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Articolo 116 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Valutazione delle prove

Dispositivo dell'art. 116 Codice di procedura civile

Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento (1), salvo che la legge disponga altrimenti (2).

Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo (3).

Note

(1) Per «prudente apprezzamento» si intende il compito del giudice tenuto a valutare la attendibilità di ogni circostanza posta alla sua attenzione, ma non necessariamente ad utilizzarla e che può poi anche considerare tutti gli elementi con efficacia probatoria emersi nel corso del giudizio.
(2) Il riferimento è quello alle c.d. prove legali, quali le prove documentali (atto pubblico e scrittura privata autenticata o riconosciuta) o quelle assunte nel processo come la confessione (v. 228 e ss.), il giuramento (v. 233 e ss.) e la testimonianza (v. 244 e ss.). Si tratta di prove la cui efficacia è predeterminata dalla legge e di fronte alle quali al giudice è impedita ogni valutazione sul contenuto della stessa, dovendosi semplicemente attenere alle risultanze della prova offerta, così come legalmente stabilito.
(3) Il contegno a cui la norma si riferisce è da intendersi come condotta qualificata delle parti, come ad es. nel caso di mancata comparizione delle parti o mancata conoscenza dei fatti di causa da parte del difensore ex artt. 183 o 420. Non rileva pertanto nè la contumacia, nè la mancata costituzione.
Inoltre, la norma si può considerare riferita anche all'ipotesi in cui il giudice possa valutare, per la formazione del suo convincimento, anche prove formate in un diverso processo. Tali prove possono essere utilizzate dal giudice come semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio oppure possono avere valore di prova esclusiva come ad es. accade nel caso di una perizia svolta in sede penale o di una consulenza tecnica svolta in altra sede civile.

Ratio Legis

La norma in esame fissa il principio del libero convincimento del giudice in ordine alla valutazione delle prove, cioè di quegli elementi raccolti durante lo svolgimento del processo volti a dimostrare l'esistenza di un fatto dichiarato dalle parti.
Tale principio non trova applicazione nel caso in cui sussistano delle prove c.d. legali, ovvero delle prove il cui valore è attribuito dalla legge, non restando spazio alcuno per la valutazione del giudice (ad es. confessione o giuramento).

Brocardi

Apud bonum iudicem argumenta plus quam testes valent
Contra se pronuntiatio
Cum sunt partium iura obscura, reo favendum est potius quam actori
De relato
De relato actoris
In exercendis litibus eamdem vim obtinent tam fides instrumentorum, quam depositiones testium
Iudex debet iudicare secundum alligata et probata
Nemo tenetur edere contra se
Qui accusare volunt probationes habere debent

Spiegazione dell'art. 116 Codice di procedura civile

Il primo comma di questa norma fissa un rapporto di regola ed eccezione, stabilendo quale regola generale quella secondo cui il giudice di norma deve valutare le prove (c.d. prove libere) secondo il suo prudente apprezzamento, e facendo poi salvi quei casi eccezionali e tipici in cui la legge disponga diversamente (si tratta di quei casi in cui viene precostituita a priori l’efficacia probatoria di taluni mezzi di prova, che vengono definiti prove legali per distinguerle, appunto, da quelle libere).
Il fatto che la norma parli di “prudente apprezzamento” e non più genericamente di “libero convincimento” induce a ritenere che il legislatore abbia voluto fondare la prova libera su una discrezionalità relativa del giudice, per la quale costituiscono limiti invalicabili le regole logiche e le massime di esperienza.

Il c.d. giudizio di fatto che il giudice deve porre a fondamento della sua decisione presuppone una serie di criteri razionali, a cui appartengono le leggi scientifiche e le regole e massime di esperienza.

Tra i caratteri essenziali del libero apprezzamento vi è l’assoluta irrilevanza delle diverse provenienze dei dati probatori acquisiti: ciò significa che le prove, una volta acquisite o assunte, sono sottoposte all’apprezzamento del giudice a prescindere da chi ne abbia preso l’iniziativa e dalla loro provenienza (il giudice potrebbe trarre da determinate prove elementi decisori sfavorevoli alla stessa parte).
Altro carattere peculiare delle prove libere è l’inesistenza di qualsiasi gerarchia precostituite di esse: il giudice è libero di apprezzare discrezionalmente il livello di efficacia di ciascuna delle prove, scegliendo quelle che egli ritiene decisive per la formazione del suo convincimento.

In giurisprudenza è ormai diffuso l’orientamento secondo cui qualsiasi elemento conoscitivo, dotato di una presumibile idoneità a provare determinati fatti incerti, possa essere liberamente utilizzato dal giudice, qualunque siano le relative fonti o le forme o modalità con cui sono state acquisite in giudizio (si parla a tal proposito di prove atipiche).
Sono state individuate quali prove atipiche le scritture provenienti da terzi, gli atti e certificati provenienti dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici, gli atti notori, le dichiarazioni sostitutive, i verbali di prove assunte in altri processi, i moduli di constatazione amichevole di un sinistro stradale, ecc.

Il secondo comma riconnette una primaria importanza al sussidio ermeneutico che, nella formazione del prudente apprezzamento, è chiamato a svolgere il giudice ed il cui potere gli deriva dalla possibilità in tale comma prevista di desumere argomenti di prova da alcuni specifici atti e comportamenti delle parti, nonché in generale dal loro contegno nel processo.
E’ stato in particolare precisato che da tale contegno possono desumersi soltanto elementi di valutazione delle altre prove, a cui attribuire un valore complementare e sussidiario, mai riconducibile ad una prova piena, come tale dotata di autosufficienza decisoria.
Tali elementi di valutazione, pur se strutturalmente e metodologicamente equiparabili alle presunzioni, solo in via eccezionale potrebbero essere anche fonti di presunzione; in ogni caso, non potrebbero mai essere usati dal giudice in mancanza di prova o, ancora peggio, per contrastare l’esito di prove in senso pieno.

Ciò che assume rilevanza, comunque, è il fatto che, come viene detto con l’espressione di chiusura del secondo comma, il contegno delle parti nel processo deve sempre tradursi in fatti e comportamenti processuali di per sé qualificati, e non in fatti o atti del tutto generici, sprovvisti come tali di qualsiasi rilevanza probatoria.
Così, si è detto che non sarebbe possibile attribuire alcuna valenza probatoria alla contumacia o al comportamento processuale omissivo se non vi fosse la stessa legge ad aver cura di ricondurre all’una o all’altro effetti specifici, e configurandoli a volte come una ficta confessio , altre volte come volti ad attribuire carattere pacifico al fatto principale allegato da una parte.

L’uso della ragione e dell’ esperienza, che vengono solitamente posti a fondamento e giustificazione di quel prudente apprezzamento del giudice a cui si fa riferimento al primo comma, costituiscono garanzia nei confronti di qualunque forma di arbitrario soggettivismo; di essi deve darsi atto in sede di motivazione, convertendosi in una argomentazione giustificativa, nella quale il giudice deve dare atto dell’efficacia attribuita a ciascun mezzo di prova, nonché della scelta operata tra i diversi dati probatori.

Massime relative all'art. 116 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 40796/2021

Nel giudizio civile di separazione personale dei coniugi, vertente sulla domanda di addebito della stessa, la sentenza di patteggiamento a carico di uno di essi può costituire, quale fatto storico espressione della sua condotta, idoneo elemento di valutazione in ordine alla dedotta sussistenza di presupposti della separazione medesima, nel contesto degli accertamenti condotti dal giudice civile, secondo il suo prudente apprezzamento. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 23/07/2018).

Cass. civ. n. 31312/2021

Il giudice di merito può utilizzare per la formazione del proprio convincimento anche le prove raccolte in un processo tra le parti o altre parti, sempre che siano acquisite al giudizio della cui cognizione è investito; ne consegue che è irrilevante l'inutilizzabilità nel diverso grado o nel distinto processo di provenienza, poiché a rilevare è l'effettiva utilizzabilità della prova nella causa in cui essa viene acquisita. (In applicazione del principio, la S.C. ha respinto la censura riguardante l'utilizzabilità della c.t.u., già espletata in contraddittorio tra le parti originarie del processo in un grado di giudizio conclusosi con una sentenza poi annullata, senza che fosse disposta nel prosieguo la rinnovazione della consulenza). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 27/09/2018).

Cass. civ. n. 21072/2021

Nel procedimento possessorio, le deposizioni rese nella fase sommaria del giudizio, ove siano state assunte in contraddittorio tra le parti, sotto il vincolo del giuramento e sulla base delle indicazioni fornite dalle parti nei rispettivi atti introduttivi, sono da considerare come provenienti da veri e propri testimoni, mentre devono essere qualificati come "informatori" - le cui dichiarazioni sono comunque utilizzabili ai fini della decisione, anche quali indizi liberamente valutabili - coloro che abbiano reso "sommarie informazioni" ai sensi dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c.., ai fini dell'eventuale adozione del decreto "inaudita altera parte". (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 17/06/2015).

Cass. civ. n. 20553/2021

La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un'attività riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicchè rimane estranea al vizio previsto dall'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il "convincimento" che il giudice si è formato, a norma dell'art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all'esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TRENTO, 12/05/2015).

Cass. civ. n. 12164/2021

Il giudice civile, investito della domanda di risarcimento del danno da reato, ben può utilizzare, senza peraltro averne l'obbligo, come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere alla relativa valutazione con pienezza di cognizione al fine di accertare i fatti materiali all'esito del proprio vaglio critico. (Nella specie, con riferimento ad un sinistro stradale, la S.C., dopo aver verificato che la sentenza di merito aveva effettuato un'autonoma valutazione complessiva dei fatti e dell'efficienza causale del comportamento colposo di ciascuno dei corresponsabili, assolvendo anche l'obbligo di motivazione circa la maggiore gravità dell'uno rispetto all'altro, ha concluso che l'apprezzamento in termini percentuali del concorso di colpa della vittima nella causazione del danno, frutto di un procedimento logico, si sottrae al sindacato di legittimità). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 10/07/2018).

Cass. civ. n. 3689/2021

Le dichiarazioni, a sé sfavorevoli, rese dalla persona offesa alla P.G. ed al P.M. nella fase delle indagini preliminari possono essere ricondotte nel novero della confessione stragiudiziale ed utilizzate ai fini della decisione in sede civile, poiché l'assenza, nell'ordinamento processuale vigente, di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova consente al giudice di porre, alla base del proprio convincimento, anche prove cd. atipiche, quali, per l'appunto, le risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BARI, 08/02/2016).

Cass. civ. n. 25162/2020

Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, la decisione può fondarsi anche su prove non espressamente previste dal codice di rito, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo. In particolare, il giudice del merito può trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d'ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all'oggetto dell'indagine in funzione della quale è stata disposta. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, nel rigettare la domanda di risarcimento del danno alla salute conseguente a un intervento chirurgico eseguito senza il consenso del paziente, aveva prestato adesione alle risultanze di una consulenza tecnica d'ufficio le cui indagini tecniche si erano estese alla fase pre-operatoria, valutando corretto l'operato dei sanitari i quali, dopo aver rilevato, nel corso di una laparotomia esplorativa, una neoplasia maligna, avevano deciso di procedere d'urgenza all'asportazione degli organi interni che ne risultavano minacciati). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 19/11/2018).

Cass. civ. n. 20867/2020

In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Rigetta, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 10/10/2018).

Cass. civ. n. 31974/2019

Il documento di trasporto firmato dal solo vettore, costituente scrittura proveniente dal terzo e, come tale, avente mero valore indiziario, necessita, ove non puntualmente confermato dalla deposizione del compilatore o da altre dichiarazioni testimoniali, di essere suffragato, sul piano probatorio, da presunzioni ai sensi dell'art. 2729 c.c., di talché da solo non soddisfa l'onere che l'art. 2697 c.c. pone a carico del mittente, in ordine alla consegna di determinati beni al destinatario.

Cass. civ. n. 21187/2019

In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E', pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.

Cass. civ. n. 20255/2019

Le dichiarazioni rese dall'imputato nel dibattimento penale sono soggette al libero apprezzamento del giudice civile e non possono integrare una confessione giudiziale nel giudizio civile, atteso che questa ricorre, ai sensi dell'art. 228 c.p.c., soltanto nei casi in cui sia spontanea o provocata in sede di interrogatorio formale, quindi all'interno del giudizio civile medesimo.

Cass. civ. n. 19521/2019

Il giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, oltre che utilizzare prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, può anche avvalersi delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, le quali debbono, tuttavia, considerarsi quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio, la cui concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata - in conformità con la regola dettata in tema di prova per presunzioni - non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva in base ad un apprezzamento che, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità. Ne consegue, da un canto, che anche una consulenza tecnica disposta dal Giudice per le indagini preliminari in un procedimento penale, se ritualmente prodotta dalla parte interessata, può essere liberamente valutata come elemento indiziario idoneo alla dimostrazione di un fatto determinato, dall'altro, che in grado di appello, il giudice del gravame ha l'obbligo di estendere il proprio giudizio a tutte le risultanze probatorie e non limitarsi ad una rivalutazione della sola consulenza (benché la relativa valutazione debba sempre tener conto della circostanza che la consulenza si è formata o meno nel contraddittorio tra le parti, correlandola, se del caso, alle dichiarazioni raccolte nel corso dell'istruttoria civile di primo grado, come avvenuto nella specie).

Cass. civ. n. 18025/2019

Le sommarie informazioni assunte durante la fase delle indagini preliminari, ritualmente acquisite nel contraddittorio delle parti, sono liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell'art. 116 c.p.c., non essendo a tal fine necessario che i dichiaranti abbiano prestato giuramento, in quanto nel sistema processuale manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, sicché il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche.

Cass. civ. n. 16916/2019

Nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. si determina una piena "translatio" del giudizio sulla domanda, sicché la Corte di appello competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile; ne consegue che non è consentita l' "utilizzazione", alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo trovare applicazione, viceversa, il divieto sancito dall'art. 246 c.p.c. di assumere come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio, fermo restando che le medesime dichiarazioni, potendo costituire fonte di convincimento ai fini della decisione, sono liberamente valutabili dal giudice, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti nell'ambito delle complessive risultanze istruttorie.

Cass. civ. n. 16893/2019

Il giudice civile investito della domanda di risarcimento del danno da reato ben può utilizzare, senza peraltro averne l'obbligo, come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere alla relativa valutazione con pienezza di cognizione al fine di accertare i fatti materiali all'esito del proprio vaglio critico. (Nella specie, in un sinistro stradale mortale, la S.C. ha confermato la decisione con cui la Corte di merito aveva escluso la responsabilità civile del conducente del veicolo antagonista e ravvisato l'esclusiva responsabilità del conducente deceduto, valorizzando le conclusioni ragionate e coincidenti delle due perizie svolte in sede penale, basate su accertamenti approfonditi e convincenti circa l'effettiva dinamica del sinistro, il riscontro dei danni subiti dai mezzi coinvolti, i segni lasciati sull'asfalto dai veicoli ed i rilievi planimetrici effettuati dagli agenti intervenuti sui luoghi).

Cass. civ. n. 25067/2018

Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio il decreto del tribunale che, in sede di opposizione allo stato passivo, aveva ritenuto inopponibili alla curatela fallimentare le prove orali raccolte in un giudizio soggetto al rito del lavoro cui aveva preso parte la società poi fallita).

Cass. civ. n. 22551/2018

In materia di rapporti di conto corrente, l'estratto conto non debitamente comunicato al correntista o dallo stesso tempestivamente contestato perde il valore probatorio privilegiato, previsto dall'art. 1832 c.c., ma è comunque prudentemente apprezzabile dal giudice come elemento di prova ex artt. 115 e 116 c.p.c..

Cass. civ. n. 20719/2018

Il giudice civile, in mancanza di uno specifico divieto, può liberamente utilizzare le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, ivi compresa la sentenza adottata da un diverso giudice, e trarre da esse, senza esserne vincolato, elementi di giudizio, purché fornisca un'adeguata motivazione del loro utilizzo, procedendo a una diretta e autonoma valutazione delle stesse e dando conto di avere esaminato le censure proposte dalle parti.

Cass. civ. n. 17316/2018

La sentenza penale, pronunciata sui medesimi fatti oggetto del giudizio civile, non ha efficacia di giudicato in quest'ultimo quando esuli dalle ipotesi previste negli artt. 651 e 652 c.p.p. le quali, avendo contenuto derogatorio del principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile, non sono suscettibili di applicazione analogica. Ne consegue che il giudice civile deve interamente ed autonomamente rivalutare, nel rispetto del contraddittorio, il fatto in contestazione, sebbene possa tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, ripercorrendo lo stesso "iter" argomentativo del decidente.

Cass. civ. n. 11749/2018

Dalla lesione del diritto fondamentale all'autodeterminazione determinata dalla violazione, da parte del sanitario, dell'obbligo di acquisire il consenso informato deriva, secondo il principio dell"id quod plerumque accidit" un danno-conseguenza autonomamente risarcibile - costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé stesso psichicamente e fisicamente - che non necessita di una specifica prova, salva la possibilità di contestazione della controparte e di allegazione e prova, da parte del paziente, di fatti a sé ancora più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori.

Cass. civ. n. 9178/2018

In tema di risarcimento del danno da perdita della vita del convivente, ai fini dell'accertamento dell'esistenza della convivenza "more uxorio" - intesa quale legame affettivo stabile e duraturo in virtù del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale - i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l'uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand'anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento. (Nella specie, la S.C. ha censurato la sentenza con la quale la corte territoriale, in ragione della ritenuta assenza di coabitazione, si era limitata a negare valore indiziario, all'esito di una loro mera valutazione atomistica, ad altri elementi acquisiti in giudizio, tra i quali l'esistenza di un comune conto corrente e la disponibilità in capo ad uno dei conviventi dell'agenda lavorativa dell'altro).

Cass. civ. n. 9059/2018

In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento.(In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito, affetta da insanabile ed intrinseca contraddittorietà della motivazione, che aveva escluso la responsabilità risarcitoria per lesione della reputazione di un'insegnante, desumibile invece dalla valutazione globale di una pluralità di fatti storici, ciascuno portatore di una propria valenza indiziaria).

Cass. civ. n. 29146/2017

In tema di responsabilità civile da sinistro stradale, la sottoscrizione da parte di entrambi i conducenti della constatazione amichevole d'incidente, come già previsto dall'art. 5 della L. n. 39 del 1977 e ribadito dall'art. 143, comma 2, del D.L.vo n. 209 del 2005, determina una presunzione, valida fino a prova contraria, del fatto che il sinistro si sia verificato con le modalità ivi indicate, la quale può ovviamente essere superata, ma è necessario che il giudice del merito ne spieghi le ragioni.

Cass. civ. n. 24976/2017

Le dichiarazioni scritte, provenienti da terzi estranei alla lite su fatti rilevanti, non possono esplicare efficacia probatoria nel giudizio se non siano convalidate attraverso la testimonianza ammessa ed assunta nei modi di legge ma possono unicamente assumere valore d'indizio, l'utilizzazione del quale costituisce non già un obbligo del giudice del merito, bensì una facoltà, il cui mancato esercizio non può formare oggetto di utile censura in sede di legittimità, sia sotto il profilo della violazione dell'art. 115 c.p.c., sia sotto quello dell'omesso esame su punto decisivo della controversia.

Cass. civ. n. 23940/2017

In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell'apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012.

Cass. civ. n. 16467/2017

La valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attività selettiva si estende all’effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire il convincimento sull’efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova, con la conseguente inammissibilità di una tardiva produzione documentale volta a confutarla, salva soltanto l’eventuale “remissione in termini”.

Cass. civ. n. 8603/2017

Nei poteri del giudice in tema di disponibilità e valutazione delle prove rientra quello di fondare il proprio convincimento su accertamenti compiuti in altri giudizi fra le stesse od anche fra altre parti, quando i risultati siano acquisiti nel giudizio della cui cognizione egli è investito, potendo chi vi abbia interesse contestare quelle risultanze ovvero allegare prove contrarie. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto utilizzabili gli esiti probatori di indagini penali concernenti terzi in una controversia di interposizione illecita di manodopera).

Cass. civ. n. 4908/2017

Le dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all'altra parte, non hanno efficacia di confessione ma possono soltanto fornire elementi indiziari qualora l'atto sia sottoscritto dal difensore e non dalla parte personalmente.

Cass. civ. n. 2148/2017

Integrando l'inosservanza dell'ordine di esibizione di documenti un comportamento dal quale il giudice può, nell'esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c., non è censurabile in sede di legittimità, neanche per difetto di motivazione, la mancata valorizzazione dell'inosservanza dell'ordine ai fini della decisione di merito.

Cass. civ. n. 14706/2016

Qualora nell'atto introduttivo del giudizio sia stata proposta istanza istruttoria di prova testimoniale senza indicare il nome del teste, e quest'ultimo, tuttavia, sia stato successivamente indicato entro i termini che il rito consente per il completo dispiegamento delle istanze istruttorie, è precluso al giudice attribuire a tale legittima scelta dell'istante un significato a lui sfavorevole ex art.116 c.p.c.

Cass. civ. n. 10347/2016

In materia di prova testimoniale, la deposizione può essere ritenuta attendibile anche limitatamente a determinati contenuti, a condizione che, tra la parte del narrato ritenuta inattendibile ed il resto ritenuto meritevole di credito, non sussista un rapporto di causalità necessaria o l'una non costituisca un imprescindibile antecedente logico dell'altro.

Cass. civ. n. 17392/2015

Nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, sicché il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, quali le dichiarazioni scritte provenienti da terzi, della cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che ne derivi la violazione del principio di cui all'art. 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudizio.

Cass. civ. n. 15037/2015

La fattura proveniente da un terzo estraneo al giudizio, relativa a rapporti tra questo ed una delle parti in causa, va inquadrata fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo in quanto dichiarazione, indirizzata all'altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché essa è idonea ad offrire elementi probatori, liberamente utilizzabili dal giudice per la formazione del suo convincimento.

Cass. civ. n. 13229/2015

Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice e in assenza di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, questi può porre a fondamento della decisione anche prove atipiche, non espressamente previste dal codice di rito, della cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze del processo.

Cass. civ. n. 1547/2015

Il giudice, nel caso sussista un contrasto fra le dichiarazioni rese dai testimoni escussi, è tenuto a confrontare le deposizioni raccolte ed a valutare la credibilità dei testi in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l'intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali elementi di prova acquisiti, per poi esporre le ragioni che lo hanno portato a ritenere più attendibile una testimonianza rispetto all'altra o ad escludere la credibilità di entrambe.

Cass. civ. n. 569/2015

In tema di prova testimoniale, i testimoni "de relato actoris" sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa; i testimoni "de relato" in genere, invece, depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni, pur attenuata perché indiretta, è idonea ad assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità. (Nell'enunciare tale principio, la S.C. ha cassato la decisione nella quale la Corte territoriale aveva attribuito la qualifica di testimoni indiretti non pienamente attendibili perché controinteressati a soggetti che invece avevano direttamente preso parte alle consultazioni sindacali oggetto della loro testimonianza).

Cass. civ. n. 27407/2014

In tema di valutazione della prova, le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale, pur se prive di alcun valore confessorio, in quanto detto mezzo è diretto semplicemente a chiarire i termini della controversia, ben possono costituire il fondamento del convincimento del giudice di merito, al quale è riservata la valutazione, non censurabile in sede di legittimità, se congruamente e ragionevolmente motivata, della loro concludenza e attendibilità.

Cass. civ. n. 21299/2014

Il giudice civile, salvo che le parti non gliene facciano concorde richiesta, non può avvalersi del materiale probatorio acquisito senza contraddittorio in sede penale, a meno che il dibattimento non sia mancato per scelta di un rito alternativo da parte dell'imputato.

Cass. civ. n. 13485/2014

In tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni.

Cass. civ. n. 13054/2014

In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.

Cass. civ. n. 12577/2014

In base al principio del libero convincimento, il giudice civile può trarre elementi di prova, con adeguato vaglio critico, dalle dichiarazioni "auto-indizianti" rese nel procedimento penale, atteso che la sanzione d'inutilizzabilità, posta dall'art. 63 cod. proc. pen. a tutela dei diritti di difesa in quella sede, non ha effetti fuori di essa.

Cass. civ. n. 11223/2014

Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell'art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all'assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l'uso dei dati nell'ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l'accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali.

Cass. civ. n. 9843/2014

Il giudice del merito può legittimamente tenere conto, ai fini della decisione, delle prove acquisite in un altro processo a condizione che la relativa documentazione venga ritualmente acquisita al giudizio al fine di farne oggetto di valutazione critica delle parti e stimolare la valutazione giudiziale su di esse.(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito per avere fatto riferimento ai risultati di una consulenza tecnica d'ufficio svoltasi in altra causa, senza indicarne neppure gli estremi).

Cass. civ. n. 21909/2013

Il principio generale di riparto dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c. deve essere contemperato con il principio di acquisizione probatoria, che trova fondamento nella costituzionalizzazione del principio del giusto processo, con la conseguenza che anche il principio dispositivo delle prove - in forza del quale ogni parte è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione del medesimo - va inteso in modo differente, traducendosi nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito - da qualunque parte processuale provenga - con una valutazione non atomistica ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato, in sede di legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l'acquisizione della prova.

Cass. civ. n. 15112/2013

In applicazione del principio di autonomia e separazione dei giudizi penale e civile, il giudice civile investito della domanda di risarcimento del danno da reato deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità con pienezza di cognizione, non essendo vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale. Nondimeno, il giudice civile può legittimamente utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata e fondare la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del materiale probatorio, ovvero ricavando tali elementi e circostanze dalla sentenza, o se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da accertare esattamente i fatti materiali sottoponendoli al proprio vaglio critico; tale possibilità non comporta però anche l'obbligo per il giudice civile - in presenza di un giudicato penale - di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale.

Cass. civ. n. 12988/2013

In tema di prova testimoniale, la valutazione del giudice di merito in ordine all'attendibilità dei testimoni escussi si sottrae al controllo di legittimità allorché sia corredata da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente in materia.

Cass. civ. n. 12248/2013

Il ricorso alla presunzione deve ritenersi consentito al giudice alla sola condizione che i fatti su cui essa si fonda siano stati allegati e possano ritenersi provati, potendo il giudice avvalersene, in presenza di tale evenienza, senza apposita sollecitazione delle parti e in difetto di contraddittorio tra le stesse.

Cass. civ. n. 11555/2013

Il giudice di merito può utilizzare per la formazione del proprio convincimento anche le prove raccolte in un diverso processo tra le parti o altre parti, sempre che siano acquisite al giudizio della cui cognizione è investito; ne consegue che non è deducibile in sede di legittimità la violazione del contraddittorio rispetto al processo di provenienza, per farne ridondare la nullità nel processo di approdo, senza dedurre vizi del contraddittorio in quest'ultimo processo, poiché a rilevare è l'effettiva esplicazione del contraddittorio nel processo nel quale la prova viene utilizzata.

Cass. civ. n. 12971/2012

Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle dichiarazioni della madre naturale e della portata delle difese del convenuto. Pertanto, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l'accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici, considerando il contesto sociale e la eventuale maggiore difficoltà di riscontri oggettivi alle dichiarazioni della madre, può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell'art. 116, secondo comma, c.p.c., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti.

Cass. civ. n. 3253/2012

Gli atti ed i certificati della P.A., essendo assistiti da una presunzione di legittimità, in difetto di prova contraria, possono essere posti a base della decisione anche quando la P.A. che li ha emessi sia parte in causa.

Cass. civ. n. 2157/2012

L'assoluzione del testimone dal reato di falsa testimonianza in sede penale non rende di per sé veritiera la dichiarazione resa dal medesimo in sede civile; indipendentemente dalla formula assolutoria, infatti, non viene meno, in capo al giudice civile, il potere-dovere di valutarne l'attendibilità, poiché il principio della libera valutazione delle prove può subire deroghe nei soli casi stabiliti dalla legge.

Cass. civ. n. 26550/2011

Il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione, attesa l'esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice.

Cass. civ. n. 26088/2011

L'art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti ed il mancato uso di tale potere non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, allorché il giudice abbia deciso di non utilizzare tale argomento sussidiario, avendo già acquisito i necessari elementi di prova in base alle risultanze dell'istruttoria.

Cass. civ. n. 11309/2011

La contestaone della violazione delle norme del codice della strada effettuata dagli agenti accertatori (nel caso, carabinieri) non vincola il giudice del merito che, all'esito del contraddittorio processuale, ben può pervenire ad una differente attribuzione della responsabilità per il sinistro a carico dei due conducenti antagonisti, in base a predente apprezzamento delle prove, sottratto al sindacato di legittimità in presenza di congrua motivazione.

Cass. civ. n. 4652/2011

Il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti o tra altre parti, delle quali la sentenza che in detto giudizio sia stata pronunciata costituisce documentazione, fermo restando che la la valutazione del materiale probatorio non va limitata all'esame isolato dei singoli elementi ma deve essere globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica che, ove sia immune da vizi di motivazione, costituisce un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità. (Nella specie, un lavoratore, dipendente della Società Agricola Forestale (S.A.F.) con inquadramento nel nono livello del contratto collettivo applicabile, era transitato all'Ente Nazionale Cellulosa e Carta (E.N.C.C.), con attribuzione, sulla base delle tabelle di equiparazione, dell'ottava qualifica funzionale; dopo aver ottenuto, con sentenza passata in giudicato, l'attribuzione del decimo livello nei confronti della S.A.F., aveva agito anche contro l'E.N.C.C. perché gli fosse riconosciuta la nona qualifica funzionale; il giudice di merito, sull'assunto che il precedente inquadramento costituiva il presupposto di quello successivo, dopo aver ripercorso il ragionamento della pregressa sentenza passata in giudicato, ne ha autonomamente valorizzato, condividendoli, gli elementi decisivi ai fini dell'inquadramento, quali lo svolgimento di un incarico di maggior livello per una durata ultratrimestrale; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha rigettato il motivo di ricorso).

Cass. civ. n. 24208/2010

Nel processo civile le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite costituiscono meri indizi, liberamente valutabili dal giudice e contestabili dalle parti senza necessità di ricorrere alla disciplina prevista in tema di querela di falso o disconoscimento di scrittura privata autenticata. Ne consegue che, sorta controversia sulla autenticità di tali documenti, in applicazione del generale principio di cui all'art. 2697 c.c., l'onere di provarne la genuinità grava su chi la invoca. (Nella specie, l'impiegato di una sala da gioco era stato licenziato perché ritenuto reo di avere cambiato denaro in fiches utilizzando carte di credito dei clienti, e falsificando i relativi scontrini apparentemente sottoscritti da questi ultimi; il giudice di merito aveva tuttavia annullato il licenziamento, ritenendo che il datore di lavoro non avesse fornito la prova della falsità dei suddetti scontrini. La S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha cassato con rinvio tale decisione).

Cass. civ. n. 17097/2010

L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Fattispecie in tema di licenziamento di dipendente per cancellazione volontaria di dati aziendali informatici).

Cass. civ. n. 10055/2010

Il giudice civile, in presenza di una sentenza penale di condanna non definitiva, può trarre elementi di convincimento dalle risultanze del procedimento penale, in particolare utilizzando come fonti le prove raccolte e gli elementi di fatto acquisiti in tale giudizio, ma è necessario che il procedimento di formazione del proprio libero convincimento sia esplicitato nella motivazione della sentenza, attraverso l'indicazione degli elementi di prova e delle circostanze sui quali esso si fonda, non essendo sufficiente il generico richiamo alla pronuncia penale. che si tradurrebbe nella elusione del dovere di autonoma valutazione delle complessive risultanze probatorie e di conseguenza nel vizio di omessa motivazione.

Cass. civ. n. 7352/2010

In tema di accertamento probatorio, qualora l'accertamento abbia natura medico-legale e sia diretto a verificare la dipendenza causale di una determinata malattia rispetto ad un'attività lavorativa, trova applicazione il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un'adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva; ove, invece, l'accertamento, basato su elementi indiziari, riguardi i fatti materiali, la valutazione probabilistica è ammissibile ma si inserisce nell'ambito dell'apprezzamento discrezionale rimesso al giudice di merito circa l'idoneità probatoria di un determinato quadro indiziario. (Nella specie, relativa ad una controversia per il riconoscimento del beneficio della maggiorazione contributiva per esposizione alle fibre di amianto, nella quale il CTU aveva escluso che una probabilità inferiore al 95 per cento fosse idonea a consentire di affermare, con ragionevole certezza scientifica, il superamento per un periodo ultradecennale del grado di esposizione all'amianto fissato dalla legge, il giudice di merito aveva interpretato tale conclusione, di per sé contestata solo in via astratta dai ricorrenti, nel senso che le mansioni svolte dai lavoratori avevano comportato una esposizione minore rispetto ai colleghi di lavoro; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che la sentenza fosse connotata da illogicità).

Cass. civ. n. 5440/2010

Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, è ammessa la possibilità che egli ponga a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito, purché sia fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione, rimanendo, in ogni caso, escluso che tali prove "atipiche" possano valere ad aggirare preclusioni o divieti dettati da disposizioni sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda il necessario ricorso ad adeguate garanzie formali. (Principio enunciato dalla S.C. in relazione alla produzione in giudizio di un'attestazione notarile fatta valere come interpretazione autentica di un atto pubblico rogato precedentemente dinanzi allo stesso notaio).

Cass. civ. n. 23446/2009

La sentenza civile, oltre a produrre gli effetti propri del giudicato, può avere, anche rispetto ai terzi che non furono parti del giudizio, la diversa efficacia di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell'accertamento giudiziale.

Cass. civ. n. 5009/2009

In forza del principio dell'unità della giurisdizione, il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale conclusosi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta amnistia o per altra causa estintiva del reato e può, a tal fine, porre anche ad esclusiva base del suo convincimento gli elementi di fatto acquisiti in sede penale, ricavandoli dalla sentenza o dagli atti di quel processo, con apprezzamento non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione.

Cass. civ. n. 29262/2008

Ove non risulti alcuna annotazione dell'avvenuto ritiro del fascicolo di una parte - che, come il successivo rideposito, deve necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l'incartamento processuale - il giudice non può rigettare una domanda, o un' eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita nel fascicolo di parte, ma deve ritenere che le attività delle parti e dell'ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e quindi che il fascicolo non sia mai stato ritirato dopo l'avvenuto deposito. Conseguentemente il giudice deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di insuccesso, concedere un termine all'appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, non potendo gravare sulla parte le conseguenze del mancato reperimento. Soltanto all'esito infruttuoso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all'ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice potrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione. (Nella specie, relativa alla mancanza dell'intero fascicolo processuale delle parti e, in particolare, degli atti introduttivi contenenti la domanda e la domanda riconvenzionale, la S.C., nell'enunziare il principio di cui alla massima, ha ritenuto che, correttamente, il giudice d'appello avesse - da un lato - dichiarato la nullità del ricorso introduttivo del giudizio per mancanza della prova della valida formulazione della domanda, a nulla rilevando che la stessa fosse stata accolta dal giudice di primo grado, non potendo, detta circostanza, esentare la parte a fornire la relativa prova ove la validità sia oggetto di espressa contestazione, e - dall'altro - rigettato il motivo di appello formulato dalla controparte relativo al rigetto, nel merito, della domanda riconvenzionale attesa l'assenza del presupposto per l'accoglimento).

Cass. civ. n. 25623/2008

In materia di prova civile, se è vero che le dichiarazioni del confitente non costituiscono prova piena dei fatti riferiti, allorchè siano favorevoli al dichiarante, tuttavia esse possono concorrere, unitamente ad altri elementi, alla formazione del convincimento del giudice, con valore indiziario e presuntivo, anche con riferimento all'art.116 c.p.c.

Cass. civ. n. 18237/2008

Se al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione. Ove, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità ha l'onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa.

Cass. civ. n. 10650/2008

Il giudice civile può trarre argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116, secondo comma, c.p.c., da un documento proveniente dal difensore, formato in altro giudizio, in rapporto al comportamento processuale della parte che non ne abbia contestato il contenuto ; tale comportamento, tuttavia, non può essere posto da solo a fondamento della decisione, ma deve essere valutato insieme all'intero materiale probatorio acquisito al processo, alla stregua dei parametri indicati dall'art. 2729 c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che, con riferimento ad un giudizio relativo alla quantificazione dell'assegno divorzile, il giudice potesse desumere argomenti di prova dal comportamento della parte che non aveva contestato le risultanze della comparsa conclusionale depositata in altro giudizio, dalla quale essa risultava possedere un ingente patrimonio immobiliare ).

Cass. civ. n. 9040/2008

Il giudizio circa l'utilità e la pertinenza di un mezzo di prova rientra nei poteri di valutazione del giudice di merito, il quale può anche utilizzare per la formazione del proprio convincimento prove raccolte in altro giudizio tra le stesse parti. (Fattispecie in cui la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto utilizzabile, ai fini della quantificazione del danno da occupazione appropriativa, una c.t.u. raccolta in un precedente giudizio di opposizione alla stima tra le stesse parti, poi estinto).

Cass. civ. n. 22020/2007

Il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale e, segnatamente (come nella specie), le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali.

Cass. civ. n. 14748/2007

Il comportamento processuale (nel cui ambito rientra anche il sistema difensivo adottato dal loro procuratore) o extraprocessuale delle parti, può costituire, ai sensi dell'articolo 116 c.p.c., non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente fonte di prova idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito che, con riguardo a tale valutazione, è censurabile nel giudizio di cassazione solo sotto il profilo della logicità della notificazione. (Nella fattispecie, relativa al recupero da parte del mandante delle somme affidate al mandatario per essere investite sul conto corrente di questo, la corte di merito aveva rigettato la domanda — per responsabilità contrattuale o extracontrattuale — nei confronti della banca chiamata in causa, la quale, mediante il suo procuratore in giudizio aveva affermato al c.t.u., durante le operazioni peritali, di avere ricevuto ordini verbali dal mandatario in ordine al prelevamento e alla disposizione del danaro, la S.C. ha rigettato il ricorso del mandante sul presupposto che la sentenza era fondata su una motivazione logica e pertanto non censurabile).

Cass. civ. n. 10820/2007

Non è preclusa la prova testimoniale contro le attestazioni, recepite nei verbali annessi al rapporto della polizia giudiziaria, le quali, assolvendo alla funzione — diversa da quella propria dell'atto pubblico — di informativa all'autorità giudiziaria di una notizia di reato, sono soggette, ai sensi dell'articolo 116 c.p.c., alla libera valutazione del giudice del merito in relazione alla intrinseca veridicità delle dichiarazioni dei soggetti verbalizzanti, specie quando esse abbiano la natura di una testimonianza ed esprimano valutazioni, percezioni e sensazioni in ordine alla rappresentazione di un fatto dal quale possano sorgere responsabilità penali; ed, ogni valutazione del giudice del merito in ordine alla rilevanza o meno della prova in concreto è, peraltro, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata. (Nella fattispecie, relativa all'investimento, da parte di un autocarro — nei confronti del cui autista, proprietario ed assicuratore era instaurata la causa —, del conducente dell'auto sbalzato fuori per l'impatto con l'autotreno che lo precedeva, la corte di merito aveva ricondotto la causa del decesso al traumatismo conseguente al tamponamento, perché la verbalizzazione degli agenti, secondo cui l'investito era ancora in vita al momento degli accertamenti sul posto, giungendo cadavere al pronto soccorso, risultava generica rispetto alle c.t.u. e testimonianze esperite. In applicazione del principio di diritto che precede, la S.C. ha rigettato il ricorso dei parenti del deceduto).

Cass. civ. n. 9245/2007

In tema di valutazione delle prove, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia di efficacia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo rimessa la valutazione delle prove al prudente apprezzamento del giudice. Da ciò consegue che il convincimento del giudice sulla verità di un fatto può basarsi anche su una presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria.

Cass. civ. n. 7767/2007

Il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto ed in virtù del principio dell'unità della giurisdizione, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche altre parti, e da esse desumere elementi che — al di fuori dei casi di opponibilità dell'accertamento derivante dal giudicato — devono, peraltro, costituire oggetto di autonoma valutazione (e non essere, perciò, solo acriticamente recepite) dei fatti sottoposti alla sua cognizione; tuttavia, occorre che dette prove gli siano state indicate e di esse, ove se ne lamenti l'omesso esame in sede di legittimità, siano riprodotti il tenore letterale degli atti e dei documenti in cui si sostanziano.

Cass. civ. n. 5221/2007

In tema di danno esistenziale dedotto dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro — di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno —, il giudice può far ricorso alle presunzioni semplici, in quanto costituiscono una prova completa su cui basare il proprio convincimento, ma è necessario che la parte alleghi elementi di fatto i quali, per poter essere valorizzati come fonti di presunzione, devono presentare i requisiti, ex art. 2729 c.c., di precisione, gravità e concordanza, sì che da essi il giudice possa desumere, secondo un criterio di normalità, l'esistenza del fatto ignoto. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva escluso il danno esistenziale lamentato da una lavoratrice a causa della condotta omissiva datoriale che non aveva dato seguito, e neppure risposto, alla domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da full-time in part-time, escludendo il nesso di causalità con la condotta omissiva contestata, per essersi la lavoratrice limitata a produrre in giudizio documentazione medica con diagnosi di astenia, verosimilmente riconducibile a stress, senza alcun ulteriore elemento che consentisse di ricollegare il predetto disturbo, quantomeno con rilevante probabilità, alla lamentata condotta omissiva).

Cass. civ. n. 78/2007

In materia di prova documentale nel processo civile, non esistendo un principio di «immanenza» della prova documentale nel processo e dovendo anche il giudice del gravame decidere la causa juta alligata et probata, procedendo ad un autonomo e diretto riesame della documentazione già vagliata dal giudice di primo grado, deve escludersi che i documenti prodotti in primo grado da una delle parti che sia risultata vittoriosa debbano ritenersi per sempre acquisiti al processo; pertanto, la parte vittoriosa in primo grado che scelga di rimanere contumace in appello e non ridepositi quindi i documenti in precedenza prodotti, va incontro alla declaratoria di soccombenza per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favorevoli.

Cass. civ. n. 18128/2006

L'art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti, ed il mancato uso di tale potere non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, allorché il giudice abbia deciso di non utilizzare tale argomento sussidiario, avendo già acquisito i necessari elementi di prova in base alle risultanze dell'istruttoria.

Cass. civ. n. 14972/2006

La valutazione delle prove, e con essa il controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, sono rimesse al giudice del merito e sono sindacabili in cassazione solo sotto il profilo della adeguata e congrua motivazione che sostiene la scelta nell'attribuire valore probatorio ad un elemento emergente dall'istruttoria piuttosto che ad un altro. In particolare, ai fini di una corretta decisione adeguatamente motivata, il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattentendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata. In tema di valutazione delle prove, difatti, nel nostro ordinamento, fondato sul principio del libero convincimento del giudice, non esiste una gerarchia delle prove stesse, nel senso che (fuori dai casi di prova legale) esse, anche se a carattere indiziario, sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento.

Cass. civ. n. 10499/2006

Il vigente ordinamento processuale è ispirato ai princìpi del libero convincimento del giudice e di libertà delle prove, in forza dei quali tutti i mezzi di prova hanno pari valore sicché nulla esclude che il giudice tragga gli elementi del proprio convincimento dalle risultanze probatorie comunque acquisite agli atti e, quindi anche da una consulenza tecnica.

Cass. civ. n. 28939/2005

In tema di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, la lettura e la trascrizione nel verbale di accertamento del numero di targa di un autoveicolo in sosta costituiscono operazioni semplici, che non implicano rilevanti margini personali di apprezzamento, essendo il dato verificabile e controllabile secondo un metro obiettivo: esse rientrano pertanto, nella normalità dei casi, tra le attestazioni in ordine alle quali il verbale di accertamento fa piena prova, fino a querela di falso, e che non sono contestabili con gli ordinari mezzi di prova; il ricorso a questi ultimi è infatti ammesso esclusivamente in ordine ai giudizi valutativi contenuti nel verbale di accertamento, ai quali non può attribuirsi fede privilegiata, in quanto riguardano fatti che, in ragione di varie circostanze, fra cui il loro accadimento repentino, non sono verificabili e controllabili con metro sufficientemente obiettivo all'atto della rilevazione.

Cass. civ. n. 19354/2005

Alla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà posta in essere da un terzo estraneo alla lite deve attribuirsi la stessa rilevanza assegnata alla scrittura proveniente da un terzo, onde tale dichiarazione, non configurandosi come prova tipica, non riveste la piena efficacia delle prove documentali e può costituire semplicemente un indizio suscettibile di integrare il fondamento della decisione in concorso con altre risultanze istruttorie delle quali occorre valutare la rilevanza, restando così rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.

Cass. civ. n. 18222/2004

Il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico.

Cass. civ. n. 16529/2004

La valutazione in ordine all'attendibilità di un teste deve avvenire soprattutto in relazione, al contenuto della dichiarazione e non aprioristicamente per categorie, in quanto in quest'ultima ipotesi il giudizio sull'attendibilità sfocerebbe impropriamente in quello sulla capacità a testimoniare in rapporto a categorie di soggetti che sarebbero, di per sé, inidonei a fornire una valida testimonianza, laddove la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull'attendibilità del teste, operando su piani diversi, atteso che l'una, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza delle dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inadeguata la motivazione di inattendibilità delle deposizioni dei testi fondata solo sulla circostanza che essi erano «legati da rapporto di lavoro dipendente con la società appellante» ed ha sul punto cassato la decisione impugnata).

Cass. civ. n. 15408/2004

Nel sistema vigente opera il principio cosiddetto dell'acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza, ed il risultato della prova deve essere valutato indipendentemente dalla posizione della parte che l'abbia dedotta, sicché ben può valere a dimostrare la fondatezza dell'assunto di una parte, quand'anche richiesta dall'altra.

Cass. civ. n. 14235/2004

I verbali redatti da pubblici ufficiali fanno prova ex art. 2700 c.c. dei fatti che il verbalizzante attesta avvenuti in sua presenza, mentre le altre circostanze che il verbalizzante segnali di avere accertato per averle apprese de relato pur non essendo assistite da fede privilegiata, sono suscettibili di fornire al giudice materiale indiziario soggetto al suo libero apprezzamento.

Cass. civ. n. 12912/2004

L'art. 116, primo comma, c.p.c. consacra il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento — salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale — è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonché l'iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata; e tale apprezzamento è insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici.

Cass. civ. n. 11483/2004

La possibilità per il giudice civile, a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale, non comporta alcuna preclusione per detto giudice nella possibilità di utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale già definito con sentenza passata in giudicato e di fondare il proprio giudizio su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del materiale probatorio ovvero ricavandoli dalla sentenza penale o, se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da individuare esattamente i fatti materiali accertati per poi sottoporli a proprio vaglio critico svincolato dalla interpretazione e dalla valutazione che ne abbia dato il giudice penale.

Cass. civ. n. 2707/2004

Le norme (art. 2697 ss.) poste dal libro VI, titolo II del codice civile regolano le materie: a) dell'onere della prova; b) dell'astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all'assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) della forma che ciascuno di essi deve assumere; non anche la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l'esperimento dei mezzi di prova, che è viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., e la cui erroneità ridonda quale vizio ex art. 360, primo comma n. 5, c.p.c.

Cass. civ. n. 18719/2003

Nella decisione della causa di merito, il giudice è libero di fondare il proprio convincimento su prove presuntive a differenza di altri mezzi di prova, ove le ritenga più attendibili, e non è tenuto ad ammettere gli ulteriori mezzi di prova richiesti dalle parti, se è già in grado di formarsi un convincimento sulla base delle risultanze acquisite al processo, essendo tuttavia in ogni caso tenuto a motivare le proprie scelte, e ad ammettere l'eventuale prova contraria al fatto ignoto che si pretende provare tramite presunzioni, ove ciò sia richiesto da una delle parti e la prova non sia né inammissibile o ininfluente. (Nella specie, la S.C. ha cassato per vizio di motivazione la sentenza di merito che non aveva ammesso alcune prove testimoniali, volte a dimostrare l'esistenza di un accordo, sul presupposto che già emergesse in via presuntiva la prova della inesistenza di tale accordo).

Cass. civ. n. 16087/2003

La valutazione delle risultanze probatorie rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti considerati nel loro complesso. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto esente da vizi di motivazione la sentenza di merito che — ai fini di valutare la sussistenza o meno del diritto al riconoscimento della indennità di maneggio di denaro prevista dall'art. 29 del CCNL dell'industria alimentare — aveva escluso che fosse stata raggiunta la prova dello svolgimento da parte della ricorrente, come mansione normale e continuativa, dell'attività di maneggio di denaro per pagamenti e riscossioni, mentre si era accertato che la stessa svolgeva al più compiti di depositaria, senza alcun obbligo di rendiconto né responsabilità finanziaria).

Cass. civ. n. 12463/2003

La confessione stragiudiziale fatta ad un terzo costituisce mezzo di prova su cui il giudice può fondare il proprio convincimento anche in via esclusiva. (In applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in una controversia di lavoro, aveva riconosciuto valore probatorio alla dichiarazione sottoscritta da parte del datore di lavoro, contenuta nel documento 01 M, e indirizzata all'istituto previdenziale.).

Cass. civ. n. 7411/2003

La rinunzia alla prescrizione costituisce oggetto di una difesa, e non di un'eccezione in senso stretto, cosicché la parte che allega la rinuncia della controparte alla eccepita prescrizione ha solo l'onere di allegare i fatti dai quali tale rinunzia risulta e, trattandosi di fatti che, se vi sono stati, hanno reso inopponibile la intervenuta prescrizione, il giudice deve tenerne conto, quando risultino dal processo, perché a tale inopponibilità consegue l'infondatezza della eccezione di prescrizione.

Cass. civ. n. 6760/2003

Qualora il giudice del merito ritenga sussistere un insanabile contrasto tra le deposizioni rese dai testimoni in ordine ai fatti costitutivi della domanda, fondando siffatto convincimento non sul rapporto strettamente numerico dei testi, bensì sul dato oggettivo di detto contrasto, ritenuto ostativo al raggiungimento della certezza necessaria alla decisione e, con apprezzamento di fatto congruamente motivato, reputi non superabile il contrasto sulla scorta delle ulteriori risultanze istruttorie, ritenute altresì inidonee a dimostrare la fondatezza della domanda, l'insufficienza della prova si riverbera in danno della parte sulla quale grava l'onere della prova, comportando, conseguentemente, il rigetto della domanda da questa proposta.

Cass. civ. n. 6047/2003

La sentenza con la quale il giudice applica all'imputato la pena da lui richiesta e concordata con il pubblico ministero, pur essendo equiparata a una pronuncia di condanna ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 445, primo comma, c.p.p., non è tuttavia ontologicamente qualificabile come tale, traendo essa origine essenzialmente da un accordo delle parti, caratterizzato, per quanto attiene l'imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità. Ne consegue che non può farsi discendere dalla sentenza di cui all'art. 444 c.p.p. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell'imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non censurabile in sede di legittimità, per violazione di legge o per illogicità della motivazione, la sentenza impugnata per la mancata utilizzazione delle circostanze che sarebbero emerse dalla sentenza di patteggiamento, né sindacabile il mancato apprezzamento, ai fini del giudizio civile, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c., delle risultanze probatorie e documentali concernenti circostanze emerse nel procedimento penale).

Cass. civ. n. 5167/2003

La dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, prevista dall'art. 24 della L. 13 aprile 1977 n. 114 e, successivamente, dall'art. 1, primo comma, lettera b), del D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 403, poi sostituito dall'art. 46, primo comma, lettera o), del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, è idonea a comprovare detta situazione, fino a contraria risultanza, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei relativi procedimenti amministrativi, ma nessun valore probatorio, neanche indiziario, può esserle riconosciuto nell'ambito del giudizio civile, caratterizzato dal principio dell'onere della prova, atteso che la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore, al fine del soddisfacimento dell'onere di cui all'art. 2697 c.c. (nella specie, la S.C., applicando tale principio in relazione all'accertamento del requisito reddituale prescritto per il riconoscimento del diritto a prestazione assistenziale, ha anche sottolineato l'onere di una specifica contestazione da parte della pubblica amministrazione convenuta, ai sensi dell'art. 416, terzo comma, c.p.c., in difetto della quale la prova del requisito reddituale non è richiesta, precisando, peraltro, che, a tali fini, non è necessaria una specifica allegazione, da parte della medesima P.A., di fatti contrastanti con l'affermata ricorrenza del predetto requisito).

Cass. civ. n. 5116/2003

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale — per violazione degli artt. 13, 15, 24, 30 e 32 Cost. — del combinato disposto degli artt. 269 c.c. e 116 e 118 c.p.c., ove interpretato nel senso della possibilità di dedurre argomenti di prova dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi a prelievi ematici al fine dell'espletamento dell'esame del DNA. Invero, dall'art. 269 c.c. non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all'assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa, e, inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l'uso dei dati nell'ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l'accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675.

Cass. civ. n. 15399/2002

Rientra nei compiti del giudice di merito il giudizio circa la idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici ed in particolare ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e perciò da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale.

Cass. civ. n. 10313/2002

Nei giudizi aventi ad oggetto il riconoscimento di prestazioni assistenziali, l'autocertificazione dell'interessato in ordine alla consistenza dei propri redditi, ai fini della dimostrazione del requisito economico, ha valore di prova (in assenza di elementi di segno contrario), che il giudice deve valutare in base al suo prudente apprezzamento, secondo quanto previsto dall'art. 116, primo comma, c.p.c., anche attraverso l'esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 421 c.p.c.; tale valore probatorio deve essere riconosciuto non solo nel caso in cui l'autocertificazione suddetta sia stata già prodotta in sede amministrativa, ma anche ove la stessa sia prodotta direttamente nella sede giudiziale, nella quale persiste la possibilità per la pubblica amministrazione di esercitare il proprio dovere di verifica.

Cass. civ. n. 3102/2002

Nei poteri del giudice in tema di disponibilità e valutazione delle prove rientra quello di fondare il proprio convincimento su prove formate in altro processo, quando i risultati siano acquisiti nel giudizio della cui cognizione egli è investito, potendo le parti che vi abbiano interesse contrastare quei risultati discutendoli o allegando prove contrarie.

Cass. civ. n. 443/2002

La norma dettata dall'art. 116, secondo comma, c.p.c., nell'abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell'interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre “argomenti di prova”, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze. In particolare, nel caso di rifiuto a consentire ispezioni, anche documentali, la valutazione, motivata, del comportamento, nei limiti di una valenza meramente indiziaria, è permessa soltanto quando il rifiuto risulti “ingiustificato” (nella specie, si censurava la decisione della Commissione tributaria regionale che aveva dichiarato illegittimo l'accertamento del reddito di una società, senza valutare le prove acquisite, basandosi esclusivamente sulla circostanza che l'amministrazione finanziaria, invitata a fornire documenti ed informazioni ai sensi dell'art. 7 del D.L.vo n. 546 del 1992, non aveva ottemperato alla richiesta).

Cass. civ. n. 16069/2001

Il giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, oltre che utilizzare prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, può anche avvalersi delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, le quali debbono, tuttavia, considerarsi quali semplici indizi idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio, la cui concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata — in conformità con la regola dettata in tema di prova per presunzioni — non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva in base ad un apprezzamento che, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità. Ne consegue, da un canto, che anche una consulenza tecnica disposta dal P.M. in un procedimento penale, se ritualmente prodotta dalla parte interessata, può essere liberamente valutata come elemento indiziario idoneo alla dimostrazione di un fatto determinato (ancorché la relativa valutazione debba pur sempre tener conto della circostanza che l'atto si è formato senza il contraddittorio tra le parti e che esso non risulta sottoposto al vaglio del giudice del dibattimento), dall'altro che, trasposta la vicenda processuale in grado di appello, il giudice del gravame ha l'obbligo di estendere il proprio giudizio a tutte le eventuali, successive risultanze probatorie, e non limitarsi ad una rivalutazione della sola consulenza eventualmente posta a fondamento della decisione di primo grado.

Cass. civ. n. 12751/2001

La deposizione resa da un soggetto informato dei fatti innanzi alla polizia giudiziaria non ha lo stesso valore della deposizione testimoniale resa ai sensi dell'art. 244 c.p.c., tuttavia il giudice può liberamente valutare la stessa quale elemento indiziario che, pur non potendo sostituire la prova diretta, può, però, concordando con altri elementi di prova, rafforzare il suo convincimento nella ricostruzione dei fatti.

Cass. civ. n. 11105/2001

I documenti provenienti da terzi estranei alla lite possono offrire solo elementi indiziari che, in concorso con altre risultanze, sono suscettibili, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito — insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato —, di integrare il fondamento della decisione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso l'idoneità a dimostrare, ai fini previdenziali, l'espletamento di attività libero professionale di dottore commercialista di una dichiarazione, proveniente da un sedicente cliente, generica, priva di riferimenti precisi, temporali e spaziali, ricognitiva di giudizi piuttosto che di fatti).

Cass. civ. n. 10484/2001

La ricostruzione degli elementi probatori e la relativa valutazione rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove e risultanze che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere alcuni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell'accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso.

Cass. civ. n. 8596/2001

Il “contegno delle parti” dal quale, ai sensi dell'art. 116, secondo comma, c.p.c., il giudice è abilitato a trarre elementi indiziari di giudizio, è solo quello tenuto nel corso del processo, rimanendo, pertanto, ininfluente, ai predetti effetti il comportamento tenuto innanzi al competente ispettorato agrario in sede di tentativo di conciliazione ex art. 46 della legge n. 203 del 1982, previsto come onere a carico di chi intenda proporre in giudizio una domanda relativa a controversia agraria.

Cass. civ. n. 7518/2001

Se il giudice è libero di utilizzare, per la formazione del suo convincimento, anche prove raccolte in un diverso processo svoltosi tra le stesse od altre parti, tale prova può valere, come indizio idoneo a fornire elementi di giudizio, solo una volta che la relativa documentazione sia ritualmente esibita dalla parte interessata, secondo le regole dell'allegazione, conseguendone che non può validamente formarsi il convincimento del giudicante ove vengano tratti elementi decisivi dal mero riferimento, operato da una delle parti nella comparsa conclusionale, ad una pronuncia, resa in altro processo tra le stesse parti, non acquisita agli atti, e fondata su un documento ritenuto rilevante nella causa in esame ma neppure questo acquisito, pur se controparte non abbia mosso eccezioni nella memoria di replica.

Cass. civ. n. 5682/2001

Il giudice di merito può legittimamente tenere conto, ai fini della decisione, di risultanze di relazioni tecniche acquisite in un diverso processo, tanto più quando la relazione sia stata predisposta in relazione ad un giudizio tra le stesse parti ed abbia avuto ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi.

Cass. civ. n. 5231/2001

La valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Cass. civ. n. 5227/2001

In materia di prova testimoniale, benché i giudizi non possano costituire oggetto di prova, essendo vietato demandare ai testi la valutazione dei fatti, laddove si tratti di apprezzamenti di assoluta immediatezza, praticamente inscindibili dalla percezione dello stesso fatto storico, essi possono concorrere al convincimento del giudice. (Nella specie, oggetto della testimonianza erano le mansioni svolte da una lavoratrice, di cui era controversa la natura subordinata o autonoma; la S.C. ha affermato che correttamente il giudice di merito aveva utilizzato il risultato della prova nel corso della quale dette mansioni erano state definite semplici e ripetitive).

Cass. civ. n. 5149/2001

Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte o allegati dal consulente alla propria relazione solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l'impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione. (In applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto esente da censure la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto irrilevanti, al fine del decidere, i documenti allegati alla consulenza tecnica d'ufficio di primo grado su iniziativa unilaterale dello stesso consulente ed esorbitando dall'incarico, giacché — non avendo nessuna delle parti, esplicitamente, fondato sugli stessi alcuna difesa — non era consentito al giudice di sostituirsi alle stesse nell'adempiere all'onere probatorio sulle stesse gravanti; a nulla rilevando che nessuna delle parti avesse eccepito, nella prima udienza successiva al deposito, la nullità della consulenza tecnica con riferimento alle attività da costui poste in essere oltre i limiti del mandato).

Cass. civ. n. 4168/2001

In tema di presunzioni, il requisito della gravità si riferisce al grado di convincimento che le presunzioni sono idonee a produrre e a tal fine è sufficiente che l'esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; il requisito della precisione impone che i fatti noti, da cui muove il ragionamento probabilistico, ed il percorso che essi seguono non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica; con il requisito della concordanza si prescrive che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto; la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l'esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito e sottratti al controllo di legittimità in presenza di adeguata motivazione; diversamente, l'esistenza della base della presunzione e dei fatti noti, facendo parte della struttura normativa della presunzione, è sindacabile in cassazione.

Cass. civ. n. 2200/2001

La sentenza penale non irrevocabile, ancorché non faccia stato nel giudizio civile circa il compiuto accertamento dei fatti materiali formanti oggetto del giudizio penale, costituisce in ogni caso un documento, che il giudice civile è tenuto ad esaminare e dal quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, su dati e circostanze ivi acquisiti con le garanzie di legge, soprattutto quando gli stessi non risultino da mere valutazioni del giudice penale, ma trovino rispondenza nell'istruttoria espletata in quella sede.

Cass. civ. n. 15826/2000

Il giudice che fondi il proprio convincimento sulle risultanze di una sentenza penale non è tenuto a disporre la previa acquisizione degli atti del relativo processo e ad esaminarne il contenuto qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficienti le risultanze della sola sentenza.

Cass. civ. n. 12763/2000

Nell'ordinamento processuale vigente, manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova. Ne consegue che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico — riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato — con le altre risultanze del processo. In particolare, gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, non essendo stati raccolti nell'ambito del giudizio in contraddittorio delle parti, né di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice del merito, e possono, in concomitanza con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia, fornire utili elementi di convincimento, specie ove di essi sia stata provata (nella specie, mediante l'autentica della sottoscrizione apposta alle dichiarazioni in atti) la veridicità formale.

Cass. civ. n. 9290/2000

Le annotazioni e le dichiarazioni contenute nel libretto di lavoro (istituito con finalità meramente burocratiche dalla legge 10 gennaio 1935 n. 112), aventi natura di scrittura privata e consistenti in dichiarazioni unilaterali del datore di lavoro, non valgono da sole a dimostrare con certezza la durata e il contenuto del rapporto di lavoro, pur potendo al riguardo costituire un valido indice presuntivo in concorso con altri idonei elementi; tali indicazioni perciò possono essere contrastate con ogni altro mezzo di prova e il giudice di merito può apprezzarle in rapporto alle altre risultanze istruttorie nell'ambito del suo potere di valutazione discrezionale della prova ex art. 116 c.p.c. (Fattispecie relativa ad azione di risarcimento danni per omissione contributiva; il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva rigettato la domanda tenuti presenti altri elementi probatori da cui si evinceva la mancanza di retribuzione, e quindi la presumibile sospensione del rapporto, nei periodi per i quali vi era scopertura contributiva).

Cass. civ. n. 7011/2000

Nei giudizi in materia di invalidità civile, la non presentazione dell'interessato alla visita disposta dal consulente tecnico d'ufficio può far ritenere insussistente la prova in ordine al dedotto stato invalidante solo se concorre la mancanza di cause di giustificazione. (Nella specie la parte ha impugnato la statuizione sul punto del giudice di merito, rilevando l'assenza di un inequivocabile e ingiustificato rifiuto, stanti il non recapito della convocazione per cambiamento di residenza e le proprie carenze sul piano delle capacità mentali; la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, che non aveva compiuto alcun accertamento sul punto dell'efficacia probatoria del comportamento della perizianda).

Cass. civ. n. 6023/2000

È devoluta al giudice del merito l'individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta delle risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri (in ragione del loro diverso spessore probatorio), con l'unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. Ne consegue che, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Cass. civ. n. 898/1999

Nel quadro del principio, espresso nell'art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati.

Cass. civ. n. 13291/1999

La presunzione semplice e la presunzione legale iuris tantum si distinguono unicamente in ordine al modo di insorgenza, perché mentre il fatto sul quale si fonda la prima dev'essere provato in giudizio ed il relativo onere grava su colui che intende trarne vantaggio, la seconda è stabilita dalla legge e, quindi, non abbisogna della prova di un fatto sul quale possa fondarsi e giustificarsi. Una volta, tuttavia, che la presunzione semplice si sia formata e sia stata rilevata (cioè, una volta che del fatto sul quale si fonda sia stata data o risulti la prova), essa ha la medesima efficacia che deve riconoscersi alla presunzione legale iuris tantum, quando viene rilevata, in quanto l'una e l'altra trasferiscono a colui, contro il quale esse depongono, l'onere della prova contraria.

Cass. civ. n. 12694/1999

Il rifiuto della parte di consentire al consulente tecnico d'ufficio le necessarie indagini per l'accertamento del danno, costituisce condotta valutabile, ex art. 116 c.p.c., ai fini dell'accertamento della responsabilità.

Cass. civ. n. 8585/1999

Il giudice di merito può utilizzare in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili.

Cass. civ. n. 5526/1999

La deposizione testimoniale de relato di per sé sola non ha alcun valore probatorio e può acquisire rilevanza solo attraverso il riscontro di altre circostanze, le quali quindi devono avere adeguata consistenza ed essere adeguatamente prese in esame dal giudice di merito nel loro rilievo e nella loro funzione.

Cass. civ. n. 5133/1999

Qualora il giudice del merito ritenga sussistere un insanabile contrasto tra le varie deposizioni testimoniali in ordine ai fatti costitutivi della domanda e quindi rigetti la stessa, è configurabile la violazione del criterio dell'art. 116, primo comma, c.p.c. sulla valutazione con prudente apprezzamento delle prove e un vizio di motivazione censurabile in sede di legittimità, se il giudice abbia omesso di accertare, con adeguata motivazione, se le deposizioni vertono effettivamente sulle medesime circostanze di fatto. (Nella specie, il giudice di merito aveva rigettato la domanda diretta all'accertamento di un rapporto di lavoro domestico e di pulizia di uno stabile, deducendo la sussistenza di testimonianze contrapposte e l'impossibilità di propendere per le une o le altre in base a criteri relativi all'attendibilità dei testimoni; la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, in base al riportato principio e all'osservazione specifica che le deposizioni negative dei frequentatori della casa del presunto datore di lavoro avrebbero dovuto essere vagliate in base alla frequenza e alla localizzazione temporale delle visite).

Cass. civ. n. 12127/1998

In tema di prova testimoniale, legittimamente il vincolo di coniugio può essere considerato dal giudice di merito in concorso con altri elementi — nella specie in contrasto con tutte le altre deposizioni testimoniali — ai fini della valutazione della maggiore o minore attendibilità della deposizione resa dal teste.

Cass. civ. n. 4777/1998

Al di fuori dei casi di prova legale, non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo la valutazione delle prove rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Ne deriva che il convincimento del giudice di merito sulla verità di un fatto può fondarsi anche su una presunzione che sia in contrasto con le altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che egli fornisca del convincimento cosa attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria.

Cass. civ. n. 2849/1998

Il giudice di merito può attribuire valore di elemento di prova alle dichiarazioni rese dal procuratore negli atti difensivi (nel caso di specie si trattava di dichiarazioni rese nella comparsa di risposta).

Cass. civ. n. 43/1998

In tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso occorre distinguere i testimoni de relato actoris e quelli de relato in genere. I primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa. Gli altri testi, de relato in genere, depongono su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata perché indiretta, ma, ciononostante può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità.

Cass. civ. n. 12652/1997

La valutazione dei fatti e delle prove, istituzionalmente rimessa al giudice di merito, non è censurabile in sede di controllo di legittimità (qual è quello esercitato, nella fase rescindente, dal giudice dell'impugnazione per nullità di un lodo arbitrale ex art. 829 c.p.c.), salvo che tale valutazione non sia logicamente e congruamente motivata. In forza dello stesso principio, il controllo di legittimità non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi indiziari, ma solo la sua congruenza dal punto di vista della logica e del rispetto dei principi di diritto che regolano tale mezzo di prova.

Cass. civ. n. 10775/1997

Alla utilizzabilità di prove testimoniali formatesi in altro processo fra le stesse parti non è d'ostacolo la circostanza (costituente del resto la regola) che i due giudizi vertano su fatti diversi e che, in particolare, quello nel quale le prove devono utilizzarsi riguardi accadimenti non ancora verificatisi al momento dell'instaurazione dell'altro, rilevando solo per la ammissibilità di detta utilizzazione che le dichiarazioni testimoniali siano comunque successive ai fatti rilevanti per il processo nel quale vengono utilizzate, e che esse contengano, anche in via incidentale, affermazioni utili per la decisione, ferma restando la loro contestabilità nel merito.

Cass. civ. n. 2329/1997

Il sistema delle fonti di prova, il contegno processuale delle parti che, a norma dell'art. 116 c.p.c., consente di desumere argomenti di prova non ha un rilievo gerarchicamente sovraordinato che possa consentire al giudice di utilizzarlo come parametro di controllo dell'ammissibilità di altri mezzi istruttori. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha cassato la sentenza del merito che aveva negato ingresso ad una prova che «si prestava a diffidenza per l'equivocità del comportamento processuale della parte»).

Cass. civ. n. 4618/1996

La deposizione de relato ex parte actoris, se riguardata di per sé sola, non ha alcun valore probatorio, nemmeno indiziario; può tuttavia assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze oggettive e soggettive ad essa intrinseche o da risultanze probatorie acquisite al processo che concorrano a confortarne la credibilità.

Cass. civ. n. 3936/1995

Qualora, a fronte di una richiesta di restituzione di somma che si assuma indebitamente erogata, il convenuto non ne contesti la ricezione limitandosi a dedurre la legittimità dell'erogazione stessa, tale comportamento processuale può essere ritenuto idoneo dal giudice di merito, in base al principio del libero convincimento nella valutazione delle risultanze processuali, a dimostrare l'effettività dell'erogazione ai fini di una pronunzia di condanna generica alla restituzione, salva la prova dell'effettivo ammontare della somma da restituirsi, nel separato giudizio sul quantum debeatur.

Cass. civ. n. 701/1995

Perché una presunzione sia giuridicamente valida e consenta di ritenere un fatto accertato nel giudizio, non è necessario che il fatto ignoto appaia come l'unica conseguenza possibile dei fatti noti, ma è sufficiente che sia da questi deducibile secondo un procedimento logico basato sull'id quod plerumque accidit. Nondimeno gli elementi su cui si fonda la presunzione devono presentare i caratteri della gravità, univocità e concordanza, mentre le argomentazioni giustificative del convincimento del giudice devono essere immuni da incoerenza logica e da omissioni vertenti su elementi decisivi che abbiano formato oggetto di rituali deduzioni, e solo se sono rispettati gli indicati principi di diritto e tali esigenze di motivazione le valutazioni del giudice di merito sfuggono al sindacato di legittimità. (Nella specie la Suprema Corte ha annullato per violazione di legge e vizio di motivazione la sentenza con cui il giudice di merito aveva presunto la conoscenza — ai fini di cui all'art. 21 della L. 3 maggio 1982, n. 203 — dell'esistenza a una certa data di un rapporto di subaffitto di un fondo rustico tra il padre e il cognato di una parte in causa, proprietaria dello stesso fondo, sulla sola base dei rapporti di parentela e affinità intercorrenti tra i vari interessati, in difetto di convivenza e di comunione di interessi morali, familiari ed economici tra gli stessi).

Cass. civ. n. 623/1995

Il giudice può utilizzare, per la formazione del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un diverso processo, svoltosi tra le stesse o altre parti, una volta che la relativa documentazione sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto adeguata la motivazione del giudice di merito che aveva valorizzato una perizia effettuata in un procedimento penale — al quale l'appellante non aveva partecipato — tenendo presente da un lato l'irripetibilità degli accertamenti all'epoca compiuti e dall'altro che l'appellante neanche nel secondo grado, dopo che tale perizia era già stata posta a base della sentenza di primo grado, non ne aveva contestati, pur avendone la possibilità, metodi e risultati, mediante la produzione di elaborati tecnici e la deduzione di altri mezzi di prova).

Cass. civ. n. 193/1995

Il comportamento processuale della parte — la cui nozione è comprensiva del sistema difensivo adottato nel processo a mezzo del procuratore — può costituire unica e sufficiente fonte di prova e di convincimento, non soltanto un elemento di valutazione delle prove già acquisite al processo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale, in relazione a controversia per il pagamento di compensi professionali, ha utilizzato come prova il comportamento difensivo del debitore, ritenendo la decisione medesima non contraddittoria nella parte in cui ha rigettato, a norma dell'art. 2959 c.c., l'eccezione di prescrizione sul rilievo che, contestando il credito, il debitore aveva implicitamente ammesso di non averlo estinto).

Cass. civ. n. 847/1994

La valutazione della prova, anche con riguardo all'attendibilità delle fonti della medesima, deve necessariamente seguire e non precedere la sua assunzione, dovendo il relativo apprezzamento essere condotto sulla base della presa in considerazione dell'intero contesto di tutti gli elementi acquisiti nel processo, e non può quindi essere aprioristicamente compiuta in un momento anteriore, con la conseguenza di impedirne l'ingresso nel processo, solo sulla base di una valutazione di mera probabilità, quale è quella inerente alla inverosimiglianza del fatto da provare.

Cass. civ. n. 1377/1993

In tema di presunzioni semplici — le quali vanno distinte sia dalla fictio iuris che dalle presunzioni legali (assolute o relative) — il requisito della concordanza costituisce un elemento non essenziale ma solo eventuale del procedimento logico da cui consegue la presunzione (semplice), dovendo esso riferirsi all'ipotesi di una pluralità di fatti noti utilizzati dal giudice per risalire al fatto ignorato e potendo la presunzione stessa fondarsi anche su di un solo indizio, purché avente caratteristiche di gravità e precisione. L'esistenza di tali caratteristiche, poiché la legge affida la fonte delle presunzioni semplici alla prudenza del giudice, non abbisogna di particolare dimostrazione e deve essere ritenuta in re ipsa, salva la prova dell'illogicità o dell'illegittimità della presunzione formulata dallo stesso giudice. (Nella specie, l'impugnata sentenza — confermata, sul punto, dalla S.C. — aveva tratto dall'entità dell'impresa la presunzione che questa fosse dotata di un'amministrazione operante nel rispetto delle leggi vigenti, onde la corresponsione, per alcuni anni, di integrazioni retributive agli impiegati in c.i.g.s. fosse stata frutto non di trascuratezza ma di una prassi datoriale di maggior favore).

Cass. civ. n. 6334/1992

In sede civile l'autorità del giudicato penale è limitata alla sussistenza dei fatti materiali intesi nella loro realtà fenomenica ed oggettiva, ma non preclude una diversa valutazione dei fatti emersi dal procedimento stesso ai fini propri del giudizio civile, ogni qualvolta sia diverso il fondamento della responsabilità civile da quello della responsabilità penale. (Nella specie, la sentenza dei giudici di merito ha attribuito decisiva rilevanza, ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento del dipendente cui era stata addebitata l'aggressione di un dirigente, all'assoluzione del lavoratore dai reati ascrittigli di ingiuria, minacce e lesioni; la Suprema Corte ha cassato tale pronuncia in relazione all'omessa autonoma valutazione dei fatti sotto il diverso profilo giuridico dell'insubordinazione rilevante come infrazione disciplinare).

Cass. civ. n. 3602/1985

Nel caso di riunione di cause per motivi di opportunità, seppure le prove acquisite in ciascuna di esse mantengono la propria individualità, con la conseguenza che quelle facenti parte del materiale dell'una non possono essere utilizzate per l'altra, esentando così taluna parte dal relativo onere probatorio; tuttavia non si ha violazione delle norme sulla valutazione delle prove, qualora ciascuna causa sia stata decisa sulla base di quelle in essa raccolte, mentre gli elementi probatori emersi nell'altra siano stati utilizzati semplicemente per rafforzare il convincimento, già formato in base a detta prova.

Cass. civ. n. 1391/1985

La copia fotostatica o fotografica di un documento (nella specie: di assegni bancari) ha la stessa efficacia probatoria dell'originale, quando non sia formalmente disconosciuta dalla parte contro la quale è prodotta. La volontà di disconoscere il documento, pur non dovendo manifestarsi con formule sacramentali, deve, tuttavia, risultare da un'impugnazione di specifico e chiaro contenuto, tale cioè da potersi da essa desumere gli estremi della negazione dell'autenticità del documento.

Cass. civ. n. 5707/1984

I certificati medici rilasciati da pubblici ufficiali fanno fede, fino a querela di falso, limitatamente ai fatti che il sanitario rogante attesta di essere avvenuti alla sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda la diagnosi, (nella specie, richiesta ai fini dell'accertamento dell'idoneità fisica di un lavoratore alla cui assunzione il datore di lavoro si era obbligato condizionatamente all'esito positivo dell'accertamento stesso), essi costituiscono elementi di convincimento liberamente valutabili dal giudice del merito, il quale può accogliere o rigettare un'istanza di ammissione di consulenza tecnica di ufficio sulle circostanze controverse, senza che il relativo provvedimento possa essere censurato in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 1246/1984

Riguardo alle deposizioni de relato, si deve sempre valutare se le stesse siano sorrette da altri elementi precisi e concordanti, che consentano di potere ritenere accertati i fatti riferiti, perché le deposizioni testimoniali hanno valore di prova solo in ordine a quanto fu sottoposto alla diretta percezione fisica del teste.

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Michele C. chiede
mercoledì 31/05/2017 - Puglia
“Vi racconto brevemente la mia storia e vorrei, se fosse possibile, che si possa comprendere se nel nostro Ordinamento possono coesistere due contrapposte sentenze (una del Consiglio di Stato e l’altra del Giudice monocratico del Tribunale Civile) pronunciate sullo stesso “thema decidendum”.
In punto di fatto, la storia è questa: una ditta edile del mio paese che ha in proprietà un immobile accanto al mio, invia nel 2011 un esposto al Comune sostenendo che nel 1996 sulla mia abitazione erano stati compiuti dei lavori di ampliamento senza alcuna autorizzazione.
Resta fermo e incontrovertibile che tale affermazione è del tutto falsa ed è motivata dal fatto che soltanto la demolizione di questa parte della mia abitazione avrebbe consentito loro la realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica dell’altezza di circa quattordici metri.
Orbene, nel mentre il Comune avvia il procedimento che si chiuderà con l’emanazione di ordinanza di demolizione, la ditta invece mi cita presso il Tribunale Civile di ...omissis...., dove instaura una causa civile.
Il contenzioso con il Comune, a cui partecipa, costituendosi regolarmente la citata ditta, si chiude con la sentenza del Consiglio di Stato ...omissis.... la quale riconosce che il mio immobile, così come è descritto dall'atto notarile di trasferimento della proprietà del ...omissis..., dimostra la consistenza già a quella data dell'abitazione così come essa è ancora oggi, ed esclude, conseguentemente, il prospettato compimento dell'abuso edilizio nel 1996.
I giudici del C. di Stato nella stessa citata sentenza danno atto che al momento della pronuncia del giudice amministrativo pendeva un giudizio civile con la stessa ditta che si era costituita in entrambi i gradi di giudizio del processo amministrativo.
Quanto al processo civile di cui si è accennato, concluse tutte le fasi, il giudice ha emesso la sentenza n....omissis...., che afferma il contrario rispetto a quanto accertato dal Consiglio di Stato.
Cioè, in buona sostanza, questa seconda sentenza afferma che l'abuso edilizio c'è stato nel 1996. Il Giudice non tiene conto delle prove testimoniali, non tiene conto delle prove fotografiche regolarmente agli atti di causa, non tiene conto dei rilievi in ordine alla CTU espletata. Ignora semplicemente tutto ciò. Così come ignora che risulti intervenuta la precedente pronuncia del Consiglio di Stato che peraltro è stata, anch’essa, acquisita agli atti dello stesso processo civile.
Viene richiamata, invece, la deposizione di un teste di controparte nei cui confronti, non solo già all'atto della deposizione era stato espressamente richiesto la trasmissione del relativo verbale di udienza alla Procura della Repubblica per le determinazioni di competenza, ma era stata anche, nel periodo successivo, formalizzata denuncia querela per falsa testimonianza presso la Procura della Repubblica di .....
A questo punto c’è da chiedersi, forse, se nel nostro Ordinamento possano coesistere su di uno stesso thema decidendum due pronunce competamente opposte provenienti rispettivamente dal Giudice dell’appello del processo amministrativo e dal Giudice di I grado del tribunale civile.
Se ciò non è possibile quale rimedio esperire nel caso di specie?
Forse può trovare applicazione l'art.360, comma 1, n.5 c.p.c. in forza del quale chiedere direttamente l'annullamento della sentenza del giudice civile per aver omesso l'esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (dinanzi al Consiglio di Stato)?
Grazie per l’attenzione e provvedo ad inviare, con separata mail, le due sentenze di cui si è detto.
E' particolarmente gradita l'occasione per inviare distinti saluti.”
Consulenza legale i 12/06/2017
Un’interessante sentenza che risponde appieno ai dubbi sollevati in ordine al lamentato contrasto tra giudicato civile e giudicato amministrativo è quella del Consiglio Di Stato, Sez. IV, del 21 febbraio 2013 n. 1080.

In tale sentenza il giudice amministrativo, occupandosi proprio della ricostruzione del rapporto tra il giudizio amministrativo e il diverso contenzioso proposto in sede civile ma nascente dalla medesima situazione sostanziale, afferma che costituisce principio pregiudiziale pacifico quello secondo cui il proprietario confinante il quale si assuma leso dalle opere edili eseguite dal vicino ha a disposizione due rimedi, potendo
- aagire in sede civile nei confronti del proprio vicino
- impugnare dinanzi innanzi al giudice amministrativo il provvedimento concessorio.

Alla stessa stregua, è possibile che colui al quale sia inibito un intervento edilizio sostenga un duplice giudizio, ossia nei confronti del Comune per gli atti da questo adottati (nel nostro caso l’ordine di demolizione) e contro i vicini che abbiano, in ipotesi, avuto a lamentarsi dell’intervento stesso.

In questi casi, è evidente che i due giudizi hanno parti ed oggetto diverso e, in particolare, pur se nell’ambito della controversia civile tra privati potrà certamente venire in rilievo, se del caso, anche la legittimità degli atti amministrativi eventualmente esistenti, ciò potrà proporsi solo come questione incidentale (attesi anche i noti limiti dei poteri del giudice ordinario sui provvedimenti amministrativi), laddove tale accertamento costituirà invece l’oggetto principale e proprio del giudizio amministrativo.
Ne discende che né pregiudizialità né interferenza può esservi tra i due giudizi, potendo tranquillamente escludersi ogni rischio di violazione del principio del ne bis in idem ovvero di contrasto fra giudicati.

Quanto sopra vale a spiegare come mai nel nostro ordinamento giuridico possano coesistere su di uno stesso thema decidendum due pronunce di segno contrario, tenuto conto peraltro che il giudizio amministrativo, a differenza di quello civile, non è giudizio (solo o prevalentemente) su fatti, ma sull’esercizio legittimo del potere amministrativo nel caso concreto (seppure ciò non toglie che tutti i fatti, ove rilevanti, debbano essere puntualmente accertati ai fine della decisione).

Infatti, nel caso prospettato, l’indagine svolta dal Giudice amministrativo è stata indirizzata fondamentalmente ad accertate la legittimità o meno dell’ordine di demolizione impartito dal Comune, mentre il giudizio civile ha investito il diverso problema delle distanze fra edifici confinanti, ossia problemi di natura prettamente privatistica. Quindi due questioni del tutto differenti, anche se accumunate dalla identità dell'immobile. 

Ciò posto, ed escluso che avverso la sentenza di primo grado del giudice civile si possa fare immediatamente ricorso per Cassazione ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., si ritiene invece che sussistano delle valide ragioni per ricorrere in appello, essendo la sentenza di primo grado censurabile sotto il profilo della valutazione delle prove.

Come ben noto, l’articolo 116 c.p.c. rappresenta la norma cardine del sistema di valutazione delle prove, sancendo in via generale il principio del libero convincimento del Giudice (“il Giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento”), ma chiarendo poi che tale principio non opera nel caso particolare in cui ci si possa avvalere di prove legali (“salvo che la legge disponga altrimenti”).
Invero, pur se la relazione tra libero convincimento e prova legale è codificata secondo il rapporto tra regola ed eccezione, permangono certamente nel nostro ordinamento rilevanti ipotesi di prove legali, cioè di strumenti di prova la cui efficacia è predeterminata in astratto dal legislatore, senza possibilità di una diversa valutazione in concreto da parte del Giudice, quali ad esempio confessione, giuramento, atto pubblico e scrittura privata.

Ora, seppure sia opinione condivisa quella per la quale le prove legali sono residui di epoca passata, essendo la loro previsione storicamente fondata sulla sfiducia nei confronti del Giudice e della sua capacità di valutare prudentemente le prove, è anche vero però che tali prove offrono il vantaggio di una maggior certezza del diritto e di una semplificazione istruttoria.

Sotto il profilo della loro efficacia, si suole distinguere tra prove legali negative e positive.
Le prime sono volte a limitare la facoltà del Giudice di ammettere o riconoscere valore probatorio a determinate prove (cfr. ad esempio gli artt. 2721-2726 c.c. circa i limiti alla prova testimoniale).
Le prove legali positive sono invece quelle che impongono al Giudice di attribuire valore privilegiato a determinate fonti di prova (cfr. gli artt. 2700 e 2702 c.c. circa il valore probatorio di atto pubblico e scrittura privata, nonché l’art. 2733 c.c. per il valore probatorio della confessione).
Ciò comporta l’impossibilità di offrire la prova contraria alle risultanze della prova legale, a meno che si provochi la formazione di una prova legale contraria, quale quella risultante dalla confessione mediante interrogatorio formale o dal giuramento.
Solo infatti dinanzi a due o più prove legali dotate della medesima valenza probatoria, viene in rilievo la possibilità di un apprezzamento del Giudice, che deve dare credito a quella ritenuta più convincente (cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 6 dicembre 1997, n. 12401).
Se la prova legale è quella che è stata sottoposta dal legislatore ad un’aprioristica valutazione della sua efficacia, la prova libera è quella la cui efficacia non è cristallizzata o determinata a priori dall’ordinamento, ma viene rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che la valuta sul piano concreto e particolare con il supporto della ragione e dell’esperienza.

Quanto poi alla modalità di formazione del libero convincimento del Giudice, va affermato che, al di fuori della prova legale, non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia delle prove per la quale i risultati di alcune debbano prevalere nei confronti di altri dati probatori (così, tra le altre, Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2007, n. 9245), essendo piuttosto vero che il Giudice è libero di scegliere gli elementi di prova dai quali trarre il proprio convincimento (cfr. Cass. civ., Sez. Lav., 15 giugno 2010, n. 14348).

Una volta formatosi, il convincimento del Giudice deve però essere esplicitato in motivazione, dando conto del perché sono stati ritenuti più attendibili o comunque preferibili alcuni elementi probatori rispetto ad altri.

Sulla base dei principi sopra esposti, dunque, la sentenza del Giudice civile di primo grado è censurabile non tanto per non aver tenuto conto di quanto statuito dal Giudice amministrativo nella sua decisione (che si ripete è volta soltanto a regolare i rapporti tra privati e PA, nella specie a delibare sulla legittimità dell’ordine di demolizione), quanto piuttosto per non aver dato prevalenza, nella valutazione delle prove, all’atto notarile (prova legale) richiamato peraltro nella sentenza del Consiglio di Stato, avendo ritenuto opportuno il Giudice fondare il proprio convincimento sulla consulenza del CTU (prova libera), il quale a sua volta ha assunto a suo fondamento le schede catastali (il cui valore probatorio va valutato in subordine ad eventuali atti pubblici utilizzabili in giudizio).

In forza di tali argomentazioni si consiglia, dunque, di impugnare la sentenza civile di primo grado, chiedendo la sospensione della efficacia esecutiva della medesima, a sostegno della quale può addursi la contraria statuizione e valutazione del Giudice amministrativo in ordine ai tempi di realizzazione della porzione di immobile contestata (fondata su fonti di prova legale, ossia l’atto pubblico, dal quale risulterebbe l'esistenza dei vani in data ben anteriore al 1996 e con destinazione non di ovile), e la gravità del pregiudizio che ne deriverebbe dal mettere in esecuzione tale sentenza.