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Articolo 363 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Principio di diritto nell' interesse della legge

Dispositivo dell'art. 363 Codice di procedura civile

(1) Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci nell'interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell'istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza.

Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza.

La pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito.

Note

(1) Articolo così modificato con d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40.

Ratio Legis

La norma è espressione della funzione nomofilattica della Corte di cassazione. Il fine della disposizione è di ottenere la pronuncia di un principio di diritto autorevole, che possa valere quale "precedente" da seguire per la giurisprudenza di merito. Il principio di diritto è destinato ad un interesse generale, ma prescinde dalla soluzione del caso singolo.

Spiegazione dell'art. 363 Codice di procedura civile

Con questa norma il legislatore ha inteso rafforzare la funzione di nomofilachia che l’ordinamento assegna alla Corte di Cassazione, volta ad assicurare una interpretazione uniforme del diritto.

Infatti, finalità di questo istituto giuridico è quella di ottenere la cassazione della sentenza impugnata, in modo da cancellare dall'ordinamento un precedente che contiene una violazione di norme di diritto, sostituendolo con la nuova sentenza, alla quale viene dato il ruolo precedente che, nel nostro ordinamento, non risulta vincolante.

La disciplina originaria parlava di ricorso nell'interesse della legge; esso non costituiva un mezzo di impugnazione, dal momento che poteva essere proposto solo avverso le sentenze passate in giudicato e non produceva alcun effetto né confronti delle parti del giudizio originario né, tanto meno, sulla lite originaria, ormai decisa con una sentenza passata in giudicato.

Secondo quanto qui disposto, unico soggetto legittimato a chiedere l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge è il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione.
Requisiti per tale richiesta sono:
a) la pronuncia di almeno uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non impugnabile
b) la reputata illegittimità del provvedimento stesso quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta (in caso di pluralità di provvedimenti divergenti, la presunta illegittimità di almeno uno di essi),;
c) un interesse della legge (trascendente quello delle parti) all'affermazione di un principio di diritto per l'importanza di una sua espressa formulazione.

Pertanto, nessuna legittimazione a presentare la richiesta ex art. 363 compete alle parti del processo che ha originato la sentenza impugnata, né, tanto meno, queste possono avvalersi e giovarsi della eventuale cassazione della stessa (in caso contrario le parti avrebbero sommerso la Corte di un elevato numero di istanze in materie non altrimenti suscettibili di ricorso, né ordinario né straordinario).
Per la ragione sopra detta, la richiesta del procuratore generale non deve essere notificata alle parti.

A seguito della riforma operata su questa norma dal D.lgs. n. 40/2006, è stata introdotta la possibilità che il principio di diritto sia enunciato anche d'ufficio dalla Corte di Cassazione qualora dichiari inammissibile il ricorso, proposto dalle parti, e dunque anche senza una istanza del procuratore generale.

Il Procuratore generale o la Suprema Corte (nel caso di pronuncia ex officio) con la richiesta ex art. 363 possono far valere sia c.d. errores in iudicando che tutti gli altri vizi denunciabili con il ricorso ordinario; resta escluso soltanto il vizio di motivazione, per la sua intrinseca incapacità di generare un precedente.

La decisione della Corte di Cassazione comporta esclusivamente l'ammissione, da parte della Corte medesima, di un proprio errore e la conseguente cancellazione di un precedente contenente violazione di norme di diritto.
Non produce alcun effetto sulle parti del giudizio originario, ormai definitivamente conclusosi con il passaggio in giudicato della sentenza, né nei confronti del P.G., non essendo portatore di posizioni giuridiche soggettive.

In conclusione, la decisione del ricorso comporta solo la creazione di un precedente giurisprudenziale non vincolante, di cui potranno tenere conto i giudici nei futuri giudizi aventi ad oggetto la medesima questione.

Massime relative all'art. 363 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 16601/2017

Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicché non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve, però, corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i suoi limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero ed alla loro compatibilità con l'ordine pubblico. (Principio di diritto enunciato dalle S.U. ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c. in relazione all'inammissibilità del motivo di ricorso involgente la relativa questione di particolare importanza, ancorché all'esito di una pronuncia di complessivo rigetto del ricorso). (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 03/01/2014).

Cass. civ. n. 1946/2017

In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza delle Corte cost. n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte suddetta, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità. (Enuncia principio ex art. 363, comma 1, c.p.c.).

Cass. civ. n. 23469/2016

La richiesta di enunciazione del principio di diritto rivolta alla Suprema Corte dal P.G. ai sensi del vigente art. 363 comma 1, c.p.c., si configura non già come mezzo di impugnazione, ma come procedimento autonomo, originato da un'iniziativa diretta a consentire il controllo sulla corretta osservanza ed uniforme applicazione della legge non solo nelle ipotesi di mancata proposizione del ricorso per cassazione o di rinuncia allo stesso, ma anche in quelle di provvedimenti non altrimenti impugnabili nè ricorribili, in quanto privi di natura decisoria, sicché tale iniziativa, avente natura di richiesta e non di ricorso, non necessita di contraddittorio con le parti, prive di legittimazione a partecipare al procedimento perché carenti di un interesse attuale e concreto, non risultando in alcun modo pregiudicato il provvedimento presupposto.

Cass. civ. n. 20661/2014

La rilevanza della questione di legittimità costituzionale può essere affermata dalla Corte di cassazione anche quando la norma denunciata sia destinata a trovare applicazione nell'enunciazione del principio di diritto, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., in quanto la funzione nomofilattica sottesa alla pronuncia nell'interesse della legge non si esaurisce nella dimensione statica della legalità ordinaria.

Cass. civ. n. 404/2011

Il ricorso che il P.G. presso la Corte di cassazione può promuovere, ai sensi dell'art. 363, primo comma, c.p.c., come novellato dal d.l.vo 2 febbraio 2006, n. 40, nell'interesse della legge, anche se non è in grado di incidere sulla fattispecie concreta, non può tuttavia prescinderne; tale ricorso, pertanto, pur non avendo natura impugnatoria, non può assumere carattere preventivo o esplorativo, dovendo il P.G. attivarsi soltanto in caso di pronuncia contraria alla legge, per denunciarne l'errore e chiedere alla Corte di ristabilire l'ordine del sistema, chiarendo l'esatta portata e il reale significato della normativa di riferimento.

Cass. civ. n. 13332/2010

La richiesta di enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge, rivolta alla Corte di cassazione dal P.G. ai sensi dell'art. 363 c.p.c., come novellato dal d.l.vo 2 febbraio 2006, n. 40, si configura non già come mezzo di impugnazione, ma come procedimento autonomo, originato da un'iniziativa diretta a consentire il controllo sulla corretta osservanza ed uniforme applicazione della legge, con riferimento non solo all'ipotesi di mancata proposizione del ricorso per cassazione, ma anche a quelle di provvedimenti non impugnabili o non ricorribili per cassazione, in quanto privi di natura decisoria, con la conseguenza che l'iniziativa del P.G., che si concreta in una mera richiesta e non già in un ricorso, non dev'essere notificata alle parti, prive di legittimazione a partecipare al procedimento.

Cass. civ. n. 28327/2009

L'esercizio del potere officioso della Corte di Cassazione di pronunciare, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., il principio di diritto quando il ricorso è inammissibile non si concilia con il rito camerale di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c., atteso che tale rito costituisce uno strumento acceleratorio del giudizio per l'esercizio di ben definite tipologie decisionali, tra le quali non rientra l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge.

Cass. civ. n. 28653/2008

Qualora il P.G. presso la Corte dei conti richieda alle Sezioni Riunite della stessa Corte la soluzione di una questione di massima, il giudice della causa in relazione alla quale la questione è sollevata non può rifiutare la trasmissione del fascicolo processuale alle Sezioni Riunite che gliene abbiano fatto richiesta e non può decidere senza attendere la pronuncia di detto organo. (Principio di diritto enunciato d'ufficio dalle Sezioni Unite nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., in presenza di ricorso per motivi di giurisdizione, dichiarato inammissibile in quanto involgente l'inosservanza delle norme processuali regolatrici del rapporto tra il procedimento innanzi alle Sezioni Riunite della Corte dei conti per la soluzione di una questione di massima e quello davanti alla sezione giurisdizionale di appello della medesima Corte, nel cui ambito la questione era stata sollevata ).

Cass. civ. n. 27187/2007

A norma dell'art. 363, terzo comma, c.p.c. — come novellato dall'art. 4 del D.L.vo 2 febbraio 2006, n. 40 — se le parti non possono, nel loro interesse e sulla base della normativa vigente, investire la Corte di cassazione di questioni di particolare importanza in rapporto a provvedimenti giurisdizionali non impugnabili, e il P.G. presso la stessa Corte non chieda l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge, le Sezioni Unite della Corte — chiamate comunque a pronunciarsi su tali questioni su disposizione del Primo Presidente — dichiarata l'inammissibilità del ricorso, possono esercitare d'ufficio il potere discrezionale di formulare il principio di diritto concretamente applicabile. Tale potere, espressione della funzione di nomofilachia, comporta che — in relazione a questioni la cui particolare importanza sia desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto — la Corte di cassazione possa eccezionalmente pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili.

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