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Articolo 15 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale

Dispositivo dell'art. 15 Codice Penale

Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito [68](1).

Note

(1) Relativamente ai casi di concorso tra norme sanzionatorie penali ed amministrative, si rimanda all'art. 9, l. 24 novembre 1981, n. 689.

Ratio Legis

La norma in esame ha la funzione specifica di disciplinare le ipotesi in cui una pluralità di norme sembrano poter disciplinare il medesimo fatto di reato. Il criterio di specialità è infatti il primo strumento ermeneutico tramite cui comprendere quando una norma deve essere applicata a scapito di altre.

Spiegazione dell'art. 15 Codice Penale

La norma in oggetto è destinata a risolvere le situazioni in cui vi sia un concorso apparente di norme. Tale concorso apparente ha luogo quando più norme sembrano disciplinare un medesimo fatto, ma una sola di esse può effettivamente essere applicata al caso concreto.

Il concorso apparente di norme si pone in alternativa ed in antinomia rispetto al concorso di reati, in cui viceversa alla pluralità di di fattispecie applicabili corrisponde effettivamente una pluralità di reati, persino se commessi con una sola azione od omissione.

Il primo criterio per dirimere le situazioni in cui più norme sembrano applicabili è quello di specialità.

In seguito alla netta prevalenza della teoria monistica su quella pluralistica, il criterio di cui sopra è l'unico veramente legittimo al fine di dirimere il concorso apparente di norme, non rilevando invece il criterio di sussidiarietà, né quello di assorbimento.

La specialità, la quale impone la prevalenza della disposizione speciale su quella generale, sussiste allorché una norma speciale contenga in sé tutti gli elementi costitutivi di una norma generale, con l'aggiunta tuttavia di un elemento specializzante, sempre nel presupposto che entrambe regolino la stessa materia.

Più nello specifico, una norma che presenti una specialità per aggiunta è quella norma che descrive degli elementi specifici aggiuntivi rispetto all'altra (ad es. truffa e truffa ai danni dello stato). Se invece presenta una specialità per specificazione, una delle norme oggetto di conflitto ha degli elementi che specificano ulteriormente elementi costitutivi presenti in entrambe le norme (ad es. violenza sessuale e violenza privata).

///SPIEGAZIONE ESTESA

Il criterio della specialità dirime il conflitto tra più leggi penali, o tra più disposizioni della medesima legge penale, tutte in astratto applicabili al caso di specie poiché regolanti "la stessa materia".
Che cosa si intende per "stessa materia"? È necessario fare riferimento al bene giuridico tutelato in astratto? O è più corretto rifarsi ad una concezione naturalistica del fatto di reato?
Dottrina e giurisprudenza si sono a lungo interrogate intorno a tale questione, la cui soluzione si presenta di fondamentale importanza ai fini di una corretta applicazione della norma de quo.

Secondo quello che si presenta come l'orientamento attualmente maggioritario nella giurisprudenza, per "stessa materia" dovrebbe intendersi, "identità del bene giuridico tutelato". In tal senso, si afferma che la convergenza di più norme penali a regolare la medesima materia sussiste allorquando ci sia un "rapporto di continenza" tra le norme stesse, ricavato da un confronto strutturale tra le fattispecie astratte, effettuato comparando gli elementi costitutivi che le definiscono.

Tuttavia, è necessario rilevare come altra parte della giurisprudenza sia di diverso avviso, pervenendo infatti a conclusioni diametralmente opposte sulla qualificazione della nozione di "stessa materia".
A tal riguardo, è stato osservato come il concetto di "stessa materia" andrebbe più opportunamente ricondotto ad una medesima "situazione di fatto", piuttosto che ad un medesimo bene giuridico tutelato. La tesi che limita il concorso apparente di norme al caso in cui ci sia tra le stesse identità di bene giuridico tutelato, finirebbe infatti per creare ulteriori problemi: quelli attinenti alla spesso controversa individuazione del bene giuridico tutelato.
Non sarebbe stato questo, afferma la giurisprudenza, l'intento preso di mira dal legislatore del codice penale.

Per questi motivi, certa parte della dottrina e della giurisprudenza ha sostenuto che l'oggetto giuridico tutelato dalle norme in concorso apparente non attiene alla valutazione del fenomeno in oggetto; viceversa, ciò che va analizzato è il fatto storico, sul quale convergono più norme.

L'esempio che veniva portato a suffragio di tale tesi era quello del concorso apparente tra il reato di ingiuria (oggi abrogato ex D. lgs. n. 7/2016, che ha sottratto l'ingiuria dal novero delle fattispecie di reato creando una apposita figura di illecito civile) e quello di oltraggio a pubblico ufficiale. Come si può notare, i beni giuridici tutelati dalle due norme sono eterogenei: l'onore dell'offeso nel caso dell'ingiuria, il prestigio della pubblica amministrazione nel caso dell'oltraggio a pubblico ufficiale.
Ebbene, ragionando sulla scorta della giurisprudenza tradizionale, sarebbe in questo caso da escludere il concorso apparente di norme; ma tale conclusione non appare accettabile alla luce del dato concreto dato dal diritto vivente, il quale testimonia come il rapporto tra ingiuria e oltraggio a pubblico ufficiale rappresenti una delle ipotesi più evidenti proprio di concorso apparente di norme ex art. 15 c.p.

La tesi che ritiene necessaria, ai fini della configurazione del concorso apparente di norme, l'identità dell'oggetto giuridico tutelato dalle norme in concorso, è considerata in definitiva troppo restrittiva, in quanto escluderebbe la possibilità di invocare il principio di specialità in relazione ad altre norme che sono tradizionalmente considerate in un rapporto di genere a specie (si pensi al reato di rapina (v. 628) e a quello di violenza privata (v. 610) posti rispettivamente a tutela del patrimonio e della libertà morale).

Sembra quindi maggiormente aderente al dato normativo e all'intenzione del legislatore la tesi che vuole che per "stessa materia" si intenda l'identità del fatto concreto (c.d. specialità in concreto), anche se dal raffronto delle norme appare del tutto diverso.

Così, ad esempio, tra i reati di truffa (v. 640) e millantato credito (v. 346, oggi abrogato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3.) qualora la truffa sia realizzata inducendo taluno a credere di poter influenzare un pubblico ufficiale (v. 357) o un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio (v. 358).

Al fine di accertare la natura apparente del concorso tra norme, il legislatore ha prediletto il criterio della specialità ovvero della prevalenza della norma speciale rispetto a quella generale.
Tuttavia, si sono sviluppati diversi orientamenti dottrinali riguardo al modo di intendere tale criterio.

Secondo la teoria monistica, il criterio contenuto nell'articolo in esame è l'unico di cui l'interprete può avvalersi, estendendo tale specialità fino a alle ipotesi di c.d. specialità in concreto ovvero la c.d. specialità bilaterale o reciproca, la quale si configura quando nessuna norma è speciale o generale, ma ciascuna è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano, accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici.
Esempio tipico di specialità reciproca si rinviene nel rapporto intercorrente tra il reato di aggiotaggio comune (v. 501) e quello di aggiotaggio societario.

Tale teoria è rimasta però minoritaria, in quanto la dottrina dominante aderisce principalmente alla teoria pluralistica, secondo la quale accanto al principio di specialità devono considerarsi anche quello di sussidiarietà e quello della consunzione.
Il criterio di specialità, quindi, afferisce alle sole ipotesi in cui dal raffronto astratto tra le norme in concorso emerge che tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie (generale) sono contenuti in altra fattispecie (speciale), la quale ne contiene a sua volta di ulteriori c.d. specializzanti.

Il criterio della sussidiarietà, invece, indica la disponibilità vicaria di una norma.
Più precisamente, nel caso in cui vi siano norme che prevedono un grado diverso di offesa di un medesimo bene, l'offesa maggiore contiene in sé quella minore.
La sussidiarietà opera in maniera espressa se è lo stesso legislatore, con apposita clausola di riserva, a subordinare l'applicazione di una norma alla mancata applicazione di un'altra (è quanto previsto, ad esempio, per il reato di percosse (v. 581). È, invece, tacita quando spetta all'interprete desumerla mediante un raffronto tra le norme in concorso. Si pensi, ad esempio, alla sussidiarietà tra la contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza (v. 726) e il delitto di atti osceni (v. 527).

Infine, la teoria pluralistica si rifà anche al criterio dell'assorbimento o consunzione (nel cui ambito alcuni autori fanno rientrare anche le suddette ipotesi di sussidiarietà tacita) nel caso di un concorso apparente di norme ravvisabile qualora la realizzazione di un reato comporta la realizzazione di un'altra fattispecie criminosa il cui disvalore rimane, tuttavia, assorbito nel primo reato. Si pensi, ad esempio, al reato di violenza sessuale (v. 609 bis) che assorbe la contestuale ingiuria rivolta alla vittima della stessa (v. 594).

Il principio di consunzione o assorbimento trova per lo più applicazione in relazione ai c.d. ante factum e post factum non punibili, ovvero quei reati che costituiscono la normale premessa o il logico sbocco di altri reati rappresentando rispettivamente il mezzo per commettere un reato più grave e quello per conseguire lo stato per il quale il reato più grave fu commesso, nei quali rimangono assorbiti. Per esemplificare, si pensi alla contravvenzione del possesso ingiustificato di chiavi o grimaldelli (v. 707) rispetto al reato di furto (v. 624) ovvero al reato di spendita di monete false (v. 455) rispetto al reato di falsificazione di monete (v. 453).
La consunzione opera poi anche nel caso di progressione criminosa, ovvero quando un soggetto, in forza di risoluzioni successive, compie aggressioni di crescente gravità nei confronti di un medesimo bene o interesse. Si pensi all'ipotesi di chi prima percuote una persona e poi decide di ucciderla. Anche in questi casi, il reo dovrà rispondere soltanto del reato più grave, rimanendo in esso assorbito quello minore.

La giurisprudenza degli ultimi anni è stata parecchio oscillante sul tema, passando dal riconoscere l'applicabilità di criteri alternativi alla specialità, in particolare quello di sussidiarietà e consunzione, ai fini dell'applicazione della disciplina del concorso apparente di norme, al negarlo espressamente. Infatti, la Cassazione, con sentenza n. 47164 del 20 dicembre 2005, si è nettamente espressa nel senso di una esclusione dell'applicabilità delle "teorie pluralistiche", affermando come gli unici criteri validi per regolare i rapporti tra reati siano quelli normativi, e quindi il solo criterio di specialità previsto dall'art. 15 c.p. e, laddove richiamata da specifiche clausole, la sussidiarietà.

Tuttavia, a pochi mesi di distanza, la stessa Cassazione è tornata sui suoi passi, in un caso riguardante i rapporti tra l'art. 423 e 434 secondo comma del Codice Penale, aderendo viceversa al criterio della consunzione come strumento di risoluzione del conflitto apparente tra più norme incriminatrici, in virtù dell'applicazione del superiore principio di diritto del ne bis in idem sostanziale, il quale prevede che nessuno possa essere punito più volte per lo stesso fatto.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA


Massime relative all'art. 15 Codice Penale

Cass. pen. n. 4910/2022

Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di cui all'art. 3 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, può concorrere con quello di occultamento o distruzione di documenti contabili, previsto dall'art. 10 del d.lgs. citato, dovendosi escludere il concorso apparente di norme e il rapporto di genere a specie previsti dall'art. 15 cod. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che, nel delitto di cui all'art. 3 d.lgs. citato, il ricorso all'artificio è strumentale alla falsa dichiarazione, mentre, nel delitto di cui al successivo art. 10, la condotta, in quanto realizzabile con qualsiasi modalità e non solo con artificio, può non essere strumentale alla falsa dichiarazione, che può mancare).

Cass. pen. n. 37136/2022

Il delitto di riduzione in servitù, attuato mediante violenza e minaccia costringendo la vittima a prestazioni sessuali, non può concorrere, per il principio di specialità, con quello di violenza sessuale configurato in relazione alle medesime condotte, in quanto contiene tutti gli elementi costitutivi di quest'ultimo, nonché, in funzione specializzante, l'ulteriore requisito della riduzione in stato di soggezione continuativa.

Cass. pen. n. 33117/2022

In tema di rapina impropria, ove la violenza, esercitata immediatamente dopo la sottrazione dei beni, determini la morte della persona offesa, la circostanza aggravante del nesso teleologico, di cui all'art. 61, comma primo, n. 2 cod. pen., è assorbita nel delitto per il principio di specialità, attesa la coincidenza tra le fattispecie della modalità commissiva dell'uso della violenza e dell'elemento finalistico dell'aver agito allo scopo di assicurarsi il profitto del reato o l'impunità.

Cass. pen. n. 22281/2022

Il delitto di false attestazioni o certificazioni di cui all'art. 55-quinquies d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, è in rapporto di specialità con quello di falsità (anche per induzione) di cui all'art. 480 cod. pen., che, pertanto, resta assorbito nel primo, non concorrendo con esso. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che, sebbene vi sia identità della condotta e del documento falsificato, ricorrono nel delitto di cui all'art. 55-quinquies d.lgs. n. 165 del 2001 elementi specializzanti, costituiti dall'oggetto dell'attestazione, riguardante la sussistenza di una condizione giustificativa dell'assenza lavorativa, e dalla speciale figura del pubblico ufficiale, indicata in un medico).

Cass. pen. n. 11064/2021

È configurabile il concorso tra il delitto di omesso versamento dell'IVA di cui all'art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e quello di bancarotta impropria mediante operazioni dolose previsto dall'art. 223, comma 2, n. 2, legge fall., essendo diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici, ovvero gli interessi del Fisco, da un lato, e quelli dei creditori, dall'altro, e non comportando, le parziali interferenze fattuali, la configurabilità di un concorso apparente di norme.

Cass. pen. n. 1761/2021

Non sussiste alcun rapporto riconducibile all'ambito di operatività dell'art. 15 cod. pen. tra il reato di cui all'art. 615-ter cod. pen., che sanziona l'accesso abusivo ad un sistema informatico, e quello di cui all'art. 167 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, concernente l'illecito trattamento di dati personali, trattandosi di fattispecie differenti per condotte finalistiche e attività materiali che escludono la sussistenza di una relazione di omogeneità idonea a ricondurle "ad unum" nella figura del reato speciale, "ex" art. 15 cod. pen.

Cass. pen. n. 18667/2021

Il reato progressivo, a differenza della progressione criminosa, si configura solo quando la progressione non determini la modificazione del titolo del reato e non consista nella intensificazione della medesima attività, ma trapassi ad un'attività diversa, per quanto connessa. (In applicazione del principio la Corte ha escluso la configurabilità del reato progressivo in relazione alle condotte, sviluppatesi a distanza di poche ore, di danneggiamento mediante esplosione di due petardi e di danneggiamento seguito da incendio della medesima autovettura).(Conf. Sez. 1, n. 16209 del 1978, Rv. 140675).

Cass. pen. n. 6350/2021

È configurabile il concorso tra il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose di cui all'art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall. e quello di indebita compensazione di credito d'imposta, previsto dall'art.10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non sussistendo tra le fattispecie un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell'art. 15 cod. pen. (Rigetta, CORTE APPELLO MILANO, 21/02/2020).

Cass. pen. n. 34504/2020

È configurabile il concorso tra i reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona quando la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisce nella abituale coercizione fisica e psicologica, ma ne costituisce un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un'arbitraria compressione, pur non assoluta, della libertà di movimento della persona offesa. (Fattispecie in cui, in un regime familiare improntato alla costante e continua prevaricazione e violenza del marito nei confronti della moglie, questa veniva bloccata a letto per alcune ore con le manette ai polsi).

Cass. pen. n. 25836/2020

Sussiste concorso apparente di norme tra il reato di presentazione di una domanda di ammissione al passivo di un credito fraudolentemente simulato (art. 232, comma 1, legge fall.) e quello di truffa di cui all'art. 640 cod. pen. (Fattispecie in cui la simulazione del credito ammesso al passivo, liquidato dagli organi dell'amministrazione straordinaria, era stata realizzata mediante una serie di fittizie cessioni originate da un avente causa irreperibile o deceduto). (Annulla in parte con rinvio, TRIB. LIBERTA' MILANO, 22/04/2020).

Cass. pen. n. 16956/2019

Sussiste concorso apparente di norme tra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e quello di cui all'art. 388, comma ottavo, cod. pen., che punisce l'omessa o falsa dichiarazione resa dal debitore esecutato in conseguenza dell'invito dell'ufficiale giudiziario ad indicare le cose o i crediti pignorabili ai sensi dell'art. 492, comma quarto, cod. proc. civ. (Rigetta, CORTE APPELLO BRESCIA, 12/09/2018)

Cass. pen. n. 44698/2019

In tema di false dichiarazioni al pubblico ministero, il reato di cui all'art.371-bis cod.pen. si pone in rapporto di specialità unilaterale per specificazione rispetto al reato di favoreggiamento personale di cui all'art.378 cod.pen., pertanto non è configurabile il concorso formale tra le due fattispecie, determinandosi l'assorbimento della meno grave ipotesi di favoreggiamento nel più grave reato di false dichiarazioni. (In motivazione, la Corte ha precisato che entrambe le fattispecie di reato tutelano il regolare svolgimento dell'attività investigativa con la differenza che l'art.378 cod.pen. prevede una fattispecie a forma libera, rispetto alla quale l'art.371-bis cod.pen. incrimina le condotte che si sostanziano in dichiarazioni false o reticenti rese al pubblico ministero).

Cass. pen. n. 17415/2019

È configurabile il concorso materiale tra i delitti di ricettazione e di detenzione illegale di arma comune da sparo, provento di furto, attesa la diversità delle due fattispecie sia sul piano materiale e psicologico che su quello cronologico dei momenti di consumazione. (Dichiara inammissibile, GIP TRIBUNALE TIVOLI, 04/10/2018).

Cass. pen. n. 41007/2018

Il principio di specialità stabilito dall'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è derogabile da leggi ordinarie con il limite del rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, e l'esclusione della sua operatività può essere ricavata dalla circostanza che le sanzioni penali e quelle amministrative suscettibili di convergere sullo stesso fatto storico sono inserite nel medesimo testo normativo, senza la formulazione di clausole di riserva o di espliciti richiami al citato art. 9. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la sussistenza di un concorso apparente di norme tra le previsioni degli artt. 166 e 196 del d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in tema di abusivismo finanziario).

Cass. pen. n. 20664/2017

Nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall'art.15 cod.pen., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore.

Cass. pen. n. 11540/2017

Il reato di cui all'art. 374 bis cod. pen., si pone in rapporto di specialità rispetto al delitto di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, in quanto si differenzia da questo per la funzione della falsa rappresentazione e per la destinazione dell'atto, ivi contemplato, all'autorità giudiziaria.

Cass. pen. n. 4459/2017

Il reato di abuso d'ufficio (art. 323 cod. pen.) e quello di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 cod. pen.), non possono formalmente concorrere fra loro giacché, quando il vantaggio economico del pubblico ufficiale sia da questi conseguito in dipendenza di un'erogazione altrui e di un proprio comportamento, attivo od omissivo, contrario ai doveri d'ufficio, trova applicazione, per il principio di specialità, la più grave delle due figure criminose in questione, e cioè quella della corruzione, caratterizzata, rispetto all'altra, dalla presenza del soggetto erogatore di un'utilità collegata da nesso teleologico al suindicato comportamento del pubblico ufficiale.

Cass. pen. n. 6597/2014

Il delitto di sostituzione di persona non è assorbito in altra figura criminosa, in presenza di un unico fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla previsione di cui all'art. 494 cod. pen. sia a quella di altra norma a tutela della fede pubblica. (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso il concorso apparente di norme tra i reati di sostituzione di persona e falsità in certificati nella condotta dell'imputato, che aveva falsificato la carta d'identità del soggetto, cui successivamente si era sostituito per commettere ulteriori reati).

Cass. pen. n. 5793/2014

Il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia concorre e non è assorbito nel reato di estorsione, trattandosi di fattispecie preordinate alla tutela di beni giuridici diversi: la disposizione di cui all'art. 513 bis cod. pen. ha come scopo la tutela dell'ordine economico e, quindi, del normale svolgimento delle attività produttive a esso inerenti, mentre il reato di estorsione tende a salvaguardare prevalentemente il patrimonio dei singoli.

Cass. pen. n. 1856/2014

L'art. 642 cod. pen., strutturato come una norma penale mista del tutto peculiare, prevede nei suoi commi primo e secondo cinque diverse fattispecie di reato - in particolare, il danneggiamento dei beni assicurati e la falsificazione o alterazione della polizza, nel comma primo; la mutilazione fraudolenta della propria persona, la denuncia di un sinistro non avvenuto e la falsificazione o alterazione della documentazione relativi al sinistro, nel comma secondo - che, ove ricorrano gli estremi fattuali, possono concorrere fra loro. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il concorso di reati nel caso di fraudolenta distruzione della cosa propria e di fraudolenta esagerazione del danno).

Cass. pen. n. 933/2014

I reati di cui agli artt. 629 cod. pen. e 12, comma quinto, D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 possono concorrere, in quanto le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi (rispettivamente l'inviolabilità del patrimonio e della libertà personale il primo, la sicurezza interna il secondo) ed integrate da condotte differenti (in particolare, integrate quelle del primo delitto da violenza e minacce finalizzate a procurarsi un ingiusto profitto, quella del secondo da condotta di favoreggiamento della permanenza sul territorio di stranieri extracomunitari irregolari).

Cass. pen. n. 46223/2013

Il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina di una prostituta è assorbito in quello, più grave, di favoreggiamento della prostituzione, qualora la condotta sia unica dal punto di vista storico e naturalistico, in virtù della clausola di riserva contenuta nell'art. 12, comma quinto, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

Cass. pen. n. 1963/2011

In caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all'altra all'esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte.

Cass. pen. n. 1235/2011

In caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di specialità (art. 15 c.p.) richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle.

Cass. pen. n. 31735/2010

I reati di sequestro di persona, rapina e tentato omicidio possono concorrere tra loro non sussistendo alcun rapporto di consunzione o sussidiarietà tra gli stessi, attesa la diversità dei beni giuridici tutelati che, da un lato, non consente di ritenere assorbiti tra loro gli interessi tutelati dalle fattispecie di sequestro di persona e rapina e, dall'altro, esclude che tali ultime condotte costituiscano il necessario antefatto del delitto di tentato omicidio. (In motivazione la Corte ha aggiunto che non è applicabile il criterio della consunzione, in quanto il tentato omicidio non comprende in sè i fatti di rapina e sequestro di persona, nè esaurisce l'intero disvalore del fatto concreto).

Cass. pen. n. 18514/2010

L'omicidio volontario di donna in stato di gravidanza non assorbe il reato di procurato aborto, trovando applicazione in simile ipotesi la disposizione sul concorso formale di reati e non quella sul concorso apparente di norme.

Cass. pen. n. 6775/2005

Il delitto di violenza sessuale (nella specie, di gruppo: art. 609 octies c.p.), considerato come circostanza della forma aggravata dell'omicidio, se commesso in un unico contesto temporale, non concorre formalmente con esso, ma in esso resta assorbito, confluendo nella figura del reato complesso in senso stretto di cui all'art. 84, comma primo, c.p., punibile con la pena dell'ergastolo.

Cass. pen. n. 3286/2005

Sussiste un rapporto di specialità tra le disposizioni della legge n. 248 del 2000, in materia di diritto di autore, relativamente all'ipotesi di acquisto di supporti audiovisivi, fotografici, informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni di legge, e il reato di ricettazione, atteso che l'estrema specificità della disciplina speciale a tutela del diritto di autore rende tali condotte illecite del tutto ricomprensibili nella più generica previsione di cui all'art. 648 c.p., tutelando la legge n. 248 del 2000 anche gli interessi patrimoniali, alla pari del delitto di ricettazione.

Cass. pen. n. 47972/2004

Per il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza (fisica o morale) sia stata usata direttamente ed esclusivamente per uno dei fini particolari previsti da altre ipotesi di reato, quale il sequestro di persona, allorché la violenza esercitata sulla vittima sia stata unicamente rivolta a privarla della libertà.

Cass. pen. n. 19607/2004

Il delitto di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) ha natura plurioffensiva, tutelando la norma non solo la libertà di partecipare alle gare nei pubblici incanti, ma anche la libertà di chi vi partecipa ad influenzarne l'esito, secondo la libera concorrenza ed il gioco della maggiorazione delle offerte. Ne consegue che, in base al principio di specialità espresso dall'art. 15 c.p., tale delitto non può concorrere con quello di estorsione (art. 629 c.p.), con la conseguenza che quest'ultimo deve ritenersi assorbito nel primo.

Cass. pen. n. 49536/2003

Atteso il carattere residuale del reato di abuso di ufficio previsto dall'art. 323 c.p., anche dopo la novella della L. 16 luglio 1997, n. 234, deve escludersi, in applicazione della regola della specialità sancita dall'art. 15 c.p., il concorso formale di tale reato con quelli, più gravi, di violenza privata e lesioni, aggravati entrambi ex art. 61, n. 9 c.p.

Cass. pen. n. 23438/2003

La disposizione dell'art. 20, comma quinto, della legge n. 40 del 1998 (oggi trasfusa in quella dell'art. 22, comma 10, D.L.vo 286 del 1998), la quale punisce il fatto del datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, non è speciale rispetto a quella di cui all'art. 10, comma quinto, della stessa legge (oggi art. 12, comma 5, D.L.vo citato) che prevede il reato di favoreggiamento della permanenza di stranieri nel territorio dello Stato in condizioni di illegalità. Ne consegue che i due reati possono concorrere tra di loro.

Cass. pen. n. 18100/2003

Qualora il delitto di cui all'art. 73 D.P.R. n. 309/90 sia commesso anche avvalendosi della forza intimidatrice dell'appartenenza ad una associazione mafiosa, la collaborazione prestata per evitare che l'attività criminosa sia portata a conseguenze ulteriori individua una attenuante che si colloca in rapporto di specialità rispetto a quella prevista per la dissociazione sia perché specifica in relazione ai reati in materia di stupefacenti sia perché più favorevole prevedendo una riduzione della pena dalla metà ai due terzi.

Cass. pen. n. 32363/2002

Non sussiste rapporto di specialità (art. 15 c.p.) tra il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e quello di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), trattandosi di reati che tutelano interessi diversi - la correttezza dei rapporti familiari nella prima ipotesi, lo status libertatis dell'individuo nella seconda - e che presentano un diverso elemento materiale, in quanto nell'ipotesi dell'art. 572 c.p. è necessario che un componente della famiglia sottoponga un altro a vessazioni, mentre nel caso di riduzione in schiavitù è necessario che un soggetto eserciti su un altro individuo un diritto di proprietà, con la conseguenza che le due ipotesi di reato, sussistendone i presupposti, possono concorrere.

Cass. pen. n. 24847/2002

In tema di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici, la detenzione di una scheda contraffatta (pic card) per la decrittazione delle trasmissioni a pagamento (pay-tv) configura il reato di cui all'art. 615 quater c.p., ma non rientra nella previsione di cui all'art. 171 octies della L. n. 248 del 2000 che invece concerne la tutela del diritto di autore, con la conseguenza che tra le due previsioni non sussiste alcun rapporto di specialità.

Cass. pen. n. 41928/2001

La fattispecie criminosa di cui all'art. 316 ter c.p. (inserito dall'art. 4 della legge 29 settembre 2000, n. 300) che sanziona l'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato costituisce norma sussidiaria rispetto al reato di truffa di cui all'art. 640 bis c.p. il quale esaurisce l'intero disvalore del fatto ed assorbe l'interesse tutelato dalla prima previsione. Ne consegue che il reato di cui all'art. 316 ter può trovare applicazione solo ove non ricorra la fattispecie di cui all'art. 640 bis c.p.

Cass. pen. n. 35773/2001

Sussiste concorso materiale tra i reati previsti dalle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, atteso che la diversa natura dei reati medesimi (i primi di pericolo e di mera condotta, i secondi di danno e di evento), il diverso elemento soggettivo (la colpa generica nei primi, la colpa specifica nei secondi, nell'ipotesi aggravate di cui al comma 2 dell'art. 589 e al comma 3 dell'art. 590), i diversi interessi tutelati (la prevalente finalità di prevenzione dei primi, e lo specifico bene giuridico della vita e dell'incolumità individuale protetto dai secondi), impongono di ritenere non applicabile il principio di specialità di cui all'art. 15 del codice penale.

Cass. pen. n. 2752/2000

L'art. 2, primo comma, legge 23 dicembre 1986, n. 898 punisce chiunque, mediante l'esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente per sé o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia. Data la struttura della norma, risulta che “l'esposizione di dati o notizie falsi” è requisito essenziale per la configurazione della fattispecie; ne deriva che detto reato non può concorrere con il delitto di falso previsto dall'art. 483 c.p., sussistendo concorso apparente di norme, ai sensi dell'art. 15 c.p., in quanto tutti gli elementi previsti dall'art. 483 c.p. sono ricompresi (e quindi assorbiti) nella fattispecie di cui all'art. 2 della legge citata, sicché quest'ultima risulta avere come elemento specializzante, rispetto al falso, l'indebita percezione del contributo del Fondo Europeo sopra citato.

Cass. pen. n. 14718/1999

Sussiste concorso apparente di norme tra il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) e quello di abuso di autorità mediante ingiurie nei confronti di inferiore di grado (art. 196 c.p.m. p.), che rimane dunque assorbito nel primo. Nel delitto di cui all'art. 610 c.p., infatti, il soggetto attivo, con violenza o minaccia, mira a costringere la vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa, mentre, nel reato militare, la minaccia di ingiusto danno, formulata dal superiore nei confronti dell'inferiore, è fine a sé stessa, poiché la norma non specifica lo scopo che l'agente intende raggiungere.

Cass. pen. n. 13299/1999

In tema di falsità materiale in atto pubblico, si realizza concorso apparente di norme tra le disposizioni degli artt. 469 c.p. (contraffazione delle impronte di pubblica autenticazione e certificazione) e 476 stesso codice (falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici) nel caso in cui la falsificazione concerna un atto notarile. Invero, la fattispecie ex art. 476 c.p., avendo carattere più generale, coinvolge quella di cui all'art. 469 c.p. che ha per oggetto solo un aspetto del documento falsificato e cioè l'impronta del sigillo notarile.

Cass. pen. n. 11568/1999

Sussiste concorso apparente di norme tra il reato previsto dall'art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) e quello di cui all'art. 2 legge 23 dicembre 1986 n. 898; invero tutti gli elementi presenti nella fattispecie criminosa di cui all'art. 483 c.p. sono compresi (e quindi assorbiti) nella fattispecie di cui alla legge del 1986, che presenta l'elemento «specializzante» dell'indebita percezione del contributo del Fondo europeo. (Fattispecie in cui il ricorrente, assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato con riferimento al delitto di frode comunitaria — in quanto i contributi erogabili a seguito delle mendaci dichiarazioni non avrebbero superato i 20 milioni di lire — era stato condannato, in relazione al medesimo episodio, per il reato ex art. 483 c.p. La Suprema Corte, enunciando il principio di cui sopra, in applicazione dell'art. 15 c.p., ha annullato senza rinvio la sentenza del giudice di merito).

Cass. pen. n. 4062/1999

Tra il reato di istigazione alla corruzione propria di cui all'art. 322, secondo comma, c.p. e quello di subornazione, previsto dall'art. 377 c.p., nel testo risultante dall'art. 11, sesto comma, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, qualora l'attività illecita dell'agente si rivolga nei confronti del consulente tecnico del pubblico ministero, intercorre un rapporto di specialità ai sensi dell'art. 15 c.p. in virtù del quale deve trovare applicazione solo l'art. 377 c.p., sia in relazione al profilo soggettivo, per la specificità della persona coinvolta (sempre che abbia già assunto la veste di testimone per effetto di citazione a comparire), sia al profilo oggettivo, per la specificità dell'atto contrario ai doveri di ufficio, mirante, in sostanza, alla manipolazione dell'accertamento tecnico.

Cass. pen. n. 3926/1999

Tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito dei partiti, deve ritenersi ammissibile il concorso formale in quanto diverse sono le condotte e diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici: il buon andamento della Pubblica Amministrazione, per quanto attiene alla corruzione, ed il metodo democratico, con riguardo all'altro reato.

Cass. pen. n. 12345/1998

Poiché il concorso apparente di norme coesistenti postula che una determinata norma incriminatrice speciale presenti in sè tutti gli elementi costitutivi di un'altra generale oltre che un elemento ulteriore cosiddetto specializzante, non può ravvisarsi alcun concorso di norme quando il giudice di merito escluda, in fatto, la presenza di un elemento costitutivo di una di esse, anche se tale esclusione riguardi un reato diverso da quelli cui si riferiscono le norme in concorso. (Nella specie, i giudici di merito, nell'affermare la responsabilità degli imputati per il reato di cui all'art. 1, comma primo, della legge 7 agosto 1982, n. 516, avevano escluso che gli imputati stessi avessero compiuto «artifici e raggiri» atti a indurre in errore lo Stato, essendosi limitati a non presentare le prescritte dichiarazioni dei redditi e dell'Iva. Oltre ad aver pronunciato condanna per tale reato, avevano anche dichiarato gli imputati responsabili del delitto di cui all'art. 4, comma primo, lett. b), della legge 7 agosto 1982, n. 516 per avere distrutto o comunque occultato la contabilità di alcune società di comodo da loro create, al fine di impedire la ricostruzione del volume di affari e l'individuazione dei clienti e fornitori, dichiarando assorbito in tale reato quello di truffa, pure contestato, per avere i prevenuti — con artifici e raggiri consistiti nella creazione di società di comodo e altre attività illecite — indotto in errore la pubblica amministrazione non versando l'Iva fatturata e riscossa. La Corte Suprema, enunciando il principio di cui sopra, ha annullato la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di merito avevano dichiarato assorbito il reato di truffa, chiarendo che — dopo l'affermazione che gli imputati non avevano compiuto «artifici e raggiri» — avrebbero dovuto dichiarare insussistente il reato di truffa).

Cass. pen. n. 11640/1998

Il delitto di frode in commercio di cui all'art. 515 c.p. non viene assorbito, ma concorre con l'illecito amministrativo previsto dall'art. 44 della legge 4 luglio 1967 n. 580 sulla produzione di pasta alimentare di grano duro. Le due norme, infatti, riguardano due oggetti giuridici diversi, in quanto la norma di cui all'art. 515 c.p. tutela l'interesse degli acquirenti alla correttezza ed alla lealtà degli scambi commerciali, mentre le disposizioni della legge 580 del 1967 tutelano la salute pubblica e l'interesse pubblico alla regolarità nell'impiego di ingredienti destinati all'alimentazione.

Cass. pen. n. 7516/1998

In ipotesi di concorso delle imputazioni di oltraggio e di lesioni volontarie aggravate dalla qualità di pubblico ufficiale, ai sensi dell'art. 61, n. 10, c.p., devono trovare applicazione entrambe le norme, in considerazione dei differenti beni giuridici protetti dalle due previsioni legislative. Non può, infatti, operare, in tal caso il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., perché la disposizione presuppone che più norme incriminatrici regolino la stessa materia, abbiano, cioè la stessa obiettività giuridica, intesa nel senso di identità del bene protetto.

Cass. pen. n. 4796/1998

A seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice della strada, approvato con il decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, l'inottemperanza all'invito impartito dalla competente autorità di presentarsi, entro il termine stabilito nell'invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documentazione ai fini dell'accertamento di violazioni amministrative previste dal detto codice, non è punibile ai sensi dell'art. 650 c.p., poiché il comma ottavo dell'art. 180 del nuovo codice della strada sanziona tal genere di inottemperanze con pena pecuniaria amministrativa, di tal che detta condotta non costituisce più illecito penale, in applicazione del principio di specialità di cui all'art. 9, comma primo, della legge 24 novembre 1981 n. 689, ma mero illecito amministrativo.

Cass. pen. n. 3617/1998

In materia di protezione del diritto d'autore l'art. 171 a) della legge 22 aprile 1941 n. 633 punisce con la multa chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma riproduce, recita in pubblico, diffonde o pone comunque in commercio un'opera altrui; mentre l'art. 1 della legge 22 maggio 1993 n. 159 punisce con sanzione amministrativa chiunque abusivamente riproduce a fini di lucro, con qualsiasi procedimento, la composizione grafica di opere, o parti di opere, librarie. Posto che la medesimezza del fatto va valutata in astratto e non in concreto, nelle due norme è diversa sia la condotta (da una parte riproduzione, ma anche diffusione, recitazione pubblica ecc., dall'altra solo riproduzione) sia l'oggetto materiale (da una parte l'opera dell'ingegno quale bene immateriale, dall'altra la composizione grafica dell'opera, ovvero l'opera materiale, il corpus mechanicum). Ne consegue che il fatto previsto dalle due norme non è il medesimo, e dunque non si configura il rapporto di specialità tra norme ex art. 9 legge 689/81.

Cass. pen. n. 2704/1997

Tra la fattispecie di cui all'art. 611 e quella di cui all'art. 629 c.p., nella forma consumata o tentata, non sussiste alcun rapporto di specialità che si presenti riconducibile alla nozione accolta nell'art. 15 dello stesso codice, in quanto - a parte la diversità di beni giuridici tutelati dalle due fattispecie - nel primo reato la condotta presa in considerazione dalla legge è quella diretta a costringere altri a commettere un reato, mentre nel secondo reato la condotta incriminata è quella diretta a conseguire - in coerenza con la natura di reato contro il patrimonio che è propria della figura dell'estorsione - un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, sicché si riscontra in ciascuna delle due ipotesi criminose una diversità di condotte finalistiche, una diversità di beni aggrediti ed una diversità di attività materiali che non lascia sussistere tra esse quella relazione di omogeneità che le rende riconducibili ad unum nella figura del reato speciale ex art. 15 c.p. (In applicazione di detto principio la Corte ha rigettato il motivo con il quale il ricorrente, sulla base di un asserito rapporto di specialità bilaterale e reciproca tra le due fattispecie, sosteneva l'avvenuto assorbimento nel delitto di estorsione di quello previsto dall'art. 611 c.p.).

Cass. pen. n. 2620/1996

È possibile il concorso fra i reati associativi di cui agli artt. 416 bis c.p. e 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 quando si sia in presenza, da una parte, di un organismo (quello di stampo mafioso) a carattere federalistico e verticistico, raggruppante l'intera massa degli associati, dall'altro di organismi che, operando nello specifico campo del traffico degli stupefacenti, fruiscano, pur sotto la sorveglianza e con il contributo logistico dell'organizzazione di stampo mafioso, di una certa libertà operativa e siano (eventualmente) differenziati soggettivamente dallo schema strutturale di detta ultima organizzazione. Ne consegue che proprio per la pur limitata autonomia dell'associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti e la possibile, almeno parziale, differenza nella componente soggettiva, l'affiliazione all'organizzazione mafiosa non è da sola sufficiente a dimostrare la partecipazione all'altra, per la cui sussistenza occorre verificare se il soggetto risulti inserito e partecipe della particolare, autonoma finalità dell'illecita circolazione dello stupefacente.

Cass. pen. n. 5189/1996

In applicazione del principio di specialità sancito dall'art. 15 c.p. e del principio secondo cui lo stesso fatto non può essere posto a carico dell'agente una seconda volta, la violenza o minaccia adoperata dopo la sottrazione di una cosa mobile altrui, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità, è elemento costitutivo del reato di rapina impropria, di cui all'art. 628, primo capoverso, c.p. valutato dal legislatore per configurare tale fattispecie di reato, e pertanto non può essere valutata una seconda volta a titolo di circostanza aggravante del nesso teleologico prevista dall'art. 576, n. 1, c.p. in relazione all'art. 61, n. 2, c.p.

Cass. pen. n. 3030/1996

In base al principio di specialità deve escludersi concorso formale tra il reato di abuso di ufficio di cui all'art. 323 comma 2 c.p.p. e quello di corruzione di cui all'art. 319 c.p.; ciò peraltro non comporta che non possa aversi un concorso materiale tra i predetti: il che si verifica quando sussistano distinte condotte accompagnate dall'elemento psicologico previsto dalle citate norme incriminatrici. (Principio affermato con riguardo a fattispecie nella quale il pubblico ufficiale non si era limitato solo agli atti contrari ai doveri di ufficio, oggetto della corruzione e costituiti dalla redazione di atti pubblici falsi e dalla soppressione di atti pubblici, ma aveva anche ordinato fraudolentemente, ai suoi collaboratori ignari, di redigere siffatti atti così dovendo rispondere del fatto abusivo da questi ultimi posto in essere).

Cass. pen. n. 1602/1996

Tra l'art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto) e l'art. 589 stesso codice (omicidio colposo) esiste un concorso apparente di norme, che va risolto ex art. 15 c.p. con l'applicazione esclusiva della norma speciale. La quale è proprio quella dell'art. 586 c.p., che prevede alcuni elementi comuni con la norma dell'art. 589 citato (condotta umana che cagiona l'evento della morte di una persona) e alcuni elementi aggiuntivi esclusivi (colpa consistente nella commissione di un delitto doloso, pena aggravata). Ne deriva che quando la morte è conseguenza di altro delitto non può applicarsi la norma dell'art. 589 c.p., ma deve applicarsi soltanto quella dell'art. 586 stesso codice.

Cass. pen. n. 11413/1995

Il delitto previsto dall'art. 74 D.P.R. n. 309/1990 costituisce norma speciale rispetto all'art. 416 c.p., perché a tutti gli elementi costitutivi della associazione per delinquere - a) vincolo tendenzialmente permanente o comunque stabile; b) indeterminatezza del programma criminoso; c) esistenza di una struttura organizzativa adeguata allo scopo - aggiunge quello specializzante della natura dei reati fini programmati, che devono essere quelli previsti dall'art. 73 D.P.R. cit. In forza del principio di specialità (art. 15 c.p.) la costituzione di un'associazione finalizzata al solo traffico di stupefacente non potrà essere punita a doppio titolo (ex art. 416 c.p. e art. 73 T.U. 309/90), mentre la costituzione di una associazione finalizzata alla commissione, sia di reati di stupefacente che di reati diversi, potrà essere punita, oltre che dal citato art. 73, anche dall'art. 416 c.p., con riferimento a quell'ulteriore evento giuridico, lesivo del bene tutelato, ravvisabile nella costituzione di una seconda situazione di pericolo, autonomamente ravvisabile, con particolare riferimento a quegli elementi del reato associativo indicati sub b) e c) che, rientrando nella previsione di carattere generale, si sottraggono a quella speciale e, perciò, sfuggono, alla disposizione dell'art. 15 c.p.

In tema di associazione per delinquere e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, al fine di distinguere le ipotesi di concorso apparente di norme da quelle di concorso formale di reati occorre far riferimento al principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., fondato sul rapporto logico formale fra le norme incriminatrici, mentre gli altri criteri (sussidiarietà, assorbimento, progressione degli illeciti) basati su giudizi di valore, risolti con la prevalenza della sola sanzione prevista per l'ipotesi più grave, non sono utilizzabili, in quanto i due eventi di pericolo che le predette associazioni realizzano (pericolo di diffusione di sostanze stupefacenti l'una, prevalente pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio e le persone l'altra) non si pongono in rapporto di graduazione di dignità e gravità di offesa ai medesimi beni, bensì in rapporto di diversità di beni giuridici tutelati.

Cass. pen. n. 10453/1995

Il delitto di furto di materiale inerte sottratto dall'alveo di un torrente mediante escavazione dello stesso non rimane assorbito nel reato di cui agli artt. 133, 142 R.D. 25 luglio 1904, n. 523, e 374 L. 20 marzo 1865, n. 2248 ma concorre con questo. Il principio di specialità previsto dall'art. 15 c.p. non può infatti, operare, in quanto la contravvenzione punisce comportamenti dal legislatore ritenuti pericolosi per l'assetto idrogeologico del territorio e, quindi, lesivi di un interesse essenzialmente pubblico, che può risultare in concreto vulnerato anche senza che abbiano luogo l'impossessamento e l'asportazione del materiale, mentre l'essenza giuridica del delitto di furto è costituita dalla violazione del diritto di proprietà, pubblica o privata, e la sua materialità postula necessariamente la sottrazione e l'impossessamento della cosa.

Cass. pen. n. 4491/1995

La disposizione di cui all'art. 15, lettera a) del nuovo codice della strada, che punisce con una sanzione amministrativa il danneggiamento di opere, piantagioni ed impianti appartenenti alle strade ed alle loro pertinenze, è norma speciale rispetto all'art. 635, n. 3, c.p., perché detta la disciplina relativa ad una specifica categoria di beni; né rileva a tal fine l'eventuale diversa oggettività giuridica delle due disposizioni, dovendosi avere riguardo per configurare il rapporto di specialità, ai sensi dell'art. 9 della L. 24 novembre 1981, n. 689, non agli interessi tutelati dalle norme ma alla fattispecie concreta che in tutti i suoi elementi materiali potrebbe essere ricondotta ad entrambe le disposizioni in questione. (Nella specie la Corte ha ritenuto integrato l'illecito amministrativo de quo nel danneggiamento di lampioni facenti parte dell'impianto di illuminazione di una strada).

Cass. pen. n. 478/1995

La disposizione di cui all'art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che punisce l'associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non si pone in rapporto di specialità con l'art. 416 bis c.p. (associazione per delinquere di stampo mafioso) in quanto i due reati si distinguono nettamente, essendo caratterizzato il secondo dal metodo mafioso, assente nel primo, il quale contiene un elemento costituito dalla natura dei reati-fine, specializzante, solo rispetto al delitto di cui all'art. 416 c.p.; ciò significa che fra le predette norme incriminatrici esiste un rapporto di specialità reciproca, che non consente l'applicazione del principio sancito dall'art. 15 c.p., ma rende configurabile il concorso formale fra i due reati. Pertanto, se l'esistenza di un sodalizio criminoso non mafioso finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti configura il reato di cui all'art. 74, D.P.R. n. 309/1990 e non anche quello di cui all'art. 416 c.p., il fatto di una organizzazione mafiosa che si dedichi a detto traffico rientra nell'ambito applicativo di entrambe le fattispecie criminose.

Cass. pen. n. 9568/1995

Perché si verifichi il concorso di norme (con la conseguente necessità di individuare la norma speciale che deroga a quella generale) è necessaria, in primo luogo, l'identità della natura delle norme, che devono essere, tutte, norme penali, e, successivamente, l'identità dell'oggetto di tali norme, che devono regolare, tutte la stessa materia; devono esser, perciò, caratterizzate dall'identità del bene alla cui tutela sono finalizzate. (Fattispecie relativa a inosservanza delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata con violazione di quella avente ad oggetto la sospensione della patente di guida, in ordine alla quale la S.C. ha ritenuto insussistente il concorso di norme disciplinate dall'art. 15 c.p., sul rilievo che, se la disposizione che prevede e punisce la guida di un veicolo con patente sospesa è di indubbia natura penale, non lo è la norma dell'art. 108 della legge n. 689 del 1981, la quale ha carattere esclusivamente procedimentale, nell'ambito del procedimento che concerne l'esecuzione delle sentenze di condanna a pena pecuniaria nell'ipotesi in cui l'esecuzione ordinaria di tali sentenze abbia esito negativo per insolvibilità del condannato).

Cass. pen. n. 4828/1995

Il reato di fraudolenta distruzione della cosa propria (art. 642 c.p.) costituisce un'ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa (art. 640 c.p.); nel primo, infatti, sono presenti gli stessi elementi della condotta caratterizzanti il secondo ed, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela del patrimonio dell'assicuratore.

Cass. pen. n. 4522/1995

Per il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza (fisica o morale) sia stata usata per uno dei fini particolari previsti da altre ipotesi di reato, come un sequestro di persona, posto che il reato di cui all'art. 610 c.p., avente carattere sussidiario, non è applicabile se il fatto ricade sotto altro titolo delittuoso specificamente previsto dalla legge. (Nel caso di specie, la violenza esercitata sulla vittima era stata diretta immediatamente a privarla della libertà personale per alcune ore, costringendola a salire, mediante minaccia con una pistola, su una autovettura: la S.C. ha ritenuto il reato di violenza privata assorbito in quello di sequestro di persona, enunciando il principio di cui in massima).

Cass. pen. n. 7196/1994

In tema di rapina, la violenza, consistita nel porre taluno in stato d'incapacità d'intendere e di agire, non può ritenersi assorbita nell'elemento costitutivo del delitto di tentato omicidio trattandosi di condotta relativa alla commissione di distinte fattispecie criminose, che mantengono la loro autonomia e tra le quali è ammissibile il concorso. Infatti, rispetto alla identità della condotta (nella specie avere tramortito una donna con pugni e calci), nel tentato omicidio è rilevabile il dolo diretto, cioè l'intenzione di uccidere, mentre nella rapina c'è il quid pluris di porre la vittima in stato d'incapacità d'intendere e di agire proprio per meglio eseguire il reato, sicché non trova applicazione il principio di specialità (art. 15 c.p.), in virtù del quale l'una fattispecie criminosa sarebbe assorbita nell'altra, ma ricorre, invece, un tipico caso di concorso formale di reati. (Fattispecie relativa a rigetto del ricorso con cui si era lamentata l'errata contestazione dell'aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 2 c.p.).

Cass. pen. n. 5213/1994

Deve ammettersi il concorso tra il reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente commesso da persona armata ed il reato di illecita detenzione di arma; in senso contrario non potrebbe invocarsi né il principio di specialità in quanto il bene giuridico protetto (ordine pubblico e salute pubblica) è diverso nelle rispettive norme incriminatrici, né il principio dell'assorbimento mancando identità degli elementi costitutivi tra l'aggravante predetta ed il reato di detenzione illecita di arma posto che l'aggravante in questione non postula illiceità della detenzione e pertanto non può dirsi costituito da un fatto che integrerebbe per sé stesso reato.

Cass. pen. n. 11395/1993

Il concorso apparente tra una norma che commina una sanzione penale ed una norma che commina una sanzione amministrativa va risolto alla stregua dell'art. 9 della L. 24 novembre 1981, n. 689, con la conseguente applicazione del principio di specialità ancorato non ad una previsione astratta di divieti, ma ad una realtà di fatto valutata sulla base della concreta emergenza di dati giuridicamente rilevanti. (Applicazione in tema di — ipotetico — concorso tra sanzione penale e sanzione amministrativa per la somministrazione ad animali da stalla di sostanze estrogene diverse dagli stilbenici e dalle sostanze ad azione tireostatica).

Cass. pen. n. 11055/1993

L'elemento materiale del reato di attentato contro i diritti politici del cittadino, previsto dall'art. 294 c.p., consiste in una condotta esplicantesi in violenza, minaccia o inganno che si traduce nell'impedimento all'esercizio di un diritto politico o nella determinazione del cittadino stesso ad esercitarlo in maniera difforme dalla sua volontà. L'art. 610 c.p., che prevede il reato di violenza privata, delinea una fattispecie generica e sussidiaria, sicché questa è destinata ad essere assorbita in quella specifica di cui all'art. 294 c.p., in virtù del principio di specialità fissato dall'art. 15 c.p. (Fattispecie connotata dalla minaccia nei confronti di un candidato alla carica di consigliere comunale, al fine di costringerlo a ritirare la candidatura, con la prospettazione del rigetto della domanda di assunzione come giardiniere del comune, dallo stesso presentata. La S.C. ha statuito che correttamente il giudice di merito aveva ravvisato il delitto ipotizzato dall'art. 294 c.p.).

Cass. pen. n. 1560/1993

Il delitto di partecipazione alla associazione per delinquere finalizzata all'esercizio abusivo del gioco del lotto, in quanto reato-mezzo, non può ritenersi assorbito, ex art. 15 c.p., nel delitto di esercizio del gioco del lotto clandestino, con premi in danaro, ordinato in modo simile al lotto pubblico, che è un reato fine. L'applicazione del principio di specialità di cui alla ricordata norma del codice presuppone, infatti, che una delle norme (quella cosiddetta speciale) presenti nella sua struttura tutti gli elementi propri dell'altra (cosiddetta generica), oltre a quelli caratteristici propri della specialità; una situazione, invece, non riscontrabile con riguardo alle fattispecie in questione, che prevedono reati distinti ed aventi diverse obiettività giuridiche.

Cass. pen. n. 3018/1993

L'ordinamento positivo è ispirato, in materia di concorso apparente di norme, al principio della specialità, consacrato nell'art. 15 c.p. Detto principio postula che una determinata norma incriminatrice (speciale) presenti in sé tutti gli elementi costitutivi di un'altra (generale), oltre a quelli caratteristici della specializzazione; è necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sé quello minore, ed abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità (nella specie si è rilevata l'assenza di un rapporto di specialità tra il reato di sfruttamento della prostituzione e quello di concussione, osservandosi che nel primo delitto non rientra - se non come mera circostanza e quindi non come elemento essenziale - l'abuso di un pubblico potere o di una pubblica funzione, mentre nel secondo non è compreso il requisito della provenienza del denaro, consapevolmente e reiteratamente ricevuto dal colpevole, dal meretricio del soggetto passivo).

Cass. pen. n. 6784/1992

Il metodo mafioso costituisce l'elemento specializzante della fattispecie di cui all'art. 416 bis c.p., introdotta con la L. 13 settembre 1982 n. 646, rispetto all'associazione per delinquere di tipo comune (art. 416 c.p.). La condotta riferita a gruppo delinquenziale costituito ed operante da tempo, nella quale la riscontrata adozione del metodo mafioso era penalmente indifferente prima di tale data (salvo che essa non avesse realizzato da parte degli associati altri reati nei quali l'intimidazione o la minaccia fossero elemento costitutivo o circostanza aggravante), ha assunto rilievo specializzante a decorrere dalla suddetta data, nel senso che l'accertato impiego del metodo in questione determina la punibilità dei partecipanti al sodalizio nei termini della nuova ipotesi edittale. In tale ipotesi, l'effetto di assorbimento, in applicazione dell'art. 15 c.p., del reato meno grave in quello più grave deriva non dall'applicazione delle norme sul reato progressivo – giacché la progressione tra le due fattispecie penali di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p. è nella successione delle leggi e non nelle condotte penalmente punibili - bensì dalla considerazione della loro comune natura permanente e degli elementi comuni e specializzanti della più grave figura di reato rispetto a quella relativamente meno grave.

Cass. pen. n. 10780/1990

In caso di concorso di norme penali ed amministrative è possibile applicare il principio di specialità soltanto se detto concorso sia apparente e non se esso sia formale. In applicazione di tale principio, nei rapporti tra la L. n. 968 del 1977 intitolata «principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia e l'art. 624 c.p. deve individuarsi una ipotesi di specialità bilaterale (cosiddetta «interferenza») o concorso formale: nel primo testo normativo infatti è assente l'elemento dell'impossessamento, intendendosi con tali norme tutelare l'equilibrio ambientale; quest'ultimo è invece estraneo e quindi aggiuntivo l'estremo inerente alla disciplina della caccia, mentre nel furto è prevalente l'aspetto del conseguimento di un indebito vantaggio patrimoniale mediante sottrazione di cosa altrui (nella specie la corte ha ritenuto configurabile il furto di un capo di fauna selvatica appartenente ad una specie particolarmente protetta. Ha affermato che quest'ultima rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato, il quale esercita sul singolo animale una signoria comprendente una disponibilità «virtuale» sufficiente a rendere concreto il possesso.

Cass. pen. n. 297/1990

Il bene giuridico che il reato di falso protegge è l'interesse di garantire la pubblica fede, mentre il bene giuridico protetto nel delitto di truffa è l'interesse concernente l'inviolabilità del patrimonio; i due cennati reati, oltre ad obiettività giuridiche distinte, presentano elementi strutturali diversi in riferimento ai quali non v'è alcun rapporto di specificità, per il quale occorre il necessario presupposto della esistenza di una norma generale e di una norma speciale, ambedue destinate a disciplinare la stessa materia. (Fattispecie in tema di esposizione sul parabrezza di un veicolo di disco — contrassegno, relativo al pagamento della tassa di circolazione alterato).

Cass. pen. n. 420/1982

Non si verifica assorbimento della contravvenzione di cui all'art. 684 c.p. nel delitto di rivelazione dei segreti di ufficio previsto dall'art. 326 dello stesso codice. Invero il concorso apparente di norme non è configurabile sulla base dell'identità del bene giuridico protetto dalle disposizioni apparentemente confliggenti, presupponendo, invece, un medesimo fatto. (Nella specie si è precisato che i fatti vennero realizzati con azioni diverse, distinte anche nel tempo: con la comunicazione all'estraneo della notizia segreta fu consumato il reato di cui all'art. 326 c.p.; successivamente, con la pubblicazione degli atti, fu consumata la contravvenzione indicata nell'art. 684 dello stesso codice).

Cass. pen. n. 5936/1980

Ove una stessa materia sia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale, l'applicazione della disciplina speciale non esclude quella della disciplina generale quando quest'ultima possa integrare la prima per gli aspetti in cui difetti di norme regolanti la stessa materia. (Fattispecie in tema di disciplina antinfortunistica in miniere, cave e torbiere).

Cass. pen. n. 373/1980

Per aversi concorso di norme ed applicazione della legge speciale rispetto a quella generale ai sensi dell'art. 15 c.p. è necessario che le disposizioni plurime regolino la stessa materia, abbiano la stessa obiettività giuridica e che la norma speciale, considerata nella sua fattispecie legale e nei suoi elementi costitutivi, abbracci interamente l'altra.

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