in carriera, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, magistrati, rappresentanti diplomatici e consolari all'estero). i magistrati possono in realtà partecipare alle elezioni, ma con l'obbligo di abbandonare la carica giurisdizionale nello stesso mandamento dove si sono candidati, anche se poi non eletti.

Attorno al profilo delle risorse economiche che li sostengono, gravita una delle questioni più accese della politica italiana sin dal dopoguerra ad oggi, quella del finanziamento pubblico ai partiti. Una prima legge a riguardo fu la l. 2 maggio 1974, n. 195, con la quale si voleva regolamentare la materia ed eliminare i finanziamenti illeciti. Lo scopo, però, non venne raggiunto ed, anzi, il fenomeno della corruzione in ambito politico venne alla luce negli anni '90 con tangentopoli. Lo sdegno dell'opinione pubblica condusse all'abrogazione della legge 195/1974 (con referendum tenutosi il 18 aprile 1993) ma il finanziamento pubblico ai partiti, pur se con nomi diversi, rimase in vita. Leggi successive furono: la l. 2 gennaio 1997, n. 2 che istituì il meccanismo della contribuzione volontaria; la l. 3 giugno 1999, n. 157, che ha cambiato il sistema in quello dei rimborsi per spese elettorali; la l. 26 luglio 2002, n. 156; la l. 6 luglio 2012, n. 96, che ha ridotto i finanziamenti; il D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, convertito nella l. 21 febbraio 2014, n. 13, che ha stabilito la possibilità di destinare il 2 per mille della dichiarazione dei redditi ai partiti, entro precisi limiti e con la possibilità di una detrazione fiscale.

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