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Articolo 2108 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Lavoro straordinario e notturno

Dispositivo dell'art. 2108 Codice Civile

In caso di prolungamento dell'orario normale [2099], il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario(1).

Il lavoro notturno non compreso in regolari turni periodici deve essere parimenti retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno(2).

I limiti entro i quali sono consentiti il lavoro straordinario e quello notturno, la durata di essi e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge [o dalle norme corporative](3) [2107, 2751, n. 4].

Note

(1) Il lavoro straordinario si qualifica nella prestazione eccedente l'orario ordinario fissato dalla legge, dal contratto collettivo o da un contratto individuale più favorevole al lavoratore. La retribuzione non potrà dunque essere inferiore a quella ordinaria onnicomprensiva maggiorata del 10 per cento che si applicherà al lavoro eccedente la giornata normale concordata dall'autonomia delle parti, come dispone l'art. 5 R.D.L. 6 dicembre 1923, n. 692.
(2) Si parla di lavoro notturno occasionale in quanto il lavoro notturno svolto a seguito di prestazione di lavoro a turni è compreso nell'ordinaria retribuzione globale giornaliera.
(3) Le norme corporative sono state abrogate, quali fonti di diritto, per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazione sindacali fasciste disposta con D. Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

Massime relative all'art. 2108 Codice Civile

Cass. civ. n. 23506/2022

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell'amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l'art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell'art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell'autorizzazione è il solo elemento che condiziona l'applicabilità dell'art. 2126 c.c.

Cass. civ. n. 18161/2018

I funzionari direttivi, esclusi dalla disciplina legale delle limitazioni dell'orario di lavoro, hanno diritto al compenso per lavoro straordinario se la disciplina collettiva delimiti anche per essi l'orario normale e tale orario venga in concreto superato oppure se la durata della loro prestazione valichi il limite di ragionevolezza in rapporto alla necessaria tutela della salute e dell'integrità fisiopsichica garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori. Per questa seconda ipotesi deve essere valutato non tanto l'elemento quantitativo del numero delle ore lavorate, quanto l'elemento qualitativo relativo all'impegno fisico ed intellettuale richiesto al lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva condannato Poste Italiane spa al pagamento dello straordinario, benché le norme del c.c.n.l. applicabili non prevedessero un preciso orario di lavoro ed in assenza di prova del carattere usurante ed irragionevole della prestazione).

Cass. civ. n. 14120/2016

Al fine di ritenere illegittimamente escluse dalla base di calcolo del compenso per lavoro straordinario, indennità, emolumenti ed altre voci non è rilevante la continuità della relativa corresponsione, quanto piuttosto la verifica se le stesse siano incluse nella retribuzione "normale", secondo quanto stabilito dal c.c.n.l., dovendo rimanere escluse, dalla detta base di calcolo, quelle voci che, per la relativa funzione e caratteristiche, siano rivolte a compensare particolari prestazioni e disagi specifici, ovvero situazioni particolari, meritevoli di tutela, anche se di fatto corrisposte con continuità.

Cass. civ. n. 21253/2012

Nei confronti del personale direttivo - categoria comprensiva non soltanto di tutti i dirigenti ed institori che rivestono qualità rappresentative e vicarie, ma anche, in difetto di una pattuizione contrattuale in deroga, del personale dirigente cosiddetto minore, ossia impiegati di prima categoria con funzioni direttive, capi di singoli servizi o sezioni d'azienda, capi ufficio e capi reparto -, escluso dalla disciplina legale delle limitazioni dell'orario di lavoro, il diritto al compenso per lavoro straordinario può sorgere nel caso in cui la normativa collettiva (o la prassi aziendale o il contratto individuale) delimiti anche per essi un orario normale di lavoro, che risulti nel caso concreto superato, ovvero, in mancanza di tale delimitazione, quando la durata della prestazione lavorativa ecceda i limiti della ragionevolezza in rapporto alla tutela, costituzionalmente garantita, del diritto alla salute. (Nella specie, al lavoratore - capo reparto di esercizio commerciale - la corte territoriale, sebbene la disciplina legale e contrattuale collettiva escludessero un limite orario della prestazione, aveva riconosciuto il compenso per lavoro straordinario in ragione dell'attribuzione da parte del datore di un compenso per straordinario forfetizzato, circostanza che, invece, era idonea, di per sé, solo ad attestare l'esistenza di determinati trattamenti più favorevoli al lavoratore proprio in conseguenza degli svantaggi derivanti dalla suddetta esclusione).

Cass. civ. n. 19358/2010

Nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell'ambito della disciplina d'impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria.

Cass. civ. n. 27027/2008

Ai fini della validità del patto di conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria, occorre risultino riconosciuti i diritti inderogabili dei lavoratori e che sia determinato quale sia il compenso per il lavoro ordinario e quale l'ammontare del compenso per lavoro straordinario, in modo da consentire al giudice il controllo circa l'effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettantigli per legge o in virtù della contrattazione collettiva. (Nella specie la S.C., nel confermare la sentenza di merito, ha osservato che correttamente quest'ultima aveva escluso che il conglobamento dello straordinario nel cosiddetto superminimo violasse il diritto inderogabile di un responsabile di filiale di una società di trasporti e spedizioni alla retribuzione del lavoro straordinario secondo le tariffe fissate dalla contrattazione collettiva).

Cass. civ. n. 15781/2007

E del tutto legittima perché non si pone in contrasto né con l'art. 36 Cost. né con l'art. 2108 c.c. la condotta del datore di lavoro che — in presenza della contrattazione che predetermini, nell'esercizio dell'autonomia delle organizzazioni sindacali, un orario normale inferiore rispetto a quello massimo fissato per legge (ora individuato dall'art. 2 del D.L.vo n. 66 del 2003) — corrisponda ai propri dipendenti, che abbiano superato il limite convenzionale senza superare quello (massimo) legale, un corrispettivo per il suddetto lavoro inferiore a quello prescritto dall'art. 2108 c.c. per l'orario straordinario (disciplinato attualmente dagli artt. 1, comma secondo, lett. c), e 5 del citato D.L.vo n. 66 del 2003), atteso che il dettato costituzionale deve essere letto non in relazione ai singoli elementi retributivi, ma al complessivo trattamento economico riconosciuto al lavoratore subordinato ed, inoltre, perché l'inderogabilità del menzionato art. 2108 c.c. opera soltanto in presenza di violazioni dei tetti massimi di «orario normale» previsti da norme legislative. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che, con riferimento a dipendenti della Cotral, ora ME.TRO metropolitana di Roma Spa, aveva ritenuto che con l'accordo del giugno 1983 le parti collettive avessero concordato la riduzione dell'orario normale effettivo da 39 a 37 ore settimanali e che quindi il compenso per lo straordinario dovesse essere parametrato al divisore 37 posto che ove le parti collettive avessero convenzionalmente previsto il maggiore divisore 39 avrebbero individuato una minore base di calcolo e introdotto un numero percentuale da applicare su tale fittizia paga oraria, inferiore a quelle del 10 per cento di natura legale, per cui la relativa clausola si sarebbe posta in contrasto con l'art. 5 del R.D.L. n. 692 del 1923. La S.C., decidendo nel merito, ha ritenuto corretto l'operato della società che aveva calcolato lo straordinario su una base retributiva di 39 ore, sicché le voci reclamate dai lavoratori erano state effettuate su una quota oraria determinata sul divisore 39, conseguendone l'infondatezza della domanda di ricalcolo sul divisore 37).

Cass. civ. n. 2645/2007

In ossequio alla norma dell'art. 2108 c.c. per la quale il lavoro straordinario deve essere compensato con un aumento di retribuzione rispetto al lavoro ordinario, nel determinare i criteri di calcolo di tale compenso, il giudice, in assenza di un principio generale di onnicomprensività della retribuzione, pur in presenza di emolumenti aventi carattere di continuità e natura retributiva, deve prendere a riferimento la norma collettiva che fissa i criteri di compenso del lavoro straordinario, verificandone la coerenza con la norma di legge in relazione alle modalità di fissazione della base di computo (Nella fattispecie la Corte ha cassato la pronunzia di merito che aveva accolto la domanda di un gruppo di dipendenti di un'azienda municipalizzata che chiedevano l'inserimento nella base di calcolo del compenso del lavoro straordinario di alcune voci retributive aventi carattere di continuità, senza prendere in considerazione la norma collettiva che fissava detta base di calcolo esclusivamente in una maggiorazione dello «stipendio orario").

Cass. civ. n. 20801/2006

Il personale ferroviario — ancorché inserito nei turni di servizio — non ha diritto soggettivo, né interesse legittimo di diritto privato, alla prestazione di lavoro notturno, prefestivo e festivo (come in genere di lavoro prestato in deroga legittima oppure in violazione di norme poste a tutela dei lavoratori) — in quanto non risultano contrattualmente e legalmente previsti, né possono essere introdotti dalle clausole generali di correttezza e buona fede, mentre l'interesse dello stesso personale al trattamento economico (retributivo nonché indennitario o risarcitorio) — che spetta in dipendenza della prestazione effettiva di tale lavoro, per compensarne la maggiore penosità — risulta privo — se non addirittura immeritevole — di qualsiasi tutela giuridica — in difetto della prestazione effettiva dello stesso lavoro — e, come tale, è riconducibile ad un mero interesse di fatto, il cui mancato soddisfacimento non può costituire fonte di danno risarcibile, né fondamento giuridico di qualsiasi pretesa.

Cass. civ. n. 11536/2006

L'affermazione della continuità del lavoro straordinario reso per un certo tempo non può fondarsi sull'accertamento di una semplice reiterazione delle prestazioni eccedenti l'orario normale ma deve basarsi sul carattere costante e sistematico di queste ultime, da individuarsi nella duplice condizione di una verificata regolarità o frequenza o periodicità della prestazione e di una ragionata esclusione dei caratteri di occasionalità, transitorietà o saltuarietà, occorrendo misurare la riconoscibilità di regolarità, frequenza o anche mera periodicità di una prestazione eccedente l'orario ordinario con riguardo al suo ripetersi con costanza ed uniformità «per un apprezzabile periodo di tempo», così da divenire abituale nel quadro dell'organizzazione del lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato l'impugnata sentenza di merito con la quale, alla stregua di una motivazione congrua e logica, era stata rilevata la sussistenza della continuità dello straordinario in favore di un dipendente dell'E.N.E.L., fondandola non già sulla mera asserzione che lo straordinario prestato era legato ad una stabile necessità dell'impresa di provvedere all'erogazione di energia elettrica senza interruzioni, sospensioni o disfunzioni, ma sul puntuale esame delle buste paga che aveva evidenziato la reiterazione delle prestazioni straordinarie con costanza ed uniformità lungo un apprezzabile arco temporale).

Cass. civ. n. 2245/2006

In tema di compenso per lavoro straordinario, la regola di cui all'art. 5 R.D.L. n. 692 del 1923 secondo cui la maggiorazione per il lavoro straordinario non può essere inferiore al dieci per cento della retribuzione ordinaria, si riferisce esclusivamente alle ore di straordinario eccedenti la giornata normale di lavoro prevista dall'art. 1 dello stesso R.D.L. in otto ore giornaliere e quarantotto ore settimanali. Ne consegue che nell'ipotesi in cui la contrattazione collettiva, in base all'art. 2108 c.c., fissi un orario massimo di lavoro normale inferiore alle otto ore giornaliere e alle quarantotto ore settimanali, il compenso deve essere sempre corrisposto, ma eventualmente anche in misura inferiore al dieci per cento della paga ordinaria. Inoltre, la disciplina collettiva in materia di compenso per lavoro straordinario (nella specie, la maggiorazione del 30 per cento per straordinario diurno e del 50 per cento per lo straordinario notturno, calcolato sulla paga base, scatti di anzianità, indennità di contingenza e indennità contrattuali, previste dal Ccnl dei lavoratori delle aziende municipalizzate di igiene urbana) non risulta in contrasto con la Carta Sociale Europea che all'art. 4, primo comma, prevede che «le Parti si impegnano a riconoscere il diritto dei lavoratori ad un tasso retributivo maggiorato per le ore di lavoro straordinario, ad eccezione di alcuni casi particolari».

Cass. civ. n. 16261/2004

Ai fini del riconoscimento del diritto dei lavoratori subordinati al computo nella base di calcolo della retribuzione per il periodo feriale della maggiorazione per lavoro notturno, non è sufficiente l'accertamento della «normalità» della prestazione notturna in turni periodici e della erogazione della relativa indennità (reintroducendosi altrimenti il criterio della omnicomprensività della retribuzione, non legittimato in generale dal legislatore), ma, trattandosi di compenso erogato in ragione delle particolari modalità della prestazione lavorativa e a compensazione dei relativi disagi, e in quanto tale non assistito dalla garanzia della irriducibilità della retribuzione di cui all'art. 2103 c.c., occorre anche che la contrattazione collettiva faccia riferimento al concetto di retribuzione «ordinaria» o «normale». (Nella specie, relativa al lavoro notturno prestato dai dipendenti postali secondo turnazioni periodiche, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che aveva riconosciuto il diritto dei lavoratori all'inclusione della relativa indennità nel trattamento retributivo del periodo feriale, sulla sola base della constatazione che la contrattazione collettiva, negli spazi consentiti dalla Convenzione OIL n. 132 del 1970, ratificata e resa esecutiva con la legge 10 aprile 1981, n. 157, non determinava la misura della retribuzione spettante per il periodo feriale, senza accertare se la contrattazione collettiva facesse riferimento — per la determinazione della retri-buzione feriale — alla retribuzione «normale» o, invece, a quella «fissa giornaliera»).

Cass. civ. n. 16157/2004

In presenza di una prassi aziendale che prevede la liquidazione in favore dei dipendenti di uno straordinario forfettizzato, nel caso di specie denominato «superminimo », (attribuzione legittima in quanto attributiva di un trattamento piú favorevole rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva ), il lavoratore che abbia effettuato un numero di ore di straordinario superiore a quello corrispondente alla prestabilita forfetizzazione ha diritto, per l'eccedenza, a che gli sia riconosciuto il compenso maggiorato per il lavoro straordinario. L'onere probatorio relativo alla prestazione di un numero di ore di lavoro straordinario superiore a quelle rientranti nel forfait incombe sul lavoratore.

Cass. civ. n. 6661/2004

In tema di lavoro straordinario, la circostanza che esso sia prestato in maniera fissa e continuativa non è sufficiente a trasformare la natura della prestazione lavorativa resa oltre l'orario normale in prestazione ordinaria, salvo che, alla stregua di una corretta indagine di fatto riservata al giudice di merito, non risulti una specifica volontà delle parti intesa ad ampliare l'orario normale di lavoro conglobandovi lo straordinario fisso e continuativo, nonchè a trasformare il relativo compenso in retribuzione ordinaria utile ai fini del calcolo delle spettanze la cui quantificazione debba essere effettuata con riferimento ad essa; ne consegue che, in mancanza della prova di una siffatta deroga pattizia, il compenso per il cosiddetto straordinario fisso non è computabile nel calcolo degli istituti indiretti, quali le spettanze per ferie, mensilità aggiuntive, festività e riposi settimanali, non esistendo nell'ordinamento un principio generale di onnicomprensività della retribuzione. (Fattispecie relativa a dipendenti dell'Iritecnica — società per l'impiantistica industriale e l'assetto del territorio).

Cass. civ. n. 10312/2002

In tema di compenso per la prestazione di lavoro straordinario, la normativa vigente non comporta il diritto alla maggiorazione retributiva in mancanza di superamento del limite massimo settimanale. Infatti la disposizione dell'art. 1 del R.D. 15 marzo 1923 n. 692, a norma del quale la durata massima della giornata lavorativa non può eccedere le "otto ore al giorno o le 48 ore settimanali di lavoro effettivo", va interpretata nel senso che eventuali superamenti dell'orario giornaliero contenuti nell'ambito del massimo settimanale non sono sufficienti per far emergere la nozione legale di lavoro straordinario, rimanendo la prestazione nei limiti di flessibilità previsti dalla legge (fattispecie in tema di lavoratori del settore trasporti).

Cass. civ. n. 9871/2002

La computabilità o meno del compenso per lavoro notturno prestato con continuità ai fini degli istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio) deve essere verificata alla stregua della disciplina collettiva, nel rispetto dei canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. c. c., tenendo presente che il principio di omnicomprensività della retribuzione, valido solo per determinati istituti di origine legale, non opera neppure come criterio sussidiario, ed altresì che la disciplina prevista dall'accordo interconfederale del 27 ottobre 1946, reso efficace erga omnes dal D.P.R. n. 1070 del 1960, è derogabile dalla contrattazione collettiva, ove quest'ultima preveda una più favorevole disciplina complessiva del singolo istituto. (Fattispecie relativa alla contrattazione collettiva per i dipendenti degli aeroporti).

Cass. civ. n. 5380/2002

Deve qualificarsi lavoro straordinario ad ogni effetto legale e contrattuale, in forza dei principi desumibili dagli am. 2107 e 2108 c.c., ogni prestazione eccedente l'orario ordinario fissato dalla legge, dal contratto collettivo o da un contratto individuale più favorevole al prestatore di lavoro; la retribuzione per tale prestazione non può essere inferiore a quella ordinaria onnicomprensiva maggiorata del 10 per cento, ai sensi dell'art. 5 R.D.L. n. 692/1923, che si applica non al lavoro eccedente la giornata normale di cui all'art. 1 R.D.L. cit., ma a quello eccedente la giornata di lavoro concordata dall'autonomia privata; pertanto, in tema di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, costituendo lavoro straordinario, in forza del contratto integrativo aziendale, quello prestato oltre le 37 ore, è nulla la clausola del C.C.N.L. che, calcolando la retribuzione oraria ordinaria sulla base del divisore 39 anziché 37, porta a determinare la maggioranza della retribuzione oraria in misura inferiore al 10 per cento.

Cass. civ. n. 12683/2001

La circostanza . che il lavoro notturno sia prestato con regolarità secondo turni periodici - e cioè con modalità che, a norma dell'art. 2108, secondo comma, c.c. escluderebbero la necessità di una maggiorazione retributiva - non comporta la necessaria incidenza della maggiorazione retributiva spettante per il lavoro notturno, nonostante tale regolarità, a norma di disposizione di maggiore favore del contratto collettivo, nel computo di quei trattamenti economici - quale le mensilità supplementari - per i quali la legge non impone il riferimento ad una nozione omnicomprensiva di retribuzione, se per questi trattamenti il contratto collettivo fa riferimento ad una nozione di retribuzione comportante la non rilevanza di detta maggiorazione. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che, interpretata la clausola del C.C.N.L. applicabile ai dipendenti aeroportuali contenente la definizione della nozione di «retribuzione mensile di fatto», aveva escluso la computabilità della maggiorazione per lavoro notturno ai fini della tredicesima e della quattordicesima mensilità, la cui contemporanea previsione aveva reputato integrare un trattamento di maggior favore rispetto alla previsione della sola gratifica natalizia da parte dell'accordo interconfederale 17 ottobre 1946, esteso erga omnes con D.P.R. 28 luglio 1979, n. 1070, facente riferimento per il computo di questa gratifica alla nozione di retribuzione globale di fatto).

Cass. civ. n. 11071/2001

Ai fini della corresponsione al dipendente della maggiore retribuzione per lavoro notturno, la prestazione di attività in turni non avvicendati, cui la contrattazione collettiva ricolleghi una percentuale di maggiorazione più elevata rispetto a quella disposta in caso di turni avvicendati, correttamente va intesa nel senso di aver riguardo alle ipotesi in cui la mancanza di alternanza intercorra fra i turni diurni e notturni fondandosi tale interpretazione su di una ragione di maggiore onerosità complessiva della prestazione. (Nella specie, alla stregua di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano accolto la domanda di un dipendente del Consorzio trasporti pubblici di Roma — Cotral, intesa ad ottenere la maggiorazione per la prestazione di lavoro notturno nella misura più elevata — trenta per cento —, prevista dal contratto collettivo di categoria in relazione alla prestazione di attività in turni non avvicendati, rispetto alla percentuale del venti per cento stabilita per la prestazione in turni avvicendati, dovendosi intendere quale prestazione in turni non avvicendati quella effettuata in più turni comprendenti in ogni caso attività notturna, sia pure con diversi limiti temporali di inizio e di fine).

Cass. civ. n. 7434/2001

Ai fini dell'attribuzione delle maggiorazioni retributive per il lavoro notturno — che l'art. 2108, secondo comma, c.c. riconosce soltanto nel caso in cui il suddetto lavoro non sia compreso in regolari turni periodici, ma che i contratti collettivi, di solito, prevedono (sia pure con percentuali diverse) anche per il lavoro notturno compreso i turni periodici, in considerazione dell'indubbia penosità di tale lavoro — è essenziale in ogni caso stabilire se il lavoro notturno sia o meno compreso in regolari turni periodici. Al riguardo si deve tener presente, in primo luogo, che l'avvicendamento nel turno di lavoro si realizza quando il periodo assegnato a ciascun lavoratore per l'esecuzione della prestazione venga predisposto in regolare alternanza con i turni di lavoro altrui e, in secondo luogo, che in mancanza di turni avvicendati, ai fini della citata disposizione codicistica, è sufficiente che il lavoro sia comunque prestato in ore notturne, senza che sia necessario che esso abbia carattere di anormalità (competendo la relativa maggiorazione anche nell'ipotesi di orario di lavoro esclusivamente notturno) e senza che rilevi — ai fini dell'eventuale esclusione della penosità della situazione — la circostanza della volontarietà della prestazione nel turno notturno non avvicendato.

Cass. civ. n. 5359/2001

Salvo diverse previsioni contrattuali, il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell'esplicazione dell'attività lavorativa vera e propria, non facendo parte del lavoro effettivo, e non si somma quindi al normale orario di lavoro, cosi da essere qualificato come lavoro straordinario, tanto più che l'indennità di trasferta è in parte diretta a compensare il disagio psicofisico e materiale dato dalla faticosità degli spostamenti suindicati.

Cass. civ. n. 3302/2001

Il lavoro notturno prestato con caratteri di periodicità regolare costituisce una modalità temporale propria delle mansioni svolte nelle ore notturne, piuttosto che un prolungamento di durata delle medesime, e, pertanto, esso, non essendo rispondente ad esigenze aziendali imprevedibili, non è assimilabile al lavoro straordinario, con la conseguenza che ad esso non si estende la negazione del diritto a compenso per quello stabilita dall'art. 1 R.D.L. n. 692 del 1923, in relazione allo svolgimento di funzioni direttive per le quali non risulti previsto l'orario normale di lavoro comunque la durata massima dello stesso.

Cass. civ. n. 13443/2000

La maggiorazione corrisposta a titolo di compenso per lavoro notturno prestato secondo turni ricorrenti e con cadenza programmata va computata nella base di calcolo degli istituti per i quali la legge o il contratto preveda come base la retribuzione globale di fatto, salva la facoltà della contrattazione collettiva di garantire lo stesso risultato retributivo con altri meccanismi di calcolo. (Fattispecie relativa alla previsione del contratto collettivo dei lavoratori aeroportuali per il calcolo delle mensilità supplementari).

Cass. civ. n. 10846/2000

Le maggiorazioni corrisposte per il lavoro notturno e festivo prestato secondo i programmati turni periodici fanno parte della retribuzione normale od ordinaria, siccome afferenti a prestazioni lavorative ordinarie, e sono perciò computabili sia ai fini del trattamento per le festività, stante l' ampia previsione dell'art. 5 legge 27 maggio 1949 n. 260 (modificato dall'art. 1 legge 31 marzo 1954 n. 90) sia ai fini del trattamento per altri istituti indiretti — come ferie, malattia e mensilità aggiuntive — per i quali la legge o la disciplina collettiva facciano riferimento alla retribuzione normale o ordinaria senza definirla in modo determinato e senza offrire elementi che giustifichino una interpretazione riduttiva della detta nozione di retribuzione normale nel senso di mera retribuzione-base.

Cass. civ. n. 8271/2000

Nel giudizio avente ad oggetto il diritto del lavoratore al compenso per lavoro straordinario qualora questi, assolvendo l'onere probatorio posto a suo carico, abbia dimostrato di aver lavorato oltre l'orario normale di lavoro è consentito al giudice di procedere alla valutazione equitativa del relativo compenso purché nell'esercizio del relativo potere — da intendere come discrezionale e non arbitrario — dia congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del quantum debeatur indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo.

Cass. civ. n. 6902/2000

A differenza della pattuizione per cui un determinato numero minimo di ore di lavoro straordinario sia comunque retribuito, indipendentemente dalla prova dell'avvenuta effettiva prestazione da parte del lavoratore subordinato, è illecita (e quindi nulla) la clausola che stabilisca che il lavoro straordinario sia retribuito in una determinata entità massima, indipendentemente dall'eventuale prestazione in misura maggiore, atteso che ciò implicherebbe una rinuncia preventiva al compenso per il lavoro eventualmente prestato oltre tale limite prestabilito; pertanto, il giudice, ove accerti che il lavoratore ha effettuato un numero di ore di lavoro straordinario superiore alla pattuita forfettizzazione, deve riconoscergli per l'eccedenza il compenso maggiorato per lavoro straordinario.

Cass. civ. n. 1773/2000

La prestazione lavorativa eccedente l'orario concordato fra le parti in una misura inferiore a quella massima stabilita dalla legge o dal contratto collettivo, e fino al raggiungimento di questa, va qualificata come straordinario e retribuita a norma dell'art. 2108 c.c., a meno che non venga provata l'esistenza di un accordo fra le stesse parti avente per oggetto il prolungamento dell'orario normale contrattuale fino al limite di quello normale legale o pattuito in sede collettiva.

Cass. civ. n. 453/2000

In tema di determinazione del compenso per il lavoro straordinario - che per legge (art. 2108 c.c. e art. 5 legge n. 692 del 1923) non può essere inferiore al dieci per cento della retribuzione dovuta per il lavoro ordinario - il limite dell'autonomia collettiva è costituito dal rispetto del risultato minimo (dieci per cento in più della retribuzione ordinaria onnicomprensiva) che la legge intende garantire con l'imposizione di detto meccanismo di calcolo, sicché è ammessa l'utilizzabilità di altri meccanismi di calcolo dai quali in concreto consegua (per i lavoratori) un trattamento migliorativo o comunque non peggiorativo di quello legale. In ordine a tale ultimo profilo il giudice è in condizione di operare il relativo controllo soltanto quando venga investito della questione attraverso l'esplicito richiamo della norma pattizia di riferimento.

Cass. civ. n. 7745/1998

Ai fini della determinazione della base di calcolo del compenso dovuto in caso di superamento dell'orario normale legale (cosiddetto straordinario legale) la nozione di retribuzione quale prevista dalla disciplina legale, tanto del codice civile (art. 2108) quanto del R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692, deve essere intesa in senso onnicomprensivo, tale cioè da includere in essa tutto ciò che costituisce compenso per il lavoro normale. Ciò peraltro, pur comportando la necessità di tener conto ai detti fini delle cosiddette mensilità aggiuntive, non implica anche che agli stessi fini debbano esser considerate le somme dovute al lavoratore durante le festività e le ferie, o la quota di trattamento di fine rapporto, dovendo ritenersi che con il riferimento alla paga o retribuzione dovuta «per il lavoro ordinario» la legge abbia riguardo al compenso erogato al lavoratore per ogni singola frazione di lavoro prestato e non anche alle altre componenti del complessivo trattamento economico, volte a remunerare l'inserimento del lavoratore nella organizzazione aziendale e l'osservanza degli altri obblighi che restano in vita pur in assenza di una prestazione d'opera.

Cass. civ. n. 11571/1997

Le direttive comunitarie, le cui disposizioni abbiano un contenuto precettivo incondizionato e suscettibile di immediata applicazione, hanno efficacia cogente solo nei confronti degli Stati membri, cui esse, per loro natura, sono rivolte. Ne consegue che, in materia di lavoro notturno delle donne, non sono idonei di per sè a creare obblighi e diritti tra le parti di un rapporto di lavoro, in contrasto con le previsioni dell'art. 5 della legge 9 dicembre 1977 n. 903, l'art. 5 della direttiva n. 76-207 sulla attuazione del principio di parità tra uomini e donne in materia di condizioni di lavoro, e, in particolare, l'inerente obbligo degli Stati membri di non stabilire come principio legislativo il divieto di lavoro notturno delle sole donne (sentenza della Corte di giustizia 5 luglio 1991, n. 245 del 1989, Stoeckel), obbligo comunque da ritenersi operativo nei confronti dell'Italia solo a seguito della denuncia, intervenuta nel 1992, della Convenzione Oil 9 luglio 1948 n. 89 (ratificata con legge 2 agosto 1952 n. 1305), stante il principio dell'art. 234 del Trattato CEE, facente salva l'osservanza degli obblighi internazionali
precedentemente contratti dagli Stati membri.

Cass. civ. n. 5227/1996

Al fine di stabilire se vi sia stato prolungamento dell'orario normale di lavoro, ai sensi dell'art. 2108 c.c., come fissato dalla legge o eventualmente dal contratto collettivo, non è consentito operare una media fra le prestazioni effettuate in periodi diversi (nella specie confrontando la durata delle prestazioni nel periodo «estivo» e in quello «invernale») ma deve aversi riguardo alla durata giornaliera o al più settimanale.

Cass. civ. n. 11677/1995

La pluralità di mansioni diverse non incide di norma sull'unicità del rapporto di lavoro sia che il dipendente le esegua nell'ambito dell'orario normale, sia che l'esecuzione di prestazioni di natura eterogenea rispetto a quelle fornite in detto ambito si verifichi solamente in coincidenza di lavoro straordinario, con la conseguenza che le mansioni di maggiore rilevanza determinano il trattamento economico e normativo, mentre la prestazione lavorativa eccedente l'orario contrattuale, ancorché diversa e disomogenea rispetto a quella resa nell'ambito del detto orario deve essere qualificata e retribuita come lavoro straordinario, non potendo peraltro escludersi che ricorrendo particolari circostanze qualora il lavoratore espleti in favore del medesimo datore di lavoro una pluralità di mansioni eterogenee in orari diversi ciascuna di esse sia riconducibile, secondo l'apprezzamento del giudice di merito, insindacabile se congruamente motivato, all'esecuzione di un distinto contratto di lavoro.

Cass. civ. n. 1292/1994

In tema di compenso per lavoro straordinario, l'art. 2108 c.c. impone all'autonomia collettiva l'unico limite della necessaria maggiorazione del compenso stesso rispetto a quello dovuto per le prestazioni ordinarie, con la conseguenza che, quando per la determinazione dell'entità della maggiorazione non possa farsi applicazione del disposto dell'art. 5 del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692 (nella specie, in relazione al rapporto di lavoro di dipendenti da impresa esercente il servizio pubblico di erogazione dell'energia elettrica e dell'acqua) e dell'ivi prevista misura del 10 per cento, non può ritenersi contrastante con alcuna norma imperativa la clausola contrattuale che stabilisca una maggiorazione di misura inferiore, così come, attesa l'inesistenza di un principio generale di omnicomprensività della retribuzione, non
può escludersi la legittimità della stessa clausola ove, senza sottrarsi al principio posto dal citato art. 2108 c.c., escluda dalla base di computo della maggioranza stessa taluni emolumenti di natura retributiva.

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